NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

lunedì 18 luglio 2022

Capitolo XIII: Il fiume e la storia di Vittorio.


 di Emilio Del Bel Belluz


 Da qualche anno avevo sposato la donna della mia vita: Elena. Il tutto si era deciso in poche settimane, non potevo aspettare oltre, l’amavo e volevo passare ogni momento della mia vita con lei. Il mestiere che continuavo  a fare era quello del pescatore,  la mia passione che sebbene dura e difficile mi dava da mangiare. In quel tempo avevo trovato una barca un po’ più grande, una pilotina che un pescatore di Caorle mi aveva venduto. La piccola imbarcazione aveva sempre solcato il mare ed era stata  costruita dal venditore che sapeva fare tutto nella vita. Ricordo che mi narrò d’aver imparato a nuotare da bambino, perché suo padre pescatore viveva in una casa assai umile vicino al mare che amavano e che li aveva fatto comprendere che non vi era altra possibilità di sostentamento che non provenisse dal mare. Il pescatore che si chiamava Ernesto e che da un po’ aveva superato la soglia dei settanta anni, mentre mi parlava aveva la pipa in bocca dalla quale elevava al cielo delle  nuvolette di fumo, l’odore di quel tabacco era molto forte. Forse aveva mescolato del tabacco da pipa assieme a qualche vecchio sigaro. Ogni tanto mi guardava e continuava a raccontare che  non aveva mai lasciato il mare, neppure per un giorno. Anche nei momenti in cui era ammalato, dalla finestra della sua camera ne respirava il profumo. Da bambino aveva seguito il padre in ogni posto dove andava, e da lui aveva imparato a lavorare il legno per costruire delle barche. Dietro la piccola casa dove vivevano, c’era una baracca dove il padre teneva gli  attrezzi della pesca.  Vi era anche un banco da lavoro  molto vecchio,  dove il padre faceva dei lavori di riparazione sulla barca, e dove aveva costruito quella che avevo comperato. L’uomo  aveva una barba bianca e  continuava a fumare, con il cappello da marinaio calato sopra la fronte. Aveva tanta voglia di raccontarmi della barca che mi aveva venduto. Si capiva molto bene che era dispiaciuto nel cedermela e per questo continuava a parlarmene. Aveva appreso ogni segreto del mestiere del pescare e su come affrontare le difficoltà che presentava da suo padre, perché la scuola migliore è sempre quella che si impara dalle persone che si amano e lui suo padre lo aveva amato molto. Quando era piccolo gli dava quella  protezione che ogni bambino abbisogna. Con il tempo, carpendo ogni gesto del padre, imparò a fare il falegname e a rammendare le reti. La barca che mi aveva ceduto era quella a cui era molto affezionato. Non lo aveva mai tradito e nella quale più volte aveva dormito nei momenti in cui aveva dovuto stare del tempo in mare. In quegli anni difficili aveva lavorato con il padre fino alla sua morte. Costui, quando era diventato vecchio,  non poteva più salire in barca, ma osservava dalla finestra a forma di oblò della sua casa il figlio che partiva la mattina presto per andare a pesca.  L’uomo, comunque, non rimenava con le mani in mano, ma si metteva fuori dalla casa a rammendare le reti. Ogni tanto lo veniva a trovare qualche suo amico  e con lui se ne andava al vecchio ritrovo dei pescatori a bere del vino e a ricordare i vecchi tempi. Il vecchio mi descriveva la figura del padre come se lo avesse davanti.  Quel giorno che doveva consegnarmi la sua barca, lo aspettavo assieme a Elena che non vedeva l’ora di vedere la nuova imbarcazione. Ad un certo punto lo vidi sbucare dalla nebbia, mi sembrava che avesse spento il motore e non si volesse avvicinare alla riva dove lo attendevo. Anche Elena aveva avuto la mia stessa impressione, l’uomo si era fermato poco distante dalla riva e osservava il fiume come se osservasse il mare. Forse s’era pentito di vendere la barca, ed era stato preso dalla malinconia di cedermela; con essa aveva solcato il mare tutta la sua vita, guadagnandosi da vivere. Il pescatore che aveva il volto del lupo di mare rimase almeno una mezz’ora a osservare la nebbia. Si era acceso la pipa, e scrutava il fiume, pensai che avesse perduto la ragione e che volesse tornare a Caorle. Dopo mezz’ora  mise in moto il motore e si diresse alla casa dove lo attendevo. Lo aspettai con Elena proprio alla riva. Finalmente ero sicuro che avrei potuto disporre di quella barca. Mentre lo vidi pensai ad un proverbio che un vecchio mi aveva insegnato e che diceva: “ E’ dolce invecchiare con l’animo onesto, come in compagnia di un uomo dabbene”.   Mentre scendeva dalla barca compresi che anche lui era invecchiato con il cuore onesto. Da quel giorno, e per qualche settimana, il vecchio lupo di mare rimase ospite da noi. Aveva accettato di insegnarmi ad usare la barca e a spiegarmi come si riparava il motore. Il vecchio si sentiva felice nell’elargire i suoi insegnamenti, gli sembrava che il separasi dalla sua imbarcazione fosse meno doloroso. In quei giorni il suo volto era sereno come quello di chi vuole assaporare le novità che la vita propone. Andavamo a pesca insieme e mi insegnava come calare le reti con un barca più grande.  I risultati si fecero subito vedere: il pescato era più abbondante.  Alla sera venivano a trovarci  Genoveffa e la maestra che da tempo ormai si era abituata alla vita di paese. In quelle sere, dopo cena, si stava a parlare davanti al caminetto. Sorseggiando del buon vino, l’uomo raccontava le sue storie. Una sera, mentre mangiavamo un grosso pesce catturato con una fiocina lungo la riva, si trattava di una grossa trota, raccontai che un giorno di primavera mentre stavo andando a pesca, arrivò una macchina scura, di quelle molto lussuose, e vi scesero un uomo molto basso e una donna piuttosto alta e magra. Ad accompagnarli vi erano alcuni militari. Dalla barca supposi che stesse succedendo qualcosa di importante; non credei  ai miei occhi: si trattava della regina Elena e del re Vittorio Emanuele III. Si  avvicinarono alla mia barca e mi chiesero se potevo portarli a pescare. Il mio volto era pallido e  commosso e non riuscii a proferire nessuna parola, sembravo come impietrito. Avevo  sempre saputo che i sovrani amavano molto la pesca,  lo avevo appreso dai giornali. La persona a cui mi inchinai per primo fu la Regina Elena che salì sulla barca come se non avesse fatto altro nella sua vita. Rimasi colpito dalla sua semplicità e dalle parole che mi disse. Il sovrano prese subito posto nella barca e si sedette, aveva il viso stanco. Da tempo non salivano su una barca e per questo lo desideravano ardentemente. Allora mi avviai con l’imbarcazione nei punti dove avevo calato delle reti, la regina osservava tutto attentamente. Avevo l’impressione che avesse passato la vita lungo il fiume. La Sovrana  mi chiese se ero sposato, cosa facessero i miei figli e se avessi vissuto sempre vicino al fiume. La giornata di pesca con la coppia reale fu molto soddisfacente. Con molta fortuna riuscii a catturare alcuni pesci di grandi dimensioni. Quando tiravo su la rete la regina voleva a tutti i costi aiutarmi, e io mi sentivo a disagio; il Re invece se ne stava seduto a osservare il fiume, come se fosse un capitano di una barca. Le ore trascorse erano state così emozionanti, che mi sembravano irreali ed il volto dei sovrani mi rimase sempre scolpito nella memoria. Quando li riportai a riva, la sovrana mi chiese di poter tenere quello che avevamo pescato in cambio di una ricompensa in denaro, che cercai di rifiutare, ma inutilmente. Alla conclusione del nostro incontro ebbi solo la forza di dire che avrei dato il nome di Regina Elena alla mia barca.  La sovrana sorrise e mi ringraziò. Dopo che se n’erano andati, sopraggiunse un giornalista in bicicletta  che era molto interessato alla giornata trascorsa con i reali e il giorno dopo pubblicò un lungo articolo corredato dal disegno della barca con i sovrani che pescavano. Avevo acquistato più notorietà tra le gente del posto e molti mi cercavano per sapere cosa era veramente accaduto quel giorno.  Nella casa dove vivevo, su una parete avevo appeso l’articolo apparso nel giornale. La famiglia Savoia non abbandonò più la mia vita.

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