
NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.
martedì 27 settembre 2011
PALERMO, 16 – 22 SETTEMBRE 1866, I CARABINIERI DURANTE LA “RIVOLUZIONE DEL SETTE E MEZZO”.
Palermo, 18 settembre 2011. Si
tratta della insurrezione di Palermo detta del “Sette e mezzo” (perché durata
sette giorni e mezzo) dal 16 al 22 settembre 1866 contro la monarchia Sabauda
per la tentata restaurazione della monarchia Borbonica.
In questi giorno ricorre il 145°
anniversario della “Rivoluzione del sette e mezzo” in cui rimasero uccisi 42
Carabinieri. Dal 16 al 22 settembre 1866, a Palermo e in Provincia, vi fu una
sollevazione popolare che passò alla storia per la sua durata di sette giorni e
mezzo.
Fu una violenta dimostrazione e
battaglia antisabauda, avvenuta al termine della Terza guerra d’Indipendenza,
organizzata da partigiani borbonici, garibaldini delusi, réduci dell’esercito meridionale.
Tra le cause vi fu la crescente
miseria della popolazione, la vessazione dei funzionari statali sabaudi, che
consideravano quasi barbari i siciliani e vessatorie tasse introdotte.
Quasi 4.000 rivoltosi assalirono
Prefettura, Caserma e altri palazzi pubblici.
La città restò in mano agli
insorti e la rivolta si estese nei giorni seguenti anche nei paesi limitrofi,
come Monreale e Misilmeri: fu stimato che in totale i rivoluzionari armati
fossero circa 35.000 in provincia di Palermo. Dovettero intervenire le forze
armate mentre le navi della Marina Militare bombardarono la città:
intervenirono oltre 40.000 militari. Alla fine furono oltre 200 le perdite da
parte dello Stato, tra cui 42 Carabinieri, mentre non si conosce il numerodei
civili uccisi o giustiziati.
Nel 1866 il Corpo dei Carabinieri
nell’Isola era costituito in unica Legione, con competenza territoriale che si
estendeva per tutta la Sicilia – comandata dal Colonnello dei Carabinieri Reali
Edoardo Sannazzaro di Giarolle – ed era suddivisa nelle Divisioni di Palermo, Caltanissetta
e Messina.
La Divisione di Palermo aveva in
organico 793 uomini ripartiti nelle compagnie di “Palermo-Interna”,
“Palermo-Esterna”, Trapani e in 87 Stazioni.
Nei primi mesi del 1866, la
sconfitta di Custoza e il disastro di Lissa avevano scosso l’opinione pubblica
e in Sicilia si aggiungeva un certo sentimento di delusione verso il Governo di
Torino.
Di tale malcontento ne
approfittarono alcuni sobillatori e gruppi di malavitosi che si fecero
promotori dei moti popolari di Palermo, con la speranza che l’insurrezione si
sarebbe estesa nelle altre province siciliane.
Nella notte del 15 settembre 1866
i rivoltosi iniziarono ad affluire a Palermo con l’intenzione di impossessarsi
della città e travolgere le poche truppe di Presidio e di annientare i
Carabinieri che, come
sempre, si distinsero per
coraggio e zelo.
Il “Giornale di Sicilia” del 24
settembre 1866 scriveva: “A Misilmeri si commisero atrocità senza esempio e
senza riscontro negli annali della più efferata barbaria”.
Il 20 settembre, diffusasi la
notizia della rivolta a Palermo, i contadini di Misilmeri, guidati dai banditi
Domenico Giordano e Giovanbattista Plescia insorsero, assaltando la Caserma dei
Carabinieri i quali si rifiutarono di trattare con i ribelli, allora iniziò un
combattimento che durò 24 ore . I carabinieri, bloccati da tutte le parte ed
avendo consumato le munizioni, issarono – in segno di resa – una bandiera
bianca.
[...]
http://www.mnews.it/2011/09/18/palermo-16-22-settembre-1866-i-carabinieri-durante-la-rivoluzione-del-sette-e-mezzo/
Gli spagnoli preferiscono la monarchia
- AGORAVOX ITALIA
giovedì 15 settembre 2011
Nuovo aggiornamento del sito dedicato a Re Umberto II
Nell'anniversario della nascita di Sua Maestà Umberto II Re d'Italia riportiamo la prima parte di un'intervista del 1976 di Alfredo Ortoleva del 1976 rilasciata al settimanale "Gente".
Buona lettura!
www.reumberto.it/gente76.htm
Buona lettura!
www.reumberto.it/gente76.htm
Mostra sulla storia di Casa Savoia
Fivizzano, Palazzo Fantoni Bononi, fino al 25 Settembre

Da domenica 11 settembre 2011 a domenica 25 settembre 2011
Dove: Fivizzano
La mostra è visitabile all’interno del Palazzo Fantoni-Bononi, durante gli orari di apertura del Museo della Stampa (10.30-12.30 /15,00-18,00).
Palazzo Fantoni-Bononi Via Labindo 6, Fivizzano (MS)
e-mail: info@oalazzofantonibononi.it
www.palazzofantonibononi.it
sabato 10 settembre 2011
Addio Santi Patroni, festeggeremo santa Repubblica
"Non sappiamo ancora cosa sia successo nella votazione di ieri, né cosa succederà nelle prossime, tuttavia quel che scrive Padre Cristoforo è un discorso che fa riferimento ad una mentalità e non a un fatto puntuale"
Un moto di rabbia ha percorso le mie vene quando ho letto sui giornali che il governo (eletto col voto cattolico) voleva abolire la festa dei santi patroni, per ridare fiato all’esangue economia italiana. L’abolizione di un solo giorno festivo infrasettimanale, celebrato in giorni diversi in città diverse, avrebbe salvato l’Italia dal baratro del fallimento e da quelle schiere di sfaccendati (così poco “europei”…), che guardano i fuochi d’artificio e rischiano d’andare in chiesa ad accendere un cero. Ma la misura “moderna” avrebbe soprattutto accontentato il partito dei “laicissimi”, che invece ha difeso strenuamente le tre feste della religione del laicismo all’italiana. Salvate quindi tre feste. Quelle del 25 aprile e del Primo maggio, perché il governo di destra - forse afflitto da qualche complesso - non ha saputo resistere, quindi all’unanimità si è votato di mantenere il culto alle due feste “liberatorie”. Tuttavia lo sforzo di venerazione del dio-stato, l’unico santo protettore rimasto, s’è spinto oltre e ha salvato anche la festa più recente: quella di Santa Repubblica Atea, beatificata recentemente da quei logorroici pontefici laici, che di retorica ne hanno da vendere.
[...]
dal blog http://www.messainlatino.it/
giovedì 8 settembre 2011
I moderati oltranzisti che piegarono il Sud
Gli eredi di Cavour spietati contro
il brigantaggio Oltre gli stereotipi Il Regno delle Due Sicilie non era così
arretrato come lo si è dipinto: dopo il 1816 vennero compiuti alcuni tentativi
di rinnovamento Oltre il determinismo L' unificazione non era ineluttabile, era
un sogno e un progetto di gruppi politici che si concretizzò attraverso brusche
accelerazioni
Non
è vero che il Regno delle Due Sicilie nella prima metà dell' Ottocento fosse
una sorta di terra cara solo al demonio. Anzi, il regime borbonico «rinnovatosi
nel 1816 sapeva di dover evitare la contrapposizione tra le sue due nazioni,
quella borghese e quella popolare», e perciò «stette ben attento, anche su
pressione dei suoi sponsor europei, a che la restaurazione non si risolvesse in
un altro 1799, in un' apocalisse di stragi, tumulti, saccheggi plebei». Non è
vero che quello stesso regime fosse nient' altro che super reazionario. Anzi,
mise fuori gioco «gli ultras del legittimismo, e a maggior ragione molti degli
elementi di estrazione popolare mobilitatisi in suo favore nel decennio
precedente quali guerriglieri o briganti, e che si mostravano ora restii a
rientrare nell' ordine sociale». Il regno borbonico «si assicurò l' adesione di
un personale militare o in generale burocratico proveniente dal passato regime
murattiano, e di cui fu garantito l' amalgama con il personale che gli era
rimasto fedele negli anni precedenti». E in una logica «definibile in senso
lato, di omogeneizzazione nazionale esso mantenne in vigore le riforme del
decennio francese (1806-1815)». La monarchia sabauda nell' età della
restaurazione fu, quella sì, «codina e reazionaria». Non è vero che i liberali
meridionali dell' epoca si sentirono affratellati dalla comune fede politica
risorgimentale. Anzi, «si scontrarono, si danneggiarono gli uni con gli altri»
eccezion fatta per i momenti in cui dovettero subire la repressione della
restaurazione assolutista dopo il 1821 e il 1849. In Sicilia, il termine
«napoletano» era «aborrito» non meno di quanto lo fosse a Milano quello di
«croato». A Palermo si mantenne sempre viva «la rancorosa memoria del
tradimento borbonico del 1816, la protesta per il gesto tirannico che aveva
abrogato le libertà dell' isola, antiche e nuove». Sono parole di Salvatore
Lupo che si leggono nel libro L' unificazione italiana. Mezzogiorno,
rivoluzione, guerra civile , che sta per essere pubblicato da Donzelli editore.
Lupo parte proprio di qui, da ciò che rese possibile il successo dell'
impresa garibaldina. Cioè dalla dissidenza siciliana nei confronti del Regno
borbonico, dissidenza che si configurava anche come un conflitto tra Napoli e
Palermo, rispettivamente la più grande (322 mila abitanti) e una delle prime
(114 mila abitanti) città italiane: si pensi che il secondo centro abitato
della parte continentale, Foggia, contava appena 20 mila cittadini, mentre in
Sicilia ce n' erano altri due, Messina e Catania, che di cittadini ne avevano
40 mila. A Palermo, poi, le insurrezioni si ebbero in nome del ripristino della
Costituzione filo-aristocratica del 1812. Nel Mezzogiorno continentale i
rivoluzionari, invece, si mobilitarono per la Costituzione di tipo spagnolo,
cioè democratica, vale a dire quella concessa da Ferdinando I dopo la
sollevazione del 1820. Per di più le altre città siciliane erano schierate con
Napoli. «Fu guerra dei siciliani contro i napoletani», scrive Lupo, «e
guerra civile dei siciliani tra loro: alla fine giunse la reazione
assolutistica per tutti». Nel 1848 Palermo fu la prima città d' Europa a
imboccare la via della rivoluzione: avrebbe aderito anche a una Confederazione
italiana, purché - s' intende - in modo «del tutto autonomo da Napoli».
Ferdinando II concesse la Costituzione, poi fece marcia indietro e Messina fu
la città che si distinse per una resistenza davvero eroica. Ma, anche nella
stagione reazionaria che ne seguì, il re si affidò non già a superconservatori,
bensì a personaggi che si distinguevano per essere stati murattiani e
costituzionalisti: Carlo Filangieri, figlio del filosofo illuminista, Pietro
Calà Ulloa e Giustino Fortunato, prozio dell' omonimo meridionalista, che
tornerà nella seconda parte di questo racconto. Il libro di Lupo non si propone
di presentare al lettore rivelazioni o denunce. È piuttosto una rielaborazione
molto acuta di elementi alquanto trascurati dalla storiografia tradizionale.
[...]
mercoledì 7 settembre 2011
Un nuovo blog!
Segnaliamo e diamo il benvenuto ad un nuovo blog monarchico, questa volta declinato al femminile che è cosa veramente bella.
Invitiamo i nostri lettori a visitarlo :
http://monarchiapuntorosalucca.blogspot.com/
Il movimento monarchico irpino dal dopoguerra agli anni ‘60
Il primo baluardo contro la DC in Irpinia
fu innalzato sulle basi del movimento monarchico. L’area della destra conservatrice, negli anni del dopoguerra, offrì un’alternativa solida alla potenza schiacciante democristiana. Effettivamente si consumò uno scontro-confronto tra concezioni della società radicalmente opposte. |
In seguito all’esperienza del Blocco
Nazionale della Libertà prese forma l’idea restauratrice sfociata
nella nascita del Partito Nazionale Monarchico nel 1947, per
merito dell’onorevole di Bonito Alfredo Covelli. Si addensarono fermenti di
vario genere e di vario orientamento: l’unione fu impostata sull’effimera
speranza di un ritorno alla precedente forma di modello istituzionale.
Le elezioni del 1948 furono
contraddistinte per il forte consenso dei voti conservatori alla
democrazia cristiana.
Conclusa la campagna elettorale del 1948,
il PNM fondò il programma sulla differenza sostanziale dalla DC. Infatti,
un nucleo non marginale di voti ritornò ad dar manforte al partito covelliano.
La sconfitta del blocco comunista sostituì
il bisogno primario: le discrepanze si accentuarono e perdurarono. Iniziò
un duro testa e testa terminato con la vittoria dello scudocrociato.
I monarchici conquistarono ampie fette di
consenso tra i settori sottoproletari della provincia e grazie
all’ingresso di persone come Emilio D’Amore e Alfredo De Marsico acquistarono
una larga legittimità.
«L’interesse del mondo rimasto fedele a
casa Savoia – Scrive Giovanni Acocella nel suo libro Notabili,
istituzioni e partiti in Irpinia - l’opportunità di sfruttare uno
spazio di consenso, privo di referenti, resero possibile la nascita di un
partito che fondava le sue ragioni d’essere nella restaurazione
dell’istituto monarchico con le proposte sociali, ovvie e conseguenti, di
un movimento sostanzialmente conservatore. Del resto un’area di consenso si era
formata attorno al Blocco delle Libertà»
Il PNM vinse addirittura le elezioni
comunali ad Avellino nel 1952 con Olindo Preziosi e si radicò sul
territorio come unico antidoto alla DC. I risultati furono eclatanti: raccolse 4.998
voti (pari al 27,30 %) contro i 4.184 dell’avversario popolare (pari al 22,85
%); nei piccoli centri come Manocalzati, si sperimentò l’accordo tra PNM e MSI sulle
schede elettorali negli anni da sindaco di Giuseppe Del Mauro. Praticamente si
fecero le “prove tecniche” (a livello prettamente locale) per l’accordo
programmatico
dell’intera area di destra: i monarchici
confluirono all’interno del Movimento Sociale
nel 1972 per gettare le basi della Destra
Nazionale.
[...]
http://www.politicamagazine.info/Rubriche/SociologiaPolitica/Ilmovimentomonarchicoirpinodaldopoguerraagli/tabid/873/Default.aspx
lunedì 5 settembre 2011
La tresca fra Maria José e il Duce? Immondizia E' solo una patacca servita come ghiottoneria
Smentite le rivelazioni del figlio del capo del fascismo. Maria Gabriella di Savoia: "Per mia madre Mussolini era pacchiano, come sembrano esserlo alcuni suoi posteri". Sono finti scoop, ma il fango è vero.
La Principessa Maria Gabriella è fin troppo cavalleresca: quelle non sono semplici baggianate storiche; né gossip, pettegolezzo, ma qualcosa che assomiglia molto alla diffamazione.
Ecco i fatti: la scorsa settimana la stampa nazionale - e lo stesso Giornale ha ripreso brevemente la notizia - ha dato grande risalto a una lettera pubblicata dal settimanale Oggi: scritta nel 1971 da Romano Mussolini (il figlio del Duce morto cinque anni fa), rivelava una liaison tra Benito e Maria José di Savoia.
Non solo l’apodittico titolo del servizio del settimanale Oggi - «Maria José: sì, fu l’amante di Mussolini» - ha il tono di una sentenza inappellabile, ma nel dare grande evidenza al «documento storico inoppugnabile», ovvero alla lettera firmata da Romano Mussolini, il rotocalco rifila per verità storica e inoppugnabile anche il contenuto di quella missiva. Ma andiamo con ordine: nel luglio del 1971, il figlio del Duce scrisse ad Antonio Terzi, allora direttore di Oggi, raccontandogli - col tono dell’«Ah, ora che mi ricordo...» - che in casa si parlava spesso dei «rapporti sia politici sia sentimentali fra Maria José e mio padre». E che «mia madre a tale proposito è stata sempre, anche se con logici riserbi, assai esplicita: tra mio padre e l’allora principessa di Piemonte vi è stato un breve periodo di relazione sentimentale intima». Quella lettera, rimasta per quarant’anni tra le carte di Terzi, rispunta ora in qualità di documento storico e dunque prova inoppugnabile che Maria José e Mussolini furono amanti.
Se nel 1971, quando Oggi ci campava su Casa Savoia, Antonio Terzi - un «grande giornalista», come giustamente sottolinea l’autore del servizio su Maria José - rifiutò di dar seguito alle «rivelazioni» di Romano Mussolini significa che le ritenne immondizia, per altro non suffragata da uno straccio di riscontro. Lo stesso lerciume oggi è invece servito come una ghiottoneria storica dalla attivissima «fabbrica del fango», l’unica che al momento non conosce crisi né cassa integrazione. E se poi la palata di fango offende e ferisce i familiari dell’infangata, pazienza: il teatrino della diffamazione, della calunnia e dell’ingiuria non tiene conto dei danni collaterali e anzi, ci sguazza. Senza poi dire dello sprezzo del ridicolo: intendendo volare alto, sulle ali della Storia, l’autore dell’articolo che giustamente ha indignato la Principessa Maria Gabriella si spinge a interpretare le assai tiepide se non proprio nulle simpatie di Maria José per il fascismo come reazione di una donna scaricata - scrive proprio così, «scaricata», che penna... - da Mussolini. Trovando, va da sé, in Maria Scicolone maritata Mussolini una facile conferma alla cabarettistica dietrologia.
Altro ridicolo riscontro al «documento storico inoppugnabile» sono alcune pagine del diario sul quale Claretta Petacci appuntò il resoconto fattogli dal suo “Ben” di una visita alla famiglia reale a Castelporziano.
[...]
giovedì 1 settembre 2011
IL RITORNO DEI MONARCHICI
Che qualcuno si stia preoccupando?
Ampezzanus Maleficus per Dagospia
Caro Dago,
l’avventura ampezzana volge al termine. Martedì metterò il lucchetto al mio pagliaio, senza aver trovato il proverbiale ago, e col mio fagottino sulle spalle mi avvierò verso valle. Che tristezza, che voglia di restare ancora qui al fresco a vedere gli animaletti che prima corrono felici e poco dopo me li ritrovo fumanti nel piatto.
Ma nelle notti cortinesi, si è assistito a un altro fenomeno che mi ha un pochetto inquietato: il ritorno, prepotente, dei monarchici. Diciamocelo francamente, Dago, il pubblico di Cortina non è di destra, è a favore del re. Il che, in un momento in cui la classe politica latita come non mai, dà molto da pensare.
[...]
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