NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 26 febbraio 2023

Capitolo XXXIII: Ludovico, il legionario carlista

 




di Emilio Del Bel Belluz

 

Ripresi con solerzia l’attività di pescatore, da solo, perché Ludovico non s’era presentato da alcuni giorni e senza darmi preavviso. Mi rammaricai anche perché lo avevo già considerato un fedele collaboratore. La sua compagnia mi rasserenava, e anche a mia moglie era simpatico, e lo vedeva come una persona affidabile. Ludovico si trovava a passare un periodo piuttosto triste, causato dalla solitudine in cui viveva, anche se da parte mia avevo cercato di confortarlo, di considerarlo un camerata a cui, però, avrei potuto dare ancora molto di più. Dopo aver passato la mattina a pescare senza una gran fortuna, mi avviai verso casa, con quel poco di pesce che avevo catturato. Però avevo pescato una grossa trota che dopo averla pulita, l’avrei consegnata ad Elena perché la cucinasse. Da lontano scorsi il camino che fumava della mia casa, stava bruciando della legna di acacia, che al mattino avevo accatastato vicino alla stufa. Quella legna che bruciava era quella che il fiume mi aveva donato, lasciandomela proprio davanti alla riva, dove s’era creata un’insenatura. In quel momento sentii il suono delle campane che annunciavano il mezzogiorno. Quanto amavo quei dodici rintocchi, mi davano un senso di liberazione e per tanti pescatori e contadini erano l’invito a staccare dalle loro occupazioni e di andare a pranzo. Il vecchio campanaro Angelo era sempre puntuale, non mancava mai di suonare quelle campane che avevano anche annunciato festosamente la fine della Grande Guerra. Avevano suonato con allegria anche nel giorno del mio matrimonio, rimasto indimenticabile.  Quando giunsi davanti alla porta di casa, Elena mi era venuta incontro con allegria, e da quando aspettava una nuova creatura i lineamenti del suo volto erano diventati più dolci. Quando mi vide, mi chiese subito perché Ludovico non era con me. Allora mi propose di andare a casa sua a chiamarlo perché venisse a mangiare da noi. Aveva preparato un ottimo pranzetto che avrebbe arricchito con la trota.  Non entrai neanche in casa, lasciai il pesce a Elena e mi incamminai.  Non avevo molta strada da percorrere per arrivare alla casa di Ludovico, e se avessi preso quella scorciatoia che conoscevo bene, sarei arrivato in un lampo.  Durante la mia strada incontrai alcune persone che mi salutarono allegramente, pensai che fossero felici perché stavano raggiungendo la loro abitazione per pranzare. Erano contadini con il volto madido di sudore e sorreggevano la falce che avevano adoperato per ore sotto un sole cocente. Giunsi in prossimità della casa di Ludovico e mi meravigliai che le imposte fossero ancora chiuse. Pensai sia che fosse andato via senza avvertirmi, sia che gli fosse successo un malore. Bussai e gridai di aprire, e non sentendo nulla raddoppiai la mia forza, bussando come se avessi dovuto buttare giù la porta. Quando stavo per andarmene, sentii la sua voce che diceva che sarebbe uscito. Attesi ancora e nel frattempo un giovane che passava lungo il canale, sentendo le mie urla, si fermò pensando che fosse accaduta una disgrazia. Questo era un ragazzo che non avevo mai visto prima, aveva con sé una canna e alcuni pesci che aveva catturato. Il ragazzo si presentò e, nel frattempo, venne alla porta ad aprire Ludovico.  Il suo volto era pallido come quello di un morto, mi fece entrare in casa, e mi accorsi che alcune bottiglie di vino vuote erano sopra il tavolo. Ludovico non mi disse nulla, perché comprese che non ci voleva molto a capire cosa gli fosse accaduto. Mi confidò, senza molti giri di parole, la sua scontentezza che rasentava la disperazione per essere tornato in patria con una gamba mutilata, e per la paura del domani.  Lo invitai ad andare a lavarsi e togliersi i vestiti che puzzavano di vino, come pure tutta la stanza. Aprii le finestre per far entrare l’aria, la sua casa era disadorna e necessitava di pulizie a fondo. Me la ricordavo diversa, ma erano passati molti anni. La sua famiglia non c’era più, vidi le foto appese ai muri dei genitori e una di Ludovico con la divisa dei carlisti, e ciò mi emozionò.   Per un attimo pensai che una soluzione per lui poteva essere quella di trovare una persona che lo amasse e l’aiutasse ad uscire dalla crisi esistenziale che stava vivendo. Alla fine era un bravo ragazzo che dalla vita aveva ricevuto poco e meritava tutta la mia comprensione.  Quando tornò sembrava già diverso, e l’odore del vino era in qualche modo sparito. Gli dissi di fare presto a vestirsi perché l’avevamo invitato a pranzo. Ludovico si mise una camicia di quando era soldato in Spagna. Dopo una mezzora eravamo seduti a tavola. I bambini avevano già mangiato, solo Genoveffa e Elena avevano voluto aspettarci. Il pranzo preparato con dovizia da Elena soddisfò tutti. Non accennai a quello che era capitato a Ludovico. Alla fine del pranzo eravamo tutti più sereni. La giornata era splendida, il sole scaldava anche gli animi ed era giunta l’ora di riprendere il lavoro. Quello che mi entusiasmò, fu il vedere Ludovico salire in barca con un’espressione meno triste. Mentre calavamo le reti, mi rivolse tantissime domande sui segreti del fiume Livenza e sulle sue varietà di pesci. Lasciava trasparire una grande volontà di apprendere e ciò mi consolava enormemente. Quando raggiungemmo l’altra riva, decisi di portalo a bere un caffè in un’osteria a poca distanza da dove avevamo attraccato la barca. Uno scrittore aveva detto che nella vita si può sbagliare tante volte, ma se si comprende l’errore, è difficile che ci si possa ricadere. Dissi, in modo fraterno, a Ludovico che lo avrei aiutato a rialzarsi dalla situazione in cui si trovava, ma doveva pure lui fare la sua parte. Prima di tutto era necessario che ricominciasse ad avere fiducia in sé stesso e nelle sue capacità. La sua vita non era finita, gli sarei stato accanto ma spettava a lui il decidere tra il bene ed il male. Ludovico abbassò la testa, divenne rosso in volto: le mie parole lo avevano imbarazzato. In qualche modo doveva accettare la sua menomazione, e la pesca gli poteva essere utile per ritornare ad una nuova vita. Remava velocemente, grazie alla forza possente delle sue braccia. Quando giungemmo vicini all’osteria gli battei una pacca incoraggiante e fraterna sulla spalla. Ludovico mi sorrise, apprezzando il mio gesto. Entrammo e la moglie dell’oste si avvicinò con un boccale di vino rosso tra le mani, ma Ludovico ordinò solo una tazza di caffè. Prima del tramonto s’avviarono verso la barca. Gli consigliai di trovarsi una ragazza a cui donare il suo amore, e forse, in tempi non lontani, anche lui avrebbe potuto godere della gioia di avere una sua famiglia. Questa volta mi sorrise, ma disse che difficilmente avrebbe trovato qualcuna che lo amasse con la sua menomazione. Gli raccontai allora di una persona che avevo conosciuto, e che era relegata in una sedia a rotelle.  Costui, che doveva avere oltre cinquant’ anni, disse che aveva perduto in un incidente sul lavoro le gambe, ma aveva ritrovato la testa. La sua vita era cambiata in meglio, poteva fare tante cose che prima si sognava, come leggere dei libri che gli permettevano di andare in qualsiasi posto. Aveva anche un lavoro soddisfacente e pure una meravigliosa famiglia.  Ludovico non aggiunse nulla, sembrava che stesse meditando sulla storia appena sentita. Camminando a passo veloce, giungemmo a casa.

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