NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

lunedì 26 aprile 2010

La resistenza monarchica in Italia II parte


Il testo della I parte si torva al seguente link
http://monarchicinrete.blogspot.it/2010/04/la-resistenza-monarchica-in-italia.html


Napoli combatte, non tende agguati, Napoli si manifesta generosa ed eroica e concorda la intesa con il primo tedesco che in Italia alzi bandiera bianca per parlamentare. Ma ormai le truppe alleate avanzano e rimane libero quel territorio dell'Italia del Sud che consente la continuità dello Stato e l'esercizio della Sovranità del Monarca, il Monarca che questo Stato rappresenta ed impersona, di S. M. Vittorio Emanuele III il vecchio e grande Re di tutte le conquiste e di tutti i progressi, il vecchio e valoroso soldato che ebbe fede nel popolo italiano come a Peschiera e come mai nessuno aveva avuto con tanto amore, con tanta partecipazione, con tanta lucidità di visione e bellezza di speranza.


L'Italia dunque è in piedi, qui nel Sud, con il suo Re, qui dove per prima nei millenni che furono, nacque il nome Italia e risalì nelle terre e nel tempo con il sudore e la gloria di generazioni e generazioni; qui nel Sud era in piedi l'Italia pur tra le rovine e le sofferenze, ma salda nel suo spirito di ripresa e tendente come un tempo ad abbracciare e riunificare tutto il popolo.

Dopo la gloriosa vampata di Napoli, la resistenza assume, come dicevamo, altri aspetti, mentre va manifestandosi, subito dopo l'armistizio, e poi sviluppandosi per arrivare gradatamente ad un coordinamento e ad un più preciso collegamento con il comando militare Anglo Americano. Nella resistenza, che alla fine del 1943, dopo l'afflusso seguito alla chiamata alle armi, nel territorio semi occupato dai tedeschi, raggiungeva circa quattromila uomini in tutto, prevale l'elemento monarchico, che si organizza chiaramente come tale, in tante bande autonome. Sono tutti soldati ed ufficiali provenienti dai reparti che si sono sciolti e nel Piemonte, sopratutto dagli uomini della IV armata in ripiegamento dalla Francia; sono giovani sottrattisi alla leva che li mette al servizio del tedesco occupatore, che essi non accettano guardando al Re che è lo Stato ed è nel sud; sono elementi che perseguiti o minacciati di utilizzazione a fini che considerano antiitaliani, si allontano dalle città per la montagna o si nascondono nelle stesse città e si tengono uniti. Queste bande sono autonome e numerose e conducono alcune imprese come quella di Boves con spirito risorgimentale e con la spregiudicatezza dell'arditismo, il che le espone a perdite e distruzioni varie, sicché si sente il bisogno di una condotta che sia più protetta, coordinata ed efficace, dando così credito a ciò che chiedono alcuni gruppi di comunisti le cui bande, sommate, sono in quel momento numericamente inferiori, e nettamente, alla somma di tutte le altre formazioni autonome. E' il metodo comunista che attraverso la organizzazione, la partecipazione, la unificazione mira ad assumere il controllo della attività partigiana, per potersi trovare dominante e possibilmente solo al momento dell'arrivo delle truppe Alleate, onde trasformarsi in esercito nazionale ed assumere il potere politico. Era questo ciò che temevano gli Anglo Americani, i quali non erano disposti a far la guerra per consegnare l'Europa alla Russia e sapevano bene che la Russia era dietro a tutto questo, e che usando le situazioni ed i motivi vari della resistenza introduceva in essa la accentuazione della organizzazione di tipo militare attraverso il partigianesimo, sempre più e sempre meglio organizzato, assumendo in seno allo stesso una preminenza sempre più chiara e sempre più totale. Lo sapevano gli Anglo Americani e lo fecero intendere agli altri partiti, e fecero sì che nel 1944 i Comitati di Liberazione Nazionale oltre a completarsi con un Comitato di Lib. Naz. Centrale ed uno Alta Italia precisassero sempre più il loro carattere politico e si distinguessero dal partigianesimo del quale invece si accentuava il carattere paramilitare, costituendolo in corpo volontari della libertà con un comando autonomo affidato ad un generale dell'esercito, il generale Cadorna. Ovviamente ciò non era gradito ai comunisti la cui lotta non era nazionale, non era per l'Italia, non traeva motivo dalla illegittimità delle posizioni e del comportamento germanico, come per i monarchici, ma aveva una esclusiva motivazione politica, ideologicamente collegata a Mosca, e dalla Russia utilizzata per raggiungere, attraverso le lotte degli altri, gli obiettivi propri di dominio. Logico quindi che i comunisti si opponessero come potevano, e la loro opposizione non fu senza risultato poiché ottennero che Vice comandante fosse un loro elemento, mentre un altro vice comandante per bilanciare quello comunista viene attribuito al Partito di azione, che aveva i propri gruppi, Giustizia e Libertà, anche essi autorevoli, sia per il coraggio dimostrato, sia per le perdite già subite e sia per la partecipazione di elementi borghesi di prestigio, della città, capaci di farsi valere con maggiore autorevolezza, appoggiati anche dagli americani. I due vice furono Longo per i comunisti, e Parri per il Partito d'Azione. I comunisti mantennero un rapporto più stretto tra Comitato di Liberazione e Corpo Volontari, cioè tra politica e aspetto militare, coltivando la speranza di rimontare a quella situazione unitaria che con questa organizzazione si tentava di dividere proprio per evitare il graduale impossessamento da parte comunista. L'obiettivo di impossessarsi dell'Italia, determinò anche le molte azioni ed i conflitti tra bande partigiane comuniste e bande non comuniste, specialmente colpite le più deboli, mentre le più piccole venivano assorbite e si dichiarava dai comunisti che nelle brigate Garibaldi, così si chiamavano le loro, potessero affluire anche i non comunisti, ai quali peraltro era fatto un trattamento intollerabile. A volte si servivano anche di ufficiali dell'esercito, che usavano solo tecnicamente, affiancando ad essi i commissari politici per sorvegliarli ed impedire che assumessero un ruolo di comando più efficace e autonomo.

Il metodo era quello affermato da Lenin e insegnato dalla Centrale Russa: fare qualunque accordo per evitare avversari e concorrenti, assorbendone le possibilità attive per poi eliminarli al momento opportuno, rimanendo soli e padroni del campo.

La necessità di contromanovra dei veri italiani che operavano, non per la parte, per il partito, ma per la Patria, il Paese, coincideva con le esigenze e la politica degli Anglo Americani e fu quindi pensata, appoggiata, organizzata con la necessaria sapienza, avendo presente che dei comandi congiunti Alleati faceva parte, e non senza peso, la Russia sovietica.

Gli Inglesi, non potendo impedire il partigianesimo, che si organizzava e sorgeva come abbiamo visto da condizioni obiettive e spontanee, trovarono invece più opportunu intervenire ed interferirvi per dare ad esso una fisionomia comune, riconosciuta da tutti gli alleati, e non dipendente dal solo russo; stabilirne un certo carattere esclusivamente militare e non politico, precisando i compiti dei comitati di liberazione e costituendo il Corpo volontari della libertà, fatto questo che consentiva di considerarne adempiuto il compito al momento della fine della guerra e ne giustificava lo scioglimento nonché il ritiro delle armi, come in effetti fu fatto; per consentire inoltre un controllo continuo ed una certezza di apoliticità, affidando il comando principale ad un soldato, il generale Cadorna, e mantenendo una opportuna vicinanza ai reparti, attraverso ufficiali inglesi ed americani in qualità di consiglieri militari, quasi sempre paracadutati; per avere altra possibilità di controllo e di riequilibrio tra le stesse formazioni partigiane - quelle comuniste e quelle non comuniste - attraverso il lancio dei rifornimenti e attraverso l'invio di cento milioni mensili in moneta italiana. Naturalmente i Russi non potevano opporsi a questa valorizzazione del partigianesimo la cui attività veniva elevata al rango militare, organizzata e coordinata ai comandi interalleati come forza ausiliaria. In realtà l'ausilio dei sabotaggi alle vie di comunicazione tedesche, c'era ed aveva sovente importanza notevole, anche se ai partigiani venivano a volte attribuiti alcuni di questi sabotaggi che invece erano dovuti ad elementi della polizia o di altri uffici della Repubblica Sociale.

Non si opponevano i Russi e suggerivano una condotta conforme ai Comunisti italiani senza peraltro rinunziare alla costante della loro azione che, svincolata da ogni moralità, volta per volta manca alla parola, massacra innocenti e gli stessi partigiani se non comunisti, spara su inermi e su gente che ha fatto il proprio dovere, solamente per affermare, col terrore, alcune imposizioni proprie; saccheggia e ruba. Non includo le armi e i viveri dei depositi che possono considerarsi in qualche modo come preda e che comunque erano richieste dalla situazione anomala.

Intanto al centro, al Comando, del Corpo volontari per la Libertà, il vice comandante Longo avvalendosi del fatto di essere anche componente del Comitato di Liberazione alterava facilmente nella esecuzione, le disposizioni politiche, con riflessi alla periferia più utili alle divisioni comuniste; spesso arrivavano a queste somme di danaro e mezzi inviate ad altre formazioni non comuniste. Altro passo notevole contro l'Italia veniva compiuto dai comunisti con l'accordo delle brigate Garibaldi con l'esercito jugoslavo di Tito il quale ebbe così possibilità di infiltrazioni, di predominio e di strage nella zona di Trieste e nella vicina zona della Venezia Giulia, ove sappiamo con quanta e quale ferocia abbia agito, contro gli italiani e non a fini bellici ma di puro predominio comunista.

Con questa situazione, con la dichiarazione iniziale fatta pochi giorni dopo l'armistizio, dal Comitato Liberazione Nazionale a Roma, che esso si riteneva governo provvisorio anche per collaborare al momento dell'arrivo degli Alleati, è evidente che gli angloamericani fossero preoccupati che i comunisti potessero tentare un colpo di mano nel momento del collasso tedesco e del prossimo arrivo alleato. Fu per queste ragioni che si ritenne di dover ricorrere allo stesso elemento partigiano per evitare ogni tentativo delle divisioni Garibaldi. Quali potevano essere i sicuri, gli autentici, i disinteressati, quelli che avevano operato nell'interesse della Patria e del bene comune e cioè per tutti e non soltanto per un partito, per una ideologia, per una politica; quali potevano essere se non i monarchici, i quali cumulavano insieme l'essere cattolici. Fu quindi ritenuto necessario un contatto diretto e riservato con queste divisioni partigiane per sensibilizzarle al pericolo incombente; avvertirle di tenersi pronte anche ad un conflitto con le Divisioni Garibaldi, più ampio degli scontri sporadici già avvenuti nello stesso periodo di clandestinità; per avvertirle dei luoghi ove avrebbero ricevute, paracadutate o meno, le armi e gli eventuali rifornimenti. Questo contatto doveva aver luogo, ed ebbe luogo, al di fuori dei canali ormai ufficialmente costituiti tra Alleati e Corpo Volontari della Libertà, canali che potevano anche essere sorvegliati e oramai non idonei a trasmettere iniziative diverse da quelle concordate.

Come vedete quella unità della Patria cara ai monarchicí, mantenuta dai monarchici, servita dai monarchici, veniva ancora una volta affidata alla fedele visione e alla devota fede dei monarchici, che in nome del Re, si apprestarono a impedire che l'Italia soccombesse al Comunismo e al Russo, e concorsero a dissuadere i temerari.

Se noi qui volessimo ricordare partitamente i singoli o le varie formazioni di monarchici, le azioni compiute, i meriti acquisiti, i nomi passati nello alone del coraggio e nella luce della eroica morte, andremmo oltre i limiti di tempo posti a questo nostro incontro, ma lasciate che accenni almeno ad alcune di queste divisioni, tra quelle che più fermamente mantennero la consegna fino agli ultimi giorni, e che conclusero la loro presenza operosa in una affermazione in sede politica che anche ebbe la sua importanza, monarchicamente, a favore dell'Italia. Il raggruppamento divisioni Cisalpine Alfredo Di Dio, e, in testa a tutte, la Divisione Lorenzini comandata da Cesare Carnevale già comandante di Bande in Africa nel 1935 e• rientrante dalla Iugoslavia e dalla Russia, due volte arrestato e due volte evaso durante la resistenza, divisione che aveva come Capo di Stato Maggior Fiorenzo Manfredo e come commissario di guerra Nicolò Bruno, un professionista stimato ed autorevole, un uomo di fede disinteressata e vibrante un politico accorto, dalle decisioni pronte e coraggiose.

Questa Divisione, del Raggruppamento, venne formata in Milano - il 10 febbraio 1945 - perché il Comando ritenne che fosse opportuno raccogliere e tenere a disposizione forze partigiane in città, per i motivi innanzi accennati; venne divisa in tre brigate: la « Milano » comandata da Gianni Longhi, la « Certosa » comandata da Genovesi, la « Bergamo » comandata da Carlo Da Prada.

Appena costituita, la Divisione Lorenzini cominciò il suo lavoro. Furono studiate cd attuate - sotto la direzione del Capo di Stato Maggiore - tutti i piani per la difesa delle centrali e dei bacini idroelettrici. Fu sorvegliata gelosamente la Certosa di Pavia, ove avevano trovato riparo molte opere d'arte costituenti il patrimonio artistico di Milano. Venne svolto un abilissimo servizio di informazioni. Vennero protetti e soccorsi ali ebrei italiani e stranieri, gli operai precettati per il servizio del lavoro in Germania, i perseguitati politici, ecc.

E finalmente, giunta l'ora finale la Lorenzini nella nuova composizione e pronta ad ogni eventualità si schierò in lotta aperta contro il nemico.

Già il giorno prima dell'insurrezione, il Battaglione di Vidigulfo - al comando di Angelo Lombardini - compiva una gesta audacissima: salvava, dalle mani delle SS. tedesche, nove detenuti politici provenienti da Genova e li nascondeva nella stessa casa in cui doveva pernottare il Generale Graziani. Poi, con poche armi, disarmava tutto il presidio tedesco, riuscendo a ricuperare materiale bellico e sanitario.

Il 5 aprile, la Divisione partecipò all'attaccò della caserma tedesca di Corso Italia ed all'assedio del Comando germanico di Via XX Settembre in Milano. Alcune squadre volanti di essa si sparsero per la città, compiendo azioni fulminee dì attacco e di rastrellamento: rilevantissima, quella svolta in Piazzale Baracca ove vennero snidati alcuni franchi tiratori che sparavano dal quarto piano di una casa.

Sempre nella stessa data il Comando divisionale di Pioltello liberò il paese; quello divisionale di Melegnano, facente parte della Brigata «Milano », cooperò nell'attacco ad una forte colonna germanica che si arrese; quello di Bereguardo, della Brigata « Certosa », catturò duecentocinquantasei tedeschi, facendo largo bottino di armi e munizioni.

Il 26 aprile, la Brigata « Milano » - al comando diretto del Comandante di Divisione - partecipò all'attacco contro il presidio germanico della Casa dello Studente ed assieme alla Divisione « Valtoce » assediò il Comando principale germanico di Piazzale Brescia, costringendolo alla resa.

La Divisione « Beltrami » il 24 aprile occupa le centrali elettriche e le dighe della Val d'Ossola, impedendo la loro distruzione.

Giunta notizia del movimento del presidio tedesco di Omegna verso Baveno, gli azzurri impegnano la colonna fra Brusinallo e Gabbio infliggendo numerose perdite, quindi occupano militarmente Omegna.

Nel pomeriggio del 25 la Divisione parte per Arona e a Invorio Inferiore impegna una colonna tedesca di protezione ad altra colonna di automezzi. Il 26, sebbene sotto il fuoco delle armi pesanti del presidio di Arona, si schiera a Paruzzano. Quindi sosta a Gozzano e il 27 traghetta il Ticino e libera Somma Lombarda. Il 28 la Divisione si congiunge a Busto Arsizio con gli azzurri della zona collaborando al disarmo di una forte colonna tedesca.

La Divisione « Val Toce » già nei primi giorni di aprile con l'intensa opera di sabotaggio dei suoi uomini impediva il passaggio di vagoni di esplosivo sulla linea Arona-Domodossola, impedendo ai tedeschi la rottura delle dighe del Toce. Quindi la Divisione si gettava alla liberazione della pianura novarese. Il 24 aprile la Brigata « Strona » entra in Gozzano e la Brigata « Di Dio » in Borgomanero. Sei soli uomini entrano in Omegna e mettono in fuga il presidio agganciandolo a Gabbio, fino all'arrivo di rinforzi della Divisione « Val Toce » e della « Beltrami » che spingono i tedeschi oltre Gravellona. Subito la « Val Toce » si dirige su Stresa, liberando in seguito Belgirate, Lesa e Meina, occupando tutta la zona da Stresa, ad Arona, tallonando sulla strada che costeggia il Verbano la colonna tedesca di Stamm. che si faceva scudo degli ostaggi. Supera Arona, occupa Castelletto Ticino con le Brigate « Di Dio » e « Val Strona », e Intra con la Brigata « Abrami », quindi Laveno e a Varese si congiunge alle altre Divisioni del Raggruppamento in marcia su Milano.

Attivissime quindi queste divisioni monarchiche meglio coordinate in Raggruppamento per riempire lo spazio a Milano nei giorni finali e per stabilire ai fini di un possibile previsto contrasto con i Comunisti la loro chiara validità di diritti e di rappresentanza che fosse anche apparentemente nota alla popolazione. E così altre Divisioni numerosissime in altre parti d'Italia che non elenchiamo per la necessaria brevità di una Conferenza.

La guerra si concluse, il temuto colpo di mano comunista era scongiurato, i partigiani disarmati, i poteri civili, provvisoriamente accaparrati dai Comitati di Liberazione, erano assunti dal governo legittimo del Re e il compito dei partigiani monarchici era finito; ma esso non vuol chiudersi senza far sentire la sua voce anche in sede civile e politica ed abbiamo un episodio il quale, a mio avviso, chiude la vita di queste divisioni riaffermando, con la loro dichiarata fedeltà al Re e alla monarchia, il perché ed il valore patrio di tutte le energie e le sofferenze consacrate alla grande causa dell'Italia.

Ecco l'episodio. A Roma per il 3 agosto 1945 la Democrazia Cristiana convoca i segretari e altri rappresentanti delle province dell'Italia liberata, e per le pressioni di pochi uomini di sinistra del partito, si prepara a fare sul piano istituzionale una dichiarazione repubblicana.

Qui consentite che io parli in prima persona. Io sono in alta Italia e appoggio al Comando Generale della V Armata 210' Divisione Fanteria Italiana e ricevo da Roma notizia della riunione e delle intenzioni del gruppo di repubblicani, e mi si sollecita a fare qualcosa per evitare che atteggiamenti del genere sicuramente antidemocratici per essere voluti da pochi e imposti a molti, i quali pur dovevano esprimere in quel caso la propria opinione, avessero conseguenze negative e intimidatorie, sul piano istituzionale e più ampiamente su quello di una ricostruita unità di popolo ed equilibrio di politica. Mancavano pochi giorni alla riunione ed era impossibile pensare di fermarla. Pensai che a Roma la presenza di comandanti partigiani giunti per dichiarare la propria fedeltà al Re e la fiducia nel sistema Monarchico, dovesse avere il suo peso sostanziale e quello più ampio di incutere un certo preoccupato rispetto. E sperai che ciò potesse essere utile. Informai della cosa i comandanti delle Divisioni del Raggruppamento di Dio e trovatili tutti concordi, e presi opportuni accordi, partimmo per Roma dove arrivammo all'alba del giorno 2 agosto 1945. Veniva con noi, elemento autorevole, anche il Commissario di Guerra della Divisione Lorenzini il dott. Nicolò Bruno, che già abbiamo nominato, il quale era amico dell'onorevole Alfredo Tupini fin dai tempi del Partito Popolare Italiano e con questi immediatamente prese contatto, poiché Tupini doveva riferire all'Assemblea sulla questione Istituzionale. Bruno ebbe un lungo colloquio e tornò soddisfatto: in realtà la pressione degli elementi repubblicani era forte, ma Tupini aveva ascoltato, discusso, appreso e spesso accettato ed aveva dichiarato che egli avrebbe riferito in maniera obiettiva parlando dei due sistemi, repubblicano e monarchico, in modo da non influenzare, con il suo dire, la opinione libera dei partecipanti. Bruno si sentiva più tranquillo anche per la vecchia amicizia che lo legava a Tupini e per avere notato fotografie dei reali nello studio in cui si erano trattenuti.

La riunione ebbe luogo. Al nostro arrivo ci fu impedito l'accesso, ma alla nostra protesta, sulla porta, in piazza Borghese, fu chiamato De Gasperi, il quale venne, si dichiarò « onorato », per la presenza dei partigiani « fiore della gioventù italiana e speranza per l'avvenire » disse, e ci ammise alla riunione, alla quale peraltro partecipavano molte persone autonominatesi rappresentanti di zone e di regioni, ma che nessuno aveva mai eletti o nominati.

La riunione ebbe luogo con fasi agitate ed alcune acutamente tese. Petrone di Salerno parlò fortemente a favore della monarchia, altri intervennero, ma quando al tavolo della Presidenza, situato sul palcoscenico, ed al quale sedevano De Gasperi, Piccioni, Gonella, Scelba e tutti i maggiori del partito, fu portato l'ordine del giorno sottoscritto, assieme a me, dai comandanti di divisioni partigiane, nel quale apertamente e fermamente si richiamava la necessità,di mantenere la Monarchia, e si dichiarava che essa sola era nel cuore del popolo e conforme agli interessi di questo, vi fu una sorpresa, un sussurrare, un chinarsi l'uno verso l'altro dei vari personaggi, che si passavano tra loro il foglio, e rimanevano o sorpresi o pensosi o incerti. Si tentò di evitare la lettura e di minimizzare. Salimmo il Comandante Carnevale ed io sul palco, mentre nella sala passava la notizia e si manifestava una certa preoccupata sorpresa, anche perché con commenti frasi o atteggiamenti i capi partigiani da me fatti sedere in punti vari e lontani tra loro nella sala, davano una più ampia sensazione di presenza. Discutemmo, proponemmo e in certo modo minacciammo anche azioni in periferia; i repubblicaneggianti ebbero la sensazione che il colpo non era riuscito ed a me parve che lo stesso De Gasperi non ne fosse poi del tutto scontento.

Egli nel discorso di chiusura si fermò lungamente sulla presenza dei partigiani, sui meriti di questi ed ebbe tante parole di elogio e di apprezzamento, ma poi ebbe a parlare della « violenza » e disse che essa può essere nobile come nobile era stata quella esercitata per il bene dell'Italia, ma non poteva e non doveva elevarsi a sistema per influire sulle civili competizioni e scongiurò con tanto calore i partigiani presenti a non fare ricorso alla violenza, che il pubblico, quasi ebbe la sensazione di trovarsi in pericolo. Fu così approvato un ordine del giorno diverso da quello che i pochi repubblicani speravano, poiché ogni decisione fu rimessa agli iscritti, limitandosi a dire «prende atto della netta prevalenza repubblicana nei quadri del partito» cioè dando la prova che « i quadri » gli anemici quadri allora, erano a prevalenza repubblicana e cioè che a volere imporre quella decisione erano solamente pochi!

Proseguiva l'ordine del giorno deliberando una inchiesta fra tutti gli iscritti al partito circa la forma istituzionale. La presenza dei partigiani monarchici era valsa ancora una volta a scongiurare colpi di mano dovuti alla invadenza prepotente di pochi e con questo atto essi avevano degnamente assolto in via definitiva al compito assunto quali monarchici nello interesse della Patria in nome del Re, che in quel momento, nella Augusta Persona di S.M. Umberto II, in qualità di Luogotenente, rinnovava la luminosa tradizione di Casa Savoia, imponendosi Egli al rispetto del Mondo per la sapienza di Re, la grandezza di spirito, il coraggio eroico, la serena superiorità con cui domina gli eventi; e per l'acuta valutazione di essi; consacrandosi così alla storia, con tutti i grandi della Sua Casa, la quale affonda nei secoli le radici della sua grandezza e nel percorso dei secoli, quali che fossero le vicende, le forze, gli eventi, è stata sempre là dove maggiore era l'interesse degli italiani e della vita delle nostre genti.

Questo è il moto e la partecipazione di un popolo, che per i motivi che lo determinano e il modo come si manifesta appartiene ai monarchici, come dovuto cioè ad uomini formati dalla monarchia alla sensibilità dei valori profondi ed essenziali, vissuti nella legge, che rendono unitaria la vita di popolo; appartiene ai monarchici anche se affiora qua e la qualche elemento, assumendo anche qualche compartecipazione di comando, e che in tempi successivi, si inquadra secondo una particolare posizione politica. Appartiene ai monarchici rer il glorioso episodio dei giovanissimi Illuminato, Formisano e Menichini che affrontano allo scoperto i carri armati, li colpiscono, li fermano, ma vengono poi colpiti e muoiono gloriosamente nella luce di una piazza di Napoli. Appartiene soprattutto ai monarchici per l'episodio sicuramente di guerra e che è il più complesso, il più importante e il più determinante episodio dei pur molti eroici fatti, delle Quattro Giornate: il combattimento della Pigna. Gli ostaggi sono ancora nel campo, i napoletani combattono e muoiono, i tedeschi cadono, fanno tentativi, sono perplessi, ma per essi è certamente risolutivo e rappresenta anche una riaffermazione di prestigio ed una certezza di riacquistato predominio, liberare gli uomini del capitano Ratchel che tengono prigionieri i cinquanta ostaggi nel campo sportivo del Vomero, assediati da pochi uomini al comando di uno degli improvvisi capi, il cap. Enzo Stimolo. Avviano perciò dalla strada che risale la collina dalla parte di Pozzuoli, una colonna di diciotto autoblinde, un carro armato e altri veicoli, colonna che avrebbe avuto facilmente ragione della ventina, o poco più, di uomini che asserragliavano il Campo Sportivo. Fu allora che nella località Pigna, sulla strada dalla quale proveniva la colonna, alle ore 20,30 circa, il comandante di un piccolo numero di uomini che precedentemente da un locale in sito, avevano prelevato una mitragliatrice, alcuni moschetti e sei bombe a mano, sentì irrompere una motocicletta tedesca, avanguardia della colonna, ed ecco, il comandante di questo gruppo di coraggiosi si ritira nel cortile del fabbricato de Gaudio. Il motociclista tedesco vede, lancia una bomba, si ferma, è affrontato dal comandante di questo gruppo e reso innocuo, poi il portone viene rinchiuso; il comandante dispone sul terrazzo del I piano la mitragliatrice e vi lascia due serventi, si porta sul terrazzo superiore, vede di infilata la strada fino alla prima curva, le camionette e le autoblinde avanzano, la mitragliatrice apre il fuoco, gli uomini della seconda terrazza anche, il nemico avverte numerose perdite, tentenna ma riprende ad avanzare, e qui si compie l'atto più eroico, coraggioso, militarmente perfetto e decisivo: il comandante sale sul parapetto del terrazzo, scoperto, esposto al tiro del nemico, e con audacia, tempestività, fermezza ammirevole, lancia le sue sei bombe a mano una dopo l'altra, mira e centra, una dopo l'altra sei autoblindo, che bloccano nella strada non larga, tutta la colonna e impediscono i tentativi di avanzata del carro armato. Il pericolo dello accerchiamento è sventato, l'attesa ripresa di prestigio e di dominio dei tedeschi è infranta, la vittoria è del glorioso manipolo e del prestigioso comandante, che è l'eroico tenente Giovanni Abbate, il nostro Abbate, il monarchico, fermissimo monarchico come fermissimo e deciso soldato; è Giovanni Abbate, che una proposta di medaglia d'oro indicherà alla storia e conserverà alla memoria dei napoletani, ed al quale noi abbiamo il piacere di potere rinnovare il nostro riconoscente, ammirato omaggio, poiché lo vedo, fedele come sempre, in questa sala.

Il testo della I parte si torva al seguente link
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