Racconigi, un Paese di sogno
“Qui a Racconigi mi trovo benissimo. Più vedo
questo paese e più mi piace; siamo in mezzo al verde più completo e non lontani
dalle colline, e le Alpi si vedono lontane ma non molto. Vado riconoscendo i
dintorni a cavallo e in vettura; aspetto quanto prima un'automobile per
estendere ancora più le mie gite. La Città di Racconigi è piccola, e lontana
abbastanza dalle grandi città. La casa mia è abbastanza grande, vi è un
magnifico giardino a Parco di 184 ettari con laghi, canali; e piante ve ne sono
di ben 150 qualità e molte altre qualità ne farò mettere. Le proprietà mie
intorno a Racconigi sommano a 1300 ettari circa, e sono molto frazionate; poco
alla volta me ne rendo conto; ho il mio tavolino pieno di mappe, rilievi ecc.;
tutti i giorni giro mattina e sera per conoscere il mio; è tenuto con ben poca
cura; ma spero di rimettere ogni cosa a posto in un tempo relativamente breve;
delle proprietà private nostre nessuno si era seriamente occupato dopo Carlo
Alberto, mentre sono veramente meritevoli di cura, come le sole delle quali
posso liberamente disporre. Qui, nei sulè mort (cioè i sottotetti
NdA) ho trovato molti interessanti ritratti dei P(rinci)pi e delle P(rincipe)sse
di Carignano, e un bel ritratto del tempo della Duchessa Iolanda, moglie di
Amedeo IX. Questi ritratti sono subito stati messi in posti di onore”.
Così
il 25 luglio 1901 Vittorio Emanuele III descrisse al generale Egidio Osio, già
suo “Governatore”, il primo importante “impatto” con la sua “casa” a Racconigi, ove era da poco giunto con la
Regina Elena e la primogenita, Jolanda, per un soggiorno estivo. Gli dette
appuntamento a Roma per il 29, anniversario dell'assassinio di suo padre,
Umberto I, e aggiunse: “spero di poter rientrare qui il 31”.
A
Racconigi il trentaduenne re d'Italia era già stato almeno due volte. La prima
il 28 agosto 1893 con il ministro della Real Casa Urbano Rattazzi jr, il
generale Emilio Ponzio Vaglia e piccolo seguito. L'aiutante di campo Paolo
Paulucci delle Roncole (un po' pettegolo) annotò nel Diario che il Castello era
l'unica proprietà privata del sovrano con la Palazzina di Caccia di
Stupinigi. Vittorio Emanuele vi tornò
“in gita” il 31 ottobre 1898, quando fece una corsa da Torino, in un mese fitto
di viaggi da La Spezia a Monza, Torino e ancora Monza, Napoli e Roma (per la
“Commissione di avanzamento” dei gradi nell'Esercito) per rifugiarsi infine a
Montecristo, lontano dalla capitale.
Ubi Rex...
Per le vacanze estive dal 1901 alla vigilia
della Grande Guerra Vittorio Emanuele III scelse il Castello di Racconigi a
preferenza di altre residenze reali, come Castelporziano, San Rossore e,
s'intende, la Villa di Monza, che “chiuse” all'indomani del regicidio.
Ubi Rex
ibi Potestas con tutti i suoi “tentacoli”, la Casa Militare, la Casa Civile e
l'esercizio di prerogative e funzioni. Per alcuni mesi l'anno Racconigi divenne
la Reggia. Vittorio Emanuele III vi ricevette missioni di Stati anche remoti
(Siam, Giappone, Persia, Abissinia...), presidenti del Consiglio, ministri,
notabili, artisti e scienziati.
Nel
1909 il Castello fu scenario della visita in Italia dello zar Nicola II
Romanov, da anni programmata ma rinviata per gravi motivi: la guerra
russo-giapponese, la prima rivoluzione in Russia, la crisi del 1908. Arrivato
per mare a Marsiglia e proseguito in treno, lo “csar” (come all'epoca si
scriveva) arrivò in Italia da Modane-Bardonecchia. Vestiva “militare” come
Vittorio Emanuele III, che lo accolse alla modesta stazione di Racconigi il 23
ottobre 1909 e lo condusse in carrozza al Castello, in tempo per la prima
conviviale. Venne lasciata su altra carrozza la statuaria guardia del corpo,
due metri di stazza, mantello rosso sino ai piedi. L'incontro di Racconigi
suggellò la lunga svolta della politica estera voluta dal re d'Italia, che,
senza rompere l'alleanza difensiva con Berlino e Vienna, dal 1901 aveva avviato
relazioni nuove con Parigi e ribadita l'amicizia con la Gran Bretagna, meta del
suo viaggio di Stato nel 1903.
Nei
nove anni da quando l'aveva scelto per le vacanze, il Castello era migliorato
molto ma non aveva i fasti del Quirinale, del Palazzo Reale di Torino e di
altre splendide residenze “di Stato”. Però offriva il pregio più importante: la
sicurezza, garantita dal presidente del Consiglio e ministro dell'Interno,
Giovanni Giolitti, che stese all'intorno una cortina di vigilanza, tanto
discreta quanto impenetrabile. Il nonno dello zar, Alessandro II, era stato
assassinato dinnanzi agli occhi del figlio, Alessandro III, da una nobildonna
anarchica. Il padre di re Vittorio fu ucciso da Gaetano Bresci. Negli stessi
anni vennero ammazzati il re del Portogallo, presidenti di Francia e Stati
Uniti, primi ministri in Spagna e altrove…: tutti fautori di riforme. Che
strano. Stessa sorte toccò a Sarajevo il 28 giugno 1914 a Francesco Ferdinando
d'Asburgo che voleva ammodernare il vetusto impero d'Austria-Ungheria.
Per
ricevere degnamente Nicola II il re arredò il Castello. La regina Elena
conosceva bene la sontuosità dei palazzi imperiali della Terza Roma a Mosca e a
San Pietroburgo. L'Italia non poteva sfigurare. I giornali annotarono tutto:
“Continuano a giungere, inviati da Torino e da Roma, carri e furgoni carichi di
mobili e di oggetti d'ornamento. Mentre uno stuolo di operai, agli ordini dei
giardinieri più esperti s'adopera con tutta lena a spianare i viali del Parco,
a cospargerli di finissima ghiaia, a rimuovere aiuole ed a creare artistici parterre
di fiori, numerosi falegnami, tappezzieri ed elettricisti si avvicendano in un
febbrile lavoro di arredamento, o meglio di rinnovamento delle sale. Una ditta
di Torino ha inviato qui i suoi migliori e più abili operai, per surrogare
tutte le tappezzerie, tutti i tappeti, tutte le tende. È una profusione
spaventosa di mobili ricchissimi, di statue, di candelabri, di piante
ornamentali, di lampadine elettriche. Gli appartamenti del primo e del secondo
piano saranno tra due o tre giorni completamente trasformati. Questo
addobbamento speciale non è però destinato a rimanere ma è soltanto
provvisorio”. Chiacchiere, forse anche per depistare.
La
visita rimase impressa nella memoria di Umberto, all'epoca principe di
Piemonte, nato nel Castello il 15 settembre 1904. In un’intervista
rilasciatagli a Cascais il 4 novembre 1979 Lucio Lami ne pubblicò i ricordi:
“Rivedo poi, proprio come in una sequenza cinematografica, la visita a
Racconigi dello zar. Soprattutto la vigilia del suo arrivo, perché passai ore a
guardare un reparto di bersaglieri che provavamo la sfilata nel viale davanti
al Castello, quel bel viale con le piante di aranci. Ero anche affascinato da
un grande rullo compressore che andava su e giù sul piazzale, livellandolo a
dovere. Dello Zar ricordo perfettamente le mani inanellate; potrei riconoscerlo
ancor oggi dalle mani. Poi la sua giubba rossa e la sua voce. Parlava francese,
con noi, ma appena poteva preferiva l'inglese. Dal suo paese aveva portato per
noi ragazzi un giocattolo gigantesco, un intero villaggio russo riprodotto in
legno in dimensioni ridotte; relativamente ridotte, visto che le costruzioni
erano alte quasi mezzo metro. C'erano la chiesa, la casa del pope, le isbe, i
recinti. Tutto era contenuto in una grande quantità di casse che furono portate
in uno dei saloni del Castello, dove vennero aperte alla presenza di tutti.
Alcuni di quegli altissimi cosacchi che l'Imperatore s'era portato appresso si
misero all'opera per montarlo. Ricordo che lo Zar ci disse: Vi ho portato
questo dono perché impariate a conoscere la Russia e sperando che un giorno
verrete a visitarla”.
Mentre
i ministri degli Esteri dei due Stati mettevano a punto il Trattato che il 24
ottobre riposizionò l'Italia nel quadro delle Grandi Potenze, poiché la mattina
era nebbiosa il re sostituì la partita di caccia con una corsa in auto a
Pollenzo passando da Carmagnola,
Sommariva Bosco e Bra per far vedere allo zar il Castello, la vasta tenuta e le
rovine romane, l'anfiteatro e i ruderi di un tempio. Nel ritorno a una delle
due auto scoppiò uno pneumatico e i suoi occupanti fecero tardare il pranzo “di
Stato”.
Il Re, la Regina, la nazione nascente
Il
Castello fu anche luogo d'incontro tra i reali, la popolazione e visitatori di
tutte le classi sociali. Una volta la Regina Elena accolse a colazione una
moltitudine di donne e di ragazze “interessandosi specialmente di quelle più
umili e modeste, o meno fisicamente favorite dalla fortuna. A tutte faceva
coraggio, le invitava a mangiare ed a portar via senza soggezione quanto
avanzavano dalla lauta refezione. – Portate pure a casa – diceva; questa sera
avete poi già da far a merenda e la cena”.
A
Racconigi Vittorio Emanuele III alternò vita “pubblica” e “privatissima”.
Annotò: “Domenica la Regina ed io abbiamo celebrato il V° anniversario del
nostro fidanzamento con una bella passeggiata di 360 km per Cuneo, Tenda, et
Breglio. Siamo andati a Ventimiglia, poi lungo la riviera sino ad Oneglia, poi
per Pieve del Teco abbiamo passato il colle di Nava e per Garessio, Ceva,
Dogliani, Cherasco, et Brà, siamo tornati a casa; in 13 ore di gita”.
Lungo
il giorno il Re si occupava a lungo delle “questioni di Stato”, chiudendosi nel
suo gabinetto col generale Ugo Brusati, primo aiutante di campo, e con altri
segretari particolari, sbrigando la corrispondenza. Aprivano i grossi pacchi di
carte, specie del ministero dell'Interno, che anche due volte al giorno gli
venivano recapitati da Roma.
Quando
poteva, viaggiava in incognito. Un giorno partì dal Castello alle 4 del
mattino. Vestito in borghese con cappellino di paglia e accompagnato dal
generale Brusati si recò in phaeton guidato da lui stesso e scortato da
alcune guardie cicliste a visitare la Tenuta di Pollenzo per esaminarvi di
persona le migliorie. All'andata percorse la strada verso Bra sbucando presso
il Santuario della Madonna dei Fiori e transitò per Bra verso le 6. Alle 9
rientrò procedendo per strade di campagna, dalla Pedaggera alla salita del
gerbido, girando così intorno a Bra. Tornò a Racconigi per Cavallermaggiore,
deludendo le aspettative dei braidesi che, ormai avvertiti, lo attendevano
nelle vie Vittorio Emanuele e del Santuario.
La
mattina del 25 agosto, una domenica, per desiderio della Regina si tenne nel
parco una festa per i fanciulli delle scuole della Città e dei dintorni. Verso
le 9, narrano le cronache, gli alunni e le alunne (più di settecento) con i
rispettivi maestri e maestre accedevano all'interno del Parco Reale dalla porta
cosiddetta Torre Cinile, preceduti dalla banda della Società Operaia Umberto I,
che, non appena scorti i sovrani, i quali, per meglio vedere, si erano
affacciati da un ripiano dello Scalone, ha cominciato a intonare la Fanfara
Reale, mentre i bambini procedendo in fila gettavano mazzetti di fiori, omaggio
visibilmente gradito alla Regina. Al termine della sfilata tutti il direttore
didattico, cavaliere colonnello Luciano, pronunciò un discorso patriottico. La
Regina si intrattenne affabilmente con
i bambini degli asili e con le fanciulle. Il re, in bassa tenuta di generale,
fece altrettanto con gli alunni delle scuole elementari. La regina vestiva satin
gris perle con largo cappello. Ottenuto il permesso di prendere d'assalto
le due lunghe tavole, cominciò la vera festa mentre la banda eseguiva un
programma scelto. Un bambino lamentò con un “anziano” di non aver ancora bevuto
nulla; l'“anziano” provvide. Era Vittorio Emanuele III. Alle 11 iniziò a
piovere e ognuno tornò “a casa”.
Il
Castello era anche la “base” per salire nelle valli, in specie sopra Sant'Anna
di Valdieri o a San Giacomo d'Entraque, per pesca e caccia al camoscio. Ne
hanno scritto Walter Cesana in “I Savoia in Valle Gesso” e Alessandro e Simone
P. Milan in “Residenze Reali di Casa Savoia nel Distretto di Caccia di Valdieri
in Valle Gesso (1864-1943), libri “di nicchia”.
Il 28
agosto 1901 i sovrani andarono in automobile a Moretta per visitare il
caseificio dei fratelli Barberi. Ne accenna “Moretta. 120 anni di industria
agroalimentare” curato da Antonio Battisti, Maria Cristina Moine, Mario Piovano
e Domenico Podio per l'UniTre di Moretta (settembre 2021). Lì avveniva la
trasformazione della maggior parte del latte del circondario di Saluzzo: “Verso
le 9 (venne narrato) l'automobile reale si fermava nell'ampio cortile del
fabbricato tra la sorpresa degli operai presenti; discesone il re ha subito
pregato il proprietario, Attilio Barberi, venuto ad accoglierlo con alcuni
collaboratori, di non interrompere i lavori e gli ha raccomandato il silenzio
sulla sua venuta. All'interno gli augusti visitatori si sono molto meravigliati
delle potenzialità del macchinario, della modernità dei sistemi di lavorazione,
della finezza dei meccanismi delle scrematrici, su cui scorrevano continuamente
fiumi di latte, e della coagulazione del latte col caglio. Poscia i reali si
sono recati a visitare le stalle annesse al caseificio, dove sono allevati
migliaia di suini di tutte le razze. Terminata la visita il re si è congedato e
si è congratulato vivamente coi fratelli Barberi. Dopodiché la reale comitiva
si è diretta nuovamente verso Racconigi dove giungeva dopo le 10, ora in cui, a
causa della fiera nelle strade dove è passato l'automobile reale, cioè via
Regina Margherita, Piazza Carlo Alberto e via Umberto I, la molta gente venuta
da fuori ha salutato vivamente i sovrani visti per la prima volta. All'ingresso
ovest del parco reale detto Porta del Cinile le Loro Maestà e i principi sono
scesi dall'automobile e si sono recati facendo pochi passi al grande setificio
dirimpetto, detto Potagero, di cui è proprietario il cavalier Sacerdote, ivi
accolti dal direttore Giordano, anche se quasi subito è arrivato anche il cav.
Sacerdote prontamente avvertito della presenza degli augusti visitatori, ai
quali dopo averli ossequiati ha dato loro le più minute spiegazioni. Purtroppo
essendo la trattura della seta nella filanda ferma i reali si sono dovuti
accontentare di vedere in funzione la sola lavorazione nel filatoio che hanno
esaminato attentamente dal “baratrone” all'“incannatoio”. Al termine del
sopralluogo, gli operai e le operaie stupefatti della visita inattesa
prorompevano in una spontanea ed entusiastica acclamazione ai sovrani i quali a
loro volta hanno salutato operai e proprietario mostrandosi vivamente
soddisfatti”.
Una
decina di giorni dopo, la domenica 8 settembre, i reali andarono in treno a
Saluzzo per assistere allo scoprimento del busto in bronzo di Umberto I (oggi
nascosto in un “deposito”, come quelli di Carlo Alberto e di Vittorio Emanuele
II), opera dello scultore Leonardo Bistolfi, massone, molto apprezzato da
Vittorio Emanuele III. Era il coronamento delle feste per il terzo centenario
dell'annessione dell'antico Marchesato di Saluzzo ai domini di Casa Savoia. Poi
visitarono la Cattedrale, ricevuti dal vescovo monsignor Mattia Vicario, dal
capitolo e dal clero e il grandioso “Ospedale” Tapparelli d'Azeglio.
Erano anni
operosi, di progresso e di coesione civile nell'Europa della “Belle Epoque”. Il
“sistema” istituzionale, però, era e rimase un triangolo scaleno mentre
cresceva la tensione militare tra gli Stati. Anziché appagati dall'espansione
coloniale accelerata dal 1880 le maggiori potenze vennero travolte da un'onda
di ritorno che si ripercosse sui confini più fatiscenti, a cominciare
dall'impero turco, e nei Balcani sino a innescare la Grande Guerra. Tornarono a
soffiare inarrestabili venti di guerra. Anche l'Italia intervenne. A fine
maggio del 1915 da Roma il “re soldato” si trasferì a Martignacco, presso
Udine, in zona di operazioni. Poco a poco Racconigi perse il rango di “capitale
estiva” del Regno d'Italia.
Nei
quarantasei anni di trono Vittorio Emanuele III visse per l'Italia, uno Stato
che da appena trent'anni aveva Roma capitale quando egli ereditò la Corona, un
Paese che nel suo mezzo secolo di regno ebbe alleati, ma nessun vero amico.
Nessun commento:
Posta un commento