NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

lunedì 13 ottobre 2025

Saggi storici sulla tradizione monarchica - XV

 

4) LA PRIMA GUERRA MONDIALE.

Alla triplice alleanza, che riuniva Italia, Austria e Germania, si era da tempo contrapposta un'altra formazione di potenze: la triplice intesa, stipulata fra Russia, Francia e Inghilterra; i governi austriaco e tedesco erano da tempo decisi a conquistare con le armi un'egemonia sullo schieramento rivale e soprattutto in Germania si era formata

Un'opinione generale favorevole alla guerra, che confortava gli indirizzi politici dell'imperatore Guglielmo II, l'occasione del conflitto fu offerta dall'attentato di Sarajevo, dove l'Arciduca ereditario d'Austria, Francesco Ferdinando rimase vittima di uno studente ebreo, Princip, il 28 giugno 1914.

L'Austria chiese soddisfazione alla Serbia, dove l'attentato era stato preparato, con un ultimatum categorico che significò la guerra; a suo fianco si schierò la Germania, mentre in aiuto della Serbia scendevano in guerra Russia e Francia, ed in seguito all'invasione tedesca del Belgio anche l'Inghilterra.

L'Italia dapprima rimase neutrale, poichè il carattere difensivo della Triplice non le imponeva di schierarsi a fianco dell'Austria e della Germania che erano le potenze attaccanti, ma la sua neutralità fu contrastata da quelle correnti irredentiste che volevano ad, ogni costo la guerra agli imperi centrali nella speranza di conquistare Trento e Trieste. Favorevoli alla neutralità furono invece coloro che, con a capo lo stesso Giolitti, pensavano fosse più conveniente una posizione d'attesa che avrebbe permesso il conseguimento di maggiori vantaggi; tale posizione era anche confortata dall'idea del pericolo che avrebbe potuto rappresentare un tracollo degli Imperi centrali che costituivano un elemento non secondario dell'equilibrio europeo.

I due partiti degli interventisti e dei neutralisti si fronteggiarono a lungo ed i primi finirono col prevalere; le proposte degli imperi centrali furono respinte mentre Giolitti, che aveva ceduto il potere all'interventista Salandra, le giudicava soddisfacenti: l'Austria si impegnava infatti a cedere, in cambio della neutralità, le terre trentine di lingua italiana ed una certa autonomia a Fiume. Non migliore fortuna ebbe il rappresentante tedesco, Principe di Bulow che invano tentò di negoziare la neutralità italiana.

Il 24 maggio 1915 la guerra era dichiarata all'Austria, dopo due mesi dalla firma del patto di Londra in cui le potenze dell'Intesa promettevano all'Italia il Trentino fino alle Alpi, la Venezia Giulia e parte della Dalmazia, comprese Zara, Sebenico e le isole. La lotta cominciò crudele e violenta nei territori veneti di confine che furono teatro di epiche azioni di guerra per tre anni.

Al ministero Salandra, successe intanto un ministero d'unione nazionale presieduto dal più vecchio dei deputati, Paolo Boselli il cui primo atto fu quello di dichiarare la guerra anche all’impero germanico, impegnando l’Italia ancora  più a fondo nell’avventura di cui pendevano incerte le sorti

Il Re dall'inizio della guerra aveva lasciato Roma, affidando la luogotenenza generale allo zio Tommaso d Duca di Genova per partecipare fra i suoi soldati alla durissima lotta; per tutta la durata della guerra egli non lasciò mai le trincee infaticabile animatore della resistenza ed eroico combattente egli stesso, più di ogni altro convinto della vittoria del trionfo delle anni italiane. (*)

Il terzo anno di guerra, il 1917, iniziò sotto auspici non lieti: le popolazioni, ormai stanche delle atrocità belliche e dei gravi sacri­fici imposti, desideravano ardentemente la pace; il vecchio Imperatore Francesco Giuseppe era morto il 21 novembre 1916 dopo un lunghissimo regno di quasi settant'anni lasciando il trono al nipote Carlo II che non avrebbe mal visto un'azione tendente ad assicurare all'Austria, una pace dignitosa; la Russia infine sconvolta dalla rivoluzione comu­nista che deponeva e trucidava lo Czar Nicola II e la sua famiglia abbandonava la lotta firmando con gli imperi centrali la pace di Brest Litowsk. La situazione morale delle potenze dell'Intesa non era neppure rialzata dall'annunzio dell'intervento degli Stati Uniti d'America al loro fianco.

Il 24 ottobre le truppe austriache, disimpegnate dal fronte russo concentrarono le loro forze contro il confine italiano, riuscendo a sfondare le linee a Caporetto e costringendo le truppe italiane a riti­rare la linea di difesa oltre il Piave. Il territorio nazionale era in pre­da al nemico, solo Vittorio Emanuele avrebbe potuto salvare la situa­zione e così fu: l'8 novembre nel famoso incontro di Peschiera con i capi dei governi alleati, fu il Re a ricondurre la fiducia nel valore italiano stabilendo al Piave la linea di difesa; il Primo ministro inglese, Lloyd George che presenziò all'incontro, scrisse a proposito del Re: Rimasi impressionato della grande forza d'animo che egli mostrò. In un momento in cui il suo paese e la sua corona erano in gioco, non diede alcun segno di timore e di depressione.»

Il Capo di Stato maggiore Generale Cadorna, fu sostituito da Armando Diaz e il presidente Boselli da Vittorio Emanuele Orlando; seguendo l'esempio del Re, il paese stremato trovò la forza di resistere per un anno ancora alle armi nemiche e nel 1918 le sorti della guerra si rovesciarono.

Furono per prime la Bulgaria e la Turchia, alleate degli imperi centrali a chiedere la pace separata, poi il 30 ottobre a Vittorio Veneto le truppe austriache furono battute ed il 2 novembre fra Italia e Austria veniva firmato l'armistizio di Villa Giusti; pochi giorni dopo cessava anche la resistenza tedesca. Le potenze dell'Intesa avevano vinto.

 

Così fini la prima guerra mondiale che segnò anche la fine dell'Impero ,austro-ungarico diviso nei due stati d'Austria e d'Ungheria con pochi milioni d'abitanti, Privando l'Europa in un punto nevralgico di un prezioso elemento equilibratore; la p ace con l'Austria fu firmata nel castello di S. Germano presso Parigi il 10 settembre 1919, quello con l'Ungheria,nel palazzo di Trianon, a Versailles, 4 giugno 1920.

L'Italia non fu però soddisfatta perché parte dei territori di confine a cui essa aspirava, andò con la Serbia a costituire il nuovo stato iugoslavo; i contrasti per la Dalmazia e per la città di Fiume furono vivissimi, mentre il presidente americano Wilson prendeva le parti iugoslave minacciando anche di disconoscere il patto di Londra a cui non aveva partecipato. Vi fu un tentativo di risolvere la situazione con la forza, da parte di Gabriele d'Annunzio che occupò con dei volontari, la città di Fiume ma il governo italiano spaventato dalle gravi conseguenze che tale gesto avrebbe potuto avere, sottoscrisse con la Jugoslavia il trattato di Rapallo (12 novembre 1920) col quale Fiume era riconosciuta come città indipendente.

In definitiva l'Italia ottenne il Trentino e la Venezia Giulia, Zara e l'isola di Lagosta in Dalmazia, ed infine le isole di Cherso e di Lussino quale completamento strategico dell'Istria. La guerra mondiale era stata la quarta guerra d'indipendenza che aveva portato i confini politici italiani, quasi a coincidere con quelli naturali, completando l'opera intrapresa settant'anni prima da Carlo Alberto, sotto il regno di Vittorio Emanuele III che era salutato con il nome di Re vittorioso.

I problemi europei non erano però definitivamente risolti e la loro sistemazione alla pace di Versailles non era stata soddisfacente per tutti; troppa severità era stata adoperata nei confronti degli imperi vinti e troppe questioni accantonate coi compromessi, che sarebbero poi tornate a turbare la pace del continente.

 

L'eroico comportamento di Vittorio Emanuele III durante la guerra mondiale, fu da tutti, anche dai repubblicani, riconosciuto e apprezzato. Infiniti sono gli aneddoti che ricordano le giornate di guerra del Re soldato, e che hanno il valore di testimonianza di uno stato d'animo della pubblica opinione, profondamente sentito. Vittorio Emanuele III che fu grande Re in pace, lo fu ancor di più in guerra meritando l'appellativo con il quale è passato alla Storia.