di Emilio Del Bel Belluz
Avevo da qualche giorno la possibilità di
usare una rete che avevo acquistato da Elena ed apparteneva a suo padre. Nel momento
in cui la portai a casa compresi che quella rete mi avrebbe portato di sicuro a
catturare più pesce, essendo la più grande di tutte quelle che possedevo. Elena mi aveva fatto vedere un tratto del
fiume che era particolarmente pescoso, e in cui suo padre aveva sempre avuto
fortuna, gettando le reti proprio in quel posto. L’acqua era particolarmente
calma e pulita, quasi trasparente, e si vedeva dalla riva il fondale. Una
mattina alzatomi di buon’ ora andai a pescare proprio lì, avevo messo la rete nuova
e speravo nel miracolo; tra l’altro avevo bisogno di guadagnare dei soldi. Alla
mattina la nebbiolina era sempre presente, sembrava che il fiume stesse
fumando. L’aria era pulita, udivo solo il rumore che faceva il remo entrando
nell’acqua, quasi ad accarezzarla. Quando si va a tirare fuori dall’acqua le
reti, si ha sempre una strana sensazione di attesa, perché la fortuna non è mai
la stessa. Giunto nel posto indicato mi accorsi che l’acqua stranamente aveva
un colore torbido, non si vedeva il fondo, la rete che avevo calato era molto
grande e pensai d’averla perduta; e questo fu per me come un tuffo al
cuore. Mi avvicinai con la barca, la
intravidi e l’afferrai. Mi accorsi che qualcosa di grosso si era impigliato, e
lottava per liberarsi. Avevo il cuore in gola, tanta era l’emozione, la barca
traballava e non riuscivo a tirare su la rete. Passai dei momenti molto
difficili, poi presi una fiocina e colpii il pesce che non mi dava nessuna
tregua e si dimenava. Vidi il sangue che usciva dalla ferita, e con molta
difficoltà lo issai nella barca. Si trattava di uno storione, non ne avevo mai visto
di così grandi, avrà pesato almeno una cinquantina di chili. Per me quella
preda rappresentava una somma di denaro importante. Pensai di venderlo
all’osteria del paese che, di solito, pagava bene. Quando ormai avevo catturato
la preda, mi volli direzionare verso la casa di Elena. La sua casa lungo il
fiume non era molto distante dal posto dove mi trovavo, e decisi che l’avrei
svegliata per farle vedere il grosso esemplare. Giunto davanti alla sua casa
attraccai la barca, e bussai. La mamma di Elena venne ad aprirmi e mi accolse
con un sorriso, che ricambiai. Le dissi che avevo catturato un grosso pesce, e
nel frattempo, giunse Elena i cui occhi erano ancora assonnati. Era tanto
bella, pensai. Mostrai loro la mia preda, che occupava parte della mia barca,
che si dimenava ancora, ma per il pesce più pregiato del Livenza la sua marcia
era finita. Le due donne di pesci come questo ne avevano visto molti, ma per me
era la prima cattura così importante e significativa. Rientrammo in casa, le
due donne vollero che mi fermassi a fare colazione con loro. La mamma aveva
comprato dell’ottimo caffè alla bottega e voleva farmelo assaggiare. Quei
momenti passarono con una velocità indicibile, come ogni momento quando si è
felici e ne avevo veramente bisogno. Passai un’ora con loro, incrociavo gli
sguardi di Elena e se fossimo stati soli l’avrei di sicuro abbracciata e
baciata. In quella casa avvertivo la
sensazione che ci fosse anche la presenza del pescatore che era morto da tempo.
Ogni tanto guardavo la sua foto che era stata messa in cucina, in una mensola,
dove una candela si consumava vicino ad una croce. Il suo ricordo persisteva
ancora in quella casa e nei cuori dei suoi cari. Lasciai la casa felice, e non vedevo l’ora di
vendere la preda. Ogni volta che lasciavo Elena mi piaceva che mi accompagnasse
alla barca e mi salutasse mentre mi allontanavo dalla piccola rada; quel saluto
mi riempiva di gioia. Avevo letto in un libro la storia di un soldato che
andava al fronte, e la sua donna che lo salutava alla stazione. Costui non era
più tornato, la morte lo aveva colto in guerra. La donna per anni la si vedeva
nel luogo dove aveva accompagnato il suo uomo assieme ad un bambino, che era
nato dopo la morte del soldato. Questa donna per anni andava alla stazione e
aspettava il ritorno del suo eroe. Nel romanzo si diceva che la donna era
rimasta talmente sconvolta dalla morte del suo uomo che era impazzita dal
dolore. Viveva nella casa della mamma, incapace di fare qualsiasi lavoro, ma
quel bambino che aveva avuto, diventando uomo, era riuscito a guarirla dalla
malattia che la divorava. Dopo molti
anni aveva ripreso una vita normale, non si era più sposata, viveva nel ricordo
di quell’uomo. Per un attimo mentre la barca si allontanava, pensai a quella
giovane sposa. Quel giorno realizzai una bella sommetta con la vendita dello
storione che fu pesato dall’oste, erano circa settanta chili, una vera manna
dal cielo. L’oste mi volle festeggiare anche con del buon vino accompagnato da
un piatto di pane e fette di salame. Quella sera davanti al fuoco parlai a
lungo con Genoveffa di come la fortuna stesse girando dalla parte giusta. Il
momento propizio mi permetteva di affrontare i giorni che seguirono con più
convinzione nelle mie capacità, e Genoveffa condivideva questa mia gioia, come
era solita partecipare alla felicità di suo marito. Spesso nei nostri discorsi
nominava Elena e lo faceva con la stessa dolcezza con cui avrebbe parlato di
suo marito. La vita che aveva fatto era dura, ma mi diceva spesso che stare in
casa con me le procurava tanta felicità; era un modo per non sentirsi sola.
Genoveffa spesso mi confessava che suo marito le mancava, era stato un uomo
molto buono, non le aveva mai fatto mancare nulla, era molto innamorato di lei
e questo la ricompensava di tutto. Anche quando stavano in casa, alla domenica,
era contenta nel vederlo mentre si metteva a leggere qualcosa, di solito si
trattava di libri che parlavano del fiume e del mondo della pesca. Nella sua casa aveva ancora i suoi libri, che
volle portarmeli. Genoveffa non era mai stata una lettrice, come molte donne si
era sacrificata per la famiglia, rinunciando a proseguire gli studi. Il marito
aveva comperato quei libri da un rigattiere che andava di paese in paese. Un
giorno con il suo carretto era passato per il paese di Villanova, conoscendo il
marito di Genoveffa, e gli aveva venduto alcuni libri rilegati con una
copertina marrone e i fregi in oro.
Questi libri li aveva trovati nella soffitta della casa di un vecchio
che era morto. Erano libri che trattavano della pesca. Il marito di Genoveffa
li aveva acquistati per una bottiglia di vino rosso. Nei libri c’era il nome di
quello che li aveva posseduti prima. Quando li aveva portati a casa, Genoveffa
non era stata molto felice, ma poi aveva capito che quei libri avrebbero
permesso al marito di passare qualche ora davanti al caminetto nelle sere
quando la pioggia e il freddo facevano da padrone. Solitamente li leggeva ad
alta voce per permettere anche alla moglie di ascoltare mentre lavorava a
maglia o stirava. Il marito aveva un carattere che si adattava facilmente alle
difficoltà che la vita gli presentava.
Gli piaceva fumare la pipa, con il suo cappello da marinaio, ricordo di
gioventù. Riusciva a trovare la bellezza della vita nelle piccole cose, come
l’osservare dalla finestra la pioggia che cadeva. Quando si ha la quiete nel
cuore si va lontano, ripeteva spesso il marito di Genoveffa. Dalla mattina alla
sera usciva con la sua barca, armeggiava con le reti, come un personaggio dei
romanzi di grandi scrittori. Nutriva un grande amore per tutto quello che il
fiume poteva offrire ed era come una strada percorsa da viandanti in cerca di
pace, da uomini che giungevano con le loro barche cariche di merci da vendere
in paese. La vita lungo il fiume non era solitaria, c’era sempre qualche barca
che solcava le sue acque e dalla sponda c’era sempre qualcuno pronto a
salutare. Si sentivano i rintocchi delle campane che scandivano le ore della
giornata che passava velocemente. Il fiume era sempre stato generoso, bastava
rispettarlo. Quelli che abitavano lungo le sue sponde, dopo la loro morte,
erano ancora presenti nei cuori di coloro che li avevano conosciuti; la loro anima
continuava a vivere grazie al fiume.
Anche coloro che avevano deciso di lasciarsi travolgere dalla corrente
del fiume, continuavano a vivere per sempre.
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