NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 30 novembre 2024

INVITO A PALAZZO VENEZIA

 

Il percorso museale illustrerà la Storia del Palazzo Venezia

dal Rinascimento al Risorgimento,

mettendo in luce il ruolo istituzionale del sito tra Otto e Novecento

e gli interventi di restauro realizzati durante il Ventennio.

DOMANI   DOMENICA  MATTINA

  DICEMBRE   2024   ORE 10

INGRESSO  GRATUITO      


La puntualità è cosa gradita

PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA


INFO E PRENOTAZIONI   338 4714674 




      Cordialmente

          Prof. Massimo Fulvio Finucci e D.ssa Clarissa Emilia Bafaro

lunedì 25 novembre 2024

LA REGINA ELENA (1873-1952) LUCE DA ORIENTE

 



di Aldo A. Mola

 

Elena di Savoia, medico-chirurgo “honoris causa”

Il 27 maggio 1940 il Consiglio della Facoltà di Medicina dell'Università “La Sapienza” di Roma approvò la proposta del suo presidente, Giovanni Perez, di conferire la laurea in Medicina e chirurgia “honoris causa” “a Augusta Persona”, meritevole per «l’attuazione in Italia di un metodo terapeutico che con fine intuito concepì per le desolanti conseguenze di una fra le più grandi malattie, l'encefalite letargica o epidemica»: la cura, cioè, del Parkinsonismo post encefalico.

Presenziarono i nomi più prestigiosi della sanità in Italia, quali Cesare Frugoni ed Eugenio Morelli. Il nome dell'insignita, Jelena Petrovic, rimase riservato. Era Elena di Savoia, Regina d'Italia. Il 30 maggio il ministro dell'Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai, antico iniziato alla loggia massonica “La Forgia” di Roma, approvò. Accolti dai sovrani a Villa Savoia il 2 giugno Bottai, Perez e il rettore dell'Università, Pietro de Francisci, consegnarono personalmente il diploma di laurea alla Regina più amata dagli italiani. Erano giorni bui. Lasciati cadere gli inviti a desistere, giunti anche dal presidente degli USA, Franklin D. Roosevelt, ipotizzando un imminente armistizio tra Germania, Francia a Gran Bretagna, in guerra dal 1° settembre 1939, e  e di potervi svolgere il ruolo di mediatore, Mussolini premeva per entrare in guerra a fianco di Hitler. L'attacco da sud-est offriva alla Francia il motivo di arrendersi e scongiurava il rischio che i tedeschi giungessero sul Mediterraneo. Ascoltate le voci più autorevoli del Paese, il Re assecondò.

   La Regina, annota Maurizio Grandi nell'incipit di “I farmaci e la meccanica quantistica della dottoressa Jelena, la Regina d’Italia” (ed. Torino, La Lorre), fu «tra coloro che connotavano il lavoro “scientifico” con fervore visionario e entusiasmo. Ideale di un impegno intenso e in prima persona. Reazione contro l'idea di un universo meccanico, [la Regina Elena, NdA] favorì la nascita di una scienza fatta da forze invisibili e energie misteriose». Era una Luce giunta in Italia da Oriente, col suo matrimonio con Vittorio Emanuele di Savoia, principe di Napoli, il 24 ottobre 1896: una scelta propiziata da politici sagaci come il siciliano Francesco Crispi. Nel tempo, i Savoia si erano uniti alle grandi Case dell'Europa centro-occidentale, dagli Asburgo (sia d'Austria, sia di Spagna), ai Borbone (di Francia, Spagna e delle Due Sicilie) e della Germania. Figlia di Nicola, principe (poi re) del Montenegro, come lo zar e molti sovrani dell'Europa orientale Jelena di Montenegro era di confessione ortodossa.

   Malgrado esploratori di talento, annota Grandi, a fine Ottocento per la quasi totalità degli italiani il Montenegro era un mondo pressoché sconosciuto. In parte lo rimane tuttora. Solo l'1,5% dei turisti che annualmente lo visitano sono italiani. Perciò la storia dell'attuale Repubblica del Montenegro merita un sintetico ripasso.

 

Il 13 luglio 1878: quando il Montenegro divenne Stato

Poche miglia marine separano la costa orientale della Penisola dalle Bocche di Cattaro. Eppure per secoli l'Adriatico meridionale nella percezione degli abitanti degli Stati preunitari italiani (Venezia a parte) rimase più largo di un oceano. Al di qua vi erano il Sacro romano impero e i Principi ai quali venne via via delegato l'esercizio del potere. Al di là, dopo la caduta di Costantinopoli nelle mani di Maometto II (1453), improvvisamente ci fu l'ignoto, anzi un nemico mortale, l'impero turco-ottomano, giunto ad assediare Vienna e fermato solo tra Sei e Settecento da Eugenio di Savoia che lo sconfisse a Zenta, a Petervaradino e a Belgrado, come documentò S.A.R. la Principessa Maria Gabriella di Savoia in una dotta conferenza svolta in perfetto francese al Castello di Racconigi. Perciò si susseguirono secoli di disattenzione nei confronti delle popolazioni indomite che al di là dell'Adriatico difendevano strenuamente la propria indipendenza, radicata anche nella confessione cristiana ortodossa. Solo nell'ultimo quarto dell'Ottocento un'esigua pattuglia di “politici” colti e lungimiranti scoprì l'esistenza del Montenegro e ne comprese l'identità, soprattutto da quando, a conclusione del Congresso di Berlino (13 giugno-13 luglio 1878), esso venne riconosciuto quale Stato sovrano dalla Comunità internazionale.

   Dopo la feroce guerra franco-prussiana e la proclamazione dell'Impero di Germania (1870-1871) l'Europa rimaneva in fibrillazione. Ad allentare la tensione non era bastata l'Alleanza degli imperatori di Russia, Germania e Austria-Ungheria (1873). Nel 1877 la guerra russo-turca, segnata da orrori medievali, rimise in discussione l'impero ottomano, classificato come il “grande malato di Oriente”. La pace di Santo Stefano (3 marzo 1878) chiuse quel conflitto a vantaggio dello zar, ma le sue conseguenze andavano condivise e ratificate dalle “grandi potenze”. Occorreva appunto un “Congresso”, come era avvenuto a Parigi nel 1856, al termine della guerra anglo-franco-turca (con adesione del regno di Sardegna) contro l'impero russo e, più addietro ancora, nel 1815 a Vienna, inizio del “secolo della pace” (1815-1914). Come scosse telluriche a bassa intensità, i conflitti “di teatro” scaricavano la tensione in aree circoscritte, rinviando il terremoto devastante: la conflagrazione europea.

   Il “concerto delle grandi potenze” in realtà non accettava un unico direttore d'orchestra. Perciò ogni Stato suonava per proprio conto. Spesso steccava. Il bisogno di adottare uno spartito comune si impose (o così si ritenne di fare) con l'ultimo Congresso di pace dell'Ottocento, voluto dal Cancelliere germanico Otto von Bismarck. Bisognava prendere atto delle “nazioni senza Stato” e dare loro un assetto senza causare la deflagrazione degl'imperi turco e asburgico. La politica di equilibrio aveva già accettato le due principali “novità” di metà Ottocento: la costituzione del regno d'Italia nei confini del 1870 e quella dell'impero di Germania proclamato nel Salone degli specchi di Versailles sotto l'egemonia della Prussia. Però vi erano tabù intoccabili. Fu il caso della cattolica Polonia che rimase spartita tra Russia (ortodossa), Prussia (luterana) e impero d'Austria (prevalentemente cattolico).

   Con il trattato “di pace” del 13 luglio 1878 Austria-Ungheria, Francia, Germania, Gran Bretagna, Russia e Turchia, «desiderando regolare in un pensiero d'ordine europeo le questioni sollevate in Oriente dagli avvenimenti degli ultimi anni», raggiunsero «felicemente» l'intesa. Uno “strumento” di soli 64 articoli inglobò e superò quelli di Parigi del 30 marzo 1856 e di Londra del 13 marzo 1871. Alcune “partite” molto delicate erano già state risolte alla chetichella tra i diretti interessati. Fu il caso dell'occupazione di Cipro da parte della Gran Bretagna, pattuita con una convenzione segreta tra Londra e la Sublime Porta il 4 giugno 1878.

   Le innovazioni concordate dal Trattato di Berlino segnarono il successivo secolo e mezzo della storia europea e in gran parte vigono tuttora. Gli articoli 1-11 riconobbero la Bulgaria come principato autonomo, con governo cristiano e milizia nazionale, benché ancora tributario del Sultano, e con un sovrano liberamente eletto dalla popolazione ma estraneo alle dinastie al potere nelle Grandi potenze. Gli articoli 13-22 istituirono la Rumelia Orientale, retta da un governatore generale nominato dalla Sublime Porta ma con temporanea occupazione di truppe russe gravanti sulla popolazione. Il Sultano si impegnò ad «applicare rigorosamente nell'isola di Creta il regolamento organico del 1868» con eque modifiche a garanzia dei non islamici. La loro continua violazione suscitò rivolte duramente represse nel silenzio generale dell'Europa occidentale, miope e vile. Bosnia ed Erzegovina furono occupate e amministrate da Vienna, che vi avrebbe mantenuto una guarnigione. Gli articoli 34-42 riconobbero l'indipendenza del Principato di Serbia e ne definirono le frontiere. Fu altresì riconosciuta l'indipendenza del Principato di Romania, ma con restituzione della Bessarabia all'impero russo. Venne deliberata la smilitarizzazione delle rive del Danubio, con libertà di navigazione. Furono inoltre ridisegnati i confini tra gli imperi russo e turco. La Sublime Porta si impegnò a concedere le riforme chieste dagli Armeni e a tutelarli dai Circassi e dai Curdi, ma verso fine Ottocento ne perpetrò il primo genocidio, condannato da Giosue Carducci negli aspri versi “La mietitura del turco”. I sovrani sottoscrissero il “principio della libertà religiosa”, caposaldo della “pax europea”, intimato sia al principe di Romania sia, in specie, al Sultano: «In nessuna parte dell'impero ottomano, la differenza di religione potrà essere opposta da alcuno come motivo di esclusione o di incapacità in ciò che concerne l'uso dei diritti civili e politici, l'ammissione ai pubblici impieghi, le funzioni e gli onori o l'esercizio delle diverse professioni e industrie». I monaci del Monte Athos ebbero speciale garanzia di libertà.

   Inoltre, gli articoli 26-29 del Trattato riconobbero l'indipendenza e la neutralità del Montenegro. Per garantirle venne ordinata la demolizione di tutte le fortificazioni esistenti sul suo territorio e gli fu vietata la costruzione di fortificazioni e di navi da guerra. Il suo sbocco al mare, Antivari, fu precluso ai vascelli militari di Paesi terzi. Dunque, la “forza” del nuovo Principato risultò tutt'uno con il suo “disarmo”. Proprio perché oggettivamente indifendibile, esso era anche invulnerabile. Chiunque avesse voluto soggiogarlo avrebbe scatenato un conflitto di dimensioni imprevedibili, come avvenne nel 1914 con l'aggressione della Serbia da parte dell'impero austro-ungarico. La “Montagna Nera” divenne un fulcro della pace europea, sempre più precaria. Era “Il Piemonte dei Balcani”.

 

Una storia aggrovigliata

Abitato da una popolazione fiera e bellicosa, prevalentemente cristiano ortodossa, col 1711 il Montenegro divenne di fatto indipendente dalla dominazione ottomana. Dal 1697 fu retto dalla dinastia Petrovic-Niegos, principi-vescovi, che si susseguivano al potere da zio a nipote perché i vescovi osservavano il celibato a differenza del clero. Tra loro spiccò Petar II (1830-1851), due metri di altezza, volitivo ed elegante, autore del capolavoro letterario “Il serto della montagna”, nel quale sono celebrati i “vespri montenegrini”, cioè il massacro degli islamici alla vigilia del Natale ortodosso del 1702. Le sue spoglie riposano in un suggestivo Mausoleo sulla vetta di un monte. Suo nipote, Danilo II, interrompendo la tradizione, nel 1852 “laicizzò” il principato e, col titolo di Danilo I, lo rese simile agli altri Stati europei. Con abile strategia matrimoniale suo figlio Nicola (1860-1918), molto legato allo zar di Russia, strinse rapporti con altre dinastie.

   Come accennato e ampiamente narra Maurizio Grandi nel suo libro, il 24 ottobre 1896 Vittorio Emanuele di Savoia, erede della Corona d'Italia, sposò una delle sue figlie, Elena, previa la sua conversione alla chiesa cattolica. La loro fu unione singolarmente felice, allietata dalla nascita di quattro principesse (Jolanda, Mafalda, Giovanna e Maria) e del principe ereditario Umberto di Piemonte (Castello di Racconigi, 15 settembre 1904-Ginevra, 18 marzo 1983).

   Nel 1910 il Montenegro fu elevato alla dignità di regno. Sei anni dopo, nella bufera della Grande Guerra, venne occupato dagli austro-ungarici. Nicola riparò in Francia. Un'assemblea a Podgorica nel 1918 lo dichiarò decaduto e approvò l'incorporazione del Montenegro nel nascente Stato serbo-croato-sloveno. Regno di Jugoslavia dal 1929, questo ebbe vicende interne turbolente sino alla seconda conflagrazione europea, che vide il Montenegro travolto dalle armate germaniche e affidato a un corpo di occupazione italiano. Il 12 luglio 1941 fu proclamato a Cettigne un effimero Regno libero e indipendente di Montenegro. L'indomani, ricorrenza dell'indipendenza del 1878, iniziò la rivolta dei montenegrini contro gli occupanti, repressa con metodi brutali dal governatore civile e militare Alessandro Pirzio Biroli. La popolazione visse pagine tragiche. Fiancheggiò i “comunisti” locali e quelli di Tito, non per motivi ideologici ma per liberarsi dalla dominazione straniera.

   Nel settembre 1943, al momento della resa agli anglo-americani, l'Italia contava 27 divisioni in Jugoslavia e un corpo d'armata in Montenegro agli ordini del generale Ercole Roncaglia. Nel groviglio di fazioni in lotta (cetnici, monarchici filoserbi; ustascia croati e bande di varie stirpi e colori) i militari italiani sopravvissuti agli scontri con i tedeschi e con i “partigiani” stabilirono intese con l'Esercito popolare di liberazione jugoslavo e si organizzarono in Divisione “Garibaldi”, d'intesa con il governo presieduto dal maresciallo Pietro Badoglio. Dettero ripetute prove di valore, in specie nell'agosto 1944 quando i tedeschi tentarono l'ultima offensiva. A fine conflitto il Montenegro entrò a far parte della Repubblica federale di Jugoslavia che sedette tra i vincitori al congresso di pace di Parigi, concluso con il diktat del 10 febbraio 1947 imposto all'Italia a tutto vantaggio di Tito.

   La distanza tra le due coste dell'Adriatico si ampliò nuovamente. Separò mondi che rimasero a lungo quasi privi di relazioni. Alla deflagrazione della Jugoslavia (1991), il Montenegro formò una federazione con la Serbia, che però, per la disparità di “forze”, per lui si rivelò nettamente svantaggiosa.

 

Il Montenegro: destino europeo contro l'orrore della guerra

Nel 2002 la federazione venne commutata in “unione”, da sperimentare per tre anni. L'esito fu scontato. Nel 2006 con un referendum i montenegrini chiesero l'indipendenza, proclamata a giugno e soccorsa da imponenti investimenti bancari internazionali. “Oh, splendente alba di maggio” è l'inno nazionale. Dopo un lungo percorso, il 28 aprile 2017 il parlamento montenegrino ha ratificato l'adesione alla Nato, mettendo tra parentesi i bombardamenti e le vittime subite dalla sua stessa capitale, Podgorica, durante la “guerra di Bosnia”. Il governo presentò la richiesta di ingresso nell'Unione Europea, rinviata per la persistente gracilità del suo assetto economico, che tuttavia migliora di anno in anno, al di là della complicatissime vicissitudini parlamentari e partitiche e della sequenza di presidenti del governo, comprensibili per una Entità antica e nuova qual è la Repubblica del Montenegro. Tra le sue personalità di valenza internazionale spicca Dukanovic, politico di lungo corso, già presidente del Consiglio e poi della Repubblica con mandato sino al 2025.

   L'Italia ha tutto da guadagnare dal rafforzamento dell'amicizia con il Montenegro. Lo aveva intuito il futuro Vittorio Emanuele III anche prima di andare a Cettigne a chiedere in sposa la Principessa Elena Petrovic-Niegos a suo padre Nicola. L'Europa già c'era. Occorreva rendere effettivo il “principio della libertà religiosa” e rimuovere tutti i motivi di conflitto attraverso la diplomazia, la Corte internazionale dell'Aja e, ancor più, la promozione della conoscenza reciproca tra i popoli o, quanto meno, tra le loro dirigenze. Erano gli anni delle Esposizioni universali, dei congressi scientifici non solo internazionali ma sovranazionali, dei Premi Nobel e delle organizzazioni pacifiste. Occorreva, inoltre, abbattere le frontiere doganali e rivendicare la libertà della ricerca scientifica dalla subordinazione al potere politico-militare nazionale. Sono altrettanti temi passati in rassegna da Maurizio Grandi, specialista in oncologia clinica all'Università di Torino, esperto di bioetica, fitoterapia, etnomedicina, etnofarmacologia e di applicazione della fisica alla medicina, nei suggestivi capitoli che tratteggiano la figura della Regina Elena, sempre in prima linea nella ricerca e nella promozione degli studi medici, con particolare attenzione per la ginecologia, le malattie infantili e quelle legate all'invecchiamento. Mentre ricorda le imponenti realizzazioni promosse dalla Regina in campo sanitario, Grandi stigmatizza “la fisica della morte” coltivata negli USA e culminata nel “progetto Manhattan”.

   Dopo il bombardamento di Hiroshima il presidente Harry Truman, “Prometeo americano”, rivendicò orgogliosamente i suoi effetti devastanti e tacque sulle sue atroci conseguenze irreversibili. Altrettanto silenzio, aggiunge Grandi,  ha circondato il materiale radioattivo disseminato dai bombardamenti nella guerra del Kosovo un quarto di secolo addietro. Vi è motivo di ricordarlo mentre nell'Europa orientale da un canto viene minacciato l'impiego di armi nucleari “tattiche”, dall'altro vengono disseminate micidiali mine antiuomo (sia pure “desistenti”) invano messe al bando, come tanti altri strumenti di morte, largamente impiegati nei conflitti in corso.

   Così vi è motivo di tornare a riflettere sulla figura esemplare della Regina della Carità (come Elena di Savoia venne detta). Per fermare la seconda “grande guerra”, poi divenuta mondiale, ella tentò persino la carta di un appello alla pace, firmato su suo impulso dalle sei regine di Paesi europei ancora neutrali. È tra i motivi che hanno fatto nascere la causa per la sua beatificazione. Utopia? Sarà. Tuttavia, forse è meglio passare alla storia come ingenui che con la taccia di criminali di guerra.

domenica 24 novembre 2024

Umberto di Savoia: Il Principe di Piemonte e Re d’Italia nel ricordo di Reggio Calabria, martedì 26 novembre


La figura di Umberto di Savoia, Principe di Piemonte e Re d’Italia (15 settembre 1904 – Ginevra, 18 marzo 1983) nel 120° anniversario della na
scita e nel centenario della scuola reggina “Principe di Piemonte” a lui intitolata, sarà al centro di un incontro promosso dall’Associazione Culturale Anassilaos che si terrà 
martedì 26 novembre alle ore 17,30 presso lo Spazio Open di Via Filippini. A parlare di Umberto di Savoia due studiosi di storia, il Dott. Fabio Arichetta e il Prof. Domenico Romeo, entrambi Deputati della Deputazione di Storia Patria per la Calabria che ha concesso il Patrocinio all’iniziativa. Il primo, Arichetta, alla luce del volume “Reggio e i Savoia” dello scomparso Agazio Trombetta, tratterà in breve dell’intenso rapporto che Reggio Calabria, soprattutto nel Novecento,  ebbe con la dinastia regnante fin da quando, il 31 luglio del 1900, proprio nella Città dello Stretto, sbarcò l’ormai Vittorio Emanuele III, salutato per la prima volta a Reggio come sovrano d’Italia dopo l’assassinio di Re Umberto (29 luglio 1900). Da allora il sovrano tornò più volte nella città della Fata Morgana in circostanze  liete e meno liete: nel 1907 per inaugurare il busto al padre nella Villa Comunale, nel 1908, insieme alla Regina Elena,  nella tragica circostanza del terremoto; e poi ancora il 27 aprile 1922 per inaugurare il nuovo Palazzo di Città (Municipio) e ancora nel maggio 1930 per l’inaugurazione del Monumento ai Caduti sul Lungomare opera di Francesco Jerace. Umberto, Principe di Piemonte, venne molto spesso a Reggio anche in veste privata.  Basti ricordare la sua visita nel 1932 insieme alla neo consorte Maria José per la prima posa dell’edificando Museo Archeologico Nazionale. La coppia visitò la Città e altri importanti centri della Provincia inaugurando numerose opere pubbliche e caritatevoli.  Il Principe tornò nel 1935 per inaugurare il Tempio della Vittoria e nel maggio 1946, ormai Sovrano d’Italia, nel corso della campagna elettorale per i referendum istituzionale, accolto con grande calore dai Reggini che il successivo 2 giugno votarono massicciamente per la Monarchia.

[...]

 Calabria Reportage


sabato 23 novembre 2024



Confermiamo il Nostro Incontro di Studio e di Ricerca

DOMANI  DOMENICA MATTINA   ore  10


 

Invito PALAZZO BRASCHI.  MUSEO DI ROMA

Il Museo di Roma documenta l’espansione della Città

da spazio urbano a metropolitano,

al fine di conservare il ricordo della Roma del passato,

in vista dell’avvenire.

Il percorso espositivo racconta le trasformazioni urbanistiche

e le metamorfosi antropologiche

dalla Roma Pontificia alla Roma Moderna

attraverso dipinti, sculture, stampe, fotografie, plastici.

DOMANI  DOMENICA  MATTINA

 

24  NOVEMBRE  2024  ORE 10

PIAZZA  DI  S. PANTALEO  10  (PIAZZA NAVONA)  ROMA

GRATUITO CON CARTA MIC    La puntualità è cosa gradita

PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA

In ALLEGATO ulteriori informazioni e le modalità di partecipazione.

Cordialmente.

Prof. Massimo Fulvio Finucci e D.ssa Clarissa Emilia Bafaro


Saggi storici sulla tradizione monarchica - XI

 


 

6) RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE

Nel 1789, scoppiò in Francia la rivoluzione che tanti mali doveva attirare sull'Europa; sembrò dapprima che si trattasse di un semplice processo politico destinato a produrre alcune riforme, ma ben presto

l'idra rivoluzionaria si manifestò in tutta la sua ferocia, attraverso i massacri, le violenze e gli eccidi in massa di migliaia di persone. Neppure il Re Luigi XVI la regina Maria Antonietta e la principessa Elisabetta sorella del Re sfuggirono al patibolo, il Delfino, figlio di Lui­gi XVI, salutato dai monarchici come Luigi XVII, morì in carcere in circostanze misteriose che neppur oggi sono state definitivamente chiarite.

Le altre potenze rimasero sulle prime ad assistere, liete di vedere la Francia indebolita dai gravissimi avvenimenti, ma dovettero poi comprendere con maggior chiarezza come la rivoluzione minacciasse anche i loro stessi interessi e decidersi a combatterla. L'Italia dapprima non ebbe una parte determinante perché i paesi che in essa avevano sede nulla potevano fare contro la potenza francese, ma l'esercito sardo, guidato dall'eroico Re Vittorio Amedeo III, tentò di opporsi alleato alle potenze europee alla prepotenza francese imponendosi all'ammirazione di tutto il mondo civile per il suo eroismo e il suo disinteresse. L'armata del generale Bonaparte sconfisse i piemontesi imponendo quell'armistizio di Salasco per il quale Vittorio Amedeo III morì di dolore, vero martire dell'indipendenza italiana (1796).

I motivi per i quali i francesi invadevano l'Italia erano perfettamente delineati nel proclama di Napoleone Bonaparte ai suoi soldati:

"Io vi condurrò — egli scriveva — nelle più fertili pianure del mondo: città grandi, doviziose provincie verranno là in nostra mano." 

Erano ancora i barbari che varcavano le Alpi per abbandonarsi al saccheggio e alla rapina. Il piccolo inerme stato pontificio veniva aggredito e costretto ad una pace rovinosa a Tolentino, con l’impegno di cedere a Napoleone somme enormi e una parte considerevole dei patrimoni artistici conservati a Roma; ma non era tutto, successivamente Papa Pio VI veniva arrestato, deportato e fatto morire in esilio, mentre nello stato pontificio Si istallavano i francesi; i tentativi di ribellione popolare erano sanguinosamente repressi. Anche glialtri stati caddero, i Borboni di Napoli si rifugiarono in Sicilia, mentre  a Napoli Napoleone insediava prima il fratello Giuseppe e poi, passato questo a fare il re di Spagna, il proprio cognato Gioacchino Murat; i Savoia ripararono in Sardegna, mentre i domini di terra ferma erano aggregati alla Francia; i Lorena fuggivano da Firenze dove fu prima insediata la duchessa di Parma costretta a cedere i propri domini e dopo la relegazione di questa in un convento a Roma una sorella di Napoleone, Elisa Baciocchi. Il successore di Pio VI, Pio VII che era riuscito a tornare a Roma, fu prima costretto ad assistere all'incoronazione di Napoleone come imperatore dei francesi (1804) e successivamente anch'egli deportato mentre i cardinali erano dispersi o imprigionati in remote fortezze di confine. La repubblica italiana, fondata sotto la protezione francese nell'Italia settentrionale, veniva nel 1805 trasformata in regno per Napoleone che l'affidava al figliastro Eugenio di Beauharnais come viceré.

Quasi due decenni durò la dominazione napoleonica e sei furono le coalizioni che l'Europa fece per combatterlo. Alla fine, dopo aver inondato l'Europa di sangue ed aver seminato la strage dai deserti africani alle steppe russe, Napoleone veniva vinto e costretto ad abdicare il 4 aprile 1814. Gli fu concessa l'isola d'Elba come regno, ma egli tentò nuovamente di riprendere il potere in, Francia; nuovamente sconfitto a Waterloo nel 1815, fu relegato nell'isola di Sant'Elena nell'Atlantico, dove morì il 5 maggio 1821.

Un grande congresso si radunò a Vienna, per regolare tutta la situazione europea, riconoscendo l'Italia quale territorio d'influenza austriaca: il Lombardo Veneto fu il Regno creato per l'Imperatore d'Austria che divenne il principe più potente della penisola; gli altri stati furono: il granducato di Toscana, dove tornarono la figlia di questo e moglie di Napoleone. il ducato di Lucca concesso a Maria Luisa di Borbone già duchessa di Parma che avrebbe riavuto lo stato alla morte della ex imperatrice dei francesi, restituendo Lucca alla Toscana; il ducato di Modena a Francesco IV d'Austria Este; il Ducato di Massa e Carrara alla madre di questo, Maria Beatrice d’Este Cybo; il Papa riebbe lo stato Pontificio e Ferdinando IV di Borbone, Napoli e Sicilia, che da allora furono uniti iun unico dominio: il Regno delle due Sicilie; infine i Savoia rioccuparono i loro antichi stati accresciuti dal territorio della vecchia repubblica di Genova.

L’Europa era pacificata ed anche l’Italia sperava di godere un periodo di pace dopo la grande burrasca, ma nuovi eventi premevano.


sabato 16 novembre 2024

Saggi storici sulla tradizione monarchica - X


 

5). — LE DOMINAZIONI STRANIERE

Con la discesa di Carlo VIII inizia per l'Italia il periodo delle dominazioni straniere e dell'influenza delle nazioni europee sulle sorti della penisola. Carlo VIII re di Francia volle con la sua spedizione rivendicare i diritti angioini sul regno di Napoli e conquistato il territorio, ottenne da Alessandro VI papa, l'investitura del regno (1495) che però perdette non appena ebbe fatto ritorno in Francia, combattendo contro l'esercito dei principi italiani che tentarono di sbarrargli la strada. Il suo progetto di affermare la potenza francese in Italia fu però ripreso dal suo cugino e successore Luigi XII i cui piani furono di conquistare non solo il regno di Napoli, ma anche il ducato di Milano come erede dell'ultima dei Visconti, Valentina. Ai suoi tentativi, in parte riusciti, si oppose il Papa Giulio II che si pose a capo di una Lega santa insieme a Venezia e alla Spagna, e al grido di fuori i barbari inflisse ai francesi gravi sconfitte. La politica di questo papa, volta ad impedire la preponderanza francese, fu però origine di molte guerre che devastarono il suolo italiano, facendolo percorrere da soldatesche di tutti i paesi.

Tristi anni furono quelli che seguirono in cui l'Italia fu campo di battaglia fra Francesco I re d i Francia e Carlo V che dal nonno paterno, l'imperatore Massimiliano aveva ereditato la corona germanica e dalla madre, figlia di Ferdinando il Cattolico, il regno di Spagna. Nel 1527 la stessa Roma fu presa d'assalto ed espugnata dalle milizie imperiali e mentre il Papa Clemente VII alleato dei francesi restava chiuso in Castel Sant'Angelo, la città fu messa a sacco e sottoposta alle più atroci violenze, degne del confronto con quelle di Alarico e di Genserico nell'epoca delle dominazioni barbariche.

La pace di Cambrai, firmata nel 1529, fra francesi e austrospagnoli, sanzionava la rinuncia dei francesi ad ogni pretesa su Napoli, su Milano e su ogni altro territorio Italiano e segnava l’inizio della  preponderanza spagnola in Italia, mentre Francesco  II Sforza otteneva dall'imperatore l'investitura del Ducato di Milano e Cosimo del Medici quella della Toscana con il titolo di Duca, poi divenuto di Granduca. (1) Si verificava intanto un avvenimento religioso che ebbe ripercussione in tutto il mondo: la cosiddetta riforma protestante dava origine ad una nuova chiesa, quella luterana in ribellione all'autorità del Papa
sostenendo affermazioni teologiche contrarie all'ortodossia cattolica.

Alla nuova chiesa subito divisasi in molte sette aderirono gran parte dei principi minori della Germania e in seguito l'Inghilterra dove si formò una chiesa nazionale, detta appunto anglicana. La Chiesa Romana reagì energicamente attraverso la riforma cattolica, che ebbe la sua più alta espressione nel Concilio di Trento ove venne tracciata la configurazione disciplinare della Chiesa quale è oggi ancora in vigore.

Mentre le guerre di religione, fra protestanti e cattolici, insanguinavano l'Europa, l'Italia non ebbe guerre di religione e rimase ferma nell'ortodossia cattolica; dopo la pace di Cateau Cambrésis, che nel 1559 pose fine ad un ennesimo tentativo francese di infrangere il predominio spagnolo, essa fu ridotta a nove stati principali, oltre ai minori di poca o nessuna importanza; tali stati erano: il ducato di Milano, regno di Napoli con Sicilia e Sardegna e lo stato dei presidii (piccola terra fra il Lazio e la Toscana) tutti dipendenti dalla Monarchia spagnola, rappresentata da Filippo II figlio di Carlo V; la repubblica di Venezia, che estendeva i suoi dominii fino alla Dalmazia e alle isole di Cipro e di Creta (detta anche Candia); Genova con le due riviere e la Corsica; il marchesato di Monferrato e il ducato di Mantova sotto i Gonzaga; il ducato di Parma e Piacenza, che era stato staccato dai feudi della Chiesa e conferito ai discendenti di Papa Paolo III Farnese; il ducato di Ferrara, Modena e Reggio sotto gli Estensi; la Toscana soggetta, tranne la piccola repubblica di Lucca e lo stato dei Presidi, ai Medici Granduchi di Toscana; lo Stato pontificio e infine il ducato di Savoia, comprendente oltre questa regione, il territorio fra la Sesia e le Alpi.

Nuovo ruolo assunse in quell'epoca questo stato che iniziò allora una sua politica italiana. Fra i successori di Amedeo VIII, si distinse in maniera eccezionale Emanuele Filiberto che fu il secondo fondatore della grandezza della sua Casa; salito al trono nel 1553, mentre i suoi territori erano invasi da francesi e spagnoli, si mise a capo delle truppe della Spagna e riportò la grande vittoria di S. Quintino; con la pace di Cateau Cambrésis, riebbe il suo stato che egli restaurò abbellì, decorandolo di opere e di istituti di cultura, incrementando le scienze, le arti, le lettere, l'agricoltura e il commercio. Sotto Emanuele Filiberto lo stato posto a cavaliere fra l'Italia e Francia, divenne decisamente italiano in ogni sua espressione e sarà il figlio Carlo Emanuele I a vagheggiare una liberazione dell’Italia dagli stranieri e una riunione di Stati sotto il suo scettro. (2)

Il XVII secolo, che vide l'Europa immersa nella guerra dei trenta anni, durata dal 1618 al 1638, non mutò sostanzialmente la situazione italiana, ma consolidò ed ampliò la potenza sabauda che trasse van­taggi dalla lotta fra imperiali e francesi, alle volte drammatica e ric­ca di innumerevoli episodi, fra i quali l'assedio di Torino dove la reg­gente e madre del duca Carlo Emanuele II dovette, con l'aiuto fran­cese, difendersi dagli spagnuoli che appoggiavano una fazione detta dei principisti, dai due principi Tomaso e Maurizio di Savoia zii del Duca, che avrebbero voluto sostituire la cognata nel governo dello stato. (3)

Un po' di tranquillità tornò in Europa con la pace di Westfalia

(1648), anche se Francia e Austria continuarono a combattersi, ma le armi furono nuovamente riprese per la successione spagnola. Ancora una volta l'Italia fu campo di battaglia e la pace di Utrecht che se­gnò la fine della guerra nel 1714, fu anche il principio della supre­mazia austriaca nella penisola; venivano infatti attribuite all'Austria la Lombardia, la Sardegna, il regno di Napoli e Mantova. Vittorio Amedeo II, duca di Sardegna, otteneva il Monferrato e la Sicilia con il titolo di Re, ma fu poi costretto a cederla all'Austria in cambio della Sardegna, e Re di Sardegna da allora fu il titolo principale dei capi di Casa Savoia.

Un ennesimo mutamento territoriale subì l'Italia alla pace di Vienna nel 1738, dopo la guerra di successione polacca: la Lombardia e il ducato di Parma e Piacenza venivano assegnate all'Austria; il regno di Napoli con la Sicilia a Carlo di Borbone; la Toscana, in segui­to all'estinzione della dinastia medicea, passava ai duchi di Lorena. Nulla riceveva il Re Carlo Emanuele III di Sardegna che pure era sta­to valido alleato dei vincitori, ma dieci anni dopo la Pace di Aquisgra­na che pose fine all'ultima delle guerre di successione, quella austriaca gli riconobbe il possesso dei territori fra il Po e il Ticino e fra il Po e Voghera; il ducato di Parma e Piacenza passava dall'Austria a Don Filippo Farnese Borbone, fratello di Carlo III di Napoli e l'Europa godeva di quarant'anni di pace prima di una nuova terribile tempesta.


(1) La pace di Cambrai fu anche detta delle « due dame » perché negoziata da Margherita d'Austria zia di Carlo V e da Luisa di Savoia madre di Francesco I.

(2). Carlo Emanuele I fu, fra i principi sabaudi uno dei più compresi della sua missione di restauratore della nazione italiana; allorquando l'ambasciatore spagnolo gli intimò di restituire le terre del Monferrato, da lui conquistate, egli rispose strappandosi dal petto il collare del Toson d'oro, la massima onorificenza absburgica, e gettandola ai piedi dell'incauto ambasciatore. In punto di morte, non volle ricevere il Viatico a letto e, alzatosi vestito degli abiti ducali, esclamò: «Dio non voglia che accolga nel letto un tanto Re!». 

(3) L'assedio di Torino fu uno dei più singolari della storia consistendo in tre assedi concentrici  infatti le truppe della fazione dei principisti occupavano Torino assediando la cittadella ove si era rinchiusa madama reale Maria Cristina . Le truppe francesi giunte in aiuto di Madama Reale, assediavano ed erano a loro volta circondate da quelle spagnole che sostenevano i principisti.


lunedì 11 novembre 2024

Roma, visita al Museo Montemartini

 



Siete cortesemente invitati a un Nostro 

Incontro di Studio e di Ricerca

dedicato al Patrimonio Storico Italiano, 

con particolare attenzione alla Storia del Regno d'Italia.

 Invito MUSEO CENTRALE MONTEMARTINI
Il Museo si presenta in un luogo di sintesi eclettica

tra archeologia industriale e architettura neoclassica,
monumentalità e funzionalità.
Il percorso espositivo mette in luce il dialogo straordinario
tra macchina moderna e archeologia classica,
produttività e bellezza.
Incipit del Processo di Modernizzazione di Roma Capitale d’Italia.
DOMENICA  MATTINA   17  NOVEMBRE  2024  ORE 10
VIA  OSTIENSE  106  (Ingresso  Museo)  ROMA
GRATUITO CON CARTA MIC    
La puntualità è cosa gradita
   PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA
In ALLEGATO ulteriori informazioni e le modalità di partecipazione.
Cordialmente.
         Prof. Massimo Fulvio Finucci e D.ssa Clarissa Emilia Bafaro





domenica 10 novembre 2024

Saggi storici sulla tradizione monarchica - IX



4) — IL RINASCIMENTO

Il ritorno del Papato a Roma, avvenuto con Gregorio XI nel gennaio del 1378 anziché sanare definitivamente la situazione della Chiela la inasprì, provocando il grande scisma d'Occidente; infatti il dualismo fra francesi e italiani esistente nella curia, sboccò nella creazione di un antipapa Clemente VII contro i legittimo Pontefice Urbano VI e tale situazione si prolungò per molti anni attraverso una successione ininterrotta di papa e di antipapi, finché un concilio riunito a Costanza Pisa, deposti l’antipapap Benedetto XIII e l’antipapa Giovanni XXIII, ricevuta la rinuncia del Pontefice Gregorio XII procedette  all’elezione di Martino V della grande famiglia romana dei Colonna, che rientrò in Roma, riconosciuto da quasi tutta la Cattolicità, e dall'imperatore Sigismondo. (1417-18)

Enorme fu l'influenza esercitata da questo avvenimento sulla storia europea e particolarmente italiana; alle lotte fra i sostenitori delle due obbedienze, parteciparono i principi italiani e più di tutti la dissoluta Giovanna I di Napoli che, passando a terze e quarte nozze, tentava di

conservare il regno nonostante le sue nefandezze e i suoi delitti. Ma scomunicata da Urbano VI che offerse il regno a Carlo di Durazzo, principe ereditario d'Ungheria, fu da questi vinta e uccisa; Carlo III dovette per questa impresa tener testa al rivale Luigi d'Angiò che gli era stato contrapposto dall'antipapa Clemente VII e riuscì a vincerlo, ma tornato in Ungheria per prendere anche quella corona, fu assassinato lasciando erede del trono di Napoli il piccolo Ladislao. (1386)

Pieno sviluppo assumeva intanto l'ascesa della Casa di Savoia la cui potenza si veniva rafforzando; la dinastia aveva acquistato nuovo prestigio sotto Amedeo V il grande che aveva avuto parte principalissima negli avvenimenti della prima metà del XVI secolo, e sotto i successori Amedeo VI e Amedeo VII il « conte verde » e il « conte rosso» il primo dei quali portò la guerra in Oriente in difesa dell'imperatore bizantino Giovanni V Paleologo e fu il fondatore dello storico ordine del Collare, detto poi della SS. Annunziata (*).

Il figlio di Amedeo VII, Amedeo VIII, conquistò la contea di Ginevra e il Vercellese ed ottenne dall'imperatore Sigismondo nel 1416 il titolo di Duca che da allora decorò i sovrani sabaudi. Egli fu restauratore delle finanze dello Stato e sapiente amministratore, ma l'opera sua veramente grande fu la riforma generale giuridica attuata nel 1430 con la prormulgazione degli Statuti che durarono in vigore fino alla riforma dei codici di Carlo Alberto quattro secoli dopo. Dopo molti anni di regno si Riritirò nel castello di Ripaglia, dove fondò l'ordine di S. Maurizio,    intervenendo come mediatore e pacificatore nei più delicati problemi di politica europea e tanta fu la sua fama, che il cosiddetto concilio di Basilea,       che si era sottratto all'obbedienza al pontefice Eugenio IV, ben presto ne fece !l suo antipapa col nome di Felice V. Amedeo accettò, si accorse di detenere un potere non suo e dopo nove anni abdicò nelle mani del pontefice Nic­colò V, che lo creò Cardinale, e tornò nei suoi stati dove poco dopo, nel 1451, morì.

Con Amedeo VIII la Casa Sabauda divenne una delle dinastie più potenti della penisola, anche se maggior ruolo avevano ancora i Visconti e gli Angioni di Napoli; gli ultimi anni del XIV secolo e i primi, del XV registrano appunto un tentativo egemonico di Giangaleazzo Visconti primo Duca di Milano, l'ambizioso sogno del quale fu troncato nel 1402. Successivamente fu Ladislao re di Napoli che fallito il progetto di assicurarsi la corona ungherese tentò di estendere i propri domini nell'Italia centrale approfittando, della confusione generata dallo scisma, mentre la Sicilia dopo la morte dell'ultimo aragonese siciliano e le molte discordie dalla successione provocate, veniva riunita con l'Aragona, sotto lo scettro del Re Ferdinando.

Nel corso del XV secolo alcuni cambiamenti si verificarono nella penisola, mentre in Oriente l'antico impero cadeva definitivamente con l'ingresso dei turchi in Costantinopoli e con l'eroica morte in battaglia dell'ultimo imperatore, Costantino XII Paleologo (29 maggio 1453); i principati italiani spesso vennero in lotta fra loro, mentre a Milano gli Sforza sostituivano i Visconti e a Napoli, in seguito alla morte senza figli della regina Giovanna II, gli Aragonesi prendevano il posto degli Angioini.

Dopo la pace di Lodi fra i vari Stati italiani (1454), l'Italia godette di un quarantennio di pace che fu singolarmente propizio allo sviluppo della civiltà rinascimentale, che in Italia ebbe la sua culla. Gli aspetti principalissimi del Rinascimento si riassumono nella rivalutazione della personalità dell'uomo e dei valori dell'intelletto umano, di fronte ai valori della trascendenza e nel ritorno appassionato, nel campo dell'esegesi letteraria e delle arti figurative e filologiche, all'antichità classica, greca e romana. Le corti principesche furono i centri della cultura della rinascenza, e nel loro splendore fiorì questo aspetto della civiltà italiana.

 

Alla fine del secolo la configurazione politica dell’Italia presentava cinque grandi stati: Milano, Firenze in cui signoreggiavano i Medi con Cosimo il Vecchio e Lorenzo il Magnifico; lo Stato Pontificio; il Regno di Napoli, e la repubblica oligarchica di Venezia. Seguivano i ducati di Savoia e di Ferrara, la signoria di Piombino, le piccole repubbliche di Genova Siena e Lucca , e alcuni feudi minori imperiali o pontifici tra cui Urbino eretto in ducato dal Papa per i Montefeltro. Come si vede in un mosaico in cui vari interessi anche contrastanti entravano talvolta in dipendenza di interessi delle grandi monarchie straniere; però già si cominciava a parlare di Italia e le menti  profonde dei grandi politici da Macchiavelli a Guicciardini, cominciavano a elaborare il concetto dell’Unità per la penisola, cercando intorno i principi capaci di realizzare un progetto che molti avevano accarezzato, ma che nessuno era stato capace di portare a compimento.

 

(*) Il Conte Verde fu singolare figura di cavaliere e di signore dell'epoca sua: campione della cavalleria, secondo l'uso del tempo fondò l'ordine «della collana o del collare» trasformato poi nell'ordine supremo della SS. Annunziata, composto di quindici cavalieri, in memoria dei misteri del Rosario, che ebbero il grado di cugini del Sovrano. Attualmente i cavalieri dell'ordine possono essere ventuno, non contando nel. numero il Sovrano, i principi della Casa Reale, gli ecclesiastici e gli stranieri.


Elena di Savoia: la Regina dei dimenticati




 

Milano 14 Novembre 2024
Con Luciano Regolo e Silvia Stucchi 

Per oltre 20 anni Luciano Regolo ha condotto ricerche su Casa Savoia e ora riporta in libreria, interamente rivista e arricchita, la biografia della Regina Elena. Il libro contiene numerosi inediti e si fonda su fonti di prima mano, consultate col permesso della famiglia reale, come un epistolario di Elena, autografi di Vittorio Emanuele III, l’Archivio Olivieri, segretario della Regina, e l’Archivio Jaccarino, le testimonianze di Nicola Romanoff e di Simeone di Bulgaria. Ne risulta un ritratto particolareggiato della seconda sovrana d’Italia, di cui si sottolinea l’anima montenegrina. Dall’infanzia a Cettigne nel calore della famiglia Petrovich Njegosh alla giovinezza a Pietroburgo dove fu corteggiata dal futuro presidente della Finlandia Mannerheim e candidata alle nozze con lo zar Nicola II. L’incontro con Vittorio Emanuele avvenne a Venezia nel 1895 e tra i due si instaurò un’intesa fra le più riuscite nella storia delle dinastie reali europee. Aneddoti brillanti, nuove rivelazioni sulla vita privata e pubblica, le passioni per la musica, la poesia, la medicina, ma anche la cucina, la pesca e la fotografia, l’infaticabile impegno nel sociale e il sostegno allo sviluppo della sanità ci restituiscono l’immagine di una donna vitale, intelligente e curiosa, madre e regina consapevole e premurosa. Ma rivivono in queste pagine anche i rapporti con i protagonisti di un’epoca: Mussolini, Hitler, o don Orione e il futuro papa Giovanni XXIII. L’autore danza magistralmente tra vita pubblica e il dietro le quinte confermandosi giornalista e ricercatore caparbio col rigore dello storico e la freschezza del narratore. 

Edizioni Ares

Book city Milano 11-
17 Novembre2024

Al Castello di Vinovo una mostra sulla Regina Elena e la principessa Mafalda

 



Sabato 9 novembre l’Associazione Amici del Castello, in collaborazione con il Comune di Vinovo, presenta la mostra “Regina Elena e Principessa Mafalda” al Castello della Rovere. La mostra sarà aperta tutti i sabati e le domeniche con orario 10-12 e 14:30-19 fino al 1 dicembre.

Questo sabato appuntamento al Castello della Rovere di Vinovo per la presentazione della nuova mostra dedicata alla Regina Elena e alla sua secondogenita Principessa Reale Mafalda di Savoia.

Il progetto espositivo, promosso dall’Associazione Amici del Castello con la collaborazione del Comune di Vinovo, è a cura dell’Associazione Internazionale Regina Elena Odv con il Coordinamento Sabaudo.

Durante l’inaugurazione di sabato 9 novembre, ore 10, sarà presente anche il dottor Luciano Regolo, Condirettore dei settimanali della San Paolo Periodici “Famiglia Cristiana” e “Maria con te”, nonché Presidente del Comitato per la beatificazione della Regina Elena. Per l’occasione presenterà il suo libro “La Regina Elena. Una vita all’insegna dell’amore”, pubblicato nel maggio di quest’anno da Edizioni Ares.

L’esposizione, allestita al piano nobile del Castello, permetterà al pubblico di ammirare oggetti unici che provengono dalla collezione del Cav. Pierangelo Calvo, Vice Presidente dell’Associazione Internazionale Regina Elena Odv, e da collezionisti privati, tra i quali Luigi Corino, fondatore del Museo Fotografico di Isola d’Asti, che presenterà numerosi strumenti ottici ottocenteschi e preziose macchine fotografiche d’epoca, e il Museo della Cartolina di Busca.

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Fonte: Il Carmagnolese