NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 24 giugno 2022

Le ragioni della Monarchia - VI



ORGANIZZAZIONE DELLA SOCIETA', DIRITTI E LIBERTA' IN UNA MONARCHIA TRADIZIONALE

L'ordine cristiano si basa su gerarchie sociali ognuna delle quali risponde ad un compito ben preciso. Ogni ceto ha i diritti ed i doveri, i privilegi e gli obblighi, che lo tutelano e gli rendono possibile di con­tribuire nel miglior modo all'ordinata esistenza della società. 

Valga per tutti l'esempio della aristocrazia. Essa come aristocrazia feudale e terriera godeva sí di privilegi, ma svolgeva un ruolo so­ciale insostituibile con obblighi gravosi. Basti pensare al dovere di fornire soldati quando lo richiedeva il Sovrano, al compito di difendere gli abitanti del feudo in caso di guerra, all'obbligo di sfamarli gratuitamente in occasione delle carestie. Lo stretto contatto tra Signore, villici ed artigiani creava un clima patriarcale di collaborazione tra i ceti e di solidarietà. Quando l'aristocrazia si trasformò in nobiltà cor­tigiana, per colpa anche del Monarca che voleva estendere il suo potere, cessando in gran parte di svolgere un ruolo insostituibile nell'or­ganizzazione sociale, allentando i propri legami col popolo, ma pretendendo di conservare o accrescere i privilegi di un tempo, la società organica divenne vulnerabile alle idee rivoluzionarie.

 

Nella Monarchia tradizionale i costumi, cioè la vita stessa, pre­valgono sulla legge, che alla vita si impone. L'assoluto predominio della legge, tipico del diritto romano, significa assoluta autorità dello Stato e quindi prevalenza della politica, spesso astratta e faziosa, sul vivere comune e naturale. Nella società tradizionale vi è il dominio del personale, del preciso, del naturale, e l'orrore dell'astratto, dell'arti­ficiale.


I diritti che si godono in una Monarchia organica, Rudyard Kipling, il bardo dell'Impero Britannico, li definisce in due versi: "Antichi diritti inavvertiti / come il respiro che traiamo". Immagine più eloquente di mille discorsi. Mi varrò di due lunghe citazioni per spie gare i concetti di libertà, eguaglianza e fratellanza in una società tra­dizionale.

 

Scrive Roberto de Mattei:"...Ogni società tradizionale importa la diversità tra uomo e uomo. E' la necessaria diversità tra ogni cosa finita e la misura della diversità del finito è data dal suo rapporto con il Principio permanente, con l'Essere. Ma realizza anche la vera uguaglianza che deriva dalla comune condizione umana di creature, dalla presenza in ogni uomo dell'Essere. Ogni società tradizionale realizza, inoltre, la vera fraternità, che è il legame che stringe tutti gli uomini rispetto alla comune paternità divina. Questo legame di fraternità unisce tutta l'umanità creata, non soltanto i vivi, ma i morti, e coloro che nasceranno, il passato e l'avvenire; è il rapporto degli uomini con tutti gli altri uomini, con il proprio sangue, in una parola con il proprio destino. Ogni società tradizionale realizza infine la vera libertà. Le libertà assoluta, come l'assoluta verità, é solo in Dio.

 

All'uomo, creatura imperfetta e finita, è dato aspirare solo a una libertà parziale, che sarà tanto maggiore quanto più vicino l'uomo sarà alla verità, cioè a Dio. Questa libertà, che è l'autentica libertà, è stata definita dai Padri della Chiesa come Libertas maior. Come Libertas minor è stato invece definito il libero arbitrio, la facoltà di scegliere o rifiutare la verità. La libertà cioè di essere liberi. Solo infatti quando l'uomo usi di questa facoltà per scegliere la verità realizza la sua libertà. Non esistono epoche o società che possono soffocare o modificare la Libertas minor, inerente come essa è alla condizione umana. Esistono bensì epoche o società che possono rendere più o meno facile la scelta della Libertas maior, della verità.

Ogni società tradizionale, dunque, in quanto fondata sulla verità, è l'unica realmente fondata sulla libertà e si può a ragione contrapporre alle società oppressive, sia che esse indirizzino l'uomo verso pseudo-verità, sia che esse, proclamandosi agnostiche, neghino la esistenza stessa di una verità" (25).

Augustin Cochin spiega, in maniera originale e penetrante, come si modifica il concetto di libertà con l'avanzare del processo rivoluzionario: "Abbiamo distinto tre atteggiamenti dell'uomo nei confronti della libertà, a seconda che vi tenda attraverso l'opera, l'azione o il pensiero verbale. Verità reale, di fede; verità attuale, di scienza, verità sociale, d'opinione. A questi tre tipi di conoscenza corrispondono tre ordini di gerarchia sociale, tre generi di autorità o di libertà.

a) Nella società reale, il cui regime sociale è l'idea-tipo, la libertà è un termine lontano quanto una conoscenza adeguata, ma ciascuno vi gode una libertà relativa, proporzionata al suo grado di essere. Tutti i gradi di essere sono possibili. Sotto il vecchio regime, non si diceva la libertà o il popolo, ma le libertà, i popoli. Ogni provincia, ogni città, ogni corporazione ha le sue libertà. Ve ne sono di ogni genere e di ogni misura; non esiste funzione pubblica che non abbia la sua carta costituzionale, e tutte variano, si sviluppano, si perdono. Quanto all'autorità, essa appartiene di diritto a coloro che trovandosi per casta o funzione più vicini all'idea centrale l'incarnano in qualche modo, agli occhi degli altri. In tutto ciò non v'è nulla di arbitrario o di tirannico. si tratta unicamente di legittime distinzioni, utili alla stessa libertà degli inferiori, poiché rivelando loro l'ideale comune, rendendoglielo sensibile e incarnandolo, li si aiuta a realizzare se stessi, li si affranca. Non si può dire che l'uomo di qualità, il nobile, sia un tiranno, non lo è come non lo è il maestro per l'allievo, anche se lo fa lavorare senza discussioni: lo sviluppa secondo il suo essere. Se il nobile comanda agli altri, è perché realmente si trova davanti agli altri sulla via per la quale tutti si sforzano di procedere. Egli incarna, letteralmente, la perfezione della razza, il tipo, l'idea centrale.

Come sempre è la fede che fornisce gli esempi supremi: “più ci si dimentica di se stessi, più si è se stessi: per trovarsi bisogna perdersi; perché il seme germogli, è necessario che muoia”. La libertà reale nasce dal progresso stesso dell'essere.

b) Il regime parlamentare ha prodotto un'altra libertà: una libertà legale, politica, civile. Non è una libertà di fatto, come la prima. è di diritto, riconosciuta e illimitata per principio, ma in realtà limitata da ostacoli materiali: può manifestarsi solo in certe condizioni, in certe forme, in certi momenti. L'insieme di queste regole è la Costituzione. Non esiste più padrone, ma esistono ancora dei rappresentanti, non più autorità, ma potere. Questa libertà corrisponde esattamente alla verità attuale così come l'abbiamo definita. E' la volontà attuale della maggioranza, un verdetto fittizio, in quanto, come la legge scientifica, costituisce una soluzione di compromesso, una media tra le volontà individuali, media però che è praticamente e provvisoriamente sufficiente per stabilire una regola comune, un governo materiale. Un tale governo, se ha coscienza della propria origine, sarà liberale, ossia si asterrà da qualsiasi intervento nel campo del reale, allo stesso modo in cui la scienza ignora lo spirito. 

c) li regime sociale, infine, è alla base di un terzo tipo di libertà, che non è più né reale né legale, ma sociale, poiché deriva dall'esistenza stessa dell'associazione. Gli associati sono liberi appunto in quanto, grazie   “esistenza della società che dà un valore a questo nulla, si sono uniti soltanto per parlare, e non per agire. È l'anarchia nel senso etimologico del termine: assenza di autorità. Non più ope­ra, e dunque non più convergenza reale, né padrone che incarni la realtà centrale, e neppure rappresentanti. La convergenza reale nella opera è esclusa per principio, giacché non accade nulla fuori dell'assemblea. tutto finisce con il voto. E quindi nella nuova città la libertà non ha restrizioni, così come il pensiero non ha impegni: un rappre­sentante è inutile, dato che non c'è da deliberare; un padrone è odio­so, perché non c'è da lavorare realmente e la sua autorità avrebbe una ragione d'essere unicamente se dovesse dirigere l'opera e lo sforzo reali. Nel mondo della libera discussione l'autorità può essere soltanto tirannia. Disgraziatamente, l'assenza di ostacoli è solo una condi­zione negativa. Dal fatto di non avere “né Dio né padrone” non conse­gue necessariamente l'essere liberi" (26).

In una società tradizionale si hanno dunque le libertà concrete e naturali e non la libertà astratta, con la cui concessione la società ri­voluzionaria vuol fare dimenticare la soppressione delle prime. "Nessuno nasce iscritto ad un partito", ma ognuno nasce in una famiglia, in un comune, appartiene ad una professione. Siamo chiamati a vo­tare su problemi enormi e globali e poi non possiamo dire una parola su una infinità di piccole vessazioni con cui il mastodontico apparato dello stato centralizzato ci opprime, riducendo al minimo l'autono­mia dei singoli e delle società naturali. Gravano su di noi obblighi sco­nosciuti fino alla Rivoluzione francese, come la coscrizione obbligatoria.

Soprattutto, in una società tradizionale non ci può essere assolutamente uguaglianza tra bene e male, libertà per l'errore; semmai solo tolleranza, se ciò serve ad evitare un male maggiore. Intossicati da quasi due secoli dalla mentalità liberale, dobbiamo fare uno sforzo per capire che come a noi oggi può sembrare una enormità quanto ho appena scritto, altrettanto assurdo sarebbe apparso nel Medioevo il sostenere che il male dovesse avere gli stessi diritti del bene. La dot­trina della Chiesa su questo punto è chiarissima, da S. Tommaso ("Ora se il fine della vita presente è di conseguire la celeste beatitudine, dovere del Re è di procurare in tal guisa la retta vita della moltitudine, che essa sia adatta a raggiungere tal felicità, e imponga ciò che conduce a detta beatitudine, proibisca ciò che l'ostacola" (27) a Pio XII ("Ciò che non risponde alla verità e alla norma morale non ha oggettivamente alcun diritto né all'esistenza, né alla propaganda, né all'azione" (28) 

In effetti tutte le società pongono dei limiti alla libertà, al male, all'errore. C'è l'aborto, si liberalizzano le droghe leggere e per uso personale, ma non c'è, ancora, la libertà di fare l'apolo­gia dell'assassinio, la libertà di commettere oscenità in pubblico, la libertà di commercio della droga, ecc... Se i rivoluzionari fossero con­seguenti alle loro premesse ideologiche, e infatti i radicali sono su questa strada, non dovrebbero porre alcun limite alla libertà di parola e alla libertà di agire singolarmente o in gruppo come più aggrada, purché non si coinvolga in tali azioni chi non lo desidera. E invece i limiti ci sono, per ora. Anzi, quando avviene qualche fatto sconvol­gente, ci si chiede se non bisognerebbe, per prevenirlo, educare e reprimere. Ma tutto resta come prima, perché la società rivoluziona­ria non si riconosce il diritto di educare, di prevenire, di reprimere. Al massimo, ipocritamente, essa evita il totale disfacimento vivendo di rendita sui valori che si sono salvati dalla Rivoluzione, come ha scritto Augusto Del Noce: "E' da notare come questa società soprav­viva soltanto per un tacito ricorso alle riserve di quei valori perma­nenti, sulla cui negazione pure si è edificata" (29).


25)     Op. cit., pp. 7-8. 

26)     In Meccanica della rivoluzione, ed. Rusconi, 1971, pp. 194-197. 

27)     De Regimine Principum, cit. in de Mattei, op. cit., pp. 52-53. 

28)     Discorso ai partecipanti al V Convegno Nazionale dell'unione Giuristi Cat­tolici Italiani, 6-12 1953. 

29)     In Eternità e storia, cit., p. 51.

 

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