NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

giovedì 11 giugno 2020

Il libro azzurro sul referendum - XIX cap - 3b


6. Né maggior pregio può riconoscersi ad un'altra argomentazione che si vorrebbe trarre dall'art. 17, e cioè che nel primo comma di detta disposizione sarebbe indicato compiutamente il modo per giungere alla proclamazione dei risultati del referendum e che quindi esso sarebbe limitato al computo delle due somme dei voti attribuiti rispettivamente alla Repubblica o alla Monarchia, prescindendo quindi tanto dal numero dei votanti quanto dal numero dei voti nulli.

In questa argomentazione in vero si annidano almeno un difetto di interpretazione letterale, nonché un difetto di interpretazione logica. Vi è un difetto in interpretazione letterale, perché alla disposizione vuole darsi il senso che il risultato dei referendum è costituito dalla somma dei voti attribuiti rispettivamente alle due forme istituzionali. La legge però non dice questo, e vedremo fra un momento che non avrebbe potuto neanche dirlo. La legge infatti, stando esclusivamente alla sua lettera, nel I° comma dell'art. 17 descrive non una ma due distinte operazioni: l'una quando dice che la Corte « procede alla somma dei voti attribuiti alla Repubblica e di quelli attribuiti alla Monarchia in tutti i collegi»: l'altra, successiva distinta e diversa ove dice che la Corte «fa la proclamazione dei risultati del referendum». La prima operazione è il presupposto della seconda, presupposto evidentemente necessario, ma non unico, per la stessa diversità della seconda operazione non più di natura matematica, ma di natura giuridica. E ciò è chiaro proprio da un raffronto con la locuzione corrispondente usata nel precedente art. 16, dove è detto che l'Ufficio circoscrizionale centrale «effettua» la somma dei voti validi e ne dà atto, nell'art. 17 invece, premesso che la Corte « procede alla somma dei voti attribuiti » successivamente si dice che essa « fa la proclamazione dei risultati del referendum». Risultati quindi, non delle somme, ma del referendum nel suo complesso.
7. Ad ogni modo, se le esposte considerazioni relative alla lettera della legge già ostano alla contraria tesi, questa è maggiormente contrastata da considerazioni di natura razionale.
Invero, sostenendosi che l'art. 17, menzionando solo le due somme dei voti rispettivamente attribuiti alle due forme istituzionali avrebbe così anche compiutamente indicati gli elementi necessari per il calcolo di maggioranza, si cade nell'errore di ritenere che il calcolo di maggioranza sia un rapporto matematico corrente tra due soli numeri. Ciò è inesatto, perché detto calcolo si basa come minimo su tre numeri. Maggioranza, in vero, indica la parte maggiore (pars maior) di un numero, e quindi essa presuppone non solo una minoranza (pars minor) cioè la parte minore di un numero, ma anche e necessariamente presuppone il numero intero del quale il primo e il secondo numero sono le parti. Questi tre numeri sono i necessari ed irriducibili elementi che devono concorrere sempre per un calcolo di maggioranza. Non è possibile concepire maggioranza senza l'esistenza di una minoranza e, dà che più importa, non è possibile concepire né l'una né l'altra, che sono entità frazionarie, senza l'esistenza di un numero totale del quale esse sono rispettivamente parte maggiore e parte minore.
Ciò chiarito, risulta evidente che l'art. 17, limitandosi a richiamare il numero dei voti attribuiti alla Repubblica e il numero dei voti attribuiti alla Monarchia, non indica tutti gli elementi necessari per il calcolo di maggioranza, perché non fa alcun cenno proprio del numero più importante, cioè di quello al quale i due numeri frazionari devono essere rapportati.
Secondo la contraria tesi, questo numero in definitiva sarebbe costituito dal totale di voti validi. Interessa subito chiarire che ciò non è detto nell'art. 17, assolutamente muto circa la determinazione del numero sul quale il calcolo di maggioranza deve essere effettuato. Secondo i più semplici principi di ermeneutica, nel silenzio dell'art. 17, l'interprete deve ricercare se la legge stessa indichi questo numero totale in un'altra sua norma. In tal caso, per l'unità sistematica della legge, la questione sarebbe testualmente risolta.
Tale norma esiste ed è costituita dall'art. 2 del decreto n. 98, per cui il numero totale è indicato in quello degli elettori «votanti».
8. Che l'art. 2 citato sia applicabile, non sembra seriamente dubitabile. Esso disciplina la stessa materia, con riguardo esplicito proprio al risultato del referendum.
In contrario però si è osservato che detto art. 2 non avrebbe invece valore decisivo, perché suo diretto oggetto sarebbe la nomina del Capo provvisorio dello Stato ed il riferimento della maggioranza dei votanti sarebbe solo di natura descrittiva ed incidentale, come si evincerebbe dall'avverbio «qualora».
L'argomento, in verità, non può aversi per buono? La svalutazione della norma, che con esso si tenta, sarebbe logica solo se in altra disposizione la legge determinasse in modo più diretto il numero totale al quale la maggioranza deve essere rapportata. Ma escluso, come abbiamo visto, che in proposito alcun criterio sia espresso all'art. 17 del decreto n. 219, risulta chiaro il valore decisivo che deve riconoscersi al citato art. 2, che, sia pure incidentalmente, tuttavia sempre chiaramente indica la volontà del legislatore di seguire il criterio della maggioranza degli «elettori votanti».


Ma, anche ammessa l'applicabilità dell'art. 2, si è ritenuto di poter ulterior­mente obiettare che « votante » può considerarsi solo colui che esprime un voto. e che quindi, se la scheda è bianca, o il voto è nullo, in realtà mancherebbe il voto inteso in senso giuridico e conseguentemente chi lo ha espresso, solo appa­rentemente può sembrare un votante, ma egli non lo è sostanzialmente.
L'obiezione, in verità, si lascia agevolmente confutare.
Innanzi tutto può osservasi non essere esatto che dalla qualificazione giuridica del voto dipende la qualificazione giuridica del votante; all'inverso ben può sostenersi, che invece il concorso dei requisiti per votare ed il rispetto delle formalità di esercizio del voto (art. 39 e 42 del decreto n. 74) e quindi in defi­nitiva la valida assunzione della qualifica di votante, costituisce il necessario antecedente della giuridica validità del voto, e non la conseguenza di' questa.
Ma, a parte ciò, ed anche avendo per buona la cennata obiezione, ad essa al massimo potrebbe conseguirsi solo che il termine «votante» può essere in­teso in due diversi significati, e cioè in quello di «votante in senso formale», ed anche in quello «di votante in senso sostanziale». Con ciò rimangono im­pregiudicate le argomentazioni già svolte e quelle che saranno più avanti men­zionate, con le quali si dimostra proprio questo: che cioè il legislatore, nelle leggi in esame, ha usato il termine «votante» nel suo significato esclusivamente formale.
Né assolutamente alcun valore in proposito può riconoscersi alla obiezione che, poiché l'art. 2 parla di maggioranza di elettori votanti che « si pronunci in favore della Repubblica », conseguentemente ha riferimento solo a coloro che, per essersi pronunciati, hanno necessariamente espresso un voto giuridicamente valido. Questa obiezione in verità riposa su di un grave equivoco.
Invero, che la maggioranza debba essersi pronunziata con voto valido, non è certamente discutibile. Ma non è qui la questione. Essa è nella determinazio­ne del numero sul quale questa maggioranza, la quale si è pronunziata valida­mente, deve essa stessa essere calcolata. Ed allora è chiaro che, quando la legge dice: «la maggioranza degli elettori votanti», con ciò indica chiaramente che la maggioranza pronunciatasi validamente per la Repubblica, deve essere cal­colata sul totale degli elettori votanti. Ma la legge non dice che tutti gli elettori votanti devono essersi pronunziati validamente.
Nessun valore decisivo può riconoscersi ad un'altra obiezione. Invero, con-. tro la tesi che qui si sostiene è stato ancora osservato che, se fosse vero che la maggioranza va rapportata al totale degli elettori votanti, intesi in senso formale, potrebbe conseguirne in ipotesi che in esito al referendum nessuna mag­gioranza si raggiungesse né per la Repubblica né per la Monarchia; ipotesi que­sta che allora la legge avrebbe dovuto disciplinare; cosa che invece non ha fatto. È una obiezione fondata sull'acIducere inconvenientem, che non ha pregio. È facile rispondere che, se questa fosse una lacuna, non sarebbe certo la sola che si riscontra nelle leggi in genere ed in quella che ci occupa in particolare.
E' facile rispondere ancora che, anche con il sistema della maggioranza dei voti validi, la ipotesi è ugualmente possibile qualora i voti per l'uno o per l'altra forma istituzionale siano stati pari. Né varrebbe dire che, in tal caso, l'ipotesi è improbabile, perché questa sarebbe una considerazione di valore pratico e non di valore giuridico, considerazione quindi di pertinenza non dell'interprete della legge, ma del legislatore nell'atto in cui pone la norma. Bisogna quindi infe­rirne solo che, se il legislatore non ha disciplinato l'ipotesi di uno scarto tal­mente lieve di voti da non essere sufficiente a determinare la maggioranza, ciò significa che egli ha ritenuto praticamente improbabile questa eventualità.
È chiaro che in tal caso trovano applicazione le normali regole d'interpre­tazione per colmare le lacune legislative. La bibliografia, proprio in relazione al tema delle maggioranze nelle votazioni, è copiosa, e non vuole certo essere qui ricordata.
9. Ma le leggi vanno interpretate le une per mezzo delle altre, allorché co­stituiscono un unico corpus sulla stessa materia.
Bisogna in conseguenza accertare se il termine «votante» abbia lo stesso significato sopra attribuitogli anche nel decreto legislativo luog. 10 marzo 1946 n. 74, che contiene le norme per le elezioni per i deputati all'Assemblea costi­tuente. Tanto più necessaria è, nella specie, questa indagine, in quanto il de­creto n. 219 non solo fa proprie numerose disposizioni del decreto n. 4, ma con l'art. 21 rinvia alle disposizioni del secondo, per tutto quanto non è in esso espressamente previsto.
Qui è veramente rilevante e decisivo il numero degli elementi che contra­stano la tesi per cui «votanti» sarebbero solo quelli che hanno espresso un voto successivamente dichiarato valido, e confortata invece la tesi secondo cui per «votante» deve intendersi chiunque si è presentato alle urne, ed ha formal­mente compiuto le operazioni di voto.
Innanzi tutto l'art. 42 del decreto n. 74 chiama «votante» l'elettore che per impedimento fisico è ammesso dal presidente dell'ufficio a fare esprimere il voto da un elettore di sua fiducia. L'art. 44 dello stesso decreto prescrive quelle che la legge stessa chiama operazioni di «voto», e che si esauriscono con la introduzione della scheda nell'urna. Il compimento di esse riceve consacrazione con la firma di uno dei membri dell'ufficio «nell'apposita colonna della li­sta», firma con la quale «si accerta che l'elettore ha votato». L'art. 44 san­cisce quindi esplicitamente il valore formale nel quale sono intese dalla legge elettorale le operazioni di voto, e secondo il quale va interpretato il termine di elettore che ha votato, cioè di «votante». L'art. 50 (corrispondente all'art. II del decreto n. 2I9), al primo comma n. 2 chiarisce che il numero dei votanti è quello che risulta, sia dalla lista elettorale autenticata dalla commissione eletto­rale e dalla speciale lista di cui all'art. 4I (per i militari ed i militarizzati), liste nelle quali è consacrato quali elettori abbiano votato, sia dai tagliandi dei certifi­cati elettorali.
Sicché votanti sono anche coloro che hanno consegnato una scheda, che più tardi in corso di scrutinio, potrà essere riconosciuta bianca o nulla. Lo stesso comma dell'art. 50 al n. 3 conferma la qualità di votante in colui che ha resti­tuito la scheda al presidente; giacché, per controllare il numero di coloro che si sono presentati alle urne col numero degli elettori votanti, calcola espressa­mente come votanti perfino coloro che non hanno restituite la scheda o ne hanno restituita una contraffatta o irregolare.
Ma che questo sia il linguaggio del legislatore, si evince in maniera an­cora più chiara dall'art. 58 dello stesso decreto n. 74, che, al primo comma n. 3, contrappone il numero dei «votanti» a quello dei voti nulli. Si rende così evi­dente come non sia possibile commistione o confusione fra i due diversi con­cetti. Ciò è ancora una volta ribadito nel numero 4 dello stesso comma.
Ulteriore conferma della esattezza della interpretazione, che qui si sostiene, è data dagli art. I e 84 del decreto n. 74. La prima disposizione infatti, sancisce la istruzione nei certificati di buona condotta della menzione «che non ha votato» a carico solamente di coloro che si sono astenuti dal partecipare alla votazione. A questi solo dall'altra parte, l'art. 84 impone l'obbligo di dare giustificazione del mancato esercizio del diritto di voto. Non «votante» per legge, è quindi solo colui che si è astenuto dal partecipare alle formali operazioni di voto, non presentandosi all'Ufficio elettorale.
IO. E che tale e non altro debba essere il significato dal legislatore attribuito al termine «votante», è confermato ancora dalle istruzioni ministeriali 8 maggio 1946 dirette dal ministero per l'interno a tutti gli uffici elettorali. La parte quarta di esse concerne lo scrutinio e la proclamazione ed è divisa in due titoli, uno per le elezioni dei deputati, l'altro per il referendum]. Il paragrafo I del titolo primo parla a lungo, di piena conformità della legge, dell'accertamento e riscontro del numero dei votanti (pagg. 56-59 e 75), e sempre chiama «votanti» coloro che abbiano in qualunque modo votato. Lo stesso ha luogo nel titolo se­condo. Il paragrafo primo (pagg. 101-103) è intitolato: «Accertamento del nu­mero dei votanti». Ivi si dice che la prima operazione per il referendum istitu­zionale, successiva alla chiusura della votazione, è quella riguardante l'accerta­mento del numero dei votanti e si specifica che il numero dei votanti deve concordare col numero dei tagliandi staccati dai certificati elettorali, quindi col numero di tutti coloro che si son presentati alle urne ed hanno compiuto co­munque le operazioni di votazione.
Ancora più eloquente se fosse possibile, in tal senso, è quanto le stesse istru­zioni ministeriali dicono al paragrafo 2 del titolo secondo intitolato: «Riscontro delle schede spogliate e del numero dei votanti » (pag. 109), ove, successiva­mente all'esaurimento delle operazioni di scrutinio, cioè quando sono anche noti i voli validi e quelli utili, il termine votante rimane sempre ad indicare tutti gli elettori che hanno compiuto comunque le operazioni di votazione. Ivi, infatti, si chiarisce che il numero dei votanti è uguale al numero non delle schede valide, ma «a quello delle schede complessivamente spogliate », e si precisa che «il nu­mero dei votanti» è uguale non solo al totale dei voti attribuiti alle due forme istituzionali, ma al totale di essi «più i voti nulli, i voti contestati e non attri­buiti, più le schede nulle, più le schede bianche».
Maggiore e più solenne concordanza delle disposizioni legislative tra di loro, e delle istruzioni ministeriali con quelle, non si potrebbe desiderare.
II. E va ancora rilevato, che, il criterio di riferire la maggioranza non soltanto ai voti validi, ma a tutti i votanti, si evince dalla economia della legge che, proprio all'art. 2 del decreto n. 98, al secondo comma, nel disciplinare la elezione del Capo provvisorio dello Stato (a parte la maggioranza relativa che non influisce sulla nostra questione) richiede espressamente che la maggioranza sia commisurata non ai voti validi, ma al numero dei «membri dell'Assem­blea », e nella seconda parte di detto comma, abbandonando il criterio della maggioranza relativa ed adottando quello della maggioranza assoluta, ugual­mente non adotta il sistema della maggioranza dei voti, validi, ma mantiene quello della maggioranza dei membri.
E questo sistema della legge, che mai ha riguardo ad una maggioranza dei voti validi, è confermato ancora dall'ultimo comma dell'art. 3 che, disciplinando la votazione delle mozioni di sfiducia al governo, ugualmente richiede la «mag­gioranza assoluta, non dei voti, ma dei membri dell'Assemblea». Ora non può l'interprete coscienzioso della legge assolutamente prescindere da questi ele­menti che univocamente indicano il senso del legislatore attribuito alle sue pa­role, mentre non rivelano in nessun caso la adozione di un sistema di maggio­ranza calcolata sui soli voti dichiarati validi.
12. In mancanza quindi di ogni base nella lettera della legge, ed anzi in
contrasto con questo, i sostenitori dell'opposta tesi hanno ritenuto di invocare in loro favore «lo spirito della legge». Ora, «lo spirito della legge», o meglio l'intenzione del legislatore, solo allora può essere preso in considerazione a nor­ma dell'art. 12 delle preleggi, quando non sia sufficiente la interpretazione lo­gica e letterale.
Ad ogni modo, è noto che l'intenzione del legislatore va ricavata dal contesto della stessa legge inquadrata nei principi fondamentali. Ora, se si svolge una indagine in tal senso, la interpretazione, che qui si sostiene, risulta ancora una volta confermata.
Per quanto attiene ai principi generali, infatti, va osservato che il referen­dum come atto di esercizio diretto di sovranità da parte della collettività popo­lare, come responso cioè di una collettività organizzata, costituisce, cosi come una deliberazione di assemblea, un atto collettivo o meglio un atto di volontà collettiva. Comuni quindi al referendum. come alle deliberazioni delle assem­blee, sono la teoria e i principi relativi alla formazione della volontà collettiva, relativi alla formazione di una volontà giuridicamente valida, come volontà di tutti gli associati in una comunità. Questi principi hanno trovato pieno accogli­mento nel diritto positivo italiano e precisamente nell'art. 21 del codice civile che, nel secondo comma, disciplinando l'ipotesi che ci riguarda, di variazioni dell'atto costitutivo o dello statuto, stabilisce che occorrono la presenza di almeno tre quarti degli associati ed il voto favorevole della maggioranza dei presenti. A parte quindi la ulteriore garanzia del minimo di numero legale, è evidente la statuizione del principio fondamentale che la maggioranza va cal­colata non in relazione ai voti validi, ma in relazione al numero dei presenti, cioè, alla deliberazione, il che, in relazione alla votazione per il referendum, si traduce precisamente nella formula della « Maggioranza dei votanti », intesi questi come « presenti alle urne », coloro cioè che hanno partecipato alle « operazioni di votazione ».. La corrispondenza del principio generale, sancito nell'art. 21, secondo comma codice civile, alla disciplina adottata nell'art. 2 primo comma del decreto n. 98, illumina il valore ed il significato della locuzione «elettori votanti», confermando la interpretazione che qui si sostiene, la quale quindi risulta particolarmente conforme proprio-ai principi giuridici fondamentali.
13. Non solo quindi la lettera della legge impone di interpretare il termine «elettori votanti», nel senso di elettori che hanno comunque compiuto le operazioni di votazione, ma anche e soprattutto lo spirito della legge, se la legge elettorale mira, come è, a costituire precisamente un sistema di garanzie per la formazione della volontà collettiva.
Votazione
Il Presidente di Sezione Colagrosso sostenne il principio dei soli voti validi (maggioranza numerica) in contrasto alla tesi Pilotti del complesso degli elettori votanti (maggioranza qualificata).
IL PRIMO PRESIDENTE PAGANO SI ASSOCIO' ALLA RELAZIONE PILOTTI E VOTO' CONTRO LA DELIBERAZIONE DELLA CORTE: « IO VOTO IN CONFORMITA' DELL'AVVISO ESPRESSO DAL PROCURATORE GENE­RALE ».
RISULTATO DEFINITIVO: 12 VOTI CONTRARI AL RICORSO SELVAGGI, 7 FAVOREVOLI PIU' IL PARERE DEL PROCURATORE GENERALE.

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