Le molte biografie sulla vita di Vittorio Emanuele III, i
memoriali dei fatti che riguardano quaranta anni di storia italiana, ignorano
completamente il nome della regina. La vediamo a fianco del marito nei giorni
più difficili. Ci resta soltanto il dato di questa presenza immutabile, anche
col segno degli anni che ne hanno cambiato i tratti esteriori. La ritroviamo in
Egitto, dopo l'esilio; e a qualcuno che crede di conoscerla abbastanza
profondamente sembra di scoprire negli occhi della regina una serenità nuova,
quasi si fosse realizzato un suo segreto sogno. E un po’ di fierezza, per la
consapevolezza di aver tenuto fede sino in fondo, attraverso tutti i disastri
ad una sua funzione ben precisa.
Altri chiamano orgoglio la sua diffidenza per i giornalisti,
la sua rudezza nel trattare gli estranei. Non si tratta forse di un'arma di
legittima difesa? Non è un altro segno della sua natura di chioccia? Non
assomiglia forse alla stessa diffidenza e severità di Vittorio Emanuele, che
per questo fu sempre giudicato poco socievole. Non è il riserbo l'unico modo
per difendere i soli momenti di tranquillità che concede la loro esistenza dì
sovrani e cui l'intervento di qualsiasi estraneo toglierebbe il rigore
l'impenetrabilità, che li fa felici?
L'esilio non era l'infelicità. Un cameriere, che visse, con
loro e rientrò a Roma, per motivi di salute, raccontò a suo tempo quanto lo
avesse stupito constatare l'accordo che regnava fra i due vecchi sposi.
Andavano a caccia e a pesca insieme, o in chiesa, facevano lunghe passeggiate,
giocavano a carte la sera, come due fidanzati,
accaniti nelle loro partite come due bambini. E il Re la chiamava “Mammy”
e continuavano la vecchia abitudine di parlare in piemontese.
Racconta Saini nel suo « Principi in esilio in esilio» che nei
primi giorni del loro esilio, durante il trasloco da palazzo Antoniadis a villa
Amorosi la regina si sia seduta su una cassa nell'anticamera e sia scoppiata a piangere. I facchini
avevano appena finito di dirle che non sarebbero riusciti a completare il
trasporto dei. mobili, almeno per quel giorno. Mancavano i letti ed Elena
piangeva. «Non per me diceva. Per me dormo anche su questa cassapanca. Ma Sua
Maestà no. Sua Maestà non posso pensarlo».
Aveva conservato ancora la sua cadenza slava e l'abitudine
ad alternare frasi in francese a quelle italiane. Chiamava suo figlio Beppo, e
ne parlava spesso.
Il 28 dicembre 1947 Vittorio Emanuele morì; fu la seconda volta
che Elena pianse. Non erano trascorsi molti anni dalla tragica fine di Mafalda
nel campo di concentramento tedesco, ma questa volta non c'era possibilità di
risollevarsi Cinquantadue anni avevano
vissuto insieme, separandosi raramente e per periodi brevissimi.
Questo era l'esilio che Elena di Savoia temeva. Sola; i
figli sparsi più o meno per il mondo; i nipoti sì, qualcuno già grande che si
sposava, come Vittorio e Ludovica, le figlie di Jolanda. Ma il mondo aveva
perduto il perno sul quale ruotavano ormai i soli interessi della vecchia Regina
d'Italia.
Dall'Egitto a Cannes, poi Montpellier sulla Costa francese,
Elena di Savoia raggiunge persino quella popolarità che le era sempre mancata
in Italia. Sola, si occupa ormai soltanto degli altri. Quando scende in paese
la gente le fa l'inchino la chiama regina, i bambini sanno che ha le tasche
della giacca di raso nero piene di caramelle. Diventa un personaggio amico. La
vecchia Regina, ferma a pescare sul moletto di Montpellier, attenta agli sbalzi
del sughero sull'acqua, trionfante quando sente abboccare e può staccare il pesce
dall'amo e metterlo nel suo paniere fa parte del paesaggio, è una di loro.
I poveri di Montpellier conoscono ormai le sue piccole manie
e c'è sempre qualcuno che le porta le esche più ghiotte, i vermetti rosa che si
trovano solo in certo terriccio fuori città, il nyIon speciale per la lenza. La
vedono girare con la macchina fotografica a tracolla, curva, ormai di statura
media, come capita anche ai vecchi più corpulenti. Ma la vecchia signora ha lo
sguardo vivo, è attenta, a tutto, e arriva con un dono proprio quando ce n'è bisogno,
con un golfino quando il bambino incomincia ad aver freddo e si pensa proprio
alla maniera di procurarsi i soldi e comperarglielo.
Tutta questa gente di Montepellier è al funerale. Segue in
silenzio, un po' in disparte, intimorita ora dalla presenza di, tanti personaggi
imponenti, di tanti principi che seguono il feretro. Davanti alla chiesa si
disperde, osserva da lontano, non osa entrare.
Ma per molto tempo passando dal molo di Montpellier, tutti guarderanno
verso la casa sull'acqua, della signora Ollombell, per vedere se qualcuno,
piantato nella terra il seggiolino pieghevole, abbia occupato il posto, con la
canna ed il cestino dove pescava i cefali e parlava con i suoi ricordi la
vecchia Regina d'Italia.
Guido Rocca
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