
NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.
sabato 29 ottobre 2022
domenica 23 ottobre 2022
Capitolo XXIV: L’amico ritrovato dopo tanti anni
di Emilio Del Bel Belluz
Erano
passate in modo tranquillo alcune settimane, la pesca mi aveva dato il
sufficiente per vivere, e avevo continuato ad imparare il mestiere del
falegname. Mi trovavo molto bene con il mio maestro. Lo aiutavo nei momenti
liberi e sentivo che l’abilità nel lavorare il legno mi piaceva. Nella mia casa
avevo incominciato a fare dei lavori di restauro dei balconi che, ormai essendo
vecchi, ne avevano davvero bisogno. Qualche volta veniva a trovarmi il
falegname, e mi dava ulteriori consigli su come proseguire e mi aiutava a
correggere gli errori che facevo senza mai umiliarmi. Nella casa, con molta
pazienza, avevo sistemato anche alcune assi del pavimento, e questa volta avevo
ricevuto una lode dal falegname, e non volli pensare che questo elogio fosse
fatto per incoraggiarmi. Riuscire a diventare un bravo falegname mi avrebbe
dato la sicurezza di poter guadagnare qualcos’altro al di fuori della pesca e
non sentirmi più in ansia per non assicurare i pasti quotidiani alla mia
famiglia. Il fiume era la mia grande risorsa, la mia anima, ma temevo di
perderla. Era un pensiero intrusivo e spesso mi capitava di sognare di vedere
la mia famiglia attorno al tavolo della cucina ma con il piatto vuoto e i miei
figli con Elena che mi guardavano, come s’aspettassero un miracolo da me. Questo
sogno era ricorrente, a tal punto che mi svegliavo di soprassalto, mi vestivo e
uscivo per osservare il fiume e chiedevo al buon Dio che mi aiutasse e non mi
abbandonasse. Una volta ne parlai con il prete che mi diede una pacca sulla
spalla, ricordandomi alla sera prima di addormentarmi di pregare la Santa dei
casi impossibili: Santa Rita da Cascia, che m’ avrebbe di sicuro aiutato. Quel
giorno mi donò un suo santino che raffigurava la Santa con una spina sulla
fronte. Quella stessa sera la pregai che mi aiutasse a non fare questi sogni
così orribili, e ricordai a me stesso quello che diceva mio padre: “ Dio vede e
Dio provvede”. Lui aveva sempre invocato il buon Dio con queste parole e la
preghiera continua gli dava una certa pace. Il vecchio parroco che aveva molta
esperienza sulle esistenze altrui, alla fine aveva avuto ragione. I miei incubi
notturni si erano diradati, riuscendo a riposare meglio. Una mattina, mentre
stavo raggiungendo la mia barca, vidi una persona che mi salutava dall’argine,
ma non riuscivo ad individuarlo, e mi fece cenno che lo raggiungessi . Lasciai
la barca dove avevo messo gli attrezzi da pesca e mi avvicinai: era Flavio, un
giovane di Villanova. Mi ricordai che dall’ ultima volta che ci eravamo visti,
era passato molto tempo. Quando mi vide mi salutò con affetto. Avevamo
frequentato la stessa scuola fino alle elementari, poi ci eravamo persi di
vista. La vita come si sa, divide e ognuno segue il suo percorso. Quel giorno
volle che andassimo all’osteria del paese, che era aperta come sempre alla
mattina presto. Spiegai che non avevo molto tempo e che dovevo andare a
ritirare le reti, ma mi lasciai convincere per un buon caffè. Quando entrammo
nell’osteria, trovai alcuni vecchi del paese che ci salutarono entusiasti,
uomini che avevano passato i settanta anni e che trascorrevano qualche ora
assieme, immersi nella nebbia dei ricordi. Con Flavio ci sedemmo vicino alla
finestra aperta, il fumo nel locale era davvero intenso. Notai che uno degli
avventori stava fumando un sigaro e sentivo il suo profumo che riusciva a
primeggiare su tutto. Costui stava leggendo un giornale e lo commentava.
Riuscii solo ad intendere che si parlava del Duce Benito Mussolini che aveva
fatto un viaggio nella sua terra natale. Flavio, intanto, mi raccontava che gli
era venuta nostalgia per i vecchi tempi, quando dopo la scuola si andava a
pescare. Allora gli chiesi il motivo della sua visita così improvvisa, e
sorridendo mi disse che voleva passare una giornata con me, andando a pescare
come una volta, con una canna di bambù e il sughero come galleggiante. Lo
ascoltai con molta gioia, perché stava progettando per noi di rivivere una
giornata avventurosa come ai vecchi tempi. Pertanto decidemmo di vederci l’indomani.
L’accordo era di cucinare sul posto il pesce per il nostro pasto e il resto lo
avremmo portato alle nostre famiglie. Quando mi accompagnò al fiume, gli
mostrai le mie barche, quella più grande l’avevo poco lontana, un piccolo
peschereccio con il quale in certi momenti solcavo il fiume. Flavio mi
osservava e sorridendo mi diede la mano, e con quella stretta così vigorosa,
compresi che la nostra amicizia non era stata intaccata dal tempo. Salii sulla
mia barca e presi il largo. Flavio rimase ad osservare mentre mi allontanavo, e
con la mano mi salutava. Il sole era già sorto, mi trovavo vicino alla sponda
del fiume dove avevo calato una delle reti più grandi che possedevo, e vi
trovai impigliata una grossa carpa e alcune tinche. Dopo qualche ora di lavoro
decisi di lasciare ancora calate due reti, magari le avrei raccolte con Flavio
se avesse voluto seguirmi l’indomani. Con molta calma raggiunsi la riva dove
era ormeggiata l’altra barca. Portai la buona pescata che avevo fatto al mio
amico oste che puntualmente mi pagò. Andai a casa soddisfatto perché avevo
incontrato un caro amico. Raccontai a Elena che avevo rivisto Flavio con il
quale avevo condiviso dei bei momenti nel periodo dell’infanzia. Quando eravamo
piccoli, la felicità ci avvolgeva e non vi erano preoccupazioni di sorta. L’indomani
sarei andato a pescare con lui negli stessi posti di una volta, vicino alla
Villa Morosina, un luogo che mi era caro. In quella zona c’era il canale Zampagnon
attraversato da un ponte costruito con delle vecchie pietre. Flavio era il mio
compagno preferito, conosceva a dovizia i luoghi dove sicuramente la pesca
sarebbe andata a buon fine. Inoltre, possedeva una grande qualità che credo
avesse mantenuto nella vita: la tranquillità, una dote da attribuire anche allo
sport della pesca. Il piccolo corso d’acqua era un luogo che non era stato
intaccato dall’intervento distruttivo dell’uomo. Lungo gli argini si vedeva una
lepre che correva veloce, magari temeva il cacciatore. Il giorno dopo di buon’
ora ci trovammo davanti a casa mia, il mio amico era arrivato in anticipo ed
osservava il fiume, mentre le campane del paese annunciavano l’inizio della
giornata. Il tempo era bello. Con le nostre canne passammo davanti all’osteria
che era aperta, e approfittammo per berci un buon caffè. Ad accoglierci la
moglie dell’oste, una persona che conoscevamo bene. All’interno del locale
alcuni avventori ci guardarono con una certa curiosità. A piedi raggiungemmo
Villa Morosina, incontrammo dei contadini che andavano al mercato, ed uno di
loro si stupì che io, pescatore di professione, mi incamminassi con una canna
di bambù. Lo stradone che ci conduceva alla nostra meta era di circa un
chilometro, che percorremmo raccontandoci il nostro passato. Una volta
raggiunto il posto, ci accorgemmo che vi stava ancora quell’albero dove ci
mettevamo a pescare da bambini. Era diventato molto alto e con tante fronde;
sembrava che ci avesse aspettato per tanti anni, come se fosse stato certo che
avremmo desiderato sederci sotto la sua chioma. Il piccolo corso d’acqua era
come sempre tranquillo. La villa Morosina, residenza estiva dei nobili
veneziani, si presentava nella sua totale bellezza. In quella casa vi avevano
abitato molte persone, si diceva che vi avesse pure soggiornato per qualche
giorno anche il generale Garibaldi. Un vecchio del paese sosteneva d’aver
trovato una lettera con la quale il generale ringraziava la famiglia per
l’ospitalità ricevuta. Davanti alla villa sentimmo il latrato di un cane che
dopo poco venne verso di noi. Il momento più bello fu quando calammo le nostre
lenze, che trovarono una bella ospitalità tra i canneti. L’acqua non si
muoveva, solo le rane si facevano sentire. Flavio si diceva emozionato,
ritornavamo insieme dopo quindici anni. Le nostre strade si erano divise, ma il
fiume ci faceva ancora una volta incontrare. Il tempo passava lentamente mentre
parlavamo ancora dei tempi passati ed immaginavamo il nostro futuro. Flavio
aveva ottenuto un posto di lavoro in una falegnameria a Motta di Livenza, dove
abitava con la famiglia. Infatti, si era sposato e aveva dei figli. Parlammo
della scuola che ci aveva visto spesso insieme, e della vecchia maestra che era
salita al cielo. Le nostre canne erano immobili, in quel posto Flavio una volta
aveva catturato una grossa carpa. Flavio era sempre stato più bravo di me nella
pesca, aveva una tattica speciale e glielo avevo sempre riconosciuto. In quel
momento il suo galleggiante incominciò a muoversi e si spostava verso la riva
opposta. Flavio con uno strappo da maestro riuscì a catturare una carpa, non
molto grande, ma di sicuro come primo pesce si poteva essere soddisfatti. Il
mio galleggiante era immobile, ed iniziavo a scoraggiarmi. Ma dopo alcuni
minuti la mia attenzione fu attratta dal mio sughero che scomparve e dopo uno
sforzo non indifferente, riuscii a trascinare a riva una grande tinca. Una
gioia grande si impadronì di me, mi sentivo talmente felice come se quello
fosse il primo pesce catturato della mia vita. Ci mettemmo poi a parlare del
libro scritto da M.K. Rawlings, Il cucciolo che avevamo letto a scuola e
narrava di un ragazzo che un giorno con suo padre andò a pesca e riuscì a
catturare un luccio di quasi cinque chili. La maestra ci aveva prestato questo
libro affinché lo leggessimo e migliorassimo il nostro modo di scrivere. Quella
cara insegnante ci aveva assegnato il compito di riassumere l’episodio che ci
aveva emozionato di più. Entrambi avevamo descritto la cattura del grande
luccio. Flavio tolse dalla sua sacca militare, che era appartenuta a suo padre,
il quaderno che conteneva il riassunto sulla cattura di quel luccio e una parte
dello stesso racconto che si mise a leggere. “Il sughero affondò come
trascinato da un peso enorme che fece persino perdere l’equilibrio al pescatore
novizio il quale puntò freneticamente i due piedi contro il suolo per resistere
agli strattoni. Il babbo gridò:” Tien duro, figliolo. Non lasciare che si
impigli nell’erbe. Tieni alta l’estremità della canna. Non mollare.” Jody,
nello sforzo che faceva per resistere, temeva che la lenza si strappasse, ma
non osava mollare di un centimetro, per paura di perdere la grossa preda. Si
augurava che il babbo gli fornisse il magico consiglio che risultasse utile a
renderlo miracolosamente padrone del bottino e a liberarlo dal tormento della
sospensione. Il luccio evidentemente meditava la tattica di guizzare attorno
all’isolotto per impigliare la lenza nei gambi delle foglie, neutralizzare così
la tensione e liberarsi dall’amo. Jody si persuase che ritirandosi piano piano
dal margine dell’acqua senza mai mollare la lenza, poteva tirare il pesce a
poco a poco dove l’acqua era sempre meno fonda e togliergli la libertà dei
movimenti e la possibilità di difendersi. Agì con la massima circospezione e
riuscì nel suo intento. L’ultimo atto della sua impresa fu un energico
strattone alla canna che coronò la sua conquista. Era un luccio che poteva
pesare cinque chili. Il babbo lo raggiunse. “ Sono fiero di te. Nessuno avrebbe
saputo fare meglio.” Dopo la lettura del racconto mi commossi come allora, non
eravamo cambiati, anche se il tempo era passato. Quella mattina passò
velocemente, catturammo alcuni pesci piuttosto piccoli, ma con i due più grandi
dopo averli puliti nel canale, decidemmo di metterci a cucinarli. Sul fuoco con
un bastone, a mò di spiedo, li cucinammo, li mangiammo dopo averli salati, e
bevemmo l’acqua del canale che era limpida. Nel frattempo avevamo calato ancora
le canne e con grande sorpresa catturai una carpa piuttosto grande che donai a
Flavio quando ci lasciammo. Il pacifico canale aveva mantenuto la sua bellezza,
l’albero era ancora più grande e la vecchia Villa Morosina quando la lasciammo
era avvolta dalla nebbia come se fosse una casa lungo il fiume. Flavio ed io
avevamo ritrovato i luoghi della nostra infanzia intatti come la nostra
amicizia.
martedì 18 ottobre 2022
La Regina indomita e socialista che gli italiani amavano, ma che fu solo “ Regina di Maggio”
Il 29 ottobre, a Cortona, presentazione del libro “ Maria José, regina indomita” di Luciano Regolo

Appuntamento culturale importante il 29 ottobre prossimo a Palazzo Casali in Cortona. Infatti alle sedici e trenta di questo sabato di fine ottobre 2022, nella Sala Medicea, verrà presentato il bel libro di Luciano Regolo “ Maria José, regina indomita”, pubblicato recentemente dalle Edizioni Ares di Milano.
Luciano Regolo, classe 1966, giornalista e saggista , ha lavorato per Repubblica, Oggi e Chi. Ha diretto Novella 2000, Eva Tremila e Vip, il quotidiano L’Ora della Calabria, ricevendo a Ischia nel 2014 il Premio speciale per la difesa della libertà di stampa. Dal 2018 è condirettore per la Periodici San Paolo di Famiglia Cristiana e di Maria con te ed è considerato il più profondo conoscitore di Casa Savoia.
[...]
lunedì 17 ottobre 2022
Capitolo XXIII: Il fiume e il pittore
di Emilio Del Bel Belluz
guali. Potevo paragonare il fiume ad un libro, ogni sua pagina mi regalava pace e serenità. Quando lo solcavo mi capitava di stare ad ammirare la sua forza, il suo carattere e avrei voluto ogni volta ringraziarlo perché era la penna con cui scrivevo la mia vita, ogni giorno diversa e magica. Se fossi stato un pittore, avrei voluto ritrarlo in tutta la sua bellezza. Avevo visto molti pittori che si mettevano lungo il fiume con le tele appoggiate ai cavalletti e con la tavolozza in mano . Quel giorno attraccai la barca vicino a uno di loro. L’uomo aveva una folta barba bianca, vestiva in modo dimesso, e notai che aveva calato la lenza in un posto dove il fiume scorreva lento. Mi presentai, e dopo mi scusai per aver interrotto la sua concentrazione. L’uomo mi osservò senza parlare per qualche attimo, e pensai che mi volesse rimproverare per averlo disturbato. Invece si presentò e mi disse che il fiume era stato sempre protagonista della sua vita. Era nato in un barcone, come figlio di una coppia che non si era sposata e per tale motivo, quando andava a scuola, veniva deriso dai suoi compagni. Questo lo aveva fatto molto soffrire ma col tempo si era abituato. Da bambino sua madre non gli dimostrava grande affetto. Vivevano in un barcone vicino al fiume. La vita del padre consisteva nella pesca e arrotondava i suoi guadagni facendo qualche piccolo lavoro. Il vecchio nel parlare del padre si commosse. Prese da una tasca del tabacco e meccanicamente mise l’altra mano nell’altra ed estrasse una pipa. Lo osservavo mentre faceva questa operazione, era lento ma non impacciato. Durante il caricamento della pipa, più volte mi sorrise. La sua capigliatura era bianca, come se vi fosse scesa la neve. Accese la pipa aspirando forzatamente e continuava a sorridere. Nel frattempo il galleggiante si mosse, l’uomo allora si alzò di scatto e prese la canna, si vedeva che era almeno un pescatore dilettante. Dall’acqua poco dopo emerse un pesce. L’uomo si sentiva soddisfatto e disse che con quel pesce si era guadagnato il pranzo. Gli capitava spesso di mangiare quello che pescava, e il pesce era sufficiente per permettergli di continuare a vivere lungo il fiume. Allora gli chiesi che continuasse a raccontarmi la storia della sua famiglia. Il suo volto si fece triste, la casa galleggiante come lui la chiamava, nella quale visse per quasi dieci anni, era tutto per lui. La sera, mentre dormiva, sentiva l’acqua che lo cullava dolcemente. Il padre non aveva un buon rapporto con la madre, i litigi erano ricorrenti e questo a lui dispiaceva. Alla mattina era sempre suo padre che lo accompagnava a scuola, transitandolo con la barca all’altra riva, dove c’era il paese. Il padre lo amava e cercava ogni giorno di essergli vicino. Alla sera voleva controllare i compiti che aveva svolto, e gli piaceva osservare i disegni che il ragazzo faceva a scuola. In un colloquio tra il padre e la sua insegnante, costei gli consigliò di far continuare gli studi a suo figlio perche dimostrava particolare attitudine in tutte le materie. Ma le poche disponibilità economiche non permisero di attuare i suggerimenti della maestra. La mamma continuava ad essere severa e taciturna nei suoi confronti. Il ragazzo non sapeva in nessun modo donarle quella tranquillità di cui molte persone hanno bisogno. Un giorno cadde in acqua, e non sapendo nuotare molto bene, si mise a urlare con tutto il fiato che aveva in corpo. La madre osservava la scena senza fare nulla, ma il padre sentendo quello che stava accadendo, salì dalla stiva della barca e si buttò in acqua. Quello che accadde successivamente fu drammatico. Mentre suo padre lo afferrava con una mano e lo spingeva verso la riva, una barca a motore passando vicino, gli imbrigliò parte del corpo. Il padre con tutte le sue forze cercò di allontanarlo dal pericolo e in questo modo fu salvo ma il padre venne maciullato dall’ elica della barca a motore. Questa scena non la dimenticò mai, come non riusciva a dimenticare il volto della madre sconvolta dal dolore per la morte del marito e che nel momento del bisogno non si era mossa per aiutarlo. Dopo la morte del padre venne accolto da una parente che non aveva figli, in un piccolo paese vicino a Padova. La famiglia era di ceppo contadino e lo amò fin dal primo momento. Si trattava di povera gente, che viveva con quel poco che guadagnava con il lavoro di alcuni campi che erano stati dati in affitto da un ricco proprietario, la cui moglie era una grande donna di fede che si prodigava aiutando i poveri che bussavano alla sua mensa. In paese aveva frequentato la scuola finché aveva potuto, poi la vita che gli aspettò era rappresentata dal lavoro dei campi. Di domenica, come tutti i ragazzi della sua età, si fermava a giocare in oratorio, ed era benvoluto. Aveva la passione della lettura ed aveva conosciuto uno scrittore che ogni tanto andava a fare visita ai suoi parenti. Costui collaborava con un giornale di provincia, e talvolta, arrivava con un pacco di quotidiani che leggeva con avidità. Alla domenica gli piaceva distribuire il giornale della parrocchia, avendo così l’occasione di leggerlo per primo. Con il passare degli anni belli e spensierati si impegnò a lavorare in una tipografia dove si stampavano dei libri e i famosi quaderni neri che si usavano a scuola. Trascorse molti anni in quel paese e dopo aver sepolto i suoi parenti che lo avevano adottato, vendette la casa di famiglia e si stabilì nel paese vicino al fiume dove suo padre aveva ormeggiato il barcone. Si sentiva in qualche modo vicino a lui e alla madre che, seppure non lo avesse amato come si dovrebbe, lo aveva comunque portato in grembo. La madre da quella volta in cui cadde in acqua non l’aveva più rivista, seppe poi che era morta e il vecchio prete del paese aveva provveduto al suo funerale, non essendo riuscito ad avvisarlo. Al piccolo e raccolto cimitero del paese si recava ogni giorno a trovare i suoi. Orami era diventata una abitudine a cui non poteva rinunciarvi. Mentre faceva una pausa della conversazione, all’amo abboccò un pesce piuttosto grande, che mi costrinse ad aiutarlo per portarlo a riva. Erano passate alcune ore e l’appetito si fece sentire. Lo aiutai ad accendere il fuoco, pulii il pesce con la mia solita abilità e lo cucinai. In silenzio, fumando la pipa, il cui profumo si spandeva attorno mi diede dei consigli esistenziali. Mi suggerì di vivere in modo tale che, arrivato alla fine del mio percorso, non avessi nulla di cui pentirmi e di mettere al centro della mia vita, l’amore per la famiglia. A nulla sarebbero serviti i soldi di tutto il mondo se non fossi stato un buon marito e un padre esemplare. Dopo aver mangiato mi regalò il quadro che aveva ultimato: si trattava del barcone del padre dove vivevano un tempo. Nel quadro aveva disegnato i suoi genitori che stavano insieme a lui, con i volti sorridenti. Aveva dato una visione della famiglia ben lontana dalla realtà che aveva vissuto. Dopo mi chiese se poteva salire nella mia barca, non aveva mai più navigato dopo quel tragico incidente del padre. Lo accompagnai alla vecchia chiesetta vicino al fiume, dove volevo dirigermi prima di trovarlo. Quel posto era il luogo di ristoro della mia anima, in cui mi era facile meditare ed apprezzare ciò che la vita mi stava donando. Quando lo riaccompagnai, il sole stava tramontando e dopo averlo abbracciato mi avviai verso casa. Il profumo del fiume era intenso, e rifletteva gli ultimi raggi solari. La campana della chiesa suonava l’Ave Maria. Nella mia casa trovai i bambini e Elena che avevano intonato una canzone di natale, sebbene la festa fosse ancora lontana. Venni accolto con molto affetto, e raccontai con entusiasmo l’incontro con il pittore. La serata era passata velocemente e faticai ad addormentarmi. Pensavo al vecchio pittore e mi chiedevo se le sue notti non fossero disturbate da incubi, come quello in cui rischiava di annegare. Il campanile della chiesa scandiva i dodici rintocchi della mezzanotte.
sabato 15 ottobre 2022
Regina Margherita: la rassegna stampa
- A Torino 'Margherita di Savoia, prima Regina d'Italia'
- A Palazzo Madama, la mostra dedicata a Margherita di Savoia, prima Regina dell'Italia unita e icona di moda e tendenze
- Il ritratto aureolato di “Margherita di Savoia. Regina d’Italia”
- MOSTRE – Margherita di Savoia, la sovrana influencer
- La mostra sulla Regina Margherita a Palazzo Madama. L’inaugurazione aperta al pubblico oggi, mercoledì 12 ottobre
Regina Margherita: la rassegna stampa
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- La mostra sulla Regina Margherita a Palazzo Madama. L’inaugurazione aperta al pubblico oggi, mercoledì 12 ottobre
Discorsi Liberali
di Riccardo Scarpa
[...]
Questo Stato nazionale è lo stesso nato nel 1861, come rifondazione del Regno d’Italia a opera di Casa Savoia, dopo la prima nascita d’uno Stato con questo nome avvenuta nel 1805, a opera di Napoleone. È sempre quel Regno che, dopo il luglio del 1943 e l’autoscioglimento del regime fascista, resistette come Stato, nelle province meridionali, e partecipò con gli Alleati alla liberazione del 25 aprile 1945. La democrazia risorse non da una resistenza partigiana, ma dalla cobelligeranza, in forza di una nuova alleanza di fatto, delle Regie Forze Armate al fianco degli Stati liberi alleati. La Repubblica è nata in forza di due decreti luogotenenziali di Umberto di Savoia, indicenti le elezioni per il referendum sulla forma istituzionale dello Stato e l’Assemblea costituente. E anche dalla desistenza di Re Umberto II dall’aspettare la proclamazione dell’esito referendario da parte della Suprema Corte di Cassazione, che intendeva meglio controllare le schede elettorali, anticipata dal colpo di Stato di Alcide De Gasperi.
Colpo di Stato che indusse proprio i ministri del Partito Liberale Italiano presenti in quel Governo a dimettersi. Di fronte a un ritorno se non altro della signorilità liberale, in Segre e La Russa, spiace che, all’interno della coalizione vittoriosa, qualcheduno ritorni bambino e faccia qualche capriccio. Forse anche questo genererà uno spazio al risorto Partito Liberale Italiano.
venerdì 14 ottobre 2022
La Russa ricorda la data di nascita del Regno d’Italia: il ringraziamento dei monarchici italiani
Le parole pronunciate da Ignazio La Russa nel suo discorso di insediamento al Senato sono state apprezzate dall’Unione Monarchia Italiana (U.M.I). Non è passato, infatti, inosservato il suo riferimento alla nascita del Regno d’Italia.
La Russa e la data di nascita del Regno d’Italia
«La senatrice Segre – ha detto il presidente del Senato – ha ricordato tre date e io non voglio fuggire, perché è troppo facile scappare di fronte alle richieste di chiarezza: è stato ricordato il 25 aprile, il primo maggio, il 2 giugno, cui potrei aggiungere la data di nascita del Regno d’Italia, che prima o poi dovremo far assurgere tra quelle celebrate con festa nazionale. Queste date, tutte insieme, hanno bisogno di essere celebrate da tutti, perché solo un’Italia più coesa, pacificata e unita è certamente la migliore e la più importante precondizione per poter affrontare efficacemente ogni emergenza e ogni criticità».
lunedì 10 ottobre 2022
Capitolo XXII: La maestra e l’articolo di un giornale.
di Emilio Del Bel Belluz
Silvana mi raggiunse mentre stavo aggiustando una rete acquistata da poco, non ero di buon umore, la riparazione era piuttosto complessa perché il danno era ingente . La gentile Silvana aveva in mano una busta appena consegnatale dal postino. Il suo contenuto era una grande pagina di giornale che parlava del pugile Primo Carnera. La donna, sapendo che mi ero affezionato alla sua figura e alla sua storia, aveva scritto direttamente una lettera ad un giornale di pugilato, chiedendo che le venisse inviato delle notizie inerenti al gigante di Sequals. Le aveva risposto il direttore, inviandole quella pagina ed una foto del pugile. Il mio umore mutò subito, abbandonai la rete e mi accinsi ad ammirare la foto. Era stata scattata in Francia ed osservai con stupore il suo fisico possente e quella mani grandi. Subito dopo mi misi a leggere l’articolo del giornale con sede a Milano. Quando tornai a casa, anche Elena, che sapeva di quella busta che il postino aveva appena recapitato, volle leggere l’articolo e commentò la foto di Carnera. Anche lei come Silvana notò la grande statura e l’importante massa muscolare del pugile. Carnera non era una persona normale ma un gigante, possente come una quercia. Elena fu colpita dagli occhi di Carnera che giudicò fossero quelli di una persona triste, alla quale mancava qualcosa per sentirsi una persona completa. Nell’articolo si raccontava che il pugile sarebbe venuto a combattere in Italia, precisamente a Milano, la città dove ogni tanto si organizzavano degli incontri di pugilato di un certo livello. In quella città vi aveva combattuto il campione dei pesi massimi Erminio Spalla e aveva conquisto la prestigiosa corona europea dei pesi massimi. Sperai che anche Carnera potesse ritornare in Italia per conquistare l’alloro mondiale e rimanerci per sempre. Elena notò che ero diventato entusiasta. Mi impegnai a rileggere l’articolo raccogliendo tutta la mia pazienza, perché non sapevo leggere velocemente e le parole dai caratteri piccoli rappresentavano un’ulteriore difficoltà. La storia di questo gigante friulano mi piaceva molto. Avevo visto in lui una persona che avrebbe potuto fare una carriera sfolgorante, mi sarebbe piaciuto fare la sua conoscenza e stingergli la mano. Il match di Milano si sarebbe svolto tra due settimane, il 25 novembre 1928. Il cronista scriveva che Carnera non vedeva l’ora di arrivare al suo paese: Sequals, da dove mancava da alcuni anni e precisamente dal momento un cui dovette lasciarlo con la pesante valigia di cartone, perché conteneva anche tutte le sue illusioni e le speranze di trovare un futuro migliore in terra francese. Nell’articolo, il giornalista faceva mille ipotesi sul futuro di questo pugile. Alla fine conveniva che la sua mole lo avrebbe aiutato a sollevare il mondo. Quando arrivai alla fine della lettura, la rabbia che avevo in corpo per quella rete era svanita. Silvana mi servì un buon caffè: era proprio quello che desideravo in quel momento. Si era fatto quasi mezzogiorno e decisi di fermarmi per il pranzo. Elena raccontò che la mattinata era cominciata senza alcuna contrarietà e si stava ultimando ancora meglio, dopo aver udito la storia di Carnera. In casa poi era arrivata Genoveffa con un una pagnotta che le aveva dato una vicina, il profumo del pane appena sfornato si propagò nella stanza, richiamando aria di festa. Genoveffa lo mise sulla tavola, essendo certa che l’assaggiassi per primo. Nel frattempo il piccolo Umberto incominciò a reclamare il suo pranzo, e in pochi secondi Elena si mise davanti al fuoco e lo allattò. Tutto attorno era silenzio, si sentiva solo il succhiare con avidità del piccolo. A Elena sarebbe piaciuto avere un figlio grande come Carnera, in questo modo nessuna avrebbe fatto del male alla sua famiglia. A questo punto intervenne Silvana, dicendo che una volta aveva letto la storia di un gigante che aveva un cuore d’oro. Questo colosso che viveva in montagna, era talmente buono che difendeva tutti coloro che subivano un’ingiustizia. Quando faceva una bella azione, diceva che il buon Dio l’avrebbe di sicuro gradita e dal suo volto scendeva una lacrima di felicità. La sua forza era talmente grande che poteva sollevare una grossa pietra, o spezzare una catena. Al paese dove abitava era anche la gioia dei bambini, perché riusciva a sollevarli verso l’alto, anche più d’uno alla volta. Aveva un grande amico che non poteva camminare, per cui ogni mattina andava a casa e se lo caricava sulle spalle finché non giungeva a scuola. Questo bambino non era molto ricco e il gigante divideva il cibo con lui. Quando non aveva nulla da offrirgli, sapeva che alla bottega del paese c’era sempre qualcuno capace di dargli qualcosa per il ragazzo. Questo gigante dal cuore d’oro non s’arrabbiava se qualcuno lo insultava, era sempre pronto a perdonare. Questo grande uomo, un giorno, incontrò una giovane del paese che era molto più bassa di lui e come accade sempre nelle fiabe, ma anche nella vita, si innamorò di lei. Qualche mese dopo si sposarono e un parente della ragazza le offrì una piccola casa nel bosco, vicino ad un torrente. I due sposi vissero in quel posto per tutta la vita, il gigante si era messo a fare il boscaiolo, aumentando in questo modo la sua massa muscolare. Aveva delle braccia possenti e ogni tanto in paese veniva chiamato per fare dei lavori che richiedevano tanta forza che solo lui possedeva. La gente gli voleva sempre più bene. Dal suo matrimonio nacquero due bambini che non assomigliavano in grandezza al padre. I bambini crebbero nella più grande libertà, erano amati dai loro genitori e pertanto erano sereni. Un giorno la moglie del gigante gli annunciò una bella notizia: aspettava il suo terzo figlio. Costui la sollevò al cielo, era felice di diventare ancora una volta padre. Quella sera mangiarono delle trote che un pescatore gli aveva portato, per festeggiare alla grande il nuovo evento. In quella casa una nuova luce era entrata per riscaldare i loro cuori. Alcuni mesi dopo, nacque la creatura tanto attesa. Al parto aveva assistito una donna del paese, che non aveva mai visto un bambino così grande. Sicuramente sarebbe diventato molto simile al padre, e con la stessa bontà di cuore.
venerdì 7 ottobre 2022
Incontro a Porta Pia
Siete cortesemente invitati a un Nostro Incontro di Studio e di Ricerca,
“La Regina Elisabetta un fenomeno planetario. I monarchici sono il futuro”
A un mese dalla morte della Regina Elisabetta II abbiamo deciso di intervistare l’avvocato Alessandro Sacchi, presidente dell’UMI (Unione Monarchica Italiana) e commentare con lui quello che a tutti gli effetti potrebbe essere definito un cambio epocale.
La morte di Elisabetta II non è stata un dispiacere solo per gli inglesi ma è stato un fenomeno planetario. Era una persona dalla popolarità trasversale e universale, forse solo al pari o più di qualche pontefice.
E’ stato inoltre un grande capo di Stato. In settanta anni di regno ha accompagnato la monarchia inglese dalla fine dell’impero alla comunità del Commonwealth e fra alti e bassi se l’è sempre cavata. Va però detto che non è stato solo merito suo ma anche di tutto il meccanismo del quale Elisabetta era al vertice.
In che senso?
Il Regno Unito è la più antica democrazia parlamentare del pianeta ma non ha una costituzione scritta; quindi Elisabetta si è mossa seguendo le consuetudini ed il buon senso. Il sistema è quindi da secoli ben bilanciato e molto efficiente.
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https://culturaidentita.it/la-regina-elisabetta-fenomeno-planetario-i-monarchici-sono-il-futuro/
mercoledì 5 ottobre 2022
Argenio Ferrari, “Lex et Libertas in Potestate Regis”, edito da Bastogi Libri

domenica 2 ottobre 2022
Capitolo XXI La cassa restaurata e il falegname
di Emilio Del Bel Belluz
Elena era la mia regina, la donna che amavo di più al mondo. Mentre avevo il remo in mano e direzionavo la barca, sentivo il profumo dell’acqua che era intenso più del solito e gli uccelli volteggiavano bassi, quasi a sfiorarla: forse in serata avrebbe piovuto. Elena era radiosa, bella come non mai. Mi ritenevo fortunato d’averla conosciuta e di amarla come il primo giorno. Fu una delle tante belle giornate trascorse assieme, e felici della vita che ci aspettava.