NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 31 luglio 2021

Il Libro azzurro sul referendum Cap XXII - 2

 



Questione istituzionale e opposizione monarchica (1)

«...Vi è tuttavia un assunto dell'opposizione istituzionale che ha fondamento oggettivo, e che sostiene e giustifica l'opposizione stessa, con grave danno della situazione politica generale. L'art. 139 della Costituzione è un assurdo giuridico e pone la stessa Repubblica come un fatto arbitrario. La Repubblica si fonda sulla volontà popolare, e trova in tale volontà la sua legittimità di istituzione fondamentale dello Stato italiano. Ciò implica il riconoscimento della «sovranità popolare» senza limiti e restrizioni in materia istituzionale. Come può la Costituzione della Repubblica senza negare la sua stessa le­gittimità negare alla sovranità popolare il potere di cambiare la forma istituzionale dello Stato? Se la Repubblica fosse sorta dalla ri­voluzione, la norma avrebbe il valore di un fatto di forza del tutto analogo a quello che instaurò la nuova forma di Stato; ma la Re­pubblica nata dalla legalità del voto popolare, non può negare la le­galità di un nuovo voto, senza legittimare con ciò una calzante e va­lida opposizione istituzionale.

L'art. 139 della Costituzione pone una contradizione politica e giuridica, che non solo attribuisce un valido fondamento all'opposi­zione monarchica — che non ne avrebbe, oggi, nessuno — ma, ciò che è ben più grave, la spinge fuori dello schieramento democratico verso una opposizione «di regime». Se l'art. 139 cadesse dalla Co­stituzione i monarchici non avrebbero più nessuna ragione oggettiva di porsi come partito, ma porterebbero l'istanza monarchica nei par­titi ove -solo ha ragione e possibilità di svilupparsi, senza recare danno gravissimo al processo di formazione della democrazia. Finché l'ar­ticolo 139 blocca a priori l'attività dei partiti democratici alle soglie della questione istituzionale, è chiaro che la massa dei monarchici è costretta a costituire un partito a sé, fuori e contro la coalizione de­mocratica che accetta l'art. 139 e non può quindi attribuire cittadi­nanza alle istanze monarchiche».

La lettera 'dell'art. 139 della nuova Costituzione italiana pro­spetta la figura della norma (costituzionale) inabrogabile.

Dell'assurdità, sul piano politico, di questa figura lascio ai po­litici 'di dire, la mia esposizione limitandosi a taluni rilievi sul piano strettamente giuridico.

Non vi è dubbio che il legislatore è arbitro di stabilire ed il nu­mero ed il contenuto delle fattispecie, intesa quest'ultima parola nel senso di complesso di fatti che il legislatore considera come causa di determinati effetti. Nel campo del diritto privato questi effetti con­sistono nella costituzione, modifica, estinzione di rapporti giuridici; nel campo del diritto costituzionali detti effetti consistono nella costi­tuzione, modifica, estinzione della norma giuridica.

E.' il legislatore che, nel campo del diritto privato, dispone che è ridotto, nei riguardi di un certo rapporto, il numero delle fatti­specie costitutive, modificative, estintive (ad esempio, il codice civile esclude, nei riguardi del rapporto di proprietà, la fattispecie della prescrizione estintiva). Il caso limite di questo atteggiamento del le­gislatore è costituito dall'ipotesi in cui il legislatore non riduce, ma addirittura elimina tutte le fattispecie normalmente previste. Così quando si parla di intrasmissibilità di un diritto si vuole indicare quella realtà normativa con la quale sono state eliminate, nei riguardi di quel diritto, tutte le fattispecie normalmente previste agli effetti del trasferimento del diritto stesso.

Con ragionamento analogo si potrebbe giustificare la potestà del legislatore di eliminare, nei riguardi di una determinata norma, ogni fattispecie diretta a far cessare questa norma. Ciò è avvenuto, stando alla dizione letterale dell'art. 139 della nuova Costituzione, nei ri­guardi della norma che sancisce la forma repubblicana.

Ma quale è, nella realtà, il valore di una statuizione di inabrogabilità? Io non esito a definire questo valore nullo, poiché il legi­slatore non potrà mai stabilire una inabrogabilità assoluta, ma sol­tanto relativa, relativa cioè al procedimento normale di abrogazione; la cosiddetta norma inabrogabile può pur sempre essere abrogata at­traverso il procedimento più lungo della doppia abrogazione e della norma che statuisce la inabrogabilità e della norma che forma og­getto di questa statuizione.

Al rilievo che anche nei riguardi della prima norma si possa avere la statuizione di inabrogabilità è facile anzitutto rispondere che, avendo detta statuizione carattere eccezionale, essa deve risul­tare dalla tassativa dizione di legge (tassativa dizione che manca nel caso dell'art. 139 della Costituzione). Ed anche supposto che questa tassativa dizione sussista, la conseguenza strettamente logica sarà soltanto quella di prolungare il procedimento della abrogazione at­traverso una triplice, anziché doppia, abrogazione (abrogazione della norma che statuisce la inabrogabilità della norma che sancisce la inabrogabilità di una certa disposizione; abrogazione di questa di­sposizione).

La verità è che quando nel campo del diritto privato il legisla­tore statuisce la eliminazione di determinate fattispecie, quali, ad esempio, le fattispecie negoziali traslative di un certo diritto (che pertanto diventa intrasmissibile), il soggetto che pone in essere la norma ed il soggetto della fattispecie (ad esempio, dell'attività ne­goziale), sono diversi; per contro nel campo della costituzione, mo­difica, estinzione della norma giuridica, il soggetto che statuisce, ad esempio, la inabrogabilità di una norma, e cioè il legislatore, è lo stesso soggetto della fattispecie, cioè lo stesso soggetto dell'attività di abrogazione.

Ecco perché, potendo lo stesso legislatore, che ha statuito la inabrogabilità di una certa norma, pur sempre abrogare questa sua statuizione, si palesa tutta la vacuità e, quasi direi, il ridicolo di una statuizione dì inabrogabilità nei riguardi di una determinata norma giuridica. Il legislatore è giustificato se richiede nei riguardi di de­terminate norme (ad esempio, le norme costituzionali) un più qua­lificato procedimento di abrogazione, ma, ripeto, è semplicemente ridicolo che questo più qualificato procedimento di abrogazione si concreti nella moltiplicazione del procedimento normale (2).

 

(1)      Prof. Pompeo Biondi, da Studi politici, n. 3, dicembre 1952, pag. 438.

 

(2)     Prof. Mario Allara, rettore dell'Università di Torino.

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