di Fabio Torriero
Archiviato il viaggio di Stato
in Italia di Re Carlo III, qualche riflessione dobbiamo pur farla. Non si
tratta, infatti, di ricordare la semplice cronaca di un viaggio (da Roma a
Ravenna), che è stato un indubbio successo. E non solo per l’amore che il
sovrano ha per il nostro paese, ma anche e soprattutto per un messaggio
universale che resterà scolpito nella nostra memoria collettiva.
Carlo, durante il lunghissimo
periodo di eterno erede, sembrava un uomo insulso, astratto, privo di
personalità; totalmente emarginato e condizionato dalla leadership pesante,
pressante e carismatica della madre, la regina Elisabetta.
La sua “postura regale” si
limitava a suggestive quanto vuote dissertazioni intellettuali, ambientaliste,
umanitarie, artistiche. Una sorta di fuga dotta dalle incombenze e competenze
pratiche di futuro re.
Per non parlare poi, della
tragica vicenda che lo ha legato al “matrimonio farsa” con Lady D, dove è
uscito con le ossa rotte, apparendo come un padre irresponsabile, ambiguo,
plagiato dalla “strega”, ora regina Camilla, che, al contrario di ogni previsione,
ha avuto il merito di risalire la china mediatica, trasformandosi con
discrezione e compostezza, da dannata a consorte degna di rispetto e
ammirazione pubblica. Della serie, il vero amore (non quello pianificato a
tavolino per ciniche ragioni dinastiche), alla fine vince sempre, come una
bella fiction.
Nel suo viaggio tricolore,
dove politica, cultura, rappresentanza e divertimento, l’hanno fatto da
padroni, Carlo ha ben rappresentato la vocazione europeista del Regno Unito;
una strategia dialogante, conciliante, moderatrice, che gli stessi governi inglesi,
sia laburisti, sia conservatori, non sono mai riusciti a comunicare bene. Sia
per la Brexit, sia per finalità geo-economiche.
Specialmente ora, in una fase
storica estremamente delicata, in cui si odono clamori bellici, si paventano
crisi economiche, finanziarie e migratorie, un “ambasciatore dell’identità”
come lui, è stato un flusso benefico.
Ma la cosa che è emersa nel
suo intelligente, gentile quanto erudito discorso (in parte in italiano), nel
nostro parlamento riunito, è stato lo stile sobrio, elegante che ha saputo
trasmettere.
E non è solo il risultato di
una sua capacità individuale, ma è il Dna stesso della monarchia.
Carlo III, grazie al suo
intervento, tra l’altro molto apprezzato, ha restituito agli italiani, alla
politica e agli osservatori, un dono che stiamo smarrendo: il rispetto della
dialettica parlamentare, la sacralità delle istituzioni, la mistica dello Stato-persona,
l’importanza dei simboli identitari viventi che uniscono le nazioni, oltre le
ideologie e le contrapposizioni.
Tutto in poche ore. Tutto in
una visita. E l’abbraccio della gente, gli applausi sperticati e trasversali
dei parlamentari, accorsi in massa, emozionati, interessati, qualcuno pure con
la cravatta rosso-blu in omaggio ai colori della Corona inglese, hanno
costituito la prova più evidente della “voglia di monarchia in repubblica”, o
quanto meno, del bisogno da noi di una monarchia come quella inglese.
Una tale opzione sarebbe un
buon correttivo e uno deciso stop alla nostra attuale becera politica e
comunicazione politica. Dove regnano non sovrani, che hanno studiato per questa
funzione arbitrale, ma guitti, populisti, spot-man, deputati e senatori volgari,
ignoranti, impreparati. Forse la gente è stanca di risse mediatiche e di slogan
vuoti. Da Trump a Putin, passando per Macron e la Von Der Leyen. E ci siamo
limitati ai generali. I caporali si commentano da soli.
Fonte:
Effetto-Carlo III. Il complesso monarchico della Repubblica. Un messaggio pedagogico » LO_SPECIALE
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