NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 17 ottobre 2017

Una politica per i giovani


Premessa.
Nel  novembre  1954  a  Napoli, nel teatro  San Ferdinando  si  tenne  il  congresso nazionale  del  Movimento Giovanile del  PNM  che  vide  la  vittoria  della  segreteria  uscente, mentre  l'opposizione  che  aveva  nel  gruppo  romano il suo fulcro, di  cui  era  leader  Carlo  Alberto D'Elia, fu  sconfitta. 
Poco  dopo  due  anni  la  segreteria  gettò  la  spugna ed  indicò  il  successore  proprio  in  un  esponente  della  opposizione  e  la  storia  del Movimento Giovanile, almeno  per  alcuni anni  cambiò.






(Precisazione storica dell'Ingegnere Domenico Giglio, letteralmente ed affettuosamente obbligato a scriverla dallo Staff ).



Un problema tuttora insoluto dal PNM

Per una politica interclassista, bisogna rendersi conto che il moto risorgimentale passa dalla rivoluzione borghese alla rivoluzione proletaria – Ci occorre non più la nostalgia del Re sul cavallo bianco, ma la fiduciosa speranza del Re pensoso e operante fra i concreti problemi del Suo popolo.


Enunciare e perseguire una politica giovanile, una politica per i giovani, è postulato comune a tutti i movimenti che si pongano, sia pure democraticamente, su posizioni rivoluzionarie rispetto allo Stato.
Il Partito Nazionale Monarchico è certo un movimento rivoluzionario, in quanto propugna un mutamento istituzionale ed una revisione costituzionale unitamente al rinnovamento dei valori, oggi obliterali, tradizionali della Nazione.
Il P.N.M., però, è forse l’unico partito che non svolga una politica giovanile, né questo deve  sorprendere, se si tengano presenti alcune sue manchevolezze, di cui dovremo emendarlo.
Il giovani vivono di grandi ideali, e la Monarchia è un ideale altissimo, in verità; ma gli ideali che muovono le grandi masse ed, alla loro testa, la gioventù sia lavoratrice che intellettuale non appartengono mai alla specie delle nostalgie, perché i popoli camminano sempre avanti, col progresso e con la Storia.
E, dunque, in senso decisamente avveniristico va impostata ogni politica del
genere, tenendo a tal fine presente la necessità di guardare le azioni contingenti da un più elevato piano speculativo e teorico.
Si tratta di comprendere che, in nome dello stesso ideale liberale, la rivoluzione borghese di ieri diventa la rivoluzione proletaria, e che l’amore per la libertà non subisce arresti, ed oggi scopre nuovi orizzonti per dare tuia dignità ed un volto alle masse popolari, solo teoricamente libere ed in parità di diritti.
Bisogna credere in una Monarchia che - seguendo ed, anzi, favorendo, questa evoluzione del Risorgimento - assuma compiti nuovi (ma analoghi a quelli del
passato) nella vita del popolo italiano, e garantisca non solo le libertà spirituali, ma anche quella fondamentale dal bisogno, inserendosi moderatrice ed arbitra nel processo di chiarificazione politico-sociale, così come sempre assolse tale compito fra gli italiani, repubblicani e monarchici, in una Italia giovane ed in formazione.
Proiettiamo nel futuro la funzione della Monarchia, richiamando dai nostalgici sospiri, la figura del Re, non più sui cavalli bianchi ma fra i concreti problemi del suo popolo; avremo affermato la vitalità dei nostri principi, e non per l’anno 1954, ma per la Storia.
Questa è l’impostazione di cui difettiamo. ..
A questo punto ci si potrà rispondere: E cosa ha fatto il Movimento Giovanile del P.N.M., che di queste ansie e di questi interessi dovrebbe essere l’interprete più entusiasta e fedele, per sensibilizzare gli esponenti del Partito in questo campo, o per farsi propugnatore esso stesso di una efficace azione politica nel senso desiderato?
Il Movimento Giovanile o, meglio, i suoi eterni dirigenti non ha fatto mai nulla è vero, ed hanno dimostrato, al Congresso Nazionale Giovanile, un tale disinteresse in materia da non autorizzare previsioni rosee per il futuro.
Ma il discorso, iniziato in clima non idoneo a Napoli, lo proseguiremo fintantoché le nostre idee e le nostre concezioni non avranno avuto ragione dei personalismi e del loro intollerabile nullismo politico.
Questa situazione, però, non può e non deve arrestare l’opera di chiarificazione ideologica e sociale del nostro Partito, al quale quindi, s’impone una svolta anche per quanto concerne i problemi della gioventù.
In particolare riteniamo che si debba affermare l’estensione dei fini educatori dello Stato, il quale deve provvedere anche all’istruzione dei giovani operai ed artigiani, giacché gli oneri derivanti ai privati dalle vigenti norme sull’apprendistato sono eccessivamente gravi, ed a tutto danno dei lavoratori che non vengono assunti per il peso antieconomico di cui finiscono per gravare l’azienda.
La mano d’opera italiana è in preoccupante invecchiamento, mentre l’artigianato è in piena crisi per mancanza assoluta di giovani apprendisti. Questi sono problemi non solo delle classi popolari, non solo dei giovani: sono problemi dell’industria e dell’artigianato italiani, sono problemi nazionali.
Ed il nostro Partito — così come per la sua qualifica nazionale non può più esimersi dal prendere posizione — è per le medesime ragioni il più qualificato a coalizzare datori e lavoratori, categorie opposte e singoli, nell’interesse del Paese.
Ma questa particolare funzione va assunta non solo nel campo del lavoro, ma anche in quello dello studio.
La scuola italiana, infatti, indirizza ogni anno falangi di giovani alle Università, inasprendo vieppiù la paurosa situazione di disagio che nel Paese determina un numero elevatissimo di laureati disoccupati e senza speranza d’assorbimento, cui vanno sommati gli innumerevoli laureati soggetti per fame a forme di sottoccupazione.
La rivalutazione dei titoli di istruzione tecnica s’impone come spontaneo calmiere al sovraffollamento degli Atenei, e così la limitazione dei concorsi cui partecipare col titolo di laurea. E’ necessario educare gli italiani a considerare cosa non disonorevole la mancanza della laurea e, insieme, cosa molto onorevole un titolo tecnico che qualifichi per un brillante avvenire. Le Università, dal canto loro, non si dovrebbero limitare a sfornare dottori, ma dovrebbero offrire anche un minimo di pratica professionale, della quale spesso i giovani nella vita si mostrano così sprovvisti.
Ed è in questo campo, ancora ima volta, che la nostra azione politica e propagandistica può aprire gli occhi alla cecità dei nostri alti capitalisti, per far loro comprendere l’utilità per tutti e l’interesse proprio per poter contare su una classe dirigente più preparata e selezionata, conscia dei propri doveri verso una società che ha saputo educarli. Questo all’estero non è una favola, è la realtà di grandi fondazioni scientifiche comprendenti intere Università.
Anche per la gioventù delle campagne, infine, sarebbe doveroso che lo Stato propagandasse e diffondesse l’istruzione agraria, sia per il conseguimento di licenze inferiori che per corsi d’istruzione più, diciamo così, elementari: oggi l’agricoltura è impostata scientificamente, ed i contadini devono sapere ciò che occorre alla terra e conoscere le loro macchine.
Troppo dovremmo dire, e lo spazio ci manca.
Ma a Milano siamo certi di smuovere le acque fattesi stagnanti, siamo certi di segnare un nuovo indirizzo. E per questo ci batteremo senza esitazioni, certi come siamo di essere gli interpreti delle aspirazioni, consce od inconsce, degli italiani e, soprattutto, dei giovani italiani.

Credono per loro Patria e per il Re, sì; ma anche per il loro avvenire e per un domani di giustizia e di libertà.

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