NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 31 maggio 2022

Margherita di Savoia: la Prima Regina d’Italia


Nel 1861 Vittorio Emanuele II divenne Re d’Italia, ma quello era un regno senza regina. La moglie Maria Adelaide d’Asburgo era morta nel 1855, e degli 8 figli solo due erano femmine, Maria Clotilde sposata in Francia a Girolamo Bonaparte e Maria Pia sposata a Re Luigi I in Portogallo. Non c’erano quindi neppure principesse reali ad accompagnare il re.

La presenza di una regina, anche se consorte, era molto importante e, pur senza avere potere politico, significava un maggior numero di balli, ricevimenti e occasioni sociali che mettevano in moto moltissime attività, moda, gioielli, ma anche personale di cucina e servizio, cameriere e dame di compagnia. Anche nell’ambito sociale aveva una grande importanza. Era la Regina ad occuparsi di beneficenza, molto spesso mirata a donne e bambini, accoglieva suppliche ed era quasi sempre ammirata e amata dal popolo anche quando il marito non lo era affatto. In fondo nonostante gli anni che passano è ancora così.

Il figlio primogenito Umberto, erede al trono, nacque il 14 marzo del 1844 e nel 1862 aveva incontrato Eugenia Attendolo Bolognini Litta con la quale iniziò una relazione durata fino alla sua morte. Ebbero un figlio, Alfonso, molto cavallerescamente riconosciuto dal marito per salvaguardare la reputazione della donna.

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domenica 29 maggio 2022

Capitolo VIII La pesca miracolosa +

 


di Emilio Del Bel Belluz

 

 Avevo da qualche giorno la possibilità di usare una rete che avevo acquistato da Elena ed apparteneva a suo padre. Nel momento in cui la portai a casa compresi che quella rete mi avrebbe portato di sicuro a catturare più pesce, essendo la più grande di tutte quelle che possedevo.  Elena mi aveva fatto vedere un tratto del fiume che era particolarmente pescoso, e in cui suo padre aveva sempre avuto fortuna, gettando le reti proprio in quel posto. L’acqua era particolarmente calma e pulita, quasi trasparente, e si vedeva dalla riva il fondale. Una mattina alzatomi di buon’ ora andai a pescare proprio lì, avevo messo la rete nuova e speravo nel miracolo; tra l’altro avevo bisogno di guadagnare dei soldi. Alla mattina la nebbiolina era sempre presente, sembrava che il fiume stesse fumando. L’aria era pulita, udivo solo il rumore che faceva il remo entrando nell’acqua, quasi ad accarezzarla. Quando si va a tirare fuori dall’acqua le reti, si ha sempre una strana sensazione di attesa, perché la fortuna non è mai la stessa. Giunto nel posto indicato mi accorsi che l’acqua stranamente aveva un colore torbido, non si vedeva il fondo, la rete che avevo calato era molto grande e pensai d’averla perduta; e questo fu per me come un tuffo al cuore.  Mi avvicinai con la barca, la intravidi e l’afferrai. Mi accorsi che qualcosa di grosso si era impigliato, e lottava per liberarsi. Avevo il cuore in gola, tanta era l’emozione, la barca traballava e non riuscivo a tirare su la rete. Passai dei momenti molto difficili, poi presi una fiocina e colpii il pesce che non mi dava nessuna tregua e si dimenava. Vidi il sangue che usciva dalla ferita, e con molta difficoltà lo issai nella barca. Si trattava di uno storione, non ne avevo mai visto di così grandi, avrà pesato almeno una cinquantina di chili. Per me quella preda rappresentava una somma di denaro importante. Pensai di venderlo all’osteria del paese che, di solito, pagava bene. Quando ormai avevo catturato la preda, mi volli direzionare verso la casa di Elena. La sua casa lungo il fiume non era molto distante dal posto dove mi trovavo, e decisi che l’avrei svegliata per farle vedere il grosso esemplare. Giunto davanti alla sua casa attraccai la barca, e bussai. La mamma di Elena venne ad aprirmi e mi accolse con un sorriso, che ricambiai. Le dissi che avevo catturato un grosso pesce, e nel frattempo, giunse Elena i cui occhi erano ancora assonnati. Era tanto bella, pensai. Mostrai loro la mia preda, che occupava parte della mia barca, che si dimenava ancora, ma per il pesce più pregiato del Livenza la sua marcia era finita. Le due donne di pesci come questo ne avevano visto molti, ma per me era la prima cattura così importante e significativa. Rientrammo in casa, le due donne vollero che mi fermassi a fare colazione con loro. La mamma aveva comprato dell’ottimo caffè alla bottega e voleva farmelo assaggiare. Quei momenti passarono con una velocità indicibile, come ogni momento quando si è felici e ne avevo veramente bisogno. Passai un’ora con loro, incrociavo gli sguardi di Elena e se fossimo stati soli l’avrei di sicuro abbracciata e baciata.  In quella casa avvertivo la sensazione che ci fosse anche la presenza del pescatore che era morto da tempo. Ogni tanto guardavo la sua foto che era stata messa in cucina, in una mensola, dove una candela si consumava vicino ad una croce. Il suo ricordo persisteva ancora in quella casa e nei cuori dei suoi cari.  Lasciai la casa felice, e non vedevo l’ora di vendere la preda. Ogni volta che lasciavo Elena mi piaceva che mi accompagnasse alla barca e mi salutasse mentre mi allontanavo dalla piccola rada; quel saluto mi riempiva di gioia. Avevo letto in un libro la storia di un soldato che andava al fronte, e la sua donna che lo salutava alla stazione. Costui non era più tornato, la morte lo aveva colto in guerra. La donna per anni la si vedeva nel luogo dove aveva accompagnato il suo uomo assieme ad un bambino, che era nato dopo la morte del soldato. Questa donna per anni andava alla stazione e aspettava il ritorno del suo eroe. Nel romanzo si diceva che la donna era rimasta talmente sconvolta dalla morte del suo uomo che era impazzita dal dolore. Viveva nella casa della mamma, incapace di fare qualsiasi lavoro, ma quel bambino che aveva avuto, diventando uomo, era riuscito a guarirla dalla malattia che la divorava.  Dopo molti anni aveva ripreso una vita normale, non si era più sposata, viveva nel ricordo di quell’uomo. Per un attimo mentre la barca si allontanava, pensai a quella giovane sposa. Quel giorno realizzai una bella sommetta con la vendita dello storione che fu pesato dall’oste, erano circa settanta chili, una vera manna dal cielo. L’oste mi volle festeggiare anche con del buon vino accompagnato da un piatto di pane e fette di salame. Quella sera davanti al fuoco parlai a lungo con Genoveffa di come la fortuna stesse girando dalla parte giusta. Il momento propizio mi permetteva di affrontare i giorni che seguirono con più convinzione nelle mie capacità, e Genoveffa condivideva questa mia gioia, come era solita partecipare alla felicità di suo marito. Spesso nei nostri discorsi nominava Elena e lo faceva con la stessa dolcezza con cui avrebbe parlato di suo marito. La vita che aveva fatto era dura, ma mi diceva spesso che stare in casa con me le procurava tanta felicità; era un modo per non sentirsi sola. Genoveffa spesso mi confessava che suo marito le mancava, era stato un uomo molto buono, non le aveva mai fatto mancare nulla, era molto innamorato di lei e questo la ricompensava di tutto. Anche quando stavano in casa, alla domenica, era contenta nel vederlo mentre si metteva a leggere qualcosa, di solito si trattava di libri che parlavano del fiume e del mondo della pesca.  Nella sua casa aveva ancora i suoi libri, che volle portarmeli. Genoveffa non era mai stata una lettrice, come molte donne si era sacrificata per la famiglia, rinunciando a proseguire gli studi. Il marito aveva comperato quei libri da un rigattiere che andava di paese in paese. Un giorno con il suo carretto era passato per il paese di Villanova, conoscendo il marito di Genoveffa, e gli aveva venduto alcuni libri rilegati con una copertina marrone e i fregi in oro.  Questi libri li aveva trovati nella soffitta della casa di un vecchio che era morto. Erano libri che trattavano della pesca. Il marito di Genoveffa li aveva acquistati per una bottiglia di vino rosso. Nei libri c’era il nome di quello che li aveva posseduti prima. Quando li aveva portati a casa, Genoveffa non era stata molto felice, ma poi aveva capito che quei libri avrebbero permesso al marito di passare qualche ora davanti al caminetto nelle sere quando la pioggia e il freddo facevano da padrone. Solitamente li leggeva ad alta voce per permettere anche alla moglie di ascoltare mentre lavorava a maglia o stirava. Il marito aveva un carattere che si adattava facilmente alle difficoltà che la vita gli presentava.  Gli piaceva fumare la pipa, con il suo cappello da marinaio, ricordo di gioventù. Riusciva a trovare la bellezza della vita nelle piccole cose, come l’osservare dalla finestra la pioggia che cadeva. Quando si ha la quiete nel cuore si va lontano, ripeteva spesso il marito di Genoveffa. Dalla mattina alla sera usciva con la sua barca, armeggiava con le reti, come un personaggio dei romanzi di grandi scrittori. Nutriva un grande amore per tutto quello che il fiume poteva offrire ed era come una strada percorsa da viandanti in cerca di pace, da uomini che giungevano con le loro barche cariche di merci da vendere in paese. La vita lungo il fiume non era solitaria, c’era sempre qualche barca che solcava le sue acque e dalla sponda c’era sempre qualcuno pronto a salutare. Si sentivano i rintocchi delle campane che scandivano le ore della giornata che passava velocemente. Il fiume era sempre stato generoso, bastava rispettarlo. Quelli che abitavano lungo le sue sponde, dopo la loro morte, erano ancora presenti nei cuori di coloro che li avevano conosciuti; la loro anima continuava a vivere grazie al fiume.  Anche coloro che avevano deciso di lasciarsi travolgere dalla corrente del fiume, continuavano a vivere per sempre.

sabato 28 maggio 2022

Le ragioni della Monarchia IV


MONARCHIA E SOCIETA' TRADIZIONALI

 

Descriviamo la Monarchia e la società tradizionali. Anticipiamo subito che la Tradizione deve sempre avere un aggancio metafisico e religioso e poiché uno solo è il vero Dio, una sola è la vera Tradizione a cui dobbiamo rifarci. Ciò richiede un chiarimento preliminare con i tradizionalisti non cattolici. Come dimostra il fatto che ci siamo valsi dell'insegnamento di Evola, è possibile, in sede di dottrina monarchi­ca, una larga parte di cammino in comune tra tradizionalisti cattolici e non cattolici. Poiché il Cristianesimo ha recepito in sé, nella dottrina, si pensi a S. Tommaso che si serve della metafisica classica greca, e nelle istituzioni, nel Medioevo romano-germanico, parecchi elemen­ti del mondo tradizionale pre-cristiano, molti caratteri della Monar­chia tradizionale sono ugualmente rivendicati da cattolici e da paga­ni. A questi ultima manca però l'aggancio finale e più alto, la roccia saldissima che solo possiede chi, abbracciando la dottrina e la fede cattolica, può arrivare alla dimostrazione razionale, data in maniera insuperata dalla filosofia scolastica e neo-scolastica, dell'esistenza di un Dio Persona e Creatore.


I costanti richiami che farò alla dottrina cattolica vogliono fornire alla dottrina monarchica la base più solida e vera; in una certa misura, il discorso generale può essere accettato anche dai tradizio­nalisti che tale base rifiutino, ma perde la più inattaccabile delle di­fese.

 

Ulteriore chiarimento richiede l'esistenza, attuale o potenziale, di monarchie, tradizionali e non, cristiane non cattoliche o di altre religioni non cristiane. Quanto a queste ultime, in esse possono sussistere, accanto ad elementi barbarici (la Tradizione non ha nulla a che vedere con il mantenimento acritico di usanze primitive), caratteri tradizionali affini al nostro modello, e comunque sarà sempre da preferire, nell'ambito di una stessa confessione religiosa, una Monarchia ad una repubblica. Il problema di una conversione alla vera religione di tali popolazioni non si vede come potrebbe essere posto direttamente dai monarchici.

 

Una critica apparentemente fondata è quella di chi osserva che oggi esistono più monarchie protestanti che cattoliche. Ma, a parte che è stata appena restaurata la Monarchia nella Spagna cattolica, tra le non schiacciante prevalenza dipende in molti casi più da ragioni storiche particolari che dalla religione della nazione. Il caso della Gran Bretagna, la più splendida delle monarchie esistenti, conferma che non si può generalizzare. Infatti, a parte che evidentemente le basi della Monarchia erano già saldamente poste quando il paese era cattolico, ciò che dà un contributo, ma non certo l'unico, importan­te alla solidità della Corona può essere certo la religione anglicana (es­sa è però in piena crisi ed ha recentemente compiuto scelte politiche di "sinistra"), ma più per il fatto di essere religione di stato con a ca­po la Regina che per il suo contenuto protestante, che, oltre tutto, tra le varie sette, è il meno lontano dal Cattolicesimo.

 

Ma il discorso di fondo è un altro. Se i monarchici vogliono vivacchiare cercando di salvare le monarchie esistenti a prezzo di qua­lunque concessione e sperando nella buona sorte per restaurarne qualcuna, possono benissimo trascurare tutto il discorso che segue e rifiutare di aderire alla vera religione. Se invece vogliono operare per una inversione del ciclo rivoluzionario degli ultimi secoli, convinti che ciò sia possibile o comunque debba essere tentato, e che solo in tal modo si possa avere un ritorno generale delle monarchie, allora evidentemente di tale discorso di restaurazione globale la vera religio­ne è il pilastro.

 

Descriveremo un modello meta-storico di Monarchia e società tradizionali e cattoliche; modello che si realizzò però largamente nel Medioevo. Dobbiamo chiederci: tutta la società nel Medioevo è tradizionale? Non è esistito nulla di tradizionale al di fuori di esso? Non potrà di nuovo esistere una società tradizionale? Vediamo l'insegna mento della Chiesa. Papa Pio XII ha detto: "Si pretende, sovente, identificare Medioevo e civilizzazione cattolica. La fusione non è del tutto esatta. La vita di un popolo, di una nazione, si svolge in un ambito molto vario che oltrepassa i limiti dell'attività propriamente religiosa. Quando una società rispetta, in tutta l'estensione del termine, i diritti di Dio e si interdice di varcare le frontiere poste dalla dottrina e dalla morale della Chiesa, a buon diritto può dirsi cristiana e cattolica.

 

Nessuna civiltà può vantarsi di essere tale, così totalitariamente, nemmeno la civiltà medioevale, per non dire che essa era in continua evoluzione e che, in quell'epoca, andava arricchendosi di una nuova corrente di civiltà antica" (11).

 

D'altro canto S. Pio X scrive che: "La civiltà cristiana non è più

 

da inventare, e neppure la nuova città da erigere nelle nuove. Essa è stata, essa è: è la civiltà cristiana, è la città cattolica" (12).

 

Il concetto di Civiltà Cristiana deriva dal dogma della Regalità Sociale di N.S.G.C. Il Papa Leone XIII afferma, riferendosi al Medio­evo, che "Fu già tempo che la filosofia del Vangelo governava gli Stati, quando la forza e la sovrana influenza dello spirito cristiano era entrata bene addentro nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in tutti gli ordini e ragioni dello Stato, quando la religio­ne di Gesù Cristo, posta solidamente in quell'onorevole grado, che le conveniva, traeva su fiorente all'ombra del favore dei Principi e della dovuta protezione dei magistrati, quando procedevano concordi il Sacerdozio e l'Impero, stretti avventurosamente tra loro per amiche­vole reciprocanza di servizi. Ordinata in tal modo la società, recò frutti che più preziosi non si potrebbe pensare, dei quali dura e dure­rà la memoria, affidata ad innumerevoli monumenti storici, che niuno artifizio di nemici potrà falsare od oscurare" (13).

 

Cosa concludere? Il Regno di Dio non è di questo mondo e quindi non potrà mai su questa terra realizzarsi nella sua forma per­fetta. "Ciò che non bisogna però dimenticare è che in un mondo cri­stiano (come la cristianità medioevale, ad esempio) il mondo, inteso nel senso delle tre concupiscenze e del rifiuto di Dio, ha una impor­tanza ben reale e fa sentire la sua influenza nefasta... le istituzioni, bene o male, erano conformi alla giustizia e permeate di spirito cri­stiano. Che cosa faceva allora il demonio? Tentava di distogliere i re e gli uomini dall'ideale di giustizia cristiana che era quello della cit­tà. Tuttavia, finché la citta, nell'insieme, rimaneva cristiana, non dive­niva in quanto tale uno strumento del demonio..." (14). Così il modello di Monarchia tradizionale non potrà mai realizzarsi compiutamente (ciò vale anche per tutti i progetti derivanti puramente da ideologie terrene, che non si realizzano mai in forma pura).

 

Però il Medioevo è la civiltà più cristiana che sia mai esistita, tanto che si parla, per quel periodo, di "Cristianità", intesa come

 

"l'universalità dei Principi e dei popoli cristiani obbedienti alla stessa

 

dottrina, animati dalla stessa fede, soggetti allo stesso magistero spi­rituale" (15). Il fine della nostra milizia di monarchici contro-rivoluzionari è la restaurazione della società tradizionale. Ciò sarà tanto più possibile quanto più sapremo in primo luogo esserne degni noi stessi. "Società tradizionale è ogni società fondata sul principio della Contemplazione, o del Sacro, o del Metafisico. In essa l'uomo ha due ordini di rapporti. Un primo con il Principio che lo trascende, ed è un rapporto metafisico, e quindi verticale, perché presuppone il salto qualitativo tra Creatore e creatura. Esso determina il posto dell'uo­mo nell'Universo. Un secondo con tutti gli altri uomini, ed è un rap­porto sociale, e quindi orizzontale, perché presuppone la eguaglianza metafisica tra le creature. Esso determina il posto dell'uomo nella società. E come ciò che è imperfetto deve riflettere ciò che è           perfetto, come l'opera dell'uomo deve imitare l'opera di Dio, così l'oriz­zontale deve modellarsi sul verticale, l'ordine sociale deve rispecchia­re l'ordine cosmico" (16).

 

In una società tradizionale, quindi, "Dio è misura" e vi è una ge­rarchia di valori, religiosi e metafisici, spirituali, morali, politici, eco­nomici.

 

La pietra angolare che garantisce l'esistenza e la sopravvivenza di tale società è la Tradizione, cioè "un insieme di principi aventi una immutata validità normativa e un carattere metafisico"(17). Ha scritto il grande Francisco Elias de Tejada: "La Tradizione si filtra due volte: in un primo passaggio sociologico, in un secondo etico. Nel primo, il suo contenuto va depurandosi naturalmente nel corso della storia. Nel secondo, la Tradizione si depura metafisicamente nella pie­tra di paragone assoluta che è la legge di Cristo" (18).

 

La Tradizione può dunque essere definita come il giudizio che il naturale senso morale formula sugli avvenimenti storici.

 

Mentre lo storicismo sottomette i valori al giudizio della storia, rimanendo privo di qualunque aggancio che possa salvarli dalla dissoluzione rivoluzionaria, il tradizionalismo giudica i fatti storici alla lu­ce della Verità, che è sovra temporale. Perciò il tradizionalismo sot­tintende una metafisica dell'essere quale quella della tradizione tomistica e una concezione della verità quale "Adaequatio intellectus ad rem", che è propria del realismo critico di S. Tommaso.

 

Il filosofo Luigi Pareyson ha scritto che "Il senso profondo di tradizione, quello che direi metafisico-ontologico, è proprio questo: sentire, pensare, volere e agire nell'infinito dell'essere" (19). Un atteggiamento filosofico che rifiuti una metafisica dell'essere porta, ol­tre che alla dissoluzione della filosofia stessa, al rifiuto del reale, ad una concezione prometeica della ragione umana, ritenuta capace di creare essa la realtà, alla utopia rivoluzionaria (20).

 

Dopo Hegel, viene necessariamente Marx.

 

La società tradizionale non nasce da un ipotetico contratto, ma è il naturale sviluppo della famiglia, delle comunità naturali, dei corpi intermedi; si fonda sulle tradizioni ed i costumi, senza necessariamen­te avere bisogno di una costituzione scritta (21); è organica, cioè si organizza attorno ad un centro, ad un'idea che tutta la informa.

 

La fonte del potere è Dio: "Per me reges regnant" (Prov. VIII, 15). Insegna Papa Leone XI I I:"Moltissimi dicono che ogni potere vie­ne dal popolo: per cui coloro che esercitano questo potere, non lo esercitano come proprio ma come dato loro dal popolo, e altresì con la condizione che dalla volontà dello stesso popolo, da cui il po­tere fu dato, possa venir revocato. Da costoro però dissentono i cat­tolici, i quali il diritto di comandare derivano da Dio, come dal suo naturale e necessario principio" (22 ).

 

È stato scritto che "Il Cattolicesimo consacrò l'autorità e san­tificò l'obbedienza". Va però precisato chiaramente che può invocare per il suo potere la "Grazia di Dio" solo l'autorità legittima l'autorità che, con la fedeltà quotidiana alla vera religione, unisca la legittimità di esercizio alla legittimità di origine. Altrimenti qualunque tiranno, interpretando erroneamente il "Non est postestas nisi a Deo" (Rom. XII,1 (22 bis) potrebbe proclamare di essere l'unto del Signore. La "Grazia di Dio" deve essere ad un tempo segno di privilegio e di umil­tà: il Re cattolico davanti al confessore è uguale al più modesto dei suoi sudditi.

 

Sia detto per inciso che unire alla "Grazia di Dio" la "volontà della nazione" è un ibrido ed un assurdo. O la "volontà della nazio­ne" è intesa nel senso che la Provvidenza divina che agisce nella sto­ria dei popoli consente che il Re continui a regnare, e allora essa è già compresa nella "Grazia di Dio". Oppure si vuole intendere, ed è questo il senso corrente, che l'autorità deriva a mezzadria da Dio e dal popolo, e allora ciò è in netto contrasto con l'insegnamento di Leone XIII, testé ricordato, e della Chiesa.

 

Si pone evidentemente il problema dei rapporti tra potere reli­gioso e potere politico. È chiaro che il primo è superiore, per la ge­rarchia di valori sopra accennata e per il fatto che il Papa, dotato a certe condizioni di infallibilità, è il custode del dogma, che costitui­sce la pietra di paragone ultima della Tradizione. Naturalmente l'au­torità religiosa deve lasciare la giusta autonomia al potere politico nelle questioni temporali. Si ricordi comunque che in una società  tradizionale i due poteri devono collaborare per la salvezza celeste ed il benessere terreno dei sudditi. L'artificioso separatismo liberale, che vorrebbe scindere in una stessa persona il cittadino dal credente, non è concepibile. Le lotte tra Papato ed Impero nel Medioevo riguarda­vano i limiti delle rispettive zone di influenza, ma non fu mai messo in dubbio che i due poteri dovessero collaborare a maggior gloria di Dio ed a beneficio della Cristianità.

 

Bene sintetizza il Papa Gregorio X, dicendo: "Se è dovere di co­loro che reggono gli stati salvaguardare i diritti e l'indipendenza della Chiesa, è anche dovere di coloro che hanno il governo ecclesiastico di adoperarsi affinché i Re ed i Principi abbiano la pienezza della loro autorità" (23).

 

Il potere del Sovrano è limitato dalle leggi divine e dalle tradi­zioni, non dagli uomini: "Quod rex non habet hominem qui sua facta dijudicet". Il giurista inglese Sir Edward Coke, in polemica con le tendenze assolutiste di Giacomo 1 Stuart, gli ricordò queste parole di Henry Bracton, giureconsulto dell'epoca medioevale: "Quod Rex non debet esse sub homine sed sub Deo et lege". Naturalmente la legge di cui qui si parla è la common law del diritto anglo-sassone, cioè ap­punto i costumi e le tradizioni, non certo la legge intesa quale norma impersonale e generalizzata emanante da un parlamento democratico. Se qualcuno pensa che il potere del Re non sia in tal modo efficace­mente condizionato, ricordi che "I secoli sono piú forti dei Re". No­nostante l'assolutismo abbia rappresentato una degenerazione della Monarchia tradizionale, aprendo la strada, specialmente con l'assolu­tismo illuminato, alla Rivoluzione, non è affatto vero che nell'Ancien Régime immediatamente prima della Rivoluzione francese il potere del Sovrano fosse così illimitato come si vuol far credere. Alla vigilia del 1789 vi erano in Francia 4 Consigli Superiori e 13 Parlamenti (come è noto i Parlamenti nell'Ancien Régime erano corti di giustizia che avevano il compito di vegliare sul mantenimento e sulla applica­zione delle leggi, unendo in una certa misura il potere giudiziario a quello legislativo). Molto più illimitato ed assoluto è il potere delle odierne democrazie totalitarie (24).

 

 16)      R. de Mattei, La società tradizionale, ed. Volpe, 1972, P. 5

17)      Cit. in Trono e Altare, scritti inediti del Principe di Canosa, Ist. ed. del Mediterraneo, 1973, p. 5.

18)      In La Monarchia tradizionale, ed dell'Albero, 1966.

19)     Nel volume di AA. VV., Eternità e storia, ed. Vallecchi, 1970, p. 29.

20)     Sulle conseguenze della "ragione impazzita", cfr. M. De Corte, L'intelligen­za in pericolo di morte, ed. Volpe, 1973.

21)     De Maistre ha scritto che non ha senso chiedere in che libro sia scritta la legge Salica, perché essa è scritta nel cuore dei francesi (op. cit., p. 33).

22)     Enciclica Diuturnum, 29-6-1881, in Tutte le encicliche dei Sommi Ponte­fici, ed. Dall'Oglio, 1964, p. 364.

22 bis) Vedere sul tema: G. Torti, Non est potestas nisi a Deo, Ed. Thule, 1977.

23)     Cit. in Pernoud, op. cit., p. 100.

24)     Sull'ancien régime, cfr. i primi capitoli di P. Gaxotte, La Rivoluzione fran­cese, ed. Rizzoli, 1949. Sul concetto di "democrazia totalitaria", cfr. J.L. Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, ed. Il Mulino, 1967.

 


martedì 24 maggio 2022

Presentazione del libro su Re Vittorio Emanuele III del Prof Mola




Martedì 24 maggio ore 16.30 nel Teatro del Casinò  in anteprima nazionale il prof Aldo Mola presenta il saggio:” Vittorio Emanuele III il re discusso” Biblioteca Storica di “Il Giornale”. Partecipa lo storico Matteo Moraglia.  L’incontro è inserito nel programma di Formazione dei docenti e dei giornalisti. Ingresso libero con mascherina FFp2.

Il libro è un invito a riflettere sulla storia d’Italia: lunga e breve a un sol tempo. Senza la monarchia di Savoia non avremmo mai avuto l’unità nazionale. Vittorio Emanuele III revocò Mussolini, ottenne la “resa senza condizioni” del 3 settembre 1943, guidò la riscossa dell’Italia e fu riconosciuto dai vincitori quale garante della continuità dello Stato.

“Certo fu “ingombrante” perché poteva guardare tutti negli occhi senza abbassarli: fascisti, antifascisti, nemici, “alleati”. È arrivato il momento di apprenderne la lezione. Capire che cosa fu lo Stato e che cosa ne rimane. “ Dice il prof. Mola “Ristabilire la verità storica sul ruolo svolto da Casa Savoia e specialmente dai due ultimi Re d’Italia significa anche concorrere a chiudere definitivamente la “guerra civile” che iniziò nel 1919 con l’offensiva dei partiti anti-risorgimentali ed ebbe la sua fase più violenta nel 1943-1946, quando, dopo la manipolazione truffaldina del referendum istituzionale, i “moderati” vennero intimiditi, soggiogati e dal 1948 sospinti a votare per il meno peggio, col vincolo mortificante di cancellare la memoria di sé, della propria identità nazionale e a giurare fedeltà un nuovo regime: un giuramento estorto sotto ricatto.”

È questo il terreno sul quale il libro invita a compiere l’”esame di coscienza” eluso per quasi ottant’anni durante i quali tutti i “mali originari” dell’unificazione nazionale sono stati addossati a “Un uomo solo”, il Re costituzionale, e specialmente a Vittorio Emanuele III (Napoli, 11 novembre 1869-Alessandria d’Egitto, 28 dicembre 1947).

  Precisa  Aldo Mola:” Re d’Italia dal 29 luglio 1900 al 9 maggio 1946 è stato detto re borghese, re socialista, re soldato, re vittorioso, re fascista, re fellone… Più volte bersaglio di attentati sanguinosi (quello del 12 aprile 1928 a Milano, scampato di misura, causò oltre venti morti), impassibile sotto il fuoco nemico nella Grande guerra, fu protagonista della storia europea nel primo mezzo secolo del Novecento, forte dei poteri di capo dello Stato: controllo della politica estera e delle forze armate. Con la Vittoria del 4 novembre 1918 e l’annessione di Fiume fece coincidere i confini politici dell’Italia con quelli geografici.     

  Nipote di Vittorio Emanuele II, “Padre della Patria”, e  figlio di due cugini primi, Umberto e Margherita di Savoia, ascese al trono a 31 anni perché suo padre fu assassinato a Monza (29 luglio 1900) mentre egli era navigava serenamente nell’Egeo con Elena di Montenegro (1873-1952), sposata il 24 ottobre 1896.

   Re scrupolosamente costituzionale, di vasta cultura e poliglotta Vittorio Emanuele III visse due stagioni nettamente diverse. I primi quindici anni del suo regno furono di progresso sociale, economico, civile e vasto consenso per l’annessione della Libia. L’Italia era a pieno titolo tra le maggiori potenze. Il trentennio seguente fu scandito da due guerre euro-mondiali (1914-1945), crollo di quattro imperi (russo, germanico, austro-ungarico, turco ottomano), rivoluzioni, crisi della “politica” e dell’economia (la “grande depressione”), regimi totalitari (la Russia sovietica, la Germania di Hitler) e autoritari (l’Ungheria di Horthy, la Spagna di Franco, l’Italia stessa). 

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Intero articolo: https://www.oggicronaca.it/2022/05/aldo-mola-ai-martedi-letterari-di-sanremo/

domenica 22 maggio 2022

L’Italia di Manzoni e Verdi

 



L’AMOR DI PATRIA, UN SENTIMENTO D’ALTRI TEMPI

Il 22 Maggio 1873 moriva a Milano lo scrittore Alessandro Manzoni. Dopo un anno esatto, nel giorno dell’Anniversario della morte, il Maestro Giuseppe Verdi dirigeva personalmente per la prima volta, nella Chiesa di San Marco a Milano, la celebre Messa da Requiem, composta in onore del grande scrittore. Opera che veniva replicata il 25 Maggio successivo al Teatro alla Scala.

funerali solenni, furono celebrati il 29 maggio nel Duomo di Milano, alla presenza delle massime Autorità dello Stato, presenti i principi Umberto e Amedeo di Savoia, e nella commozione generale di una folla infinita. Verdi non era presente, pur ammirando e stimando il genio letterario, e considerando I Promessi Sposi un’opera straordinaria “secondo me, ha scritto non solo il più gran bel libro della nostra epoca, ma uno dei più grandi libri che siano mai usciti da cervello umano. E non è solo un libro, ma una consolazione per l’umanità”.

LA MESSA DA REQUIEM

Il Maestro, spinto da questo sentimento di venerazione, si mise subito all’opera nella composizione della Messa da Requiem, scrivendo il 3 Giugno successivo a Ricordi “Io pure vorrei dimostrare quanto affetto e venerazione ho portato e porto a quel grande che non è più e che Milano ha tanto degnamente onorato. Vorrei mettere in musica una Messa da morto da eseguirsi l’anno venturo per l’anniversario della sua morte. La Messa avrebbe proporzioni piuttosto vaste, ed oltre ad una grande orchestra ed un grande coro, ci vorrebbero anche (ora non potrei precisarli) quattro o cinque cantanti principali”. Composizione che ebbe da subito uno straordinario successo, andando ben oltre i confini nazionali e il secolo di riferimento, l’Ottocento.

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Capitolo VII: Elena entra nella vita di Vittorio


di Emilio Del Bel Belluz

 

Le giornate successive al nostro ultimo incontro erano passate in fretta, ma mi avevano fatto sentire appagato e soddisfatto del futuro che riuscivo ad intravvedere con Elena. Alla sera, dopo che Genoveffa se n’era andata, mi sedevo davanti al caminetto a leggere un libro e contavo le ore che mi separavano da lei. La sua bellezza mi aveva conquistato, come la sua nobiltà d’animo. Erano importanti solo le ore che trascorrevo assieme a lei. Una mattina, mentre calavo le reti, incontrai una persona che aveva la passione di passeggiare lungo il fiume in compagnia del suo cane. Costui mi raccontò di un vecchio che era sempre vissuto in un’isola vicino al Po e che non l’aveva mai abbandonata. Questo signore aveva scelto di starsene per conto suo, lo scopo della sua vita era quello di isolarsi dalla società, in modo particolare, dalle donne che  avevano condizionato negativamente la sua vita. La donna di cui s’ era innamorato perdutamente era una sua vicina di casa. Avevano frequentato le scuole elementari assieme, ed erano cresciuti condividendo il loro tempo, finché la loro amicizia si tramutò in amore profondo. La loro unione, davvero molto importante per entrambi, venne incrinata dalla guerra. Il giovane dovette partire, lasciare la famiglia e la donna che amava. Quella lontananza sarebbe stato un banco di prova per il loro amore, e prima di partire si erano giurati mille volte che si sarebbero aspettati e, alla fine, sposati. Per questo prima di lasciarsi, il giovane le consegnò un anello, nel quale aveva inciso il nome di lei. Il giovane, l’indomani, partì dalla sua casa, e ad accompagnarlo alla stazione c’era la ragazza dagli occhi castani e dai lunghi capelli che le incorniciavano il bel volto. Quando il treno uscì dalla stazione, il rumore della locomotiva si sentiva ancora più forte, la mano del fidanzato che salutava si perdette nell’infinito, e le lacrime della giovane che osservava il treno scomparire furono notate dalle persone che la attorniavano. Nel cuore di entrambi vi regnava una profonda tristezza. Passarono dei mesi senza che la ragazza potesse ricevere delle notizie su dove il suo amore era stato mandato. Poi, un mattino il postino le recapitò la prima lettera. Il ragazzo scriveva in quella missiva tutto il grande amore che nutriva per lei; la lesse ripetutamente nella sua stanza da letto, con la foto del suo amato davanti. Quanta nostalgia vi era in quell’anima e la lontananza cominciava a pesarle. Nel piccolo paese dove abitava vicino al Po, la vita scorreva lenta e monotona come il fiume. Accadde quello che non sarebbe dovuto accadere mai. La ragazza si innamorò di un uomo più grande di lei, e tra i due nacque una storia che non lasciava spazio alla razionalità. La famiglia della giovane non vedeva di buon occhio l’amore che era nato tra i due. Una mattina, ormai travolti da una grande passione, scapparono di casa senza lasciare un indirizzo per i famigliari. Il giovane ignaro di quello che era capitato continuò a scriverle, ma s’ insospettì che la giovane non gli rispondesse. Alla prima licenza scoprì la dura verità. Il ragazzo affranto dal dolore non aveva più voglia di tornare al fronte e per questo decise di disertare. Pensò di rifugiarsi in una vecchia capanna che aveva in un’isola del Po. Quel posto appartato gli era piaciuto subito. Alla capanna abbandonata ci si arrivava con la barca, doveva essere stata il rifugio di qualche ricercato che aveva avuto dei problemi con la giustizia. Quel luogo gli sembrava l’ideale per estraniarsi dalla società e per dimenticare la sua infelice storia d’amore. Non disse nulla ai genitori della sua decisione. Aveva portato l’occorrente per la pesca, e un fucile per la caccia. Dalla sua casa aveva preso una gavetta, un tegame, delle posate e dei piatti in alluminio. Il giovane, che era molto religioso, volle portare con sé una madonnina e un crocefisso in legno che aveva scolpito a scuola. Aveva acquistato una barca per raggiungere l’isola, da un suo amico che prima di sposarsi, faceva il pescatore di frodo. Una notte si avviò alla capanna, conosceva molto bene quei posti, mentre si stava allontanando dalla riva osservò il campanile della chiesa del paese, dove avrebbe voluto sposarsi. Gli tornarono in mente i ricordi più belli della sua gioventù trascorsa al paese, ma la tristezza per il mancato matrimonio con la sua amata ebbe il sopravvento. Il Po quella sera si presentava minaccioso, era particolarmente ingrossato, per la tanta pioggia caduta nei giorni precedenti.  Aveva paura, ma il ricordo delle parole di Isaia lo tranquillizzavano: “Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco non ti scotterai, la fiamma non ti può bruciare”.  Sapeva di non far del male ad alcuno, cercava solo la solitudine che era posseduta dagli eremiti. Non cercava relazioni sociali, perché solo la solitudine gli avrebbe permesso di non affrontare altre tristezze. Il dolore per il suo amore non più corrisposto sarebbe stato lenito dal tempo. La vita ritmata dalle acque del fiume sarebbe stata serena. Raggiunse la capanna alle prime ore del mattino con grande difficoltà, perché era diventata quasi irreperibile dalla folta vegetazione che l’attorniava. Quel giorno lavorò sodo per togliere gli arbusti, le piante e per sistemare il tetto della capanna. Vi collocò in salvo tutto quello che possedeva, cercò di pescare qualcosa nel fiume e dopo qualche ora raccolse il frutto delle sue fatiche: un grosso temolo che dopo averlo pulito con un coltello militare, lo cucinò. Si sedette davanti al fuoco come se fosse un fuggiasco. Sperava tanto che nessuno lo cercasse. Ricordò un racconto scritto in un giornale, dove due giovani erano scappati con una barca scivolando lungo il fiume Mississipi, e i loro vicini li cercarono per delle settimane, prima di convincersi che erano morti. Nel racconto si diceva che i due ragazzi avevano vissuto delle settimane pescando, e cucinando il pesce. La capanna che avevano trovata li ospitò fino al momento in cui decisero di tornare in paese.  Il giovane innamorato non aveva però nessuna intenzione di tornare e per molti anni visse nella solitudine più assoluta. Il crocefisso e quella piccola Madonna che aveva portato con sé, gli furono di conforto fino alla morte. Si seppe della sua scomparsa avvenuta molti anni dopo, grazie ad un cacciatore che ritrovò le tracce del giovane. Il corpo dello sfortunato fu trovato disteso, con dei disegni accanto e con il crocefisso in mano. La storia alla fine mi commosse, il vecchio che me l’aveva raccontata aveva capito il mio grande amore per la donna che avevo conosciuto e mi augurava una sorte felice. Qualche giorno dopo andai a trovare Elena e le portai il denaro per acquistare le attrezzature del padre. Dopo quel giorno, invitai Elena e sua madre nella mia dimora, e il mio intento era quello di far loro conoscere la buona Genoveffa che si occupava di me. L’incontro tra di noi fu cordiale, naturalmente Genoveffa volle onorare le ospiti con un pranzetto delizioso. Poi uscii con Elena, attraversammo il piccolo paese e camminammo fino a raggiungere Villa Morosina che era la dimora estiva di nobili veneziani, la cui dinastia si era estinta. Ora vi abitava una famiglia facoltosa che lavorava la terra. Quella villa mi era sempre piaciuta e da bambino andavo a pescare nel piccolo canale che si trovava vicino, dove calavo le mie canne per pescare qualche pesce. Attorno alla villa si poteva ammirare un’armonia di colori, paragonabile alla tavolozza di un pittore, data dal rispetto dell’uomo per la natura che era rimasta intatta nella sua bellezza.

sabato 21 maggio 2022

Le ragione della Monarchia - III

 

METAFISICA E MISTICA DELLA MONARCHIA

Nel dare le giustificazioni della Monarchia e nell'evidenziare i valori che essa esprime, stabiliremo tra essi una gerarchia. È evidente che, secondo il pensiero tradizionale, le ragioni più alte ed importanti sono quelle di carattere metafisico. Nel mondo moderno esse sono offuscate e sono presenti solo inconsciamente, ma ciò non toglie nulla alla loro validità.

Sulla metafisica della Monarchia, Julius Evola ha scritto pagine credo insuperate tra i pensatori contemporanei:"... Se noi cerchiamo la più alta giustificazione tradizionale della regalità, noi la troviamo in una concezione, secondo la quale lo Stato (e ancor più l'Impero) ha un suo significato e una sua finalità trascendente, appare come un trionfo del cosmos sul caos, come una formazione efficace operata da una forza dall'alto -- gli antichi dicevano: da una forza del 'sopramondo' — in seno all'elemento naturalistico del demos e, in genere, a tutto ciò che è semplicemente etnico, biologico e, in senso ristretto, 'umano'... Ora, il punto in cui si manifesta eminentemente, si raccoglie e si fa efficace questa forza dall'alto conferente allo Stato l'anzidetto significato trascendente è appunto il Re, il Monarca" (6).

Stesso concetto esprimeva Goffredo Pistoni sulla rivista dell'U.M.I.:"Il Re aveva una funzione mediatrice fra il divino (visto, soprattutto, sotto l'aspetto cosmico) e l'umano. Tutti i suoi gesti, tutte le sue azioni erano simboliche, nel senso in cui si è detto, e la sua funzione superiore era quella della giustizia vista appunto sotto l'aspetto di un tradurre - e far rispettare - l'ordine cosmico; di portare ciascuno a riconoscere ed accettare il posto assegnatogli nel mondo secondo un tale ordine" (7).

Questa funzione del Monarca di collegamento tra il divino e l'umano, presente nelle religioni pre-cristiane, è mantenuta dal Cristianesimo: "Indubbiamente il Cristianesimo ad incominciare dal nome di Cristo            - che vuol dire l'Unto, il Re - e dal vanto della sua discendenza dal Re Davide, venne a costituire una riaffermazione del valore della regalità in opposizione alla mera funzione sacerdotale distaccatasi da quella regale ed anche se volle appoggiare l'accento sul fine ultimo, ossia sulla regalità che nasce e si sviluppa nelle anime, non venne certamente esclusa l'azione mediatrice esercitata dal Cristo come presenza mistica che tuttavia può anzi deve trovare il suo punto d'appoggio su chi lo rappresenti - ed azione mediatrice nei confronti del cosmo" (8).

Così nel Medioevo alcuni teologi considerarono l'unzione regale come un sacramento; richiamandosi alla figura biblica di Melchisedek si parlò di "religio regalis" e di "sacramentum fidelitatis".

Esamineremo in seguito che cosa significa, alla luce della dottrina cattolica, l'espressione "Re per Grazia di Dio", per ora basti dire che: "In tempi non lontani il 'per grazia di Dio', la sovranità di diritto divino non implicò, nei sudditi, considerazioni teologiche specifiche; essa valeva, per così dire, in termini esistenziali, corrispondeva ap­punto al disegno di un punto superiore di riferimento, punto che viene assolutamente meno quando il Re è tale unicamente per 'volontà della nazione' o dei 'popolo'. D'altra parte, solo in quel presupposto potevano svilupparsi, nei sudditi, nel segno del lealismo, quelle disposizioni, quelle forme di comportamento e di costume di un superiore valore etico..." (9). 

Sia chiaro fin d'ora che se si distrugge la nozione di "diritto divino" si distrugge la giustificazione più alta della Monarchia. Non a caso la "Grazia di Dio" è ancora oggi invocata da, credo, tutte le monarchie.

Tutto ciò comporta una mistica della Monarchia, che il popolo, ove sia libero dalla corruzione delle ideologie, desidera e sente pro­fondamente. Sempre Evola ha scritto parole definitive sul senso di "servire il Re", "combattere per il proprio Re" e sul significato paro­distico e declassato che tali espressioni assumono quando devono essere riferite ad un presidente in cui non si potrà mai riconoscere altro che un "funzionario", un "borghese" (10).

Questo mistico collegamento tra Re e popolo richiede una ascesi e una liturgia della potenza, in cui hanno parte sia quella bonomia e naturale semplicità che era propria dei sovrani medioevali sia, quan­do necessario, tutta la pompa e il "pathos della distanza" che devono dare il senso della sacralità del potere regale. Ciò ha ben compreso la Monarchia britannica, così popolare proprio perché assolutamente anti-populista; ciò non comprendono coloro che confondono la po­po
larità con l'umiltà ostentata, l'imborghesimento e l'abbandono de­magogico dello sfarzo nelle cerimonie.

 

6)        In Citazioni sulla Monarchia, ed. Thule.1978, p. 13.

7)        In Sull'antico simbolo della regalità, in Monarchia, anno I, f. 1, aprile 1956 p. 55.

8)        Ibidem, p. 57.

9)        Op. cit, p. 13.

10)      In Significato e funzione della Monarchia, in appendice a K. Loewenstein, La Monarchia nello stato moderno, ed. Volpe, 1969, pp. 184-5.

domenica 15 maggio 2022

Il capitale dell'ingegno


 Segnaliamo la Presentazione di un interessante libro
dal titolo "IL CAPITALE DELL'INGEGNO
di VIRGINIA LALLI.  
che si svolgerà presso la 
Libreria Horafelix
Via Reggio Emilia 89, Roma,
Mercoledì prossimo 18 Maggio 2022 alle ore 18,30.


     Prof. Massimo Fulvio Finucci e D.ssa Clarissa Emilia Bafaro

Capitolo VI: L’amore che vince


di Emilio Del Bel Belluz 


Qualche giorno dopo rividi per la seconda volta  Elena, ci eravamo messi d’accordo per la domenica. Puntualmente mi presentai  davanti alla sua casa, bussai e mi venne ad aprire la mamma della giovane che mi fece entrare, anche se con poco entusiasmo, forse, aveva capito che avevo una certa simpatia per la figlia. Entrato, non vidi Elena e mi preoccupai, temevo che avesse cambiato idea. 
Quello che mi colpì furono i fiori che vidi in bella evidenza sulla tavola, erano tutti e due i mazzi che le avevo portato. Decisi di non dire nulla, e cercai di non osservarli, quasi di ignorarli, non volevo che potessero sospettare di me. Elena, nel frattempo era arrivata, e questo fu un grande sollievo, non aveva dimenticato il nostro appuntamento. La madre mi chiese se avevo deciso di comprare la barca e le attrezzature della pesca. Le risposi di sì, si trattava solo di ridurre lievemente il prezzo e l’affare sarebbe stato vantaggioso per entrambi. La donna abbozzò un sorriso che le mancava sul volto da quando era entrato in casa. 
Volle offrirmi qualcosa da bere per riscaldarmi, visto che fuori il freddo era pungente. Da una credenza  tolse una bottiglia di un liquore d’erbe preparato in casa, che volle lo bevessi con il caffè. Nel frattempo Elena mi si era seduta vicino, e non disse nulla su chi avesse recapitato i fiori. Qualcosa però mi diceva che sapeva benissimo che non potevo essere stato che io. Questo suo silenzio, però, mi mortificava. La madre disse che d’affari ne avremmo parlato la prossima volta, e di domenica   era preferibile dedicarsi ad altro, come fare una passeggiata. Questo mi fece capire che alla fine non le dispiaceva che la ragazza uscisse con me, sembrava quasi un consenso. 
Fuori dalla casa le chiesi se era felice di stare in mia compagnia, non rispose, ma sorrise. Decidemmo di prendere la barca e di raggiungere un paese vicino. Le avrei mostrato una bella villa veneta e vicino ad essa una piccola chiesa. Quel posto era il luogo dove mi piaceva rifugiarmi nei momenti in cui l’inquietudine mi assaliva, e solo quella meta riusciva a placarmi.  
La piccola chiesa era stata costruita molti anni prima da un vecchio “santo” come lo chiamavano, si diceva che avesse fatto fortuna in America ed era tornato al suo paese sano e salvo. Nel viaggio di ritorno in patria, dopo molti anni di duro lavoro, aveva rischiato di morire. La nave era entrata in collisione con un’altra imbarcazione e l’uomo, guardando il cielo e cercando il buon Dio, aveva promesso che se fosse stato salvato si sarebbe impegnato a costruire una  chiesetta. Aveva scelto quel posto perché lì  era nato in una casa poco distante dal fiume. L’uomo era morto da anni, ma quella chiesetta era sempre stata oggetto di culto. Durante la Grande Guerra una bomba l’aveva danneggiata, ma la popolazione volle ristrutturarla e divenne come prima. Elena era affascinata dal mio racconto e me lo disse, io invece mi aspettavo che mi parlasse dei fiori. Accostai la barca vicino alla riva e scendemmo. La giornata era fredda ma bella, un sole timido nascosto da delle nuvole grigiastre che si inseguivano. Quello di osservare le nuvole era una mia passione, avevo l’impressione che nascondessero il volto dei miei genitori che mi proteggevano dall’alto. Elena, nel frattempo, aveva voluto entrare in chiesa, e davanti alla statua di San Giuseppe si mise a pregare. Io, invece, mi indirizzai verso la statua della Madonna per la quale avevo una particolare devozione, ereditata da mia madre. Mostrai a Elena che davanti alla statua delle Madonna vi erano stati posti dei fiori freschi, da parte di qualcuno che s’era rivolto alla Vergine per ringraziarla o chiedere una grazia. Elena mi sorrise, e mi disse che anche lei aveva ricevuto due mazzi di fiori, che di solito si portano alle persone gentili. 
Quelle parole mi fecero bene al cuore, e le svelai che i due mazzi le erano stati regalati da me. 
 La bella Elena sorrise,  mi disse che aveva molto gradito quei fiori portati di notte senza che nessuno vedesse, sfidando il fiume, e senza una luce se non le stelle, che come sentinelle mi avevano assistito facendomi compagnia nella notte. I fiori emanavano un profumo delicato e avevano dato un tocco di bellezza alla povera casa. I giorni che ci separavano dal prossimo incontro le sembravano non passare mai ed Elena spesso si soffermava sull’argine con l’illusione di vedermi arrivare in anticipo. Nel frattempo, mentre parlavamo, si era fatto quasi mezzogiorno e decidemmo di tornare a casa. L’acqua del fiume era pulita e calma, la barca scivolava tranquilla, ogni tanto i pesci facevano qualche guizzo. Elena era felice e me lo disse, si sentiva tranquilla, forse per la prima volta dopo la morte del padre. Quando giungemmo a casa, la mamma di Elena non c’era. Aveva lasciato un biglietto in cui era scritto che si era recata da una parente a trovarla, ma aveva preparato un boccone per tutti e due. La tavola era imbandita, e in bella mostra  vi erano i due vasi di fiori, che profumavano. La donna aveva preparato una focaccia, il cui profumo si era diffuso nella cucina. Nel fuoco scoppiettava un grosso ceppo di gelso. Assaporammo dell’ottima carne con delle patate. Alla fine del pranzo ci mettemmo davanti al caminetto, e parlammo degli avvenimenti più importanti della nostro passato e delle persone che ne avevano fatto parte. Immancabile fu il ricordo che la giovane fece del genitore che era morto da qualche mese, e del grande vuoto che aveva lasciato. A mia volta le raccontai della perdita dei miei genitori, e del dolore che tuttora provavo per non averli come punto di riferimento nella mia vita. Le raccontai il motivo per cui avevo scelto di vivere lungo il fiume: mi donava una serenità interiore, un senso di sicurezza e mi aiutava a diventare un uomo. 
Le parlai anche dell’importanza della figura di Genoveffa nella mia vita e dell’affetto reciproco che provavamo. La sua presenza poteva essere paragonata  a quella di una madre. Nella mia casa non mi faceva mancare mai il profumo di un fiore. Le dissi che in una cassa di mio padre avevo trovato una cinquantina di libri e ogni tanto mi mettevo a leggere.  Parlavano della pesca, e  della vita dei pescatori di fiume. Mio padre amava starsene nel tempo libero a leggere qualche pagina, come diceva lui lo faceva stare  bene con se stesso e con gli altri.  Era sempre stato un pescatore, un mestiere che gli era stato trasmesso da suo padre. Uno che nasce lungo il fiume ha un vincolo speciale ed indissolubile con esso; ti rapisce il cuore e ti fa suo per sempre. Le storie e le leggende che nascevano lungo il fiume venivano portate fino al mare.  
Vittorio disse che in questi giorni s’era rivolto al fiume, ringraziandolo per avergliela fatta conoscere. Il loro incontro lo considerava un miracolo permesso dal buon Dio per farli felici. Prima di lasciarsi, Elena le sfiorò il volto con la sua mano e a Vittorio sembrava che quel tocco amorevole non dovesse svanire mai.

sabato 14 maggio 2022

Le ragione della Monarchia - II

 


ESSENZA DELLA MONARCHIA

E' possibile parlare di Monarchia, o dobbiamo parlare di monarchie? Nella storia troviamo vari tipi di monarchie: feudale, assoluta, costituzionale pura, parlamentare, ecc... L'abuso del termine porta pubblicisti superficiali ad usare il termine monarchia per le dittature, ad esempio quelle comuniste, in cui un uomo ha un potere supremo e senza controllo. Questo ci porta a fare due considerazioni.

La prima confortante: la Monarchia è una categoria permanente nelle società umane. La seconda sconfortante. la Monarchia è un di più, che non influisce sui vari tipi di società.

È possibile parlare di Monarchia e di una autonoma dottrina monarchica se: a) definiamo cos'è la Monarchia; b) ne evidenziamo l'essenza; c) traiamo tutte le conseguenze implicite nella definizione e nell'essenza. Definisco la Monarchia "Il governo legittimo di una persona che a vita esercita nello Stato un potere supremo ed ereditario". Questo è il tipo ideale, secondo la terminologia weberiana, di Monarchia, a cui le monarchie storicamente realizzatesi si avvicinano più o meno.

Ogni parola della definizione ha il suo valore ed è necessaria.

Governo legittimo - La legittimità, secondo la dottrina tradizionale, deve essere legittimità di origine e legittimità di esercizio. Legittimità di origine è quella di chi riconosce, in segno ad un tempo di grandezza e di umiltà, la derivazione del suo potere da Dio, per volere del Quale lo esercita. Ma a ciò, perché non resti una pretesa al limite dell'empietà, deve accompagnarsi la legittimità di esercizio, cioè il rispetto e l'obbedienza, nell'esercizio del potere, alle leggi divine. La legittimità di esercizio giustifica il diritto divino espresso dalla legittimità di origine, sulla quale de Maistre ha scritto: "Dio fa i Re, letteralmente. Egli prepara le stirpi regali; le matura entro una nube che nasconde la loro origine. Esse appaiono poi coronate di gloria e di onore; si stabiliscono; ed ecco il maggior segno della loro legittimità" (4). Alla luce di queste sue parole comprendiamo come la storia, nella sua saggezza provvidenziale, si incarica di mostrarci che chi ha voluto cingere corone invocando per esse la benedizione divina senza averne il diritto, ha visto ben presto crollare il suo disegno. E' il caso di Napoleone I, il cui Impero non fu una Monarchia e bruciò in 10 anni una gloria che se fu grandissima, è nulla davanti all'edificio costruito nei secoli dai 40 Re di Francia.

Una persona -- Ciò è nel termine stesso di Monarchia.

Potere supremo -- Un regime politico si distingue da un altro anche perché diversa è la sede in cui si colloca la fonte e l'esercizio del potere supremo. La Monarchia si distingue perchè tale potere affida ad una persona che è il Re. Il fatto che il potere del Monarca sia il piú alto, non esclude, anzi nella Monarchia tradizionale richiede, il concorso di poteri piú limitati ed inferiori.

Dice bene Cicerone: "Apprezzo nello Stato un potere supremo e reale; in secondo luogo una porzione di autorità conferita ai cittadini più eminenti, ed infine qualche concessione al giudizio e alla volontà del popolo".

A vita — Ciò deriva necessariamente dal concetto di potere su­premo ed è una delle piú forti ragioni di superiorità ed efficienza del­la Monarchia rispetto alle repubbliche.

Ereditario - Valgono le stesse considerazioni del punto prece­dente. Una Monarchia elettiva è un non-senso dal punto di vista logi­co ed è un sistema in cui vengono a mancare tutte le giustificazioni dottrinali della Monarchia nonché le sue doti di efficienza e stabili­tà (5).

Alla luce della nostra definizione, ci accorgiamo che la Monarchia non è solo una istituzione al vertice dello Stato, ma sottintende una concezione globale della società e dello Stato (e quindi anche una concezione dell'uomo). Vi sarà quindi un modello di Monarchia che, per l'uomo, la società, lo Stato, trae tutte le sue conseguenze im­plicite nell'idea-tipo da noi definita. Si può parlare dunque di Mo­narchia "monarchica" e di società monarchica: esse sono comune­mente denominate Monarchia tradizionale e società tradizionale. La dottrina della Monarchia tradizionale è l'unica dottrina integralmen­te monarchica e che non attui compromessi con altre ideologie: ad essa, da monarchici integrali, dobbiamo rifarci.

Non intendo affermare che altri tipi di monarchie debbano es­sere considerati inutili. Non dobbiamo mai essere indifferenti alla alternativa tra Monarchia e Repubblica, anche se la Monarchia che ci si presenta è lontanissima dal nostro modello ideale, perché ogni Mo­narchia, nell'atto stesso di esistere e di proclamare il suo diritto ad esistere, rivendica una parte, anche piccola, dei valori e dei meriti che noi desideriamo restaurare nella loro interezza. Anche nella più democratica delle monarchie, sopravvivono elementi tradizionali le cui potenzialità possono essere sviluppate. Certo le monarchie non tradizionali hanno magari un corpo vigoroso, ma l'anima è affievolita.