2) VITTORIO EMANUELE II E LA PROCLAMAZIONE DEL REGNO D'ITALIA
Duri giorni aspettavano il
nuovo Re di Sardegna e non lieti furono gli inizi del suo regno; il Piemonte
era costretto a subire le condizioni di pace imposte dall'Austria, che il
maresciallo Radetzky aveva dettato nell'incontro di Vignale (*), ma lo Statuto
e le sue istituzioni rappresentative erano riconosciute e confermate. Pure la Camera,
ove i demagoghi tentavano di sfruttare il momento di depressione, recalcitrava
a ratificare la pace con l'Austria, e Vittorio Emanuele II era costretto a
scioglierla, firmando quel proclama di Moncalieri, redatto da Massimo
d'Azeglio, presidente del Consiglio dei ministri, che suonava come grave monito
ai sovvertitori e ai ribelli.
Cominciò così quel decennio di
preparazione, che avrebbe portato alla seconda guerra d'indipendenza e che ebbe
il suo artefice in Camillo Benso di Cavour; il merito principale di Cavour fu
quello di comprendere che il problema della unità italiana avrebbe potuto avere
uno sviluppo soltanto se impostato come problema di politica europea e non
ristretto puramente ad un rapporto bilaterale fra Piemonte ed Austria, e di
aver agito per portarlo di fronte all'attenzione delle potenze. A questo scopo
nel 1855 stipulava a Torino un accordo con Francia e Inghilterra per l'invio di
un corpo di spedizione sardo in Crimea per la guerra che si combatteva contro
la Russia, ed al Congresso di Parigi, che ne segnò la fine, il ministro sardo
potette alfine esporre le rivendicazioni italiane, completando l'opera con un
avvicinamento alla Francia di Napoleone III che avrebbe potuto divenire un
potente alleato.
Il Regno sardo non poteva
agire da solo: aveva bisogno di un alleato e lo trovò nella Francia,
tradizionale avversaria del predominio austriaco, ed in Napoleone III che, trasformatosi
da presidente della repubblica in imperatore, voleva accrescere il prestigio della
Casa unendosi con legami di parentela e di alleanza ad un’antica dinastia
europea; infatti la figlia di Vittorio Emanuele II, la dolce e santa
principessa Clotilde, si sacrificava accettando di sposare il cugino dell'imperatore,
il grossolano e volgare Girolamo Bonaparte, dissoluto e miscredente, ma
Napoleone III s'impegnava ad intervenire in difesa del Regno di Sardegna se
questo fosse stato attaccato dall'Austria (*).
Cominciò allora una sottile
opera di provocazione da parte di Cavour, che fu presto coronata da successo;
l'Austria inviò un ultimatum al Gabinetto sardo perché fossero licenziati i
volontari e ridotto l'esercito, il ministero reagì e l'austriaco Giulay iniziò
le ostilità passando il Ticino a capo di 125.000 uomini. Il 29 aprile 1859, la
guerra comincia, Vittorio Emanuele II è a capo del suo esercito di 90.000
uomini, Napoleone III scende in Italia con 117.000 soldati (*).
In tale incontro con
il vecchio maresciallo austriaco che amava e ammirava il giovane monarca sardo,
Vittorio Emanuele II pronunciò la celebre «Casa Savoia conosce la via dell'esilio, ma
non quella del disonore ».
(*) La principessa
Clotilde cercò dapprima di resistere, e solo alla fine si piegò alle pressioni
di Cavour, che ebbe dal Re l'incarico di parlare alla principessa„ottenendone
l'assenso. La grandezza del suo sacrificio si potrà comprendere leggendo gli
scritti di due testimoni oculari che presenziarono alle nozze nella cappella
della S. Sindone. Il primo, il canonico Gazzelli racconta: «Ma vidi un
contrasto simile. Lei avvolta in candidi veli, meno bianchi tuttavia de] suo
pallidissimo volto, immersa in profonda orazione in atteggiamento di vittima
che si offra al sacrificio. Lui in piedi, con le mani dietro alla schiena alla
napoleonica, in aria distratta, stupito di trovarsi in una Chiesa, ammazzando il
tempo coll'osservare i monumenti ».
Il Conte Nicolis di
Robilant scrisse: « Durante la cerimonia, la distrazione di Lui, dello sposo,
era tale che non s'accorse nímmeno della domanda dì consenso rivoltagli dal
celebrante Mons. D'Augennes Arcivescovo di Vercelli. L'abate Gazzelli dovette
richiamare la sua attenzione e spiegargli di che si trattasse onde ottenere un
frettoloso - certainement oui oui - Detto il quale si, il PrmeilY completamente
ignaro dei riti della Chiesa si credeva di aver fatto tutto; e stava per
ricominciare l'ispezione della cupola del Guarini, maestosa nel suo barocco,
quando il canonico Gazzelli dovè richiamare una seconda volta la sua attenzione
per la cerimonia dell'unione delle destre e dell'anello». Tuttavia anche vicino
ad un marito del genere, Clotilde seppe vivere santamente ed elevarsi al grado
eroico delle virtù cristiane
(*) Un grazioso
acrostico dell'epoca, venne costruito sulle cifre dell’anno 1859.
Infatti queste cifre
(1+8+5+9) fanno 23 composto da lettere iniziali delle seguenti parole: Vittorio
Emanuele Napoleone Terzo Italia Tutta Redimeranno Eternamente.
I piemontesi riportarono le prime
vittorie a Montebello Vinzaglio e Confienza; dopo la battaglia di Magenta Vittorio Emanuele
e Napoleone entrarono a Milano.
Infine ecco la giornata di Solferino
e S. Martino, 24 giugno 1859, sul campo
sono il Re di Sardegna, l’imperatore dei Francesi e Francesco Giuseppe Imperatore
d’Austria.
La battaglia dura 14 ore
lasciando vincitori i franco-piemontesi. La vittoria della guerra sembrava
ormai vicina, ma Napoleone III all'insaputa dell'alleato firmava con l’imperatore
austriaco l'armistizio di Villafranca; le condizioni del suo impero, dove vivo regnava
il malcontento contro di lui e contro la guerra costrinsero ad affrettare il
ritorno a Parigi.
Vittorio Emanuele II
resistendo alle sollecitazioni di Cavour e tutti coloro che avrebbero voluto
spingerlo ad un colpo di testa, firmò l’armistizio sia pure con riserva e non ebbe
a pentirsene: la Lombardia, che l’Austria cedeva alla Francia, passò sotto lo
scettro sabaudo (*). Durante la guerra si erano intanto sollevate le
popolazioni del ducato di Parma, di Modena, del granducato di Toscana e della
legazione pontificia di Bologna, oltre a talune altre parti dello stato
pontificio. Dopo la pace di Villafranca i commissari regi colà inviati avevano
dovuto dimettersi ma le terre erano restate in armi chiedendo l'annessione al
regno di Sardegna. Cavour, tornato al potere dopo alcuni mesi di ritiro, chiese
ed ottenne da Napoleone III il consenso all'annessione in cambio della
cessione della Savoia e della contea di Nizza alla Francia e i baratti furono
compiuti nei primi mesi del 1860 nonostante che alcune proteste si levassero
in Parlamento, fra cui particolarmente violenta, quella di Garibaldi, nizzardo
di nascita.
Maturava intanto un'altra
impresa, di particolare importanza, la conquista della Sicilia, resa più facile
dalla morte del Re Ferdinando II e dall'ascesa al trono del giovane figlio
Francesco II. (*) Confidando nelle voci di rivolta in Sicilia, una
spedizione comandata da Garibaldi venne allestita con il segretario aiuto del
governo piemontese e 1087 volontari salpavano nel maggio del 1860 da Quarto,
presso Genova, nonostante la riluttanza di Cavour che invano aveva tentato di
dissuadere Garibaldi e di indurre il Re ad impedirgli di partire. La conquista
della Sicilia fu facile e compiuta in poche decine di giorni. Più lunga la conquista
del continente, mentre a Torino si cominciava a guardare con preoccupazione a
Garibaldi che autoproclamatosi dittatore avrebbe potuto anche cedere alle
suggestioni di Mazzini, mai sazio di cospirazioni e di intrighi e proclamare la
repubblica; il 7 settembre Garibaldi entrò a Napoli da cui il giorno prima era
partito Francesco II per chiudersi nella fortezza di Gaeta, il 10 il Governo
Sardo inviava un ultimatum al governo pontificio per ottenere lo scioglimento
dei corpi stranieri al servizio del Papa e il giorno dopo, prima che all'ultimatum
pervenisse una risposta qualsiasi, i soldati invadevano le Marche e l'Umbria
che in meno di un mese cadevano completamente nelle mani piemontesi, senza che
nessuna potenza d'Europa osasse andare oltre le proteste verbali. Vittorio
Emanuele, lasciata Torino il 29 settembre e entrato ad Ancona, il 15 ottobre
passava in territorio napoletano dove si incontrava a Teano con Garibaldi con
il quale entrava a Napoli il 7 novembre. L'esercito volontario garibaldino era
sciolto e la fine della guerra affidata alle truppe regolari; gli ultimi avanzi
della resistenza borbonica caddero ben presto: Gaeta il 13 febbraio 1861, poi Messina
ed infine il 21 marzo la fortezza di Civitella del Tronto. Il 18 Febbraio
veniva inaugurato il primo parlamento italiano, a Torino, e Vittorio Emanuele II
assumeva per sé e per i suoi successori il titolo di Re d'Italia.
All'unità mancavano però
ancora Venezia e soprattutto Roma che avrebbe dovuto essere la capitale e nella
speranza di conquistarle Vittorio Emanuele scese a fianco della Prussia, contro
l'Austria in quella che doveva essere la terza guerra d'indipendenza nel 1866.
Non fu una guerra fortunata per l'Italia che fu battuta a Custoza e a Lissa sul
mare, pure con la mediazione francese alla pace di Vienna, il 3 ottobre
1866, l'Italia ottenne il
Veneto in cambio dello sgombero del Trentino dove i cacciatori delle Alpi al
comando di Garibaldi erano riusciti a penetrare con successo.
Roma era ormai la spina e il
problema centrale del nuovo regno.
Napoleone manteneva ancora
delle truppe in difesa dell'ultimo resto del potere temporale dei Papi e benché
nulla gli sarebbe importato che esso crollasse definitivamente pure era
costretto a perdurare in un atteggiamento prudente per timore del
partito cattolico che in Francia era uno dei puntelli del suo trono e che era
incoraggiato dalla stessa Imperatrice Eugenia. Si era anzi cercato di venire ad
una regolarizzazione del problema con la convenzione del settembre 1865 per la
quale l'Italia si impegnava a non attaccare il territorio romano e ad impedire
anche con la forza ogni attacco contro dl esso; la Francia da parte sua avrebbe
ritirato le sue truppe da Roma entro due anni;
la convenzione sarebbe entrata
in vigore quando l'Italia trasferendo la sua capitale da Torino ad un altro
luogo, avesse dimostrato a tutti i cattolici di rinunciare per sempre a Roma.
In effetti nel 1865 la capitale veniva portata a Firenze, ma restavano in piedi
le pretese su Roma e il progetto di mettervi piede non appena gli eventi lo
avessero permesso; Garibaldi poi dal canto suo anche contro le truppe regolari,
tentò di conquistare la citta con i suoi volontari provocando gli scontri di
Mentana.
L'occasione favorevole si
presentò quando Napoleone III impegnato nella disastrosa guerra
franco-prussiana non potette più seguire le cose di Roma; il 3 settembre 1870
giunse a Firenze la notizia della disfatta napoleonica di Sedan e il 12 le
truppe entrarono nel territorio pontificio. Il mite Pio IX dispose che la
difesa dovesse « unicamente consistere in una protesta, atta a costatare la
violenza, e nulla più » e ordinava al capo delle truppe papali, generale
Kanzler «di aprire le trattative per la resa appena aperta la breccia»; tutto
avvenne quasi senza spargimento di sangue. Nel luglio dell'anno seguente Vittorio
Emanuele II entrava in Roma definitivamente, ponendo sede nel palazzo del
Quirinale.
Vittorio Emanuele II non visse
però a lungo, né potette assistere al consolidamento del processo unitario da
lui portato a compimento; giovane ancora a 58 anni, mori il 9 gennaio 1878 a
Roma, dopo aver ricevuto l'assoluzione dalle censure ecclesiastiche e i
Sacramenti della Religione. Al primo Re d'Italia furono decretati gli onori del
Pantheon, il grande tempio romano che custodisce da allora le tombe dei Sovrani
Sabaudi, e l'appellativo di Padre della Patria.
(*) La pace di Villafranca
provocò due violenti scontri fra Vittorio Emanuele e Cavour che avrebbe voluto
che il Re si rifiutasse di accettare la pace. Quella volta il Sovrano mostrò
più sangue freddo e più lungimiranza del suo illustre ministro, resistendo ad
ogni sollecitazione nella certezza che ogni atto inconsulto avrebbe avuto
gravissime conseguenze; della scena un interessante resoconto ci è stato
lasciato dall'amico di Cavour Nigra, che fu presente al colloquio.
(*) Francesco II era figlio di Ferdinando II e della
Venerabile Maria Cristina, figlia di Vittorio Emanuele I di Savoia, morta nel
darlo alla luce. Buono e di animo mite, nel brevissimo regno ondeggiò tra
l'influenza della matrigna Maria Teresa d’Asburgo e quella della moglie Maria Sofia
di Baviera. Dopo la resa di Gaeta si ritirò a Roma, dove visse nello splendido
palazzo Farnese, oggi ambasciata di Francia.
(*) Prima dell'ingresso
ufficiale, Vittorio Emanuele II pose piede in Roma il 30 dicembre 1870 per
soccorrere la città colpita da una violenta inondazione del Tevere. I giornali
dell'epoca fecero grande scalpore intorno a questo avvenimento gli uni
stigmatizzando i riguardi, a loro avviso eccessivi usati dal Re verso Pio IX,
gli altri censurando la venuta del Re come una grave offesa al Papa.