
VIII - IL QUINQUENNIO DI PROSPERITA'
(1883-1887) E LA CRISI ECONOMICA (1888-1894) - ASSASSINIO DI UMBERTO I, IL RE
BUONO
Il 1876 segna il passaggio del governo del Paese dalla Destra alla
Sinistra storica.
La Destra storica, che tanto aveva contribuito all'edificazione della
Patria, era costituita da «un'aristocrazia dalle bellissime tradizioni, per cui
potere e dovere, autorità e sacrificio, responsabilità verso il popolo e verso
Dio erano le due facce di un'unica medaglia...», e da «alcuni uomini di una
borghesia, se non agiata non povera (Minghetti, Sella, Lanza; tra i più
giovani, Visconti-Venosta): dedicatisi alla vita pubblica quando sembrava non
offrire che pericoli, quando non aveva alcun significato ironico il termine di
sacrificio, usato a designare l'abbandono dei propri affari, della, propria
professione, per le candidature politiche o gli uffici -di governo » (26). Seppure
«il minor scrupolo, il marcio di approfittare della posizione politica per
ottenere agevolazioni economiche... allignasse soprattutto negli "homines
novi", negli appartenenti alla Sinistra: restandone salvi i veterani della
Destra» (27), alla Sinistra, che prometteva riforme e progresso, si dovettero:
l'introduzione del. l'obbligatorietà dell'istruzione elementare (legge Coppino);
l'allargamento del diritto elettorale alla media e alla piccola borghesia; l'abolizione
di alcune tasse, tra le quali quella impopolare del macinato; una grande
attività di lavori pubblici soprattutto nel sud.
L'aumento delle spese pubbliche, conseguente a tali lavori e alle
altre iniziative del governo, fece riapparire il disavanzo, la cui eliminazione
era stato un grande merito della Destra; un nuovo aumento delle tasse condusse
al pareggio, benemerenza del ministero Crispi-Sonnino (1893-1896).
Sotto l'aspetto economico, l'età « umbertina » vide succedere al quinquennio
di prosperità, iniziato nel 1883, la crisi economica del periodo 1888-1894.
La rinascita degli anni dal 1883 al 1887, in parte causata dalla
abolizione del corso forzoso (1882), che determinò il ritorno in Italia dei
capitali stranieri allontanatisi dopo il 1866, ebbe come riflesso l'eccedenza
attiva del bilancio e l'aumento continuo delle entrate statali.
I primi segni della crisi vennero dalle campagne e furono
conseguenza della discesa dei prezzi: la tariffa doganale del 1887, mentre difendeva
i settori industriali, lasciava scoperti quasi tutti i settori agricoli,
deprimendo le condizioni di quella che era la più importante fra le attività
economiche nazionali. Peggio fu quando la guerra commerciale con la Francia
colpì disastrosamente le nostre esportazioni di vino, seta greggia e ritorta,
riso, bestiame e prodotti del caseificio: tutte le regioni italiane ne
soffrirono ed il numero degli emigrati, che dal '76 all'83 era salito da 196,10
a 63388, continuò a salire per raggiungere nel 1888 la cifra elevatissima di
204264 e mantenersi negli anni successivi sempre nettamente al di sopra delle
centomila unità. Fini con il soffrirne anche l'industria, nonostante le
protezioni doganali, per il diminuito consumo interno di manufatti, conseguenza
del peggioramento notevole delle condizioni economiche generali. Agli scioperi
agrari, quasi tutti localizzati nella bassa Valle padana, dove era
numerosissimo il bracciantato, si aggiunsero quelli industriali, saliti da una
media annua di 35, negli anni dal 1879 all'82, ad una media annua di 151
nell'88-92 (28).
Su Re Umberto I così scrisse, nelle sue memorie, il più grande
ministro italiano dopo Cavour:
« Nei rapporti che ebbi col Re, egli mi apparve come un uomo molto
semplice, molto cortese e correttissimo dal punto di vista costituzionale; non
notai in lui prevenzioni di -sorta contro una politica liberale e democratica.
Egli intendeva con allo senso di responsabilità la sua funzione e s'informava
moltissimo delle cose di Stato, interessandosi di tutto, ma in particolar modo
della politica estera e delle cose militari » (29).
Il quadro, per quanto favorevole e lusinghiero, non è però
completo. E non giova certo a comprendere la figura del Re ricordare che firmò
lo stato d'assedio in seguito alle manifestazioni popolari del 1893, con Crispi
al governo, e del 1898, con di Rudinì; firmò, perché era suo dovere di Sovrano
costituzionale, ma ai governi e non a lui risale la responsabilità delle severe
repressioni.
Giova invece rammentare il suo prodigarsi in occasione di eventi
dolori, che gli procurò l'appellativo di « Re buono »: le inondazioni del
Veneto del 1882; il terremoto di Casamicciola del 1883; il colera del 18,84 nel
cuneese e a Napoli; lo scoppio di Porta Portese a Roma.
Cadde, come altri capi di Stato del tempo: Alessandro Il di
Russia, il presidente degli Stati Uniti Giacomo Garfield, il presidente della
repubblica francese Sadi Carnot e l'imperatrice Elisabetta d’Austria, vittima di un folle anarchico, espiatore di colpe che
non erano sue, ma che la propaganda sovversiva, in quegli anni particolarmente
attiva, falsamente gli attribuiva. Il cordoglio della nazione fu immenso e
profondo, come nei confronti di un padre.
Si è accennato, nel capitolo VI, che dalla teoria della « colpa
soggettiva », nel campo degli infortuni sul lavora, si era passati gradualmente
a quella, molto più favorevole al prestatore d'opera del «rischio professionale».
Altri fondamentali progressi furono compiuti con la legge 8 luglio 1883, sul
l'assicurazione facoltativa, e soprattutto con la successiva 17 marzo 1898, n.
80, che istituì l'assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro nella
industria, con contributi a carico dei datori di lavoro.
Non passeranno molti anni che la tutela sarà estesa ai lavoratori
agricoli, per i quali già nel 1892 si era costituita l'Associazione mutue di
assicurazione contro gli infortuni agricoli di Vercelli, seguita presto da
analoghe associazioni in altre provincie.
Altro importante provvedimento fu costituito dal riconoscimento
giuridico delle Casse di mutuo soccorso, costituite in Piemonte attorno alla
metà del secolo e poi estesesi in tutta Italia, con lo scopo di assicurare i
lavoratori contro il rischio di malattia, disoccupazione, invalidità e
vecchiaia, morte: il riconoscimento avvenne con la legge n. 3818 del 15 aprile
1886.
Si ricordi ancora che, con la legge 17 luglio 1898, n. 350,
creatrice della Cassa di previdenza per gli operai, il governo introdusse il
principio dell'assicurazione sussidiata di invalidità e vecchiaia, consistente
in un contributo statale onde invogliare i lavoratori ad assicurarsi spontaneamente. L'assicurazione facoltativa contro l'invalidità e la vecchiaia
era già stata introdotta con la legge 15 luglio 1859, proposta il 9 febbraio
dell'anno precedente dal Conte di Cavour.
Di pari passo ai progressi della nostra economia e all'estendersi
della questione sociale, i governi della Monarchia perfezionavano e aumentavano
le provvidenze a favore dei lavoratori, ai quali si schiudeva un avvenire meno
oscuro, più libero e socialmente giusto.
(26) ARTURO -CARLO JEMOLO: « Chiesa e Stato in Italia negli ultimi
cento anni », Einaudi, Torino, 1952, pagg. 407, 408.
(27) ARTURO CARLO JEMOLO, opera citata, pag. 408.
(28) GINO LUZZATTO: « Storia economica d!ell'età moderna e contemporanea
- Parte seconda: l'età contemporanea », CEDAM, Padova, 1948, da pag. 389 alla
fine del volume.
(29) GIOVANNI GIOLITTI: « Memorie della mia vita », Treves, 1929.
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