NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

mercoledì 24 maggio 2017

Il primo soldato d'Italia - I parte

Dal Corriere d'Italia
Corrispondenza di ROBERTO CANTALUPO

IL PRIMO SOLDATO D’ITALIA
Il  primo soldato d’Italia : quello che non ha lasciato inesplorato un solo settore della vasta frontiera che avanza, che dovunque è passato coraggioso e sereno, che non ha un’ora per il suo riposo, non una tregua per la sua ansia, non una casa per le sue notti; che passa dal campo di battaglia all’ospedale, stringe le mani con gratitudine ai cappellani e, fiero e commosso, bacia sulla fronte i soldati che hanno il corpo sanguinante per essersi valorosamente battuti; quello che è avanti a tutti i generali, che assiste al guado di tutti i fiumi, alle scalate di tutti i monti, all’avanzata su tutte le pianure; che ha per i combattenti le parole più ferme e più paterne, che ama ugualmente tutti i soldati fin l’ultimo fantaccino, che non permette che essi abbiano un disagio o una sofferenza non necessaria; quello che conosce ogni cannone e ch’è il primo a porre piede in una posizione occupata, su un forte smantellato, e che è a cinquanta metri dal campo dove si combatte, e che mai si ferma e non d’altro vive che per i soldati o con i soldati; quello che per le truppe è il padre, per gli ufficiali il fratello, per tutti quelli che nel nome benedetto d’Italia sono armati è l’esempio mirabile e stupendo del coraggio, del sacrificio, dell’eroismo; che ha già la sua tenda in ogni accampamento, il suo cavallo dove un reggimento passa, la sua mensa modesta dove un bersagliere vuota la sua gamella; quello è il primo soldato d’Italia: il Re.

Dovunque.

Egli è veramente dovunque.
Questa lettera non ha data. Viene da ogni settore del fronte, da tutti gli attendamenti, da tutte le cime. Dovunque l’ho visto durante questo primo mese di guerra vittoriosa. La sua figura agile mi apparve una prima volta oltre Cormòns, nella stupenda pianura che conduce all’ Isonzo più basso. Fermo su un poggiuolo, rigido e immobile in posizione d’attenti. Il profilo netto della sua persona si disegnava preciso contro il cielo. Un reggimento d’artiglieria da campagna passava. Il Re assisteva alla corsa dei suoi uomini e dei suoi cannoni. Per mezz’ora la sua mano rimase ferma e immobile al berretto. Ufficiali e soldati lo riconoscevano solo quando erano a pochi passi; poiché il polverone era denso. Grida improvvise di sorpresa e di entusiasmo si levavano dal convoglio fragoroso. V’era chi vedeva per la prima volta il Sovrano. Viva il Re! Savoia! La guerra friulana echeggiò a lungo dei magnifici evviva. Il reggimento andò alla vittoria con l’augurale saluto del Re.
Lo rividi ai primi di giugno, su un altro campo della stessa guerra: tra i monti acuminati od armati del Trentino. La piccola automobile grigia s’era fermata alla fine di una villetta ai piedi di un erto monte. Non poteva proseguire. L’ascesa era ripida. Dopo due minuti di osservazione del terreno, il Re discese. Un bersagliere ciclista si precipitò sulla sua macchina per la valle, e ritornò poco dopo su un bel cavallo. Un generale che accompagnava il Sovrano riuscì a procurarsi in pochi minuti un altro cavallo da un carabiniere che perlustrava la zona. E per l’erta cresta del monte il Re spronò il suo cavallo, seguito dal generale. Rimasi giù, finché le due figure scomparvero fra gli alberi. Era indicibile la commozione dei soldati ch’erano accanto a me, vedendo il Re d’Italia che correva, correva verso l’altissimo accampamento alpino per andare a trovare i suoi soldati.

Sotto il temporale.
Ancora una volta l'ho visto al confine carnico-cadorino. Veniva da Belluno in automobile, col desiderio di proseguire per l’alta montagna. Una breve sosta fu fatta in un piccolissimo villaggio delizioso, al principio del costone del monte. Ma i contadini consigliarono al « Signor Generale » di fermarsi in paese, se non voleva restare a mezza via: un grosso temporale estivo si precipitava velocemente sul monte. Avanzava dall’opposta pianura, aveva già dato al cielo il tono cupo della minaccia che non manca al suo scopo, ed era lì lì per rovesciarsi. Il Re si spinse a piedi fin dove poteva vedere più ampia la distesa del cielo: un temporale, null’altro. Erano le cinque. Si poteva proseguire. A 1500 metri c’erano gli alpini, un grosso reparto isolato col suo dovere faticoso fra le cime ancora nevose.
Il desiderio di correre a confortare quei ragazzi era troppo forte.
A cavallo, accompagnato dal suo generale, il Re si slanciò a galoppo, per la magnifica strada alpina, incontro alla tempesta imminente ed ai suoi soldati che non conoscono la stanchezza. Il Sovrano era nella sua semplice tenuta grigio-verde e senza mantello. Il freddo montanino si faceva sentire penetrante e molesto. Ma i due cavalli, spronati, continuavano ansimanti la galoppata sulla pendice.
Per fortuna la via, per quanto stretta, era assai ben battuta e, per i suoi larghi giri, più lunga ma meno ripida.
Riuscì possibile così mantenere un passo veloce e costante. Aizzati ed eccitati dalla temperatura notturna della montagna, con l’istinto che li guidava al riposo, i cavalli non si fermarono un momento. Alle otto della sera, mentre la cima del monte era ancora chiara per gli ultimi riflessi, il Re si fermò in mezzo agli alpini ed il temporale scoppiò con tutta la violenza con cui s’era annunziato. La pioggia scrosciò turbinosa, il vento ululava con rabbia, la grandine cadde a picchiare con furia ostinata sulle tende o sullo casse da campo. Una musica fantastica o irregolare segnava il tempo all’uragano in montagna.


Il capitano comandante della compagnia cercò per il Re un rifugio al sicuro dalla tempesta. Ma non c’era altroché una tenda, una semplice tenda come le altre. Il Re vi entrò subito e chiese di cenare.

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