NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

lunedì 15 dicembre 2014

La Regina discreta - III parte

Le molte biografie sulla vita di Vittorio Emanuele III, i memoriali dei fatti che riguardano quaranta anni di storia italiana, ignorano completamente il nome della regina. La vediamo a fianco del marito nei giorni più difficili. Ci resta soltanto il dato di questa presenza immutabile, anche col segno degli anni che ne hanno cambiato i tratti esteriori. La ritroviamo in Egitto, dopo l'esilio; e a qualcuno che crede di conoscerla abbastanza profondamente sembra di scoprire negli occhi della regina una serenità nuova, quasi si fosse realizzato un suo segreto sogno. E un po’ di fierezza, per la consapevolezza di aver tenuto fede sino in fondo, attraverso tutti i disastri ad una sua funzione ben precisa.

Altri chiamano orgoglio la sua diffidenza per i giornalisti, la sua rudezza nel trattare gli estranei. Non si tratta forse di un'arma di legittima difesa? Non è un altro segno della sua natura di chioccia? Non assomiglia forse alla stessa diffidenza e severità di Vittorio Emanuele, che per questo fu sempre giudicato poco socievole. Non è il riserbo l'unico modo per difendere i soli momenti di tranquillità che concede la loro esistenza dì sovrani e cui l'intervento di qualsiasi estraneo toglierebbe il rigore l'impenetrabilità, che li fa felici?

L'esilio non era l'infelicità. Un cameriere, che visse, con loro e rientrò a Roma, per motivi di salute, raccontò a suo tempo quanto lo avesse stupito constatare l'accordo che regnava fra i due vecchi sposi. Andavano a caccia e a pesca insieme, o in chiesa, facevano lunghe passeggiate, giocavano a carte la sera, come due fidanzati,  accaniti nelle loro partite come due bambini. E il Re la chiamava “Mammy” e continuavano la vecchia abitudine di parlare in piemontese.

Racconta Saini nel suo « Principi in esilio in esilio» che nei primi giorni del loro esilio, durante il trasloco da palazzo Antoniadis a villa Amorosi la regina si sia seduta su una cassa nell'anticamera     e sia scoppiata a piangere. I facchini avevano appena finito di dirle che non sarebbero riusciti a completare il trasporto dei. mobili, almeno per quel giorno. Mancavano i letti ed Elena piangeva. «Non per me diceva. Per me dormo anche su questa cassapanca. Ma Sua Maestà no. Sua Maestà non posso pensarlo».

Aveva conservato ancora la sua cadenza slava e l'abitudine ad alternare frasi in francese a quelle italiane. Chiamava suo figlio Beppo, e ne parlava spesso.

Il 28 dicembre 1947 Vittorio Emanuele morì; fu la seconda volta che Elena pianse. Non erano trascorsi molti anni dalla tragica fine di Mafalda nel campo di concentramento tedesco, ma questa volta non c'era possibilità di risollevarsi  Cinquantadue anni avevano vissuto insieme, separandosi raramente e per periodi brevissimi.
Questo era l'esilio che Elena di Savoia temeva. Sola; i figli sparsi più o meno per il mondo; i nipoti sì, qualcuno già grande che si sposava, come Vittorio e Ludovica, le figlie di Jolanda. Ma il mondo aveva perduto il perno sul quale ruotavano ormai i soli interessi della vecchia Regina d'Italia.

Dall'Egitto a Cannes, poi Montpellier sulla Costa francese, Elena di Savoia raggiunge persino quella popolarità che le era sempre mancata in Italia. Sola, si occupa ormai soltanto degli altri. Quando scende in paese la gente le fa l'inchino la chiama regina, i bambini sanno che ha le tasche della giacca di raso nero piene di caramelle. Diventa un personaggio amico. La vecchia Regina, ferma a pescare sul moletto di Montpellier, attenta agli sbalzi del sughero sull'acqua, trionfante quando sente abboccare e può staccare il pesce dall'amo e metterlo nel suo paniere fa parte del paesaggio, è una di loro.

I poveri di Montpellier conoscono ormai le sue piccole manie e c'è sempre qualcuno che le porta le esche più ghiotte, i vermetti rosa che si trovano solo in certo terriccio fuori città, il nyIon speciale per la lenza. La vedono girare con la macchina fotografica a tracolla, curva, ormai di statura media, come capita anche ai vecchi più corpulenti. Ma la vecchia signora ha lo sguardo vivo, è attenta, a tutto, e arriva con un dono proprio quando ce n'è bisogno, con un golfino quando il bambino incomincia ad aver freddo e si pensa proprio alla maniera di procurarsi i soldi e comperarglielo.

Tutta questa gente di Montepellier è al funerale. Segue in silenzio, un po' in disparte, intimorita ora dalla presenza di, tanti personaggi imponenti, di tanti principi che seguono il feretro. Davanti alla chiesa si disperde, osserva da lontano, non osa entrare.

Ma per molto tempo passando dal molo di Montpellier, tutti guarderanno verso la casa sull'acqua, della signora Ollombell, per vedere se qualcuno, piantato nella terra il seggiolino pieghevole, abbia occupato il posto, con la canna ed il cestino dove pescava i cefali e parlava con i suoi ricordi la vecchia Regina d'Italia.


Guido Rocca

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