
NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.
sabato 28 giugno 2014
venerdì 27 giugno 2014
Luglio 1914: il suicidio dell’ Europa
di Domenico Giglio

In questi ricordi
e rievocazioni del “Luglio
’14 “, vi è una
tendenza quasi a
sottovalutare l’assassinio dell’erede
al trono dell’ Austria-Ungheria, quale causa
scatenante il conflitto, in
quanto, dicono illustri storici, la
guerra sarebbe scoppiata
egualmente perché la
politica mondiale dell’ Impero
Germanico, lo sviluppo della
sua flotta da
battaglia, non sarebbe stata
tollerata a lungo
dalla Gran Bretagna, potenza mondiale , particolarmente egemone
sui mari.
Le guerre però
non sorgono per
“autocombustione”, ma
necessitano di un
“casus belli”, per cui
non è facile
individuare il “quando” sarebbe scoppiata
la guerra europea, se
non ci fosse
stato Serajevo e
l’arroganza della diplomazia
austroungarica, arroganza
già mostrata nel
1859 nei confronti
del Piemonte, ed in
epoche successive, per cui la
Serbia , che
sapeva di godere
della protezione “ortodossa”
dell’Impero Russo, non poté
accettare, come Stato Sovrano, l’incredibile ultimatum
inviatogli da Vienna. “ Verum ipsum
factum”, dice Giambattista Vico,
ed il fatto
e la verità
coincidono. Senza Serajevo il
1914 sarebbe trascorso
tranquillamente, e l’estate avrebbe
ancora una volta
visto il gran
mondo incontrarsi nei
saloni del grandi
alberghi e nelle
stazioni termali. Ed il
1915? Se vogliamo continuare
le ipotesi quale
fatto poteva accadere
per accendere la
“miccia” della guerra? Se
la storia non
si fa “con i
se e con
i ma” vorrei
capire se in
un anno la Germania avrebbe
compiuto un ulteriore
balzo in avanti, tale da
costringere la
Gran Bretagna ,
ad agire. Andiamo al
1916 e qui
è un fatto
certo e cioè
la scomparsa dopo
68 anni di
Regno di Francesco
Giuseppe, e l’ascesa al
trono di Francesco
Ferdinando, se non fosse
stato assassinato due
anni prima, come fu
in realtà.
Presi in questo
giuoco si poteva
pensare che il
nuovo Imperatore, che aveva
idee interessanti di una ristrutturazione dell’ impero
che riteneva urgente, date
le spinte centrifughe
esistenti, si sarebbe imbarcato
in imprese belliche, almeno per
qualche anno e
si poteva pensare
che la
Germania , senza
avere la certezza
di una collaborazione austroungarica, si sarebbe, a
sua volta, spinta oltre
nella sua politica
espansiva? Questo per rimanere
su dati e
date certe perché
altrimenti si potrebbero
ipotizzare gli eventi
più svariati, da morti
improvvise di capi
di stato, con problemi
successori od a
rivolgimenti interni dagli
esiti imprevedibili.
Per questo il
gesto criminale di
Gavrilo Princip rimane
l’unica e sola
causa certa ed
indiscussa della cosiddetta
prima Guerra Mondiale, che
portò in Europa
una potenza fino
ad allora estranea, gli
Stati Uniti d’America,
e portò anche
negli eserciti franco-inglesi soldati
dei loro imperi
coloniali che videro, e
lo rividero nella
seconda guerra mondiale , i
“padroni” bianchi combattere
tra loro, con tutti
i mezzi, anche i
meno leciti, come i
gas asfissianti, e
capirono che erano
maturi per una
propria indipendenza nazionale, magari, e questa
è storia recente, rivelatasi di
molto inferiore alle
loro aspettative.
Domenico Giglio
La "Repubblica" dà la zappa sui piedi a se medesima ed all'istituto di cui prende il nome
La monarchia inglese costa 30 milioni all'anno.
La Regina: "Solo un penny alla settimana"

Si straccia le vesti per i 35 milioni e 700 mila sterline che costa all'anno, agli inglesi la Monarchia.
Lo stesso giornale asserisce che questi 35,7 milioni di sterline corrispondono a 30 milioni di Euro, sostenendo una grossolana fesseria, come d'altronde capita spesso in quel giornale ove l'odio acceca le menti.
I milioni di Euro sono in realtà 45, come riporta molto più correttamente l'Ansa.
Cifre notevoli che impallidiscono in confronto ai 261 milioni/anno che costa il Quirinale e quindi la presidenza della repubblica agli italiani.
E sì che la Monarchia inglese ha un suo cerimoniale che qualcosa deve per forza costare.
Cerimoniale comunque che attrae nel Regno Unito centinaia di migliaia di turisti e che quindi determina significative entrate nelle casse dello stato, come sono costretti a riconoscere perfino i sedicenti giornalisti di "repubblica".
E sì che la Monarchia inglese ha un suo cerimoniale che qualcosa deve per forza costare.
Cerimoniale comunque che attrae nel Regno Unito centinaia di migliaia di turisti e che quindi determina significative entrate nelle casse dello stato, come sono costretti a riconoscere perfino i sedicenti giornalisti di "repubblica".
Mai che venisse loro in mente di fare un confronto con le nostrane istituzioni.
Forse dovrebbero riconoscere che nel loro sarcastico livore si stanno sbagliando enormemente.
Forse dovrebbero riconoscere che nel loro sarcastico livore si stanno sbagliando enormemente.
In un rapporto di circa il 17,24138% rispetto ai costi delle Repubblica italiana ( la maiuscola ci costa una fatica immensa). Quindi con un errore dell'82,7% circa. Tanto costa di più la repubblica italiana rispetto alla Monarchia inglese.
Fatevi due conti.
giovedì 26 giugno 2014
I meriti delle monarchie europee, lettere al Giornale di Brescia
dr. Giovanni Soncini (Brescia)
Ho letto con curiosità l’articolo di Francesco Bonini sul «Giornale di Brescia» del 20 giugno. Da oltre 50 anni sono lettore del Suo Giornale e quasi sempre ho notato che gli articolisti ospitati hanno considerato i re come capi di Stato di serie B.
L’abdicazione di re Juan Carlos era un’occasione per affermare almeno una volta il contrario. I 39 anni del suo regno sono stati soprattutto grazie a lui, i più liberi, democratici e prosperi della lunga storia di Spagna.
Quanto sopra viene affermato su La Repubblica del 19 giugno in un lungo articolo del celebre scrittore Premio Nobel Mario Vargas Llosa che è un vero e proprio elogio al re Juan Carlos. Indubbiamente coadiuvato da altre forze politiche il Re di Spagna riuscì a trasformare un regime franchista in uno stato democratico (dove anche i repubblicani possono esprimere il loro parere) ben diverso dal modello autoritario che il Caudillo Francisco Franco voleva imporre dopo la sua morte.
Tutto era stato preparato dal Caudillo affinché il regime franchista continuasse. Ciò non è avvenuto, senza alcuna lotta civile, grazie alle doti del Re ed alle capacità di trasformazioni insite nelle monarchie moderne. Continua l’articolista Vargas Llosa: «La monarchia è una delle poche istituzioni che garantiscono quell’unità nella diversità senza la quale rischiamo di assistere alla disintegrazione di una delle civiltà più antiche e influenti del mondo».
Non ho capito cosa voglia dimostrare l’articolo di Francesco Bonini e soprattutto non ho compreso quale attinenza abbia con il recente avvento al trono di re Filippo VI.
Mi consenta di aggiungere, rispettando al massimo chi la pensa diversamente e preferisce le repubbliche, l’osservazione che, oggi, in Europa i nove/dieci Paesi istituzionalmente monarchie sono tra i più liberi, democratici, moderni, civilmente, socialmente ed economicamente progrediti al mondo. In ciascuno di essi il re, o la regina, assolvono ai doveri di Capo dello Stato al di sopra dei partiti, e sono arbitro e moderatore - mai parte - nell’ambito delle politiche, di governo e di opposizione, che spettano esclusivamente a chi è stato votato dagli elettori.
Essi incarnano il simbolo della storia e della identità dei loro popoli; rappresentano un punto di riferimento, di incontro e di coesione per la stragrande maggioranza dei cittadini e tra le generazioni, ancora più essenziale nei momenti di crisi e di difficoltà; e garantiscono, allo stesso tempo, che tali valori nazionali - la cui importanza penso sia intramontabile - si coniughino con la tutela e la promozione delle diversità, specificità, autonomie e diritti, regionali e locali, il cui migliore e più armonioso sviluppo è possibile proprio nel quadro istituzionale della Monarchia costituzionale.
[...]
L'ITALIA NELLA GRANDE GUERRA 1914-1915 L'ANNO DELLE SCELTE :CONVEGNO INTERNAZIONALE
CENTRO GIOVANNI GIOLITTI - XVI SCUOLA DI ALTA FORMAZIONE
nel Centenario della Prima Guerra Mondiale
il Centro Europeo Giovanni Giolitti per lo Studio dello Stato,
organizza il Convegno internazionale di studi su
L'ITALIA NELLA GRANDE GUERRA
1914-1915 L'ANNO DELLE SCELTE
diretto da Aldo A. Mola
PERCHÉ L'INTERVENTO DEL 1915 NELLA GRANDE GUERRA? L'ORA DELLE SCELTE IN UN CONVEGNO INTERNAZIONALE DEL CENTRO GIOLITTI A CUNEO E A CAVOUR (14-15 NOVEMBRE 2014)
Nell'estate 1914 anche l'Italia dovette fare i conti con la conflagrazione, subito violentissima, tra
gli Imperi Centrali (Germania e Austria-Ungheria, ai quali dal 1882 essa era legata da alleanza
difensiva) e l'Intesa (Gran Bretagna, Francia, Russia, tutrice della Serbia). Che fare? Re Vittorio Emanuele III, il governo, presieduto da Antonio Salandra, la generalità dei parlamentari e, con poche eccezioni, le maggiori forze politiche, economiche e culturali furono per la prudenza. In quella guerra l'Italia non aveva poste in gioco dirette. Rimanendo neutrale essa avrebbe pesato di più nelle trattative per il ritorno al “concerto delle grandi potenze” durato in Europa dal Congresso di Vienna del 1815 al 1914 e, forse, avrebbe ottenuto “compensi” per via diplomatica (il Trentino e garanzie per gli italofoni di Trieste e dell'Istria).
Dopo le prime gigantesche battaglie, esose di vite e di risorse, la guerra divenne “di logoramento”. Incapaci di vittorie decisive, gli eserciti furono affossati in campi trincerati, dai quali milioni di uomini vennero lanciati in offensive mai risolutive.
Dall'ottobre 1914 alcuni membri del governo presieduto da Antonio Salandra si domandarono
sino a quando l'Italia, la cui vita economica (consumi e produzione) dipendeva largamente da
importazioni, soprattutto nei settori vitali (cereali, carbone, minerali ferrosi,...), avrebbe potuto
rimanere neutrale. Sulle scelte pesarono non tanto i nuclei interventistici (nazionalisti, imperialisti,...) e riviste di modesta circolazione, quanto la posizione geografica e la vulnerabilità del sistema difensivo, che esponevano ad attacchi sia da parte dell'Intesa, sia da parte dell'Austria-Ungheria.
Roma avviò trattative segretissime proprio con il fronte per lei più insidioso: l'Intesa. Con il Patto sottoscritto a Londra il 26 aprile 1915 s'impegnò a entrare in guerra contro gli Imperi Centrali. Il 3 maggio denunciò la vecchia Triplice con Vienna e Berlino e il 24 maggio scese in guerra contro l'Impero austro-ungarico.
La decisione fu imposta dalla durata della guerra: il cui prolungamento ebbe poi conseguenze
devastanti in ogni ambito della vita pubblica e privata.
Il Centro Giolitti di Dronero e Cavour affronta la tematica in un convegno organizzato con la
Provincia di Cuneo e l'Ufficio Storico SME, il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo e l'adesione di vari istituti e centri di studio. Esso passa in rassegna il quadro istituzionale, la visione che dell'Italia ebbero due paesi “latini”, le ripercussioni dell'intervento su partiti, produzione letteraria e cinematografica e affronta un tema suggestivo: la conflagrazione europea e l'intervento italiano furono frutto di un complotto soprannazionale massonico?
Infine evoca l'unico il tentativo tenacemente perseguito da Giovanni Giolitti di trattenere l'Italia
dal ricorso alle armi (specialmente contro la Germania nei cui riguardi non aveva alcun contenzioso) e coronare il Risorgimento in via diplomatica.
Per le elevate perdite umane subite e le profonde trasformazioni registratevi la “Granda” e il
Piemonte hanno motivo di riflettere sull'Italia nella Grande Guerra. Anche se non è magistra vitae, la conoscenza del passato impone responsabilità nelle decisioni odierne. Gli errori (insegnano le scelte del 1914-1915 e quelle del 1939-1940) si pagano per decenni, a volte per secoli, come appunto ripeté Giolitti. Invano.
Aldo A. Mola
Programma
venerdì 14 novembre 2014 h. 9,00
Cuneo, Palazzo della Provincia, Sala Giolitti
Presiede Giuseppe Catenacci, Associazione Nazionale ex Allievi della Nunziatella
Introduce Sig.ra Gianna Gancia, p. Presidente della Provincia di Cuneo
Saluti delle Autorità
· Tito Lucrezio RIZZO, I poteri istituzionali
· Federico LUCARINI, I Governi Salandra
· Jean-Yves FRETIGNE', L'Italia veduta dalla Francia
· Fernando GARCIA SANZ, L'Italia veduta dalla Spagna
· Col. Antonino ZARCONE, La preparazione militare italiana dal Ministro Domenico
Grandi a Vittorio Zupelli
h. 12,45 Aldo A. Mola, conclusioni della sessione
sabato 15 novembre 2014 h. 9,00
Cavour (Torino), Centro Giolitti, Abbazia di Santa Maria
Presiede Giovanna GIOLITTI, presidente Sede di Cavour del Centro Giolitti
· Giovanni RABBIA, La guerra negli scrittori italiani
· Giorgio SANGIORGI, La guerra nella cinematografia
· Giovanni GUANTI, Canti popolari di guerra
· André COMBES, La Massoneria francese nella Grande Guerra: complotto
internazionale o patriottismo?
· Luigi PRUNETI, La Massoneria italiana nella Grande Guerra
· Aldo G. RICCI, Fuori e dentro il parlamento: le forze politiche (radicali, repubblicani,
socialisti)
· Aldo A. MOLA, Giolitti: come fermare la guerra?
h. 13,00 consegna degli attestati di partecipazione
ESPOSIZIONE DI OPERE DELL'UFFICIO STORICO SME
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Segreteria: Centro Giovanni Giolitti, via XXV aprile 25, 12025 DRONERO CN
cell. 348 / 18 69 452 - info@giovannigiolitti.it
I laureati e docenti interessati a rimborsi spese per la partecipazione inviino richiesta e
curricula al Centro (anche via e-mail) entro le h.12,00 del 28 settembre 2014.
lunedì 23 giugno 2014
Auguri al Re
Roma,
lì 19 giugno 2014
Maestà,
nel solenne giorno della
Assunzione al Trono dei Vostri Avi della cattolicissima Nazione Spagnola, da
storico, da monarchico, da cavaliere costantiniano,Vi auguro i miei più sinceri
ed autentici voti per il Vostro impegno di Capo dello Stato.
Un pensiero particolare lo
rivolgo al Vostro Augusto Genitore che ha guidato per quasi 39 anni il Vostro
Paese, Figura di Sovrano che ho sempre posto in evidenza ed apprezzato quale
esempio per il III Millennio dell’Era Cristiana.
E’ ancora vivo nella mia
memoria il momento (28 aprile 1981) in cui ebbi l’onore di vederLo in Roma, in
Campidoglio, giorno in cui ricevette la cittadinanza onoraria dell’Urbe.
Ulteriore pensiero particolare
va alla Vostra Augusta Consorte, Letizia, ed alla Vostra Augusta Erede al
Trono, Leonor, Principessa delle Asturie.
Vostro dev.mo,
(Gianluigi CHIASEROTTI)
Const. Eq.
S. M. el Rey de España
Don FELIPE VI
de BORBON y GRECIA
Palacio
de la Zarzuela
E-28071
– MADRID (España) -
domenica 22 giugno 2014
La stanza di Mario Cervi Quando tra monarchia e repubblica è una questione di maiuscole
Gentile Dott. Cervi,
ho apprezzato molto e condiviso quasi in toto il suo articolo sull'abdicazione di Re Juan Carlos. Ma mi permetta una «domanda ortografica». Perché i giornalisti scrivono re e monarchia sempre con l'iniziale in minuscolo e invece Presidente e Repubblica sempre con l'iniziale in maiuscolo? Lo impone il politicamente corretto? Oppure una legge non scritta prescrive un omaggio assoluto verso tutti gli inquilini del Colle? Oppure l'art. 139 dell'attuale costituzione sancisce, oltre l'eternità della repubblica, anche le maiuscole? A me - absit iniuria verbis - ricorda il famoso DUCE di Starace, anche da lei citato nel volume con Montanelli L'Italia littoria 1925-1936.
Antonio Ratti
Caro Ratti, personalmente non sono molto attento - è una colpa, lo so - alle maiuscole e alle minuscole: anche perché a bravissimi colleghi tocca la sventura di rileggere, correggendo errori e sciatteria, ciò che scrivo.

E non infiamma più nessuno. Tuttavia d'ora in poi, glielo prometto, starò più attento alle maiuscole e alle minuscole. Con l'occasione rispondo anche a Marco Maranesi che ha visto nel mio commento all'abdicazione di Juan Carlos un sottofondo d'ostilità ai Savoia: da me citati solo per mettere a confronto l'abdicazione d'oggi in Spagna e quelle del passato in Italia. Marco Maranesi, del quale rispetto i sentimenti monarchici, ritiene che l'Italia debba riconoscenza a Vittorio Emanuele III.
Che senza dubbio si comportò bene nel convegno di Peschiera dopo Caporetto. Le leggi razziali, la firma all'avvio d'una guerra catastrofica al fianco di Hitler, la vergogna dell'8 settembre 1943 hanno secondo me appannato quei meriti, quasi cancellandoli. Probabilmente il mio giudizio è ingiusto. Il giudizio di uno che dalla vergogna dell'armistizio è stato colto e travolto.
http://www.ilgiornale.it/news/stanza-mario-cerviquando-monarchia-e-repubblica-questione-1030280.html
Ovviamente noi non siamo d'accordo con Cervi ma non possiamo non segnalare questo scambio agli amici che ci seguono
Lo staff
sabato 21 giugno 2014
I colloqui di Nino Bolla con Re Umberto II sul sito dedicato al Re

Sul sito di Re Umberto II inizia una lunga e bella serie di interviste rilasciate dal Re all'Ufficiale, giornalista, scrittore Nino Bolla già direttore dei Servizi Stampa del Governo del Re a Brindisi e schietto sostenitore della causa monarchica.
Di Nino Bolla ricordiamo diverse opere dedicate alla causa : Colloqui con Umberto II, Il segreto di due Re, Processo alla Monarchia. E anche un introvabile opuscolo del 1944 dedicato al Luogotenente Umberto di Savoia Principe di Piemonte.
E' bello dire che gli stessi famigliari del valoroso Bolla hanno consentito alla diffusione delle interviste sul sito.
www.reumberto.it
www.reumberto.it
Quanto sono fessi i repubblicani spagnoli?

Riprendiamo un articolo del Giornale, che insinuerebbe, stupidamente facendosi portavoce dei repubblicani spagnoli, che la Corona costi tanto.
Il paragone con le cifre di casa nostra è stridente.
Il Quirinale costava qualche anno fa 261 milioni di euro all'anno. La Casa Reale Spagnola costa 7,7 milioni.
Il capo del protocollo Reale 65000 euro. Per il barbiere della Camera dei deputati italiana stanno facendo una legge apposita per mettere un tetto di 260.000 euro ai suoi guadagni.
Cari repubblicani, tenetevi il Re. lo pagate molto meno.
La rivolta dei repubblicani: la casa reale ci costa troppo
Il divieto di concentrazioni, deciso dal Tribunale Supremo dopo che alcuni membri del Coordinamento repubblicano avevano organizzato una manifestazione pro-repubblica in Puerta del Sol a Madrid, non basta a spegnere le polemiche attorno al trono di Spagna.
Nel giorno della proclamazione di Felipe VI rispunta il tema dei costi della casa reale borbonica. Accusata di mentire, e anche di un bel po', sulla sua effettiva incidenza nel bilancio dello Stato. A puntare il dito sono proprio i repubblicani, secondo cui i reali costerebbero 561 milioni di euro all'anno. Cifra quasi 70 volte superiore a quella ufficiale, di 7,77 milioni di euro, dichiarata dalla famiglia regnante nel 2014. Da qualche anno infatti la casa reale pubblica sul proprio sito ufficiale il denaro che riceve dalle casse dello Stato, cioè dai contribuenti spagnoli. Una misura divenuta necessaria sull'onda della pressione mediatica e di un indice di gradimento davanti all'opinione pubblica in netta discesa, soprattutto dopo la bufera del caso Noos, che vede indagati per corruzione l'infanta Cristina (non a caso ieri unica assente alla proclamazione di Felipe VI) e suo marito Iñaki Urdangarin.
Nel 2011, appena scoppiò lo scandalo, Juan Carlos decise, per la prima volta nella storia della monarchia, di far pubblicare annualmente un elenco delle spese di corte. Due anni dopo, nell'aprile del 2013, fu approvata la nuova legge sulla trasparenza che introduceva un vero e proprio libro contabile dei Borbone, nel quale questi avrebbero rendicontato ai sudditi in che modo viene speso ogni centesimo della quota di bilancio dello Stato destinata loro. Secondo la versione ufficiale della casa reale, le spese annuali sarebbero state di 8,4 milioni nel 2011, 8,2 milioni nel 2012, 7,9 milioni nel 2013 e 7,7 quest'anno. Ma nel calcolo, è questa l'accusa dei repubblicani, rientrano solo alcune voci, quelle relative ai costi della monarchia come macchina istituzionale: personale dell'alta rappresentanza degli uffici e del protocollo (il «supermanager» di corte, Rafael Spottorno, guadagna come un ministro: 69.981 euro all'anno), oltre che l'assegno personale di Juan Carlos, Sofia, Felipe e Letizia, i vestiti che indossano, il parrucchiere. Restano fuori, come rivelò un'inchiesta del quotidiano iberico Publico, una lunga serie di altre voci: viaggi ufficiali, spese per la manutenzione del palazzo della Zarzuela e per la cura del giardino, autisti, guardie del corpo, oltre che quelle per la Guardia real. Tutte voci che non vengono conteggiate perché non compaiono nel bilancio generale dello Stato ma in quello dei singoli ministeri degli Interni, della Difesa e delle Finanze. Anche a questa domanda, ora, toccherà al nuovo re dare risposta.
giovedì 19 giugno 2014
mercoledì 18 giugno 2014
E' vivo il Re! Viva il Re!
La notizia dell'abdicazione del Re di Spagna ci ha trovato lontani dalla nostra abituale postazione e per questo abbiamo potuto soltanto pubblicare il contributo del Dottor Chiaserotti con la bandiera di Spagna e le foto autografe dei Reali.
E' bello poter festeggiare il nuovo Re senza dover piangere la scomparsa di quello vecchio.
La Monarchia dimostra di sapersi rinnovare senza traumi né tragedie.
Lo abbiamo visto in Olanda. Lo abbiamo visto in Belgio. Lo abbiamo visto perfino in Vaticano ove mai ci saremmo attesi dal Sommo Pontefice un gesto di lungimiranza per lasciare che forze giovani possano occuparsi della gestione di affari che richiedono grande energia.
Col suo triste spettacolo la Repubblica Italiana, lo scriviamo con la maiuscola solo per carità di Patria, si conferma vecchia nella sua costituzione, nella sua rappresentanza, nella sua stessa struttura. Incapace di rinnovarsi, di adeguarsi, di snellirsi, di correre con l'enorme velocità che i tempi attuali richiedono.
E' con gioia che porgiamo al nuovo Sovrano di Spagna i più calorosi auguri di un lungo e felice Regno per il bene della Spagna.
Invitiamo tutti i nostri amici a visitare il seguente link con il quotidiano spagnolo ABC di valida e lunga tradizione monarchica. La Spagna che seppe rinnovarsi con Juan Carlos I che gestì la difficile transizione dalla dittatura alla democrazia, saprà restare una grande nazione con Felipe VI.
!VIVA ESPAÑA! VIVA EL REY!
I MONARCHICI ITALIANI DAL 1944 AD OGGI
Durante il periodo
del Regno e
quindi della Monarchia, non aveva
alcuna logica l’ esistenza
di un partito
o di un
movimento monarchico, aderendo alla
istituzione monarchica la grande maggioranza
dei parlamentari dalla
Destra al Centro-Sinistra, con l’eccezione
spiegabile del partito
repubblicano mazziniano, e
quella meno spiegabile
del partito socialista, nei suoi
vari tronconi, incapace di
imboccare la strada
del riformismo, salvo casi
sporadici seguiti da
espulsione, per cui, al
massimo esistevano delle
associazioni, per lo più
locali, che riaffermavano la
fedeltà alla Casa
Savoia, e tutto
questo oltre tutto,
fino al consolidarsi
del fascismo , come regime
a partito unico, che
già mal tollerava, anche dopo
la Conciliazione del
1929, l’ esistenza e l’attività
delle organizzazioni cattoliche, tenacemente difese
dalla Chiesa, tra cui
quelle universitarie, che servirono
infatti dopo il 25 luglio
1943, a costituire , insieme
con i vecchi
quadri del Partito
Popolare, l’ ossatura della
Democrazia Cristiana, il nuovo
nome assunto al
posto del “popolare”.
Perciò dopo l’ 8 settembre 1943 , di
fronte all’attacco concentrico
alla Monarchia dal
Nord, repubblica sociale, e dal
Centro- Sud, comitato di liberazione
nazionale, composto da partiti
liberale, democratico cristiano,
democratico del lavoro, socialista, comunista e d’
azione, particolarmente accanito contro
il Re Vittorio
Emanuele III, il Principe
Umberto, con fantomatici dossier, e
tutta Casa Savoia, si
pensò di riunire
nel Meridione, senza coinvolgere
il Sovrano, i
sostenitori del mantenimento
dell’ istituzione monarchica,
con iniziative varie, alcune
combattentistiche ed altre
politiche come il
Partito Democratico Liberale, dell’onorevole prefascista
(1919 -1926), ed antifascista,
Raffaele De Caro, dove
fece le sue
prime esperienze il
trentenne professore Alfredo
Covelli, ma è dopo
la liberazione di
Roma, nel giugno 1944, che nascono
sia il Partito
Democratico italiano, ad opera
di Enzo Selvaggi, anche lui
giovane di trentuno
anni ed all’inizio
della carriera diplomatica, con un
giornale battagliero “Italia
Nuova”, dove scrivevano il
marchese Roberto Lucifero, il
giornalista e scrittore
napoletano Alberto Consiglio, insieme con
numerosi giovani, sia una
associazione apartitica ,
l’Unione Monarchica Italiana, ( agosto 1944), anche
qui ad opera
di un giovane ufficiale , il conte
Luigi Filippo Benedettini
e di un
altro ex-ufficiale Augusto
De Pignier. E dal
Sud approdava a
Roma, dandone la Presidenza
al senatore Alberto
Bergamini, figura
prestigiosa di liberale
antifascista, già Direttore del
“Giornale d’Italia”, la Concentrazione Democratica
Liberale,con Segretario Emilio
Patrissi e Vice
Segretario Alfredo Covelli. Questa presenza
giovanile era senza
dubbio significativa ed
apprezzabile, ma logicamente mancava
di esperienze , con nomi
praticamente poco conosciuti, mentre i
“grandi vecchi“, ad eccezione
di Bergamini , ovvero Ivanoe
Bonomi, Benedetto Croce,
Enrico De Nicola, Luigi
Einaudi, Francesco Saverio Nitti, Vittorio Emanuele
Orlando, si erano tutti
piuttosto defilati di
fronte al problema
istituzionale, anche se successivamente, prima del
Referendum, fecero esplicite dichiarazioni
a favore del
mantenimento della Monarchia
dei Savoia, avendo abdicato
il 9 maggio
1946, Vittorio Emanuele, ed essendo
divenuto Re, il Principe
Umberto, che aveva
bene operato nei
due anni di
Luogotenenza.
Vi erano quindi
politicamente dei giovani
“generali”, ma mancavano i
“quadri”, né questi esistevano
nel Partito Liberale, l’unico dei
sei partiti del
CLN, che, a maggioranza si
fosse pronunciato a
favore della Monarchia, essendo sorto
come partito, proprio quando
si stava affermando
il fascismo, e quindi
non aveva potuto
costituire quella struttura
organizzativa che avevano
i “popolari” ed
i socialisti, e che , rimasta
“dormiente “ nel ventennio, permise agli
stessi, ed al Partito
Comunista di riprendere
l’attività dopo il
1944, in tutto il
territorio nazionale, via via
che lo stesso
venisse “liberato” dalle forze
anglo-americane, alle quali si
erano aggiunti anche
reparti del Regio
Esercito, e nelle regioni
ancora occupate dai
tedeschi di operare
clandestinamente con la
Resistenza.
La situazione non
cambiò molto nei
due anni dal
1944 al 1946 , per
cui la campagna
elettorale del Referendum
Istituzionale, e per la
Costituente, fu condotta in
ordine sparso.
Per la
Costituente vi era
una sola lista nazionale dichiaratamente monarchica, il Blocco
Nazionale della Libertà, con
simbolo una “Stella
a Cinque Punte”, che non
aveva però qualcosa
che richiamasse la
Monarchia, e che non
era presente in
tutte le circoscrizioni, ed alcune
liste altrettanto dichiaratamente monarchiche
anche nei simboli , ma
su scala locale, che
nel complesso presero
75.000 voti , ma nessun
seggio, disperdendo perciò il
voto che con
i 680.000, pari al
2,8%, del Blocco,
avrebbe fatto eleggere
più di 16
Costituenti. In ogni caso
la propaganda per
la monarchia ricadde
quasi esclusivamente sui
candidati del Blocco
nazionale della libertà, che
vide eletti i giovani
Covelli, Selvaggi, Lucifero, Benedettini, e tra
quelli più anziani
il generale Roberto
Bencivenga, tra i più
attivi patrioti a
Roma, nei nove mesi
della occupazione tedesca,
l’industriale Tullio Benedetti, presidente dell’ UMI , l’avvocato Francesco
Caroleo (padre dell’avv. Nunzio Caroleo , eletto al
Parlamento per il PNM
, nel 1953), l’avvocato Gustavo
Fabbri, il senatore Bergamini
ed il professore
Orazio Condorelli,dell’
Università di Catania
figura storica dei
monarchici siciliani, e che fu successivamente eletto
senatore per il PNM,
nel 1953, al quale
si deve una
amara frase pronunciata
già nel marzo
1947 e che
spiega tante cose
del mondo monarchico
da allora ad
oggi: “ Le mie speranze
per la Monarchia
si attenuano
quando partecipo alle riunioni politiche
monarchiche!”
Ritornando alla campagna per
il Referendum, nella quale
specie al Nord
fu anche in
molti casi impossibile
riuscire a tenere
comizi monarchici per
l’azione violenta ed
intimidatoria della sinistra
social comunista, dobbiamo
ricordare in Piemonte
l’opera del “Gruppo
Cavour”, dotatosi di un
battagliero settimanale, il “Cavour“, ed
i comizi di
un avvocato milanese, Cesare Degli
Occhi , di una famiglia
di antica tradizione
politica cattolica, che dopo
aver militato da
giovane nel Partito
Popolare e dopo
la caduta del
fascismo nella Democrazia
Cristiana, ne era uscito
dopo la scelta
congressuale repubblicana che
lui aveva combattuto
con tutte le
sue forze. Anche Degli
Occhi, dopo essere stato
eletto consigliere comunale
di Milano, fu successivamente mandato
nel 1953 in
Parlamento, dai monarchici della
circoscrizione Milano –Pavia,
ed attorno a Lui,
a Milano, crebbero dei
giovani monarchici tra
i più qualificati
intellettualmente e di indirizzo cattolico
e liberale, quali Mario
Foresio, Angelo Domenico Lo
Faso, Achille Aguzzi, tutti oggi
scomparsi, alcuni prematuramente,
e l’avvocato Lodovico
Isolabella, ed in epoca
successiva Massimo De
Leonardis, senza dimenticare
Guido Aghina e
due esponenti della
sinistra monarchica, Mario Artali, poi
deputato del PSI, e
Tebaldo Zirulia, divenuto importante
esponente sindacale.
La propaganda monarchica
poté avvalersi come
giornali della già
citata “Italia Nuova”
, del “Giornale della
Sera”, di qualche altro
di minore diffusione
nel Centro-sud, ed
al Nord del
“Mattino d’Italia”, diretto da
Massimo Mercurio, di estrazione
Partito Democratico, e
fu conclusa il
30 maggio, alla radio, dal
Ministro della Real
Casa, Falcone Lucifero, con un
messaggio di grande
apertura democratica e
sociale, che delineava le
linee di una
rinnovata Monarchia ed
interpretava il pensiero
di Umberto II, come
possiamo vedere dai
messaggi che il
Re inviò dall’esilio
agli italiani, sintetizzati “Autogoverno di popolo e
giustizia sociale”, che il PNM,
riportò sulla sua
tessera d’iscrizione.
La sconfitta della
Monarchia, portò logicamente ad
una diversa impostazione
della battaglia politica, mirante a
riproporre il problema
istituzionale, con la nascita
di vari partiti
monarchici, in primo luogo, il
22 luglio 1946, a
Roma, il Partito Nazionale Monarchico, simbolo “ Stella
e Corona “ , ma non
vide, ad esempio, la confluenza
nello stesso, del Partito
Democratico Italiano, che preferì
entrare nel PLI, rafforzandone la
componente monarchica, tanto che l’onorevole
Roberto Lucifero, ne divenne
Segretario nazionale, sia pure
per un breve
periodo. Nel nuovo partito, PNM, di cui divenne
Segretario Nazionale l’ onorevole
Alfredo Covelli, che conservò
ininterrottamente tale carica, anche
nel successivo PDI e
PDIUM, (Partito Democratco Italiano
di Unità Monarchica), fino al
1972, data della scomparsa
del partito stesso, confluito nel
Movimento Sociale Italiano, eccettuato un
numeroso gruppo, particolarmente giovani , con
un Vice Segretario
del PDIUM, dr. Alfredo Lisi, entrarono subito
diversi ex-militari, che avevano
lasciato il servizio
attivo, per non riconoscere
la repubblica, ma che
certo non avevano
preparazione politica. E questa
fu prima forma
di monachismo, cioè la
fedeltà al giuramento
prestato a suo
tempo al Re, malgrado
che Umberto II, nel
messaggio lasciato alla
partenza per l’ esilio, li
avesse nobilmente sciolti
dallo stesso, insieme con
lo sdegno per
come si era svolto
il referendum ,
ed i ragionevoli
dubbi sul suo
risultato, che per anni
furono tra i
principali motivi, più che
giustificati, della
propaganda monarchica. In ogni
caso vi erano, tra
gli ex-militari, persone
dotate di
capacità organizzative ,
come ad
esempio il colonnello
De Carli, che resse per
anni l’ ufficio organizzazione del
PNM. Fondato il PNM , bisognava coprire
il territorio
nazionale con Federazioni
Provinciali e con
le Sezioni Comunali, molteplici nel
caso delle grandi
città, aprendo sedi dignitose, così da
poter effettuare un
regolare tesseramento e
poter presentare liste
alle varie elezioni
amministrative che si
tennero dopo il
referendum, particolarmente
nel Centro-Sud, volutamente escluso
da Romita, Ministro dell’ Interno, nel primo
turno elettorale svoltosi
volutamente al Nord, prima del
fatidico 2 giugno
1946, ed alle famose
elezioni politiche del 18
aprile 1948. In questo
primo banco di prova il
giovane partito ottenne
il 2,8% dei voti
e 14 deputati
,tutti concentrati tra
Campania, Puglie e Sicilia , tra i
quali , riconfermato Covelli, entrarono i
siciliani Alliata e
Marchesano ed il
napoletano Gaetano Fiorentino, del gruppo
del “comandante” Lauro, che si era avvicinato
al PNM, di cui
poi divenne Presidente
e finanziatore moderato, per
cui, nei movimenti monarchici, non vi
è stata mai ricchezza di mezzi finanziari, malgrado le accuse, le
dicerie ed altre
insinuazioni dei nostri
avversari di centro
e di sinistra.
Il
consolidamento elettorale del
PNM negli anni
successivi al 1948, iniziato con
le elezioni regionali
sarde del 1949, con
oltre l’11% di
voti, e con quelle
siciliane, dove entrò nel
governo dell’isola con
importantissimi assessorati, l’industria
con l’on. Bianco e l’
istruzione con l’on.Castiglia, e
con alcune importanti
elezioni amministrative, culminato con
i risultati del 7 giugno
1953, ed i 40
deputati e 16
senatori, fu accompagnato
logicamente dal rafforzamento
della struttura organizzativa, con un
Movimento Giovanile, la cui
importanza non fu
mai apprezzata a
sufficienza, ma che oggi
in una visione
storica costituisce il
maggiore titolo di
vanto del partito
monarchico. Infatti nel decennio
1948 – 1958 si costituirono
in numerose città, oltre
ai gruppi universitari
dove esistevano Atenei, dei
nuclei di giovani
validi, oltre al già
citato gruppo milanese, i
cui esponenti, se in
vita, perché molti sono
mancati prematuramente,
partecipano ancora oggi alla battaglia
monarchica. A titolo indicativo
e non esaustivo, ricordiamo a
Torino, i fratelli Giancarlo
e Roberto Vittucci, e
Vincenzo Pich, a Biella Gustavo Buratti e
Mario Coda, A Padova, Giulio De
Renoche, Paolo Cadrobbi e Carlo
Crepas, a Pisa, Bruno Brunori, Ettore Mencacci e
Nino Bergamini, a Roma, oltre
al gruppo più
anziano dei Nicola
Torcia, Giovanni Semerano, Renato Ambrosi
de Magistris, Michele Pazienza, Vito Andriola, Enzo Mauro, Riccardo Papa, Edoardo
Albertario, Gabriella Cro, i più giovani Domenico
Giglio, Antonello Delcroix, Gianvittorio Pallottino, Amedeo De
Giovanni, Mario Pucci,
Manuel Miraglia, Camilla Sibilia, Marzio di
Strassoldo, divenuto
successivamente Magnifico Rettore
ad Udine. A Napoli, Gustavo Pansini, Luca
Carrano, Mario Miale, Carlo Antonio
del Papa, a Bari Waldimaro Fiorentino ( oggi a
Bolzano) e Carlo Alberto
Dringoli, a Genova, Domenico Fisichella, Arduino Repetto, Luciano Garibaldi, Giulio Vignoli
e Pippo Tarò, a
Catania, Enzo Trantino ed
Antonio Paternò di
Roccaromana, e poi
alcuni singoli come
Sergio Boschiero a
Vicenza, Enzo Barbarino a
Trieste, Edilberto Ricciardi
a Salerno, Bruno Melis
a Cagliari ed
a Pescara Vincenzo Vaccarella .
Ritornando al PNM , a
rafforzarne la base
storico –poiltica, sempre dopo
il 1948 , entrarono, forse su
segnalazione superiore, un nutrito
gruppo di ambasciatori
da Roberto Cantalupo, che pubblicava
un periodico “ Governo”
di notevole spessore
culturale, a Raffaele
Guariglia, Guido Rocco, Armando Koch, Emanuele Grazzi, che
se rafforzarono i
vertici, non coprirono il
fabbisogno di quadri
operativi, dove si stavano
avvicinando diversi professionisti e
funzionari dello stato, ma
rimanevano numerosi gli
ex-militari, fra cui molti
carabinieri, nella sezioni comunali
e periferiche. I quadri
invece, lo si
constatò nelle elezioni
del 1958, si stavano
costituendo proprio con
i giovani, mancanti ancora
di adeguata istruzione
politica ed elettorale, in quanto
non era mai
esistita una “scuola
di partito”, ed il
primo ed unico
“Manuale dell’ attivista”,
scritto da Angelo
Domenico Lo Faso, uscì
solo nel 1957, ben
undici anni dopo
la fondazione del
partito. Malgrado quanto affermato
dagli antimonarchici e
dalla stampa di
“regime”, nel PNM la
presenza della nobiltà
era limitata, basti guardare
i vertici del
partito e gli
stessi gruppi parlamentari, per cui
si può serenamente
affermare il suo
carattere interclassista,
maggiormente riscontrabile tra
i giovani.
Un notevole contributo
storico-politico-culturale , a
Roma, fu dato dalla
fondazione nel 1947 , da
parte di monarchici
dichiarati, di un “Circolo
di Cultura ed
Educazione Politica”, denominato
“REX”, indipendente da partiti
ed associazioni, aperto a tutti,
ma non
legato a nessuno, ancora oggi
operante e giunto
al suo 67° ciclo,
che inizialmente riuniva
per venti domeniche
all’anno, monarchici e simpatizzanti, con conferenze
affidate a relatori
ed oratori di
grande prestigio e cultura,
dato che, allora, il mondo
monarchico in genere, dal
PNM , all’ UMI, ed altri gruppi, era
ricco di personalità, dai Rettori
d’Università, quale Allara a
Torino, Menotti De Francesco
a Milano, Origone a
Trieste, Papi a Roma, al
grande latinista Ettore
Paratore, agli storici Ghisalberti, Levi e Volpe,
che ne
fu anche Presidente
Onorario, elenco anche questo
indicativo, ma non esaustivo.
Quanto poi agli
esponenti nei comuni
e nelle provincie, vi
furono personalità locali
che occupavano tutti
gli spazi, dal caso
più clamoroso di
Achille Lauro , eletto Sindaco
trionfalmente a Napoli
nel 1952, e nel
1956 con la
maggioranza assoluta dei
voti, ad un Oronzo
Massari, che conquistò il
Comune di Lecce, con
“Stella e Corona”, senza bisogno
di alleanze.
Il volere “tutti
i monarchici in
un solo partito”, slogan iniziale
del PNM, se fece
affluire subito numerosi
iscritti, guadagnando nel numero, non
facilitò la realizzazione
di una omogenea
linea storico culturale,che incominciando dal
Risorgimento, ne attualizzasse
i suoi valori
di libertà e di
democrazia, e proseguisse fino
alla Guerra di
Liberazione, ricordando e rivendicando
la fedeltà
al Re, dell’Esercito, della Marina
e dell’Aviazione, e la presenza numerosa
e qualificata di
monarchici nella Resistenza, forse per
la necessità degli
“apparentamenti”, imposti
dalla legge elettorale
per le elezioni
amministrative, dal 1952,
con il
Movimento Sociale Italiano, ma
che videro la
conquista dei Comuni
di Bari, Foggia, Avellino,
Benevento, Salerno e Napoli, con
sindaci tutti del
PNM, risultato il partito
maggioritario dell’ alleanza.
Il successivo evolversi
della situazione partitica
dopo il 1954, con
scissioni dolorose e
riunificazioni tardive, se
non influì sull’ organizzazione, che vide
defezioni, ma anche il
raddoppio del numero
di sedi e dirigenza, acquisendo qualche
nuovo interessante esponente, fu
però negativa per
i giovani che
non affluirono più
numerosi dopo il
1961 ma , fortunatamente, trovarono
nuovi spazi nel
Fronte Monarchico Giovanile
dell’ UMI, dove alla dirigenza
del professore Ernesto
Frattini, giovane ricco di una grande
cultura, successivamente
prematuramente scomparso, al
quale si deve
la pubblicazione di
una serie di
quaderni, oggi introvabili,
di argomenti storici
e politici, ma meno
ricco di doti organizzative, era seguita
la dirigenza dinamica
di Sergio Boschiero, con la
quale abbiamo una
ulteriore qualificata generazione
di giovani , da Antonio
Tajani ,a Domenico De Napoli, Antonio Galano, Massimo Mazzetti, Michele D’ Elia, Antonio Ratti, Salvatore Sfrecola,Antonio Maulu, Pier
Carlo De Fabritiis, Fabio Torriero, Marco Grandi
ed il caro, sfortunato amico Gian Nicola
Amoretti.
La diaspora del
partito monarchico degli
anni ‘60 di
cui si avvantaggiarono democristiani
e maggiormente i
liberali portò alla
infelice decisione del
1972, di cui abbiamo
fatto precedente cenno , e
la residua organizzazione, malgrado i
nobili tentativi della
“Alleanza Monarchica”, per coloro
che avevano rifiutato
la confluenza nel
MSI di mantenerla
regolarmente in vita, grazie
al valoroso periodico
mensile di Roberto
Vittucci, e del C.A.M. ( Centri Azione
Monarchica), per coloro che
invece avevano aderito
al MSI, per non
esserne schiacciati, si andò
assottigliando di anno in anno , anche
se vi sono
state alcune interessanti
adesioni, ed una successiva
fioritura spontanea di
giovani monarchici.
Nella diaspora sopra
citata ed in
altre vicende di
separazioni e scissioni
qualcuno vede la
causa anche in
un deficit di
democrazia interna e
nell’assenza di un
dibattito politico ed
ideologico, che non ha
consentito di fidelizzare
l’ elettorato, razionalizzandone le
convinzioni monarchico sabaude, lasciando spazi
solo ad encomiabili
sentimenti, che l’andare dei
tempi e l’evolversi
generazionale non hanno
più la presa
emotiva che pure aveva costituito
la base dell’ iniziale discorso
politico.
Domenico Giglio
Bibliografia :
- Cesare Degli Occhi – Piero Operti: “Il Partito Nazionale Monarchico” poi cambiato in “Il Movimento Monarchico“ - editrice Nuova Accademia – Milano ( senza data-1955?)
- Domenico De Napoli: “Il Movimento Monarchico in Italia dal 1946 al 1954” – Editore Loffredo –Napoli – 1980
- ”Grande Enciclopedia della Politica – I Monarchici – volume 1 – settembre 1993 ; volume 2 –marzo 1994 – edizioni Ebe s.r.l.- Roma
- Andrea Ungari: “ In nome del Re – i monarchici italiani dal 1943 al 1948” –edizioni “Le Lettere”-Firenze -2004 – Biblioteca di Nuova storia Contemporanea- Collana diretta da Francesco Perfetti.
- Andrea Ungari –Luciano Monzali: ”I monarchici e la politica estera italiana nel Secondo dopoguerra “ – editore Rubbettino - 2012
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