NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 8 dicembre 2024

Saggi storici sulla tradizione monarchica - XII

 

LA FORMAZIONE DELLO STATO UNITARIO

SOMMARIO: Carlo Alberto e la prima guerra d'indipendenza - Vittorio Emanuele II e la proclamazione del Regno d'Italia - L'espansione coloniale - La prima guerra mondiale - Conclusione.

 


1) CARLO ALBERTO E LA PRIMA GUERRA D'INDIPENDENZA.

I vecchi sovrani che rientrarono nei loro regni dopo il congresso di Vienna trovarono gravi cambiamenti, avvenuti durante la loro assenza; soprattutto la borghesia che tanta parte aveva avuto nella rivoluzione francese, non si sentiva di riassumere un ruolo subordinato all'alto clero ed alla nobiltà, e a questo fermento tendente ad ottenere una costituzione che contemplasse degli organismi rappresentativi che partecipassero al governo dello stato, si univa in alcuni il desiderio di vedere l'Italia libera dall'influenza austriaca e governata soltanto da principi italiani; tali sentimenti antiaustriaci erano particolarmente vivi in Piemonte anche negli ambienti della Corte, perché l'Austria dominava nella Lombardia che da secoli era costante miraggio della politica sabauda e perché un predominio austriaco sulla penisola avrebbe ostacolato la tradizionale politica della « foglia di carciofo » cioè della conquista dei territori confinanti, poco alla volta, perseguita dai Re di Casa Savoia. Antiaustriaco era lo stesso Re Vittorio Ernauele I, figlio di Vittorio Amedeo III e successore del fratello Carlo Emanuele IV che aveva preferito abdicare al trono per ritirarsi in un convento di Roma ove poi mori santamente, ma i suoi sentimenti non avrebbero mai permesso a lui di allearsi con la rivoluzione alla quale doveva la rovina dei suoi stati, per combattere l'Austria.

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Poiché i governi non intendevano in alcun modo favorire esperimenti costituzionali, vennero formandosi delle società segrete, la più importante delle quali fu la carboneria, che tentò con un'intensa propaganda di diffondere il desiderio di novità fra l'alta e media borghesia e il primo tentativo di rivoluzione fu quello organizzato a Napoli nel 1820 che si estese anche alla Sicilia che sempre aspirando all'autonomia, approfittò della situazione per tentare di ottenerla. Si opposero però risolutamente le potenze della Santa Alleanza, che avevano a Vienna stabilito di rimanere unite per schiacciare ogni conato, rivoluzionario, ovunque si manifestasse. Un primo congresso tenuto a Troppau nell'ottobre del 1820, con l'intervento dell'Inghilterra, dell'Austria, della Russia e della Prussia ne stabili un altro a Lubiana per il dicembre invitandovi Ferdinando I di Napoli. Il Re che, costretto dagli avvenimenti aveva concesso una costituzione, appena, libero la ritirò e con l'aiuto delle truppe austriache rientrò a Napoli dove appoggiandosi al consenso del popolo minuto colpì severamente gli esponenti della classe borghese, fautori della costituzione.

Nel 1821 scoppiò invece un tentativo dei liberali piemontesi fiduciosi nella solidarietà del Principe Carlo Alberto di Savoia Carignano (1), capo di un ramo secondario della Casa ed erede presuntivo al trono giacché né il Re, né suo fratello Carlo Felice duca del Genevese, ormai vecchi, avevano figli maschi ed il ramo principale andava così estinguendosi. L'insurrezione scoppiata nel marzo si concretizzò il 12 con l'occupazione della cittadella di Torino da parte degli insorti e con la minaccia di bombardamento della città e mise il Re Vittorio Emanuele I ché invano aveva tentato di pacificare gli insorti promettendo il perdono, di fronte ad un crudele dilemma: o versare il sangue dei suoi sudditi, o subire la violenza concedendo riforme che riteneva dannose e che avrebbero provocato l'immediato intervento militare austriaco. Preferì allora abdicare in favore del fratello Carlo Felice e poiché questi si trovava in quei giorni a Modena, il Principe Carlo Alberto di Carignano fu nominato reggente.

Carlo Alberto si trovò in una situazione terribile; da una parte i congiurati lo premevano, dall'altra Carlo Felice mai avrebbe tollerato un atteggiamento liberale. Le circostanze lo costrinsero a concedere una costituzione contro la sua volontà ma il nuovo Re, saputo questo gli intimò di recarsi con le truppe fedeli a Novara e di porsi agli ordini del Conte Vittorio Sallier de la Tour che in breve schiacciò la rivolta dando inizio ad una reazione mite e, salvo tre casi, incruenta. Carlo Alberto fu mandato presso il Granduca di Toscana suo suocero, a Firenze colpito dallo sdegno del reale zio per il tentativo di conciliazione condotto fra i diritti sovrani e l'istanza costituzionale.

Alla morte di Carlo Felice, nel 1831, Carlo Alberto gli successe al trono (2); la sua successione non fu pacifica poiché ad essa aspirava il duca di Modena Francesco IV genero di Vittorio Emanuele benché a favore dei diritti del ramo Carignano si fosse nel 1814 solennemente pronunciato il congresso di Vienna. Lo sdegno di Carlo Felice aveva ridestato le speranze del duca modenese, ma Carlo Alberto era riuscito a conquistare parte delle simpatie dello zio in seguito alla vittoriosa battaglia del Trocadero, in difesa del re Ferdinando VII di Spagna e ad essere reintegrato nei suoi diritti.

I primi anni del regno di Carlo Alberto furono tranquilli e fecondi; il Re che pur non essendo liberale, aveva sempre inteso profonda avversione per la supremazia austriaca in Italia, sapeva bene quale pericolo poteva rappresentare per la sua Casa e per il suo Regno un atteggiamento intempestivo e badava, in attesa di tempi più propizi, a rafforzare e riorganizzare il suo Stato attraverso importanti riforme giuridiche, finanziarie e amministrative; in quel tempo il Regno di Sardegna fu lo stato in condizione più prospere fra i minori d'Europa ed una tradizione di capacità e di onestà dominava incorrotta nella magistratura, nell'esercito e nella diplomazia, mentre sotto l'esperta guida del ministro Clemente Solar° della Margarita il prestigio sardo cresceva anche all'estero ed un'abile rete di relazioni veniva stesa con tutte le nazioni, anche estraeuropee.

Poi i tempi si fecero di nuovo burrascosi; i fermenti antiaustriaci e costituzionali crebbero in Italia ad opera dei federalisti giobertiani che propugnavano una federazione italiana sotto la presidenza del Papa, dei repubblicani e degli unitari che prima di ogni altra cosa volevano la cacciata degli austriaci e si volgevano a Carlo Alberto come naturale capo; fra i capi del movimento erano uomini come Massimo d'Azeglio e Cesare Balbo.

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Premuto dagli avvenimenti e dall'esempio di papa Pio IX che aveva concesso un'ampia amnistia ai condannati politici, Carlo Alberto il 4 marzo 1848 concesse ai suoi popoli uno Statuto; lo aveva preceduto l'11 febbraio il Granduca di Toscana, lo seguiva il 15 marzo Pio IX. Intanto gli avvenimenti incalzavano; il 23 marzo era dichiarata la guerra all'Austria e tutti i principi italiani mandavano soldati rispondendo all'invito di Carlo Alberto: ecco le prime vittorie Goito, Pastrengo, Manzambano, Valeggio, poi il 10 luglio Vicenza cade nelle mani degli austriaci. I principi italiani, temendo che la vittoria tornasse a solo vantaggio del regno di Sardegna, ritirarono le loro truppe e, mentre Carlo Alberto metteva in giuoco corona e regno contro la preponderante forza austriaca, Mazzini a Milano promuoveva una campagna antimonarchica e antipiemontese. Il 22 luglio l'esercito piemontese fu battuto a Custoza e il 4 agosto a Milano; Carlo Alberto è costretto all'armistizio di Salasco e, mentre vede tramontare un sogno di grandezza e d'indipendenza, i nemici della corona continuano la campagna di odio e di fango contro di lui e contro l'esercito piemontese, di cui avrebbe dovuto rimanere indiscusso il valore e il prestigio militare.

Pure l'anno seguente, allo scadere dell'armistizio, Carlo Alberto passa ancora il Ticino, a capo di un esercito di 120.000 uomini e dopo qualche scaramuccia impegna la battaglia risolutiva a Novara, il 23 marzo 1849. I piemontesi sono sconfitti, è la fine. Carlo Alberto la sera stessa abdica al trono in favore del figlio Vittorio Emanuele duca di Savoia e parte per Oporto in Portogallo, per spegnersi il 28 luglio dello stesso anno (3) in volontario esilio.

Molteplici furono i motivi della tragica fine di questa prima guerra dell'indipendenza nazionale, ed in primo luogo la sproporzione di forze fra l'Austria, potenza di prima grandezza ed il Regno di Sardegna, che si trovò praticamente solo nella modestia dei suoi mezzi e delle sue possibilità militari, non certo paragonabili a quelle della rivale; in secondo luogo c'è però da considerare la campagna denigratoria svolta all'esterno dai gruppi repubblicani, specialmente milanesi, l'azione non sempre unita e concorde dell'opinione pubblica italiana, sovente sbandata e confusa, ed anche la situazione interna dello Stato, dove la turbolenta Camera dei deputati spesso si mostrava più di impaccio che di aiuto alla grande impresa del Re.

 

 

Carlo Alberto, che credette di porsi a capo di una crociata italiana contro l'austriaco, In realtà fu solo, ché tutti lo abbandonarono, dai principi italiani al repubblicani, dai deputati al popolo milanese non conscio della sua missione.

Fu  solo con quelle forze che nella storia dei secoli erano state il sostegno della sua Casa: la diplomazia e l'esercito; con quei generali che sul campo di Novara, da Perrone a  Passalacqua, si trascinarono ai piedi del Sovrano per baciare la sua mano e morire.

Restavano in Italia le repubbliche di Venezia, insorta, contro l’Austria sotto la guida del dittatore Daniele Manin e di Roma dove fuggito il Papa a Gaeta, era stato insediato un triumvirato diretto da Mazzini; ma entro l'anno cadevano e Venezia, tornava all'Austria mentre Pio IX rientrava a Roma, protetto dalle truppe francesi e fermamente deciso a non cedere in futuro a nessuna lusinga costituzionale che avrebbe segnato la fine del dominio temporale. Il prestigio austriaco in Italia permaneva intatto, come era stato sancito a Vienna trent'anni prima.

 

(1) Carlo Alberto apparteneva al ramo sabaudo dei Principi di Carignano, discendenti da Tommaso, primo principe di Carignano, figlio di Carlo Emanuele I; derivazioni del ramo Carignano furono i Savoia Soisson estinti con la morte di Eugenio il Grande, generalissimo degli eserciti imperiali, e i Savoia Villafranca estinti con la morte del principe Eugenio di Carignano, nel 1888. Al ramo Carignano appartenne Maria Teresa prozia di Carlo Alberto e sposa del Principe di Lamballe, che fu una delle vittime più illustri della rivoluzione francese.

(2) Carlo Felice fu l'ultimo dei sovrani sabaudi sepolto nell'antica Abbazia di Altacomba, la  necropoli sabauda abbandonata dal secolo XVIII per la basi­lica di Superga. L'Abbazia, devastata sotto la rivoluzione francese, fu restaurata da Lui, che volle qui avere la sua tomba.

(3) Carlo Alberto si ritirò ad Oporto in Portogallo, sotto il nome di Conte di Barge, senza permettere nemmeno alla moglie, Regina Maria Teresa, di seguirlo.

Dopo pochi mesi morì santamente e della sua fine edificante restano diverse interessanti relazioni. Il suo corpo fu poco dopo trasferito a Torino e tumulato nella Basilica di Superga.

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