Ancora un uso politico della storia
di Salvatore Sfrecola
Ricorrono quest’anno, il 17
novembre, 80 anni dalla promulgazione del regio decreto legge 17 novembre 1938,
n. 1728, recante “Provvedimenti per la difesa della razza”. Il provvedimento,
“ritenuta la necessità urgente ed assoluta di provvedere”, emanato ai sensi
dell’art. 2 della legge 31 gennaio 1936, n. 100, è stato emanato “sentito il
Consiglio dei Ministri, sulla proposta del DUCE (tutto maiuscolo
nell’originale), Primo Ministro Segretario di Stato, Ministro dell’interno, di
concerto con i Ministri degli affari esteri, per la grazia e giustizia, per le
finanze e per le corporazioni”, come si legge nelle premesse, reca la firma
oltre che di Mussolini, dei Ministri, Ciano, Solmi, Di Revel e Lantini.
Registrato alla Corte dei conti, addì 18 novembre 1938, registro 403, foglio 76
(Mancini) è stato convertito dalla legge 2 giugno 1939, n. 739, approvata dal
Senato e dalla Camera dei fasci e delle Corporazioni. Il regio decreto legge,
come gli altri riguardanti la medesima materia e la legge che globalmente li ha
convertiti sono stati abrogati dal regio decreto legge 20 gennaio 1944, n. 25,
sulla base della “urgente ed assoluta necessità di reintegrare nei propri
diritti i cittadini italiani appartenenti alla razza ebraica per riparare
prontamente alle gravi sperequazioni di ordine morale politico create da un
indirizzo politico infondatamente volto alla difesa della razza”.
Governo, Parlamento, Re, ognuno in
relazione alla specifica competenza, volontariamente (Governo e Parlamento)
o ratione officii (il Re) coinvolti in quella normativa hanno
concorso a quella legislazione. Ma uno solo è sotto “processo”, il Re Vittorio
Emanuele III, non il Duce Primo Ministro e proponente in Consiglio dei
Ministri, non coloro che lo hanno approvato in quella sede e in Parlamento.
È evidente il carattere “politico”
dell’iniziativa. Cioè l’“uso politico della storia”, come si usa dire, come
spesso è avvenuto. L’iniziativa è assunta dalla Comunità Ebraica di Roma
organizzatrice dell’evento che andrà “in scena all’Auditorium Parco della
Musica di Roma il 18 gennaio alle 20.30”. “In scena”, si legge nel sito http://moked.it/blog/2017/12/18/leggi-razziste-re-processo/.
Ed è effettivamente uno spettacolo teatrale. Ogni responsabilità si fa ricadere
sul Re, l’unico del quale è nota l’avversione al provvedimento, reiteratamente
manifestata. E naturalmente nulla si dice della abrogazione di quella
normativa, appena ha potuto decidere liberamente. Il motivo di questa
aggressione alla figura del Sovrano, del quale non viene ricordata nessuna
benemerenza nel suo lungo regno (1900-1946), sta nel fatto, come ha titolato
Alessandro Meluzzi in un bell’articolo su Il Tempo del 18
dicembre che “Gli hanno fatto pagare le colpe di un Paese”. Quanti dal 1922
cercano – ma la storia li condannerà – di nascondere la verità: l’aver
Giolitti, Sturzo e Turati declinato la responsabilità del Governo, come il Re
li aveva invitati. E di aver successivamente assicurato la maggioranza al
Governo Mussolini, per poi rifugiarsi sull’inutile Aventino all’indomani del
delitto Matteotti. Poi di aver lasciato il Re solo, mentre il Fascismo
smantellava una dopo le altre le istituzioni dello Stato liberale, a cominciare
dallo Statuto del Regno, costituzione “flessibile” e pertanto modificabile da
qualunque legge ordinaria, come le leggi di discriminazione razziale, per
tornare all’argomento.
Nessuna benemerenza per il Re delle
riforme del decennio giolittiano, come sottolinea Mario Missiroli, che ne aveva
scritto su un libro famoso (“La monarchia socialista”) quanto oggi poco letto,
nonostante sia stato ripubblicato da Le Letterenel 2015 con una
prefazione di Francesco Perfetti, né per il Re “soldato” che a Peschiera, l’8
novembre 1917, non solo aveva difeso l’onore del soldato italiano ma con la sua
autorevolezza dinanzi ai primi ministri di Francia e Gran Bretagna aveva
imposto la difesa ad oltranza sul Piave così condizionando l’esito positivo
della guerra che sarebbe stata irrimediabilmente perduta se gli austro tedeschi
avessero dilagato nella pianura padana.
Il Re e solo lui responsabile della
legislazione razziale voluta da Governo e Parlamento. La storia non può
ammettere questa manipolazione della verità alla quale sembra si prestano
personaggi illustri. Il “sembra” è d’obbligo, anche se è evidente che la
sentenza è già scritta. E quando le sentenze sono già scritte non c’è giustizia
nei tribunali, neppure in quelli della Storia.
Il processo a Vittorio Emanuele III,
così si legge nella locandina, ma un po’ di pudore devono averlo avuto gli
organizzatori se nella presentazione si legge che il “dibattimento processuale…
esaminerà a tal proposito le responsabilità di quanti si resero protagonisti di
una delle pagine più vergognose della recente storia italiana”. Ma i “quanti”
non ci sono. Sono contumaci? E chi li difenderà, considerato che “la difesa è
diritto inviolanile in ogni stato e grado del procedimento”, come si legge nel
secondo comma dell’art. 24 della Costutuzione.
“Il processo” – testualmente -
partirà proprio dalla figura di Vittorio Emanuele III. A condurlo il pm Marco
De Paolis, l’avvocato Umberto Ambrosoli come imputato, l’avvocato Giorgio
Sacerdoti come parte civile”.
Stimo Umberto Ambrosoli, figlio del
martire della delinquenza bancaria, quell’Avvocato Giorgio Ambrosoli,
liquidatore della Banca Privata di Michele Sindona. Giorgio Ambrosoli era
monarchico e forse questo ha spinto gli organizzatori a scegliere il figlio
come difensore del Re. Umberto, un nome non scelto a caso, candidato alla
presidenza della Regione Lombardia è di quelli che si definiscono “una brava
persona”. Non una personalità e non risulta abbia fatto particolari studi
storici né giuridici sullo “Stato fascista” e le sue istituzioni.
La Corte sarà invece composta da
Paola Severino, ex Ministro della Giustizia, presidente del collegio, dal
magistrato Giuseppe Ayala, e dal consigliere del CSM Rosario Spina. Stupisce
come si siano prestati ad una farsa di processo. Forse l’italico desiderio di
apparire che, per molti magistrati, costretti dalle regole della professione
alla riservatezza, sembra essere stavolta appagato.
“Tante le testimonianze perdute che
ritroveranno memoria nelle voci di Piera Levi Montalcini, nipote del Premio
Nobel Rita, Federico Carli, nipote di Guido, l’economista Enrico Giovannini,
Maurizio Molinari, direttore della Stampa”. Di tutti, persone degnissime, non
si conoscono studi storici approfonditi. Faranno riferimento alla “vulgata” dei
fuggiaschi del 1922, del 1924 e seguenti, tutti interessati a far ricadere sul
Re le loro colpe?
“L’Italia, che deve ancora fare un
profondo esame del proprio passato e non ha mai celebrato processi contro i
propri governanti che si sono macchiati di crimini contro l’umanità, rischia di
non poter fermare i nuovi movimenti di odio che ai quei falsi valori e simboli
si ispirano nei loro moti” sottolinea Noemi Di Segni, presidente dell’Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane, che ha voluto l’evento e lo ha seguito nella
fase ideativa. “Il Processo quindi lo facciamo noi, evidenziando la filiera
delle responsabilità che dal Re e dal regime risalgono alle istituzioni,
all’accademia, alla stampa, all’industria, alla chiesa, alla popolazione civile
che, quando non si rese complice, accettò senza reagire che una comunità di
cittadini italiani, presenti da duemila anni nel Paese, perdesse ogni diritto e
libertà. Diritto di lavorare, studiare, avere una vita sociale, contribuire
alla scienza, alla cultura, alla politica. Vogliamo sfatare la leggenda che le
leggi razziali furono un provvedimento all’acqua di rose”.
Leggi infami che però da queste
parole si comprende siano state emanate ed attuate da molta gente. Ma sotto
processo è uno solo. Non è forse la prova della strumentalizzazione, dell’“uso
politico della Storia”?
Non è una bella iniziativa. Non
favorirà quell’“esame di coscienza” che si auspica. Finirà con la condanna di
uno solo nel dispositivo anche se è probabile che nella motivazione si faccia
cenno alle “altre” responsabilità, come innanzi richiamate.
Una brutta vicenda. Che non farà
chiarezza sugli eventi e sulle responsabilità ed acuirà risentimenti politici
dei quali questo nostro Paese non ha assolutamente bisogno.
L’evento curato, per la parte
processuale, da Elisa Greco, autrice del format Processi alla Storia, su un
progetto teatrale di Viviana Kasam e Marilena Francese, che da cinque anni
curano per l’UCEI l’evento istituzionale per il Giorno della Memoria, e sarà
ripreso da Rai5 e trasmesso da Rai Storia in prima serata alle ore 21.15 del 27
gennaio 2018, in occasione del Giorno della Memoria, all’interno di un
documentario realizzato da Bruna Bertani.
Lo vedremo e ne parleremo ancora,
giorno dopo giorno, fino a quando non sarà fatta giustizia.
14 gennaio 2018
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