NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 11 aprile 2025

Saggi storici sulla tradizione monarchica - XIII

 


2)   VITTORIO EMANUELE II E LA PROCLAMAZIONE DEL REGNO D'ITALIA

Duri giorni aspettavano il nuovo Re di Sardegna e non lieti furono gli inizi del suo regno; il Piemonte era costretto a subire le condizioni di pace imposte dall'Austria, che il maresciallo Radetzky aveva dettato nell'incontro di Vignale (*), ma lo Statuto e le sue istituzioni rappresentative erano riconosciute e confermate. Pure la Camera, ove i demagoghi tentavano di sfruttare il momento di depressione, recalcitrava a ratificare la pace con l'Austria, e Vittorio Emanuele II era costretto a scioglierla, firmando quel proclama di Moncalieri, redatto da Massimo d'Azeglio, presidente del Consiglio dei ministri, che suonava come grave monito ai sovvertitori e ai ribelli.

Cominciò così quel decennio di preparazione, che avrebbe portato alla seconda guerra d'indipendenza e che ebbe il suo artefice in Camillo Benso di Cavour; il merito principale di Cavour fu quello di comprendere che il problema della unità italiana avrebbe potuto avere uno sviluppo soltanto se impostato come problema di politica europea e non ristretto puramente ad un rapporto bilaterale fra Piemonte ed Austria, e di aver agito per portarlo di fronte all'attenzione delle potenze. A questo scopo nel 1855 stipulava a Torino un accordo con Francia e Inghilterra per l'invio di un corpo di spedizione sardo in Crimea per la guerra che si combatteva contro la Russia, ed al Congresso di Parigi, che ne segnò la fine, il ministro sardo potette alfine esporre le rivendicazioni italiane, completando l'opera con un avvicinamento alla Francia di Napoleone III che avrebbe potuto divenire un potente alleato.

Il Regno sardo non poteva agire da solo: aveva bisogno di un alleato e lo trovò nella Francia, tradizionale avversaria del predominio austriaco, ed in Napoleone III che, trasformatosi da presidente della repubblica in imperatore, voleva accrescere il prestigio della Casa unendosi con legami di parentela e di alleanza ad un’antica dinastia europea; infatti la figlia di Vittorio Emanuele II, la dolce e santa principessa Clotilde, si sacrificava accettando di sposare il cugino dell'imperatore, il grossolano e volgare Girolamo Bonaparte, dissoluto e miscredente, ma Napoleone III s'impegnava ad intervenire in difesa del Regno di Sardegna se questo fosse stato attaccato dal­l'Austria (*).

Cominciò allora una sottile opera di provocazione da parte di Cavour, che fu presto coronata da successo; l'Austria inviò un ultimatum al Gabinetto sardo perché fossero licenziati i volontari e ridotto l'esercito, il ministero reagì e l'austriaco Giulay iniziò le ostilità passando il Ticino a capo di 125.000 uomini. Il 29 aprile 1859, la guerra comincia, Vittorio Emanuele II è a capo del suo esercito di 90.000 uomini, Napoleone III scende in Italia con 117.000 soldati (*).

In tale incontro con il vecchio maresciallo austriaco che amava e ammirava il giovane monarca sardo, Vittorio Emanuele II pronunciò la celebre  «Casa Savoia conosce la via dell'esilio, ma non quella del disonore ».

 

 

 

 

(*) La principessa Clotilde cercò dapprima di resistere, e solo alla fine si piegò alle pressioni di Cavour, che ebbe dal Re l'incarico di parlare alla principessa„ottenendone l'assenso. La grandezza del suo sacrificio si potrà comprendere leggendo gli scritti di due testimoni oculari che presenziarono alle nozze nella cappella della S. Sindone. Il primo, il canonico Gazzelli racconta: «Ma vidi un contrasto simile. Lei avvolta in candidi veli, meno bianchi tuttavia de] suo pallidissimo volto, immersa in profonda orazione in atteggiamento di vittima che si offra al sacrificio. Lui in piedi, con le mani dietro alla schiena alla napoleonica, in aria distratta, stupito di trovarsi in una Chiesa, ammazzando il tempo coll'osservare i monumenti ».

Il Conte Nicolis di Robilant scrisse: « Durante la cerimonia, la distrazione di Lui, dello sposo, era tale che non s'accorse nímmeno della domanda dì consenso rivoltagli dal celebrante Mons. D'Augennes Arcivescovo di Vercelli. L'abate Gazzelli dovette richiamare la sua attenzione e spiegargli di che si trattasse onde ottenere un frettoloso - certainement oui oui - Detto il quale si, il PrmeilY completamente ignaro dei riti della Chiesa si credeva di aver fatto tutto; e stava per ricominciare l'ispezione della cupola del Guarini, maestosa nel suo barocco, quando il canonico Gazzelli dovè richiamare una seconda volta la sua attenzione per la cerimonia dell'unione delle destre e dell'anello». Tuttavia anche vicino ad un marito del genere, Clotilde seppe vivere santamente ed elevarsi al grado eroico delle virtù cristiane

(*) Un grazioso acrostico dell'epoca, venne costruito sulle cifre dell’anno 1859.

Infatti queste cifre (1+8+5+9) fanno 23 composto da lettere iniziali delle seguenti parole: Vittorio Emanuele Napoleone Terzo Italia Tutta Redimeranno Eternamente.     

 

I piemontesi riportarono le prime vittorie a Montebello Vinzaglio e Confienza;  dopo la battaglia di Magenta Vittorio Emanuele e Napoleone entrarono a Milano.

Infine ecco la giornata di Solferino e S.  Martino, 24 giugno 1859, sul campo sono il Re di Sardegna, l’imperatore dei Francesi e Francesco Giuseppe Imperatore d’Austria.

La battaglia dura 14 ore lasciando vincitori i franco-piemontesi. La vittoria della guerra sembrava ormai vicina, ma Napoleone III all'insaputa dell'alleato firmava con l’imperatore austriaco l'armistizio di Villafranca; le condizioni del suo impero, dove vivo regnava il malcontento contro di lui e contro la guerra costrinsero ad affrettare il ritorno a Parigi.

Vittorio Emanuele II resistendo alle sollecitazioni di Cavour e tutti coloro che avrebbero voluto spingerlo ad un colpo di testa, firmò l’armistizio sia pure con riserva e non ebbe a pentirsene: la Lombardia, che l’Austria cedeva alla Francia, passò sotto lo scettro sabaudo (*). Durante la guerra si erano intanto sollevate le popolazioni del ducato di Parma, di Modena, del granducato di Toscana e della legazione pontificia di Bologna, oltre a talune altre parti dello stato pontificio. Dopo la pace di Villafranca i commissari regi colà inviati avevano do­vuto dimettersi ma le terre erano restate in armi chiedendo l'annessio­ne al regno di Sardegna. Cavour, tornato al potere dopo alcuni mesi di ritiro, chiese ed ottenne da Napoleone III il consenso all'annessione in cambio della cessione della Savoia e della contea di Nizza alla Francia e i baratti furono compiuti nei primi mesi del 1860 nonostante che al­cune proteste si levassero in Parlamento, fra cui particolarmente vio­lenta, quella di Garibaldi, nizzardo di nascita.

Maturava intanto un'altra impresa, di particolare importanza, la conquista della Sicilia, resa più facile dalla morte del Re Ferdinan­do II e dall'ascesa al trono del giovane figlio Francesco II. (*) Confidan­do nelle voci di rivolta in Sicilia, una spedizione comandata da Garibal­di venne allestita con il segretario aiuto del governo piemontese e 1087 volontari salpavano nel maggio del 1860 da Quarto, presso Genova, nonostante la riluttanza di Cavour che invano aveva tentato di dissuadere Garibaldi e di indurre il Re ad impedirgli di partire. La conquista della Sicilia fu facile e compiuta in poche decine di giorni. Più lunga la conquista del continente, mentre a Torino si cominciava a guardare con preoccupazione a Garibaldi che autoproclamatosi dittatore avrebbe potuto anche cedere alle suggestioni di Mazzini, mai sazio di cospirazioni e di intrighi e proclamare la repubblica; il 7 settembre Garibaldi entrò a Napoli da cui il giorno prima era partito Francesco II per chiudersi nella fortezza di Gaeta, il 10 il Governo Sardo inviava un ultimatum al governo pontificio per ottenere lo scioglimento dei corpi stranieri al servizio del Papa e il giorno dopo, prima che all'ultimatum pervenisse una risposta qualsiasi, i soldati invadevano le Marche e l'Umbria che in meno di un mese cadevano completamente nelle mani piemontesi, senza che nessuna potenza d'Europa osasse andare oltre le proteste verbali. Vittorio Emanuele, lasciata Torino il 29 settembre e entrato ad Ancona, il 15 ottobre passava in territorio napoletano dove si incontrava a Teano con Garibaldi con il quale entrava a Napoli il 7 novembre. L'esercito volontario garibaldino era sciolto e la fine della guerra affidata alle truppe regolari; gli ultimi avanzi della resistenza borbonica caddero ben presto: Gaeta il 13 febbraio 1861, poi Messina ed infine il 21 marzo la fortezza di Civitella del Tronto. Il 18 Febbraio veniva inaugurato il primo parlamento italiano, a Torino, e Vittorio Emanuele II assumeva per sé e per i suoi successori il titolo di Re d'Italia.

All'unità mancavano però ancora Venezia e soprattutto Roma che avrebbe dovuto essere la capitale e nella speranza di conquistarle Vittorio Emanuele scese a fianco della Prussia, contro l'Austria in quella che doveva essere la terza guerra d'indipendenza nel 1866. Non fu una guerra fortunata per l'Italia che fu battuta a Custoza e a Lissa sul mare, pure con la mediazione francese alla pace di Vienna, il 3 ottobre

1866, l'Italia ottenne il Veneto in cambio dello sgombero del Trentino dove i cacciatori delle Alpi al comando di Garibaldi erano riusciti a penetrare con successo.

Roma era ormai la spina e il problema centrale del nuovo regno.

Napoleone manteneva ancora delle truppe in difesa dell'ultimo resto del potere temporale dei Papi e benché nulla gli sarebbe importato che esso crollasse definitivamente pure era costretto a perdurare in un atteggiamento prudente per timore del partito cattolico che in Francia era uno dei puntelli del suo trono e che era incoraggiato dalla stessa Imperatrice Eugenia. Si era anzi cercato di venire ad una regolarizzazione del problema con la convenzione del settembre 1865 per la quale l'Italia si impegnava a non attaccare il territorio romano e ad impedire anche con la forza ogni attacco contro dl esso; la Francia da parte sua avrebbe ritirato le sue truppe da Roma entro due anni;

la convenzione sarebbe entrata in vigore quando l'Italia trasferendo la sua capitale da Torino ad un altro luogo, avesse dimostrato a tutti i cattolici di rinunciare per sempre a Roma. In effetti nel 1865 la capitale veniva portata a Firenze, ma restavano in piedi le pretese su Roma e il progetto di mettervi piede non appena gli eventi lo avessero permesso; Garibaldi poi dal canto suo anche contro le truppe regolari, tentò di conquistare la citta con i suoi volontari provocando gli scontri di Mentana.

L'occasione favorevole si presentò quando Napoleone III impegnato nella disastrosa guerra franco-prussiana non potette più seguire le cose di Roma; il 3 settembre 1870 giunse a Firenze la notizia della disfatta napoleonica di Sedan e il 12 le truppe entrarono nel territorio pontificio. Il mite Pio IX dispose che la difesa dovesse « unicamente consistere in una protesta, atta a costatare la violenza, e nulla più » e ordinava al capo delle truppe papali, generale Kanzler «di aprire le trattative per la resa appena aperta la breccia»; tutto avvenne quasi senza spargimento di sangue. Nel luglio dell'anno seguente Vittorio Emanuele II entrava in Roma definitivamente, ponendo sede nel palazzo del Quirinale.

Vittorio Emanuele II non visse però a lungo, né potette assistere al consolidamento del processo unitario da lui portato a compimento; giovane ancora a 58 anni, mori il 9 gennaio 1878 a Roma, dopo aver ricevuto l'assoluzione dalle censure ecclesiastiche e i Sacramenti della Religione. Al primo Re d'Italia furono decretati gli onori del Pantheon, il grande tempio romano che custodisce da allora le tombe dei Sovrani Sabaudi, e l'appellativo di Padre della Patria.

 

 

 

 

 

 

­ (*) La pace di Villafranca provocò due violenti scontri fra Vittorio Emanuele e Cavour che avrebbe voluto che il Re si rifiutasse di accettare la pace. Quella volta il Sovrano mostrò più sangue freddo e più lungimiranza del suo illustre ministro, resistendo ad ogni sollecitazione nella certezza che ogni atto inconsulto avrebbe avuto gravissime conseguenze; della scena un interessante resoconto ci è stato lasciato dall'amico di Cavour Nigra, che fu presente al colloquio.

(*) Francesco    II era figlio di Ferdinando II e della Venerabile Maria Cristina, figlia di Vittorio Emanuele I di Savoia, morta nel darlo alla luce. Buono e di animo mite, nel brevissimo regno ondeggiò tra l'influenza della matrigna Maria Teresa d’Asburgo e quella della moglie Maria Sofia di Baviera. Dopo la resa di Gaeta si ritirò a Roma, dove visse nello splendido palazzo Farnese, oggi ambasciata di Francia.

 

 (*) Prima dell'ingresso ufficiale, Vittorio Emanuele II pose piede in Roma il 30 dicembre 1870 per soccorrere la città colpita da una violenta inondazione del Tevere. I giornali dell'epoca fecero grande scalpore intorno a questo avvenimento gli uni stigmatizzando i riguardi, a loro avviso eccessivi usati dal Re verso Pio IX, gli altri censurando la venuta del Re come una grave offesa al Papa.

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