NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 30 ottobre 2020

Il libro azzurro sul referendum - XXI cap - 1


 I - Premesse e considerazioni generali.

II - Critica dei metodi di indagine statistica.

III - Autocritica di un elaborato critico.

IV - Rielaborazione dei dati.

V – Le cifre nascoste

VI. – Analisi e sintesi di una ricostruzione.

 

I Premesse e considerazioni generali

Nelle giornate precedenti il referendum istituzionale del 2 giugno 1946, mentre si sapeva che circa 750.000 elettori delle Provincie di Bolzano e della Venezia Giulia non sarebbero stati chiamati alle urne, il Ministro dell'Interno lasciava, o faceva circolare la voce, accreditata nei suoi discorsi dallo stesso Presidente del Consiglio, che gli elettori chiamati il 2 giugno ad eleggere i Deputati alla Costituente e a votare nel  Referendum si sarebbero aggirati sulla cifra di 28.000.000.

A chiunque avesse qualche consuetudine con le statistiche, specie demografiche e sociali, una «popolazione elettorale» di 28 milioni non poteva non apparire notevolmente lontana dalla realtà, sol che ponesse mente al fatto che la popolazione elettorale corrisponde alla somma dei cittadini di ambo i sessi che hanno compiuto gli anni 21, e sol che, ricordando che i cittadini «maggiorenni» costituiscono a un dipresso il 60% della popolazione dello Stato, osservasse come quest'ultima venisse a risultare vicina ai 46.710.000 - che sarebbero stati 48 milioni, includendovi le provincie escluse dalle urne, - e assai lontana dalla cifra reale di una popolazione che, sebbene aumenti ogni anno, aveva necessariamente subito dalla guerra falcidie assai rilevanti durante il quinquennio 1941-1945.

Io ero fra coloro che non potevano accettare ad occhi chiusi tali maggiorazioni di cifre, che non esitai a definire pubblicamente «cervellotiche anche se l'aggettivo parve, e pare, offensivo. Ed anche pensavo che, di solito, cioè da quando mondo è mondo, le elezioni si preparano prima, anche manovrando, da chi può, le cifre; e che a prepararle, di solito più di ogni altro, è il Ministro dell'interno.

Pensavo che, in funzione della manovra preparatoria - nella quale si comprende «il far credere  ai cittadini che la somma degli elettori sarà una piuttosto che un'altra - due o tre milioni di cittadini in più avrebbero fatto ottimo giuoco, consentendo una abbondante a riserva» di schede e di voti, da gettare nella mischia, non a caso, in veste di elettori compiacenti e disciplinati, tempestivamente istruiti e organizzati con metodo paziente e sapiente, inviati a votare una seconda e una terza volta, posto che, per fare questo, il mezzo «legale» c'era.

Questo pensavo, perché non credevo, e non ho mai creduto poi, alle possibilità di giochetti con le «macchine calcolatrici» assai meno addomesticabili degli uomini, e neppure alla facilità di «sostituzioni di schede», specie da effettuarsi per cifre ingenti.

Ma anche pensavo che il Ministro dell'Interno, fra le molte cose che normalmente sa o deve sapere, ne sapeva due: l'una, che un Ministro dell'Interno, di regola, non perde le elezioni - salvo che la regola può essere confermata da eccezioni, e l'eccezione non è escluso si verifichi nel 1953 - e l'altra, che gli uffici elettorali, nel 1945-1946, specie nelle grandi Città, erano in disordine e quindi in condizioni da potervi preordinare qualsiasi «accorgimento».

Ma il Ministro dell'Interno sapeva, soprattutto, una terza cosa, e di importanza somma: e cioè che l'Istituto Centrale di Statistica non aveva né veste né mezzi per «rilevare» i dati elettorali alle fonti dirette, e quindi doveva accettare a priori per buoni i dati che gli avrebbe comunicati il Ministero dell'Interno, sui quali poi avrebbe potuto come gli piacesse sbizzarrirsi nelle più varie è complesse elaborazioni. 

Poiché la «Statistica» è una «tecnica», soprattutto, che si vale dei mezzi offertile dalle «Scienze esatte», le elaborazioni statistiche sono «esatte», in principio, soltanto se in fondo siano esatte le premesse, cioè se siano esatti i «dati» che le vengono forniti: i dati forniti dal Ministero dell'Interno, in materia elettorale, sono presunti esatti «per decreto ministeriale». 

Non ha però pensato il Ministro dell'Interno, che se l'Istituto Centrale di Statistica è costretto - fra un censimento e l'altro - a «calcolare» anno per anno il movimento, cioè a dire le variazioni annuali, della popolazione, allorché si compie un nuovo censimento si viene a fissare un «dato certo», che consente di «rifare i calcoli» e di «rettificarli», procedendo, anche, a ritroso. Se a questo avesse pensato, il Ministro dell'Interno - che per la sua professione privata ha una «istituzionale» dimestichezza coi numeri - sarebbe andato più cauto.

Comunque, l'Istituto Centrale di Statistica doveva credere alla attendibilità dei 28 milioni di elettori inscritti; un confronto, se mai, o una conferma, l'avrebbe avuta col numero - anche quello «autorevolmente» comunicatogli - dei «certificati elettorali emessi», posto che le due cifre devono coincidere. L'incidenza di «errori di emissione», per «omissioni» e per «duplicati» di certificati, che praticamente tendono a compensarsi, è incidenza, in ogni caso - cioè, se le cose siano fatte «onestamente» - irrilevante. Quindi, la coincidenza delle due cifre avrebbe sancito il «presupposto della onestà»: e sul numero di 28.000.000, ogni indiscreta indagine sarebbe stata preclusa.



Poichè la « Statistica » è una «tecnica», soprattutto, che si vale dei mezzi offertile dalle «Scienze esatte», le elaborazioni statistiche sono « esatte», in principio, soltanto se in fondo siano esatte le premesse, cioè se siano esatti i «dati» che le vengono forniti: i dati forniti dal Ministero dell'Interno, in materia elettorale, sono presunti esatti «per decreto ministeriale».

Non ha però pensato il Ministro dell'Interno, che se l'Istituto Cen­trale di Statistica è costretto — fra un censimento e l'altro - a «calcolare» anno per anno il movimento, cioè a dire le variazioni annuali, della popolazione, allorché si compie un nuovo censimento si viene a fissare un «dato certo», che consente di «rifare i calcoli» e di «rettificarli», proce­dendo, anche, a ritroso. Se a questo avesse pensato, il Ministro dell'Interno - che per la sua professione privata ha una «istituzionale» dimestichezza coi numeri -sarebbe andato più cauto.

Comunque, l'Istituto Centrale di Statistica doveva credere alla attendibilità dei 28 milioni di elettori inscritti; un confronto, se mai, o una conferma, l'avrebbe avuta col numero - anche quello « autorevolmente » comunicatogli — dei « certificati elettorali emessi », posto che le due cifre devono coincidere. L'incidenza di « errori di emissione », per « omissioni » e per « duplicati » di certificati, che praticamente tendono a compensarsi, è incidenza, in ogni caso — cioè, se le cose siano fatte « onestamente » -irrilevante. Quindi, la coincidenza delle due cifre avrebbe sancito il « pre­supposto della onestà»: e sul numero di 28.000.000, ogni indiscreta inda­gine sarebbe stata preclusa.

Poiché io non avevo il dovere di credere, ed avevo anzi, come qual­siasi cittadino, la «libertà di fare da me» gli stessi calcoli che l'Istituto Centrale di Statistica era da 10 anni «costretto a fare» non disponendo di dati certi di popolazione se non di quelli che risalivano al Censimento del 21 aprile 1946, mi proposi di fare io stesso quei calcoli, che poi riassunsi in un modesto studio, intitolato «Rilievi statistici sul «referen­dum» istituzionale del 2 giugno 1946».


mercoledì 28 ottobre 2020

Aggiornamento conferenza: La presa di Roma da Porta Pia a Porta San Pancrazio

 



LA CONFERENZA SARA’ TRASMESSA 
IN DIRETTA FACEBOOK 
DALLA LIBRERIA HORAFELIX 
SI POTRA’ SEGUIRE COLLEGANDOSI ALL’INDIRIZZO FACEBOOK MASSIMO CLARISSA RICONOSCIBILE DAL LOGO 
DELL’UOMO UNIVERSALE DI LEONARDO.


HORAFELIX LIBRERIA
VIA REGGIO EMILIA, 89 ROMA
 INFO 0645618749

 

La Conferenza illustrerà in occasione

Del 150° Anniversario della Breccia di Porta Pia e del

Bicentenario della Nascita del Re Vittorio Emanuele II

I diversi tentativi della presa di Roma

La Repubblica Romana del 1849,

Le Imprese Garibaldine dall'Aspromonte del 1862,

fino a Villa Glori e Mentana alle porte di Roma del 1867.

Ultimo Atto. La Breccia di Porta Pia il 20 Settembre 1870.

 

Eventi raccontati attraverso i Monumenti
che portano inciso nella pietra e nel bronzo
la testimonianza di queste gesta eroiche.

 

RELATORI


Massimo Fulvio Finucci e Clarissa Emilia Bafaro

 

lunedì 26 ottobre 2020

Uno strano sistema elettorale

( Meglio sempre la Monarchia)



Le ormai prossime elezioni presidenziali del 3 novembre negli USA fanno riflettere ancora una volta su di un sistema elettorale dove la maggioranza non è calcolata sul voto popolare complessivo, ma su quella dei rappresentanti dei singoli Stati che compongono la grande federazione nordamericana, per cui vale di più vincere in ogni stato con il 51% dei voti piuttosto che con il 60%, in quanto non esiste un collegio unico nazionale per il recupero dei voti superflui. Senza dubbio questo sistema, che affonda le sue radici nella struttura costituzionale originaria, è simile a quello dei collegi uninominale per la elezione della Camera dei Comuni nel Regno Unito, l’altra grande e più antica liberaldemocrazia esistente, ma un conto è eleggere un Parlamento in una secolare Monarchia, con un Sovrano a vita, ed un conto è eleggere per quattro anni, forse anche rinnovabili una sola volta, il Capo dello Stato della (ancora) potenza egemone mondiale.

Un'altra stranezza più recente è quella di consentire un voto “anticipato” per posta o di persona, per cui a 10 giorni dalla data effettiva delle elezioni, risultano aver già espresso la propria preferenza ben 52.600.000 elettori, di cui 36.400.000 per posta. 

Evidentemente trattasi di persone dalle convinzioni incrollabili, ma è proprio certo che di fronte a qualche fatto clamoroso di qualsiasi natura, ambientale, politica, personale qualcuno di essi potrebbe modificare il suo giudizio, (ricordiamo un attentato terroristico in Spagna che spostò la maggioranza), e se poi qualcuno passasse a miglior vita il suo voto sarebbe egualmente valido a decidere l’elezione del Presidente! Qui non si tratta essere di destra o di sinistra, monarchico o repubblicano, ma di un qualcosa che stride con la logica e la ragione. Possibile che nessuno sottolinei questa seconda stranezza e ne rilevi l’illogicità?


Conferenza: La presa di Roma da Porta Pia a Porta San Pancrazio

                                  Invito Conferenza alla Libreria Horafelix


                                                    LA PRESA DI ROMA

DA PORTA PIA A PORTA SAN PANCRAZIO

MASSIMO FULVIO FINUCCI E CLARISSA EMILIA BAFARO

HORAFELIX LIBRERIA

GIOVEDI' 29 OTTOBRE 2020 

ORE 18

Posti limitati, prenotazione obbligatoria 06 45618749

 

Bicentenario della Nascita del Re Vittorio Emanuele II

I diversi tentativi della presa di Roma

La Repubblica Romana del 1849

Le Imprese Garibaldine dall'Aspromonte del 1862

fino a Villa Glori e Mentana alle porte di Roma del 1867

Ultimo Atto. La Breccia di Porta Pia il 20 Settembre 1870

Eventi raccontati attraverso i Monumenti che portano inciso nella pietra e nel bronzo la testimonianza di queste gesta eroiche.


domenica 25 ottobre 2020

La storia di Carnera


Emilio Del Bel Belluz

 

Capitolo I

 

Una volta si diceva che i tempi duri passano e ci vogliono uomini tutti d’un pezzo perché questo avvenga. Qualcuno scrisse che più si soffre e più si diventa forti. In questi giorni di fine ottobre, in cui la natura si presenta con dei splendidi colori, si ricorda la nascita di Primo Carnera a Sequals, avvenuta il 25 di questo mese. 

Il vecchio parroco del paese lo battezzò con quel nome che era caro ai genitori, Primo, perché era il loro primo figliolo. Quando nacque si disse che pesava almeno come un vitellino, grande e forte. Il padre lo alzò verso il cielo con fatica e il bambino si era messo a piangere e le sue urla erano giunte fino al centro del paese. La mamma lo allattò subito, e quella creatura non si staccava mai dalla sua fonte di vita. Se a Sequals ci fosse stato un pittore avrebbe potuto fare un quadro davvero bello. 

Non so se il parroco, come accade attualmente a Rivarotta di Pasiano, avesse fatto suonare le campane a festa per annunciare la sua nascita. La comunità di Sequals dava all’Italia monarchica e al suo sovrano Vittorio Emanuele III, un suo figlio. 

La vita di Primo non è mai stata facile, già nei primi mesi il latte materno non era sufficiente a nutrire un colosso che in poco tempo arrivò a dieci chili. Per sfamarlo s’era dovuto affiancare alla madre, una balia. La fame divenne la sua croce, vorrei dire perpetua. 

La famiglia Carnera festeggiò il suo primo Natale con il nuovo arrivato, era il 1906. Alla messa di mezzanotte in quella chiesa fredda il pianto di Primo cessò solo nel momento in cui la madre lo portò davanti al presepe che era stato collocato in un grande angolo della chiesa. Lo scintillio delle luci delle candele attirarono la sua attenzione e come d’incanto il grande piccolo Primo si zittì. 

La scena più bella fu quella in cui davanti alla statua di Gesù deposto nella mangiatoia c’era il piccolo Primo a fargli compagnia. Quando il parroco si avvicinò per benedire il Bambinello del presepe, con affetto fece una carezza a quel bambino che stava in braccio alla mamma e istintivamente il piccolo Primo sorrise. 

Dopo la benedizione, rientrando verso casa, i genitori si fermarono davanti a un capitello con le statue della Madonna e del buon Gesù e pregarono. Primo Carnera divenne un bambino forte e grande, sembrava che crescesse a vista d’occhio, con la preoccupazione della madre che doveva sempre allungare i suoi vestiti; come quando nacque tutti i vestitini furono rifatti. A scuola la maestra lo aveva collocato nell’ultimo banco, dopo che un falegname era riuscito con delle assi a fargli un banco su misura. Da quella posizione dominava la stanza, e poteva sempre vedere la maestra che la considerava come una mamma. 

A scuola seguiva le lezioni con poca attenzione, spesso il suo sguardo era assente, osservava dalla finestra i campi, gli uccellini che si posavano sui rami, e sognava di correre nel bosco a cacciare, come ogni tanto faceva accompagnando uno zio che amava la caccia e che volentieri si soffermava a parlare con Primo. Lo zio spesso invitava il nipote a mangiare delle sarde in una trattoria vicino al paese, e Primo, che aveva sempre un grande appetito, non disdegnava che gli fossero portati anche dei piatti di pasta e fagioli. 

Questo avveniva sotto gli occhi felici dello zio che gli voleva bene. Il nipote non parlava molto della scuola, perché qualche volta non faceva i compiti con diligenza, e la maestra, quella santa donna, lo perdonava. Primo amava leggere un libro per ragazzi che narrava la storia di un boscaiolo che con una scure riusciva ad abbattere un albero in poco tempo. Da grande non gli sarebbe dispiaciuto lavorare nei boschi a contatto con la natura, il lavoro dei campi lo faceva volentieri per alleviare la fatica della mamma, che doveva accudire alla casa e ai figli. Il padre era dovuto partire per la guerra, e le sue braccia erano sostituite da quelle di Primo che lavoravano i campi e mungevano la mucca. Quante volte aveva sorseggiato avidamente dal secchio di latte fino a svuotarlo per metà, tanto da far preoccupare la mamma che pensava che la mucca fosse ammalata. Durante il tempo della guerra amava leggere alla mamma e ai fratelli le lettere che il padre scriveva a casa. 

Di una era particolarmente fiero, perché raccontava che il padre, soldato del Regio Esercito, aveva visto il Re che era venuto ad onorare i soldati nel giorno di Natale e si era soffermato a parlare proprio con lui. Il Re Vittorio Emanuele III aveva chiesto a suo padre se avesse dei figli e da dove venisse. Il sovrano gli aveva stretto la mano e papà Carnera aveva provato una gioia indescrivibile. Primo aveva letto quella lettera con una grande commozione, e il giorno dopo l’aveva portata alla maestra che l’aveva letta in classe. Molti dei suoi compagni avevano il padre al fronte e anche loro vollero portare le lettere ricevute. Due suoi amici avevano perso il loro padre e non riuscirono a trattenere le lacrime per questa grande perdita. 

La maestra che amava i suoi allievi uno ad uno, e non essendosi sposata voleva un gran bene ai suoi ragazzi, chiese che i due bambini che avevano perduto il loro papà, portassero una foto del genitore in divisa da soldato. La maestra volle incorniciare a sue spese le due foto e le mise vicine a quelle della Regina d’Italia, Elena del Montenegro e del sovrano Vittorio Emanuele III. Sulla mensola sottostante vi venivano posti dei fiori e delle candele. La maestra in questo modo voleva portare un po’ di conforto ai due bambini. Altre foto, purtroppo, vennero appese sulla parete, finché la guerra non ebbe termine.

 

Capitolo II 

Il bambino Carnera e la divisa da soldato. 

Primo frequentava la quinta elementare con profitto, perché si era impegnato maggiormente degli anni precedenti e quello che gli piaceva di più, era leggere il libro delle letture che l’anno dopo avrebbe dovuto dare a un cugino. Lo aveva sottolineato con la matita rossa e blu. Gli piacevano quei colori, gli stessi che la maestra utilizzava per correggere i compiti. 

Dal suo banco chiedeva sempre di poter leggere, negli ultimi dieci minuti di lezione, il libro Cuore dello scrittore Edmondo De Amicis. La voce del giovane era talmente forte che si sentiva persino in corridoio. Il bidello della scuola riusciva a sentire quello che leggeva. Il libro Cuore con le sue belle immagini aveva catturato l’attenzione degli allievi. Primo Carnera, ogni volta che lo leggeva si commuoveva, perché descriveva il coraggio e il patriottismo dei protagonisti. 

Quelle pagine lo facevano andare alla figura del padre che si trovava al fronte a combattere. Alla sera gli piaceva raccontare quello che aveva letto alla mamma, la donna era sempre vicino al lume che rammendava i vestiti, e allargava i pantaloni. Un giorno una sua vicina le aveva dato in dono un cappotto militare logoro, e la mamma di Primo l’aveva rivoltato e ne aveva fatto uno comodo per lui. Accadde che in quell’inverno del 1917, arrivassero gli austriaci e i tedeschi a Sequals, le strade erano ingombre di soldati. I bambini erano i primi ad essere incuriositi nel vedere tutta quella gente vestita militarmente, e pensavano ai loro padri che si erano dovuti ritirare dopo la rotta di Caporetto. 

Un giorno la mamma diede a Primo il cappotto militare che aveva sistemato, dopo notti di duro lavoro. Il cappotto gli stava benissimo, aveva ricevuto i complimenti della maestra, che lo paragonò ad un Corazziere del re. A scuola, intanto, i ragazzi avevano continuato nella lettura del libro Cuore, e sarebbero stati volentieri ad ascoltare tutto il giorno, per sapere come sarebbero andati a finire i vari aneddoti. Le giornate poi, erano particolarmente fredde e a scuola il vecchio bidello accendeva sempre la stufa con della legna che si procurava nei boschi. Il bidello aveva una simpatia per Primo, qualche volta facevano la stessa strada e dopo la scuola lo attendeva il lavoro sui campi. 

Un giorno Carnera fu arrestato dai tedeschi, venne preso e portato in una casa dove si erano acquartierati. Venne scambiato per un soldato e, precisamente, per un disertore del Regio Esercito Italiano. A nulla valsero le lacrime di sua madre e le sue spiegazioni sull’età del figlio. Il corpo di Primo sembrava davvero quello di un ragazzo di diciotto anni. La mamma si precipitò dal prete, e assieme al sindaco, andarono al Comando austriaco per riuscire a dimostrare che non aveva nulla a che fare con la guerra: era solo un bambino, un bambino gigante, di solo 11 anni. 

La mamma andò a trovarlo e alla sua liberazione pianse. Il comandante, un tipo molto burbero, si scusò con la famiglia dell’equivoco e per premiare il giovane, che aveva dimostrato coraggio, gli fece avere una grande pagnotta di pane e questa cosa fu sufficiente per far dimenticare il brutto guaio che quel cappotto aveva provocato. In paese qualcuno ne parlò e tanti vollero sapere come fossero realmente andate le cose. Il parroco e il sindaco andarono nella casa di Primo, invitati dalla madre, e quella sera si fermarono a mangiare una fetta di polenta accompagnata a del salame: era l’unico salvato dai saccheggi degli invasori.

mercoledì 21 ottobre 2020

Un articolo che ci eravamo persi

Sant’Anna di Valdieri celebra la XXXI festa di Sant’Elena ricordando la ‘Regina della Carità’


Come ogni anno, dal 1990, l'associazione internazionale Regina Elena Onlus ricorderà la “Regina della Carità”, Elena del Montenegro, a Sant’Anna di Valdieri, il paese che proprio su iniziativa della onlus le dedicò un monumento nella Pineta Reale inaugurato il 24 agosto 1996.

[...]

https://www.cuneodice.it/varie/cuneo-e-valli/santanna-di-valdieri-celebra-la-xxxi-festa-di-santelena-ricordando-la-regina-della-carita_39770.html

Un dono della Regina Elena

 



Nel numero di ottobre della rivista “Il Bollettino Salesiano”, vi è una lunga e dettagliata esposizione delle vicende costruttive e della realizzazione della “Casa Don Bosco a Valdocco, dove, oltre a ricordare la presenza di Principi di Casa Savoia alla cerimonia della Beatificazione del giugno 1929, si ricorda anche che nell’esistente Museo, in una vetrina è esposto il paliotto “in tessuto di qualità eccezionale - bisso -, ricamata a Nodi Savoia dell’architetto G.Ricci, donato dalla Regina Elena in occasione della visita del 13 aprile 1935.” 

Questo ricordo è un ulteriore tassello della grande religiosità e beneficenza della Regina, che seppe così bene trasmettere al figlio, Umberto, Principe ereditario e futuro Re .

Domenico Giglio

martedì 20 ottobre 2020

Europa al diavolo?


Da Los Caidos a Montmartre

di Aldo A. Mola

Oggi Franco, domani la Colonna Traiana

“Oggi in Spagna, domani in Italia” fu il motto di Carlo Rosselli, che dalla guerra civile spagnola iniziata del luglio 1936 tornò in Francia, malato e profondamente deluso. Aveva capito che chiunque avesse vinto, la Spagna non sarebbe divenuta democratica. Da una parte i Quattro Generali e la “quinta colonna”, dall'altra i socialcomunisti controllati dall'Urss tramite gli emissari della Terza Internazionale, come Palmiro Togliatti (Ercoli) e Luigi Longo (Gallo). Chi non si allineò, come gli anarchici, finì stritolato dai rossi più rossi. Molti spagnoli europeisti, come Miguel de Unamuno, e i massoni furono accusati di complotto ai danni della Spagna Eterna e vennero demonizzati da Francisco Franco, assurto a “caudillo” nei “nazionali”. Finirono male, in una guerra che durò tre anni e vide l'impiego di eserciti stranieri (i tedeschi di Hitler e il Corpo Truppe Volontarie italiane agli ordini del generale Gambara da un canto, migliaia di volontari nelle Brigate internazionali a sostegno della repubblica di Madrid dall'altra). Liberaldemocratici e socialisti moderati furono emarginati, spesso assassinati perché la guerra (in)civile esclude il dubbio e impone di parteggiare, come poi accadde ovunque in Europa. Il grosso della popolazione, che già se la passava male, precipitò nella fame. Dal luglio 1936 all'aprile 1939 la Spagna fu il laboratorio del successivo conflitto europeo.  Prima che finisse Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti conclusero che, morti tragicamente Sanjurjo e il generale Emilio Mola, ideatore della rivolta dei “nazionali” contro la repubblica in preda al caos, l'alternativa a Franco sarebbe stata una Spagna sotto controllo di Stalin, con tutte le conseguenze strategiche a livello planetario. Ne riconobbero la vittoria molto prima che entrasse a Madrid. Randolfo Pacciardi, repubblicano e due volte massone, comandante del reggimento “Garibaldi”, antifranchista sino al midollo come Aldo Garosci, Franco Venturi e Francesco Fausto Nitti (massone), intuite con chiarezza le prospettive andò negli USA, per preparare la riscossa contro i totalitarismi veri: la Germania nazionalsocialista di Hitler e l'Unione sovietica di Stalin, di lì a poco unite nel patto di non aggressione e di spartizione dell'Europa orientale e baltica.

 

Giunto potere, Franco ebbe mano libera nell'epurazione di comunisti e massoni (ma questi in gran parte sotto il grembiulino avevano poco fraterni turgori partitici e ateistici). Dall'“Occidente” fu considerato il male minore. Emarginata (come era accaduto a liberaldemocratici e demosocialisti in Italia dopo il 1925), la “terza Spagna”, cioè i cittadini che aspiravano alla quiete e al progresso civile ed economico, fu costretta al silenzio. Sopravvisse anche perché Franco rifiutò di entrare in guerra a fianco dell'Asse Roma-Berlino e aprì il territorio nazionale agli USA. Nell'agosto 1943 per avviare i preliminari dell'armistizio tra Italia e anglo-americani il generale Giuseppe Castellano non per caso passò dall'ambasciata inglese a Madrid. Dal canto suo Pio XII (papa dal 1939 al 1958) camminò nel solco di Pio XI che nell'enciclica Divini Redemptoris del 19 marzo 1937 aveva esplicitamente condannato le folli violenze dei “rossi” contro chiese, ecclesiastici e cattolici (arrivarono a disseppellire e oltraggiare macabramente salme di suore). Insignito dell'Ordine del Cristo dallo stesso Papa che, caso unico a metà Novecento, scomunicò il presidente dell'Argentina Juan Perón, anno dopo anno Francisco Franco, Jefe del Estado, guadagnò consensi, simpatie e sostegni. La “sua” Spagna entrò nelle Nazioni Unite nella stessa infornata della “Repubblica italiana nata dalla resistenza”. I suoi rappresentanti, come il galiziano Manuel Fraga Iribarne, erano apprezzati negli incontri internazionali per cultura, equilibrio e lungimiranza. I tecnocrati dell'Opus Dei fecero il resto. Senza bisogno di decreti dall'alto, la Spagna a diverse velocità (come era l'Italia degli Anni Sessanta) divenne europea. Il massonofobo Franco finse di non sapere che nelle basi statunitensi fiorivano le logge. In più, anche su consiglio di Umberto II, restaurò la monarchia “a futura memoria” e avviò lentamente il passaggio verso il futuro. All'interno parlava una lingua, verso l'estero un'altra. Non si fece mai abbindolare, neppure dagli USA che gli chiesero di dar man forte nella guerra del Vietnam.

Memoria e oblio

Franco, dunque, è quarant'anni di storia di un Paese che ha cinque secoli unità. Con Filippo II e Filippo IV d'Asburgo e con Filippo V e Alfonso XIII di Borbone è il capo di Stato spagnolo più durevole dal Cinquecento a oggi. Al potere prima della seconda guerra mondiale morì quasi vent'anni dopo il Patto di Roma che avviò il cammino verso l'Unione Europea, ai cui margini la Spagna venne tenuta anche dopo la sua svolta democratica, non per nobili principi ma nel timore della sua competizione economica con i suoi soci fondatori, soprattutto nell'agricoltura (vino e agrumi).

La transizione, guidata da Adolfo Suárez, al quale rimane giustamente intitolato l'aeroporto di Madrid, avvenne in forma pacifica perché Re Juan Carlos di Borbone era la garanzia della continuità dello Stato unitario. I partiti, inclusi comunisti, socialisti e catto-liberali, concordarono che il passato andava messo tra parentesi: “sunt lacrimae rerum”. Le ferite c'erano, ma, insegna padre Giovanni Curci S.J. nell'ampio e meditato saggio “Memoria e oblio. Un binomio indispensabile” (“La Civiltà Cattolica”, 17 ottobre 2020 quaderno 4088), “dimenticare e ricordare sono entrambi indispensabili per la conoscenza e anche per la salute mentale”. Occorre liberarsi dalla “dittatura della memoria”. Rinfacciarsi il passato avvelena il presente. La storia è zeppa di guerre vendicative, tanto distruttive quanto inutili. Già tra Otto e Novecento irredentismi, separatismi e particolarismi erano superati dalle internazionali (“unione di nazioni”, non loro negazione: lo ripete papa Francesco in “Fratelli tutti”) e dalle organizzazioni soprannazionali, come gli Stati Uniti d’Europa predicati sin dall'inizio del secolo scorso.

Los Caidos: meditazione sulla Storia

Dagli Anni Sessanta, per chi la visitava, la Spagna era il suo immenso patrimonio di “monumenti” romani, medievali, dell'età moderna, nati dall'intreccio di civiltà. Lo stile mudéjar è Spirito Assoluto. Il visitatore che trascorreva giorni a El Escorial si raccoglieva in meditazione nel Valle de los Caídos non per omaggio alla salma di Francisco Franco e di José María Primo de Rivera, fondatore della Falange, assassinato a freddo dai “rossi”, ma per comprendere la complessità della storia della Spagna, “una, grande, libre”. Anche se nient’affatto “praticante” trovava suggestiva la croce di 150 metri sovrastante il mausoleo.

Al netto delle intenzioni di chi lo aveva voluto e dei diversi animi di chi lo aveva edificato, esso non era un incantesimo, ma un “sacrario”, luogo al di sopra e al di fuori dei “laici”, sinonimo di profani ignari. È metastoria. Quell'incantesimo venne infranto nel 2007 dal presidente del Consiglio Zapatero, socialista, che volle la “legge sulla memoria” quale condanna del “franchismo”, identificato con la guerra civile e con la repressione degli anni immediatamente successivi, ma ormai superata nel suo ultimo quarto di secolo. Da decenni la storiografia aveva scavato ogni dettaglio del lungo calvario della Spagna nei quarant'anni dalla “settimana tragica” e dalla fucilazione di Francisco Ferrer y Guardia al 1939. Era una lotta fratricida che affondava radici nel 1808, il “dos de Mayo” immortalato da Francisco Goya, nella guerriglia contro Giuseppe Bonaparte (“don José Primero”) e gli afrancesados. Era terreno di studio, non motivo di divisione tra gli spagnoli del Terzo Millennio.

Il 24 ottobre 2019, pochi giorni prima delle elezioni del 10 novembre, il socialista Sánchez, alla guida di un governo di minoranza, coronò la sua lunga battaglia ideologica e giuridica con la estumulazione della salma di Franco dal Valle, inumata al Pardo. Fu una avvilente sceneggiata presentata come soluzione di tutti i problemi di un Paese per colpa sua in affanno economicamente e politicamente, con l'aggravante dell'indipendentismo repubblicano della Catalogna e per la deflagrazione di autonomismi antichi (dai Paesi Baschi alla Galizia) e di recente invenzione, quale arma di ricatto verso il governo centrale.

Nell'intervista a un quotidiano italiano l'8 luglio 2020 Sánchez dichiarò di essere stato aiutato dal papa contro i benedettini del Valle che lo avevano ostacolato “nella vicenda del corpo di Franco (sic)”. Trascorsi alcuni giorni senza rettifica né dal giornale né da Madrid, la Santa Sede precisò di non essersi mai pronunciata “sulla esumazione né sul luogo della sepoltura” del Caudillo.

 

Chi pensava che la quaestio fosse finita ha motivo di ricredersi. Carmen Calvo, trinariciuta vicepresidente del Consiglio, e altri esponenti di primo piano del governo rossopaonazzo Sánchez-Iglesias stanno gonfiando le vele della “Legge della memoria democratica”, solennemente annunciata il 15 settembre 2020 ma passata sotto silenzio dai media internazionali, corrivi a deplorare estremismi e bizzarrie di regimi vari, da Ungheria e Polonia alla Russia di Putin, ecc. ecc. La legge non riapre la guerra civile: la chiude demonizzando una volta per tutte Franco, il cosiddetto franchismo (che fu un regime, non una ideologia) e la libertà di ricerca e di parola orale e scritta. È liberticida. Essa prevede la ricerca sistematica di fosse comuni della guerra civile, il repertorio di tutte le vittime della violenza dei Quattro Generali, congrui risarcimenti (tutto giusto e perfetto), ma anche la condanna della “apologia del franchismo”. Lì, come in ogni altro Paese del mondo, sarà il magistrato a stabilire se una frase, un articolo, un saggio lo siano o no. Che cosa fare, allora, della Legione Spagnola, che ad Almeria ha celebrato da poco il suo primo secolo di storia e che ebbe parte non secondaria nel 1936-1939 nella vittoria dei nazionali? Le verrà vietato di cantare “El novio de la muerte”? Che cosa fare dell’intitolazione di Reggimenti a Don Juan, a Alejandro Farnesio, al Gran Capitán e ad altri insigni condottieri dell'impero di Carlo V e di Filippo II (1556-1598)?

Non bastasse, Carmen Calvo ha annunciato che bisogna “resignificar” il Valle de los Caídos, da convertire in monumento democratico gestito dal Patrimonio Nazionale anziché dalla Fondazione della Santa Croce diretta dai benedettini, a sua detta destinata all'estinzione: conclusione  non scontata, perché essa dipende dall'Abbazia benedettina francese di Solesmes. Non solo. Mentre l'arcivescovo di Madrid Carlos Osoro ha auspicato che il Valle continui a essere  “luogo dove recuperare la fraternità, la riconciliazione e la pace”, il presidente della conferenza episcopale spagnola ha dichiarato che i cittadini sono preoccupati dalla pandemia e di conservare il lavoro e che al Valle i benedettini “per quanto possano aver sbagliato (nell'ostacolare invano l'estumulazione) sono per pregare e fare del bene”. La questione, dunque, è complessa, poiché manifestamente oggetto di manipolazione da parte del governo rosso-paonazzo e dei suoi esponenti ultragiacobini, giunti ad affermare che la croce sovrastante il mausoleo è “espressione del nazional-cattolicesimo”. E allora? Bisognerà fare come al Cerro de los Ángeles, che il 28 luglio 1936 prima fu bersaglio di fucilate e poi abbattuto con la dinamite?

E l'Europa sta a guardare silente?

La Memoria ha due volti: quella intima e quella pubblica. Chi ne abusa utilizzando il Potere per la damnatio di alcuni e l’esaltazione di altri viola quella intima e suscita fantasmi sopiti che sarebbe meglio lasciare dormienti per evitare che balzino fuori come lo spirito dalla lampada di Aladino.

La legge della memoria democratica (5 titoli, 66 articoli) che Sánchez vuol far approvare entro la metà del 2021 mira a abolire titoli nobiliari e decorazioni del passato regime; e passi. Ma ciò che più allarma e che essa vuol irrompere nell'insegnamento tramite la “pulizia” dei testi scolastici. In sintesi essa punta a commissariare ideologicamente i cittadini: a imporre una storia a senso unico e a punire severamente chi dissenta dalla Verità di Stato. Questo è lavaggio del cervello. È totalitarismo. Democratico, come nella Germania e nell'Unione sovietica dei tempi andati.

Montmartre e i fantasmi di due arcivescovi ammazzati a Parigi

Appena a nordest della Spagna il 13 ottobre il prefetto della regione dell'Ile-de-France e la ministra della Cultura francese hanno annunciato l'intenzione di classificare come monumento storico la celebre basilica parigina del Sacre-Coeur, “santuario della adorazione eucaristica e della misericordia divina” secondo la Diocesi di Parigi. Come noto, dopo Nôtre-Dame è la chiesa più visitata di Francia. Nell'opinione generale essa venne edificata a Montmartre per ricordare gli ostaggi assassinati dai Comunardi nel maggio 1871 e in riparazione dei peccati perpetrati dai francesi: quindi per motivi spirituali più che politici.

In realtà i suoi ideatori, Hubert de Fleury e Alexandre Legentil, si ispirarono al progetto avviato a Lione per la costruzione di Nôtre-Dame de la Fourvière volta a espiare la sconfitta di Sedan (1-2 settembre 1870) e la conquista dello Stato pontificio da parte del regno d'Italia (20 settembre).

Solo in secondo tempo de Fleury aggiunse che la collina di Montmartre era non solo il luogo del martirio di Saint-Denis ma anche dei generali Clément-Thomas e Lecomte da parte dei comunardi.

La classificazione del Sacre-Coeur a monumento nazionale è di primaria importanza per la sua tutela e del completamento della sua cripta, mai ultimata. Alcuni però ci vedono una strizzatina d'occhio di Macron ai cattolici mentre si avvicinano le elezioni presidenziali.

Sennonché siamo anche alla vigilia del 150° della Commune (18 marzo-15 maggio 1871), primo governo “rivoluzionario” della storia, che ha sempre diviso e divide la memoria dei francesi per le atrocità compiute dai comunardi e per la feroce repressione di cui furono oggetto (vinti, in gran parte fucilati e deportati in Nuova Caledonia dopo inenarrabili sofferenze). A placare gli animi e a spegnere sul nascere una nuova disputa basterà l'intitolazione di una stazione della Metropolitana  alla Commune de Paris e l'omaggio pubblico a Louise Michel, sua celebre eroina?

Se la “Rive gauche” ha in serbo molte frecce, altri non ne mancano affatto. Senza essere o proclamarsi clericali, i cattolici e anche i non credenti ma studiosi di storia e del tutto liberi pensatori sanno che nella loro faretra l'altra “riva” ha il ricordo di due arcivescovi di Parigi assassinati: il primo, Denis-Auguste Affre, il 27 giugno 1848;Geroges Darboy,  proprio per mano dei comunardi il 24 maggio 1871.

Sono tutte vicende che è bene lasciare dove stanno: nella coscienza di chi sa che la storia è anche costellata di errori e di orrori, che devono essere studiati, contestualizzati e spiegati, ma non giustificati. Essi insegnano, infatti, che anche oggi si può sbagliare: anzitutto attizzando polemiche inattuali e inventando leggi sulla “memoria democratica” (imposte da governi dalla flebile maggioranza), mentre ognuno ha diritto di avere la propria.

Gli spagnoli hanno una lunga storia. Non sentono il bisogno di farsela “regnisificar” da un governo qualunque, tanto meno se di inetti, come l'attuale. Gli italiani ne vantano una ancora più lunga; gli ispanici lo vedono a Tarragona, Segovia e altrove. Come loro, gli italiani non hanno alcun bisogno di “leggi della memoria”. Sono liberi di studiarsi  e di valutarsi da sé.


I diversi tentativi della presa di Roma

 del Prof. Massimo Fulvio Finucci e D.ssa Clarissa Emilia Bafaro



Ricorrendo quest'anno il 150° Anniversario dell'Annessione di Roma al Regno d'Italia e il Bicentenario della Nascita del Primo Re d'Italia Vittorio Emanuele II, è doveroso ricordare i precedenti tentativi di avvicinamento a Roma, verificatisi durante il processo di Unificazione Nazionale. 

Nell'Ottobre del 1867 si svolgevano, a Roma e dintorni, da Villa Glori a Mentana, le gloriose gesta di numerosi patrioti italiani, accorsi da tutta Italia, a sostegno dell'Impresa di Giuseppe Garibaldi, al fine di liberare Roma dal potere temporale dei papi. 

La Repubblica Romana 1849 

Altri tentativi, non giunti a buon fine, malgrado lo sforzo di volontà e di sangue, si sono verificati durante il Risorgimento. Ricordiamo il lodevole tentativo della Repubblica Romana nel 1849, un esempio di unità d'intenti, di Pensiero e d'Azione. Quando volontari da tutta Italia, che avevano combattuto la Prima Guerra d'Indipendenza a seguito del Re ci Sardegna Carlo Alberto di Novara, accorsero a difesa della neonata Repubblica Romana. Giovani patrioti che combatterono fino al dono della vita. A esempio di Virtù e Valore, citiamo Luciano Manara e Goffredo Mameli.

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https://www.consulpress.eu/il-risorgimento-della-citta-eterna/

lunedì 19 ottobre 2020

Io difendo la Monarchia Cap X - 3

 

Questa distinzione tra governo diretto del popolo e governo rappresentativo e in sostanza tra democrazia diretta e democrazia indiretta o rappresentativa è fondamentale. Si guardi per esempio alla, vita della nostra repubblica esemplare, la più compiuta nella sua storia e nel suo fiorire, la più illustre nelle sue lettere e nelle sue arti: la repubblica di Firenze. La democratica di Firenze fu senza dubbio quella del Savo­narola. Essa costituiva il Consiglio Maggiore e gli dava facoltà di creare tutti i principali magistrati, di appro­vare tutte le leggi; in altri termini lo faceva sovrano dello Stato.

«Erano chiamati (1) a far parte del Consiglio tutti quelli che avevano l'età di 29 anni ed avevano pagato le imposte; erano cittadini beneficiati il che secondo una antica legge, voleva dire quelli che fossero stati veduti o seduti in uno dei tre maggiori uffici o che avessero avuto questo beneficio dal padre, dall'avo, dal bisavo­lo». Siamo dunque ben lontani da una democrazia mo­derna. Su una popolazione totale di circa go mila per­sone soltanto 3200 erano in possesso dei requisiti neces­sari per entrare nel Consiglio. Ma erano già troppi per quel consesso: essi venivano allora sterzati e cioè divisi in tre parti ognuna delle quali formava il Consiglio per sei mesi. La democrazia del Savonarola, la più spinta di Firenze, differiva quindi assai poco dalla oligarchia veneziana. Va da sé che Lucca era governata da Firenze senza avere suoi rappresentanti nel Consiglio Maggiore.

Nota il Quinet nel suo libro sulle Rivoluzioni d'Ita­lia (2) che Firenze e Venezia riposavano entrambe sul terrorismo. A Firenze il sistema era intermittente e nei periodi di umanità la repubblica moriva. A Venezia il sistema era costante e così Venezia sopravvisse di tre secoli a Firenze. Instabili erano le posizioni sociali ed economiche delle famiglie e anche degli ottimati. Co­stantemente con le proscrizioni e le esecuzioni si muta­vano e si rovesciavano le classi. La nobiltà diventava borghesia e viceversa. Entrambe rientravano e si con­fondevano nel popolo minuto per uscirne di nuovo con le nuove violenze. Con questo fenomeno il Quinet spiega il cosmopolitismo così frequente nel genio italiano. Egli scrive: «Dopo tante proscrizioni un gran numero di uo­mini erano senza patria. Tutte le famiglie avevano pa­tito l'esilio. Erano sradicate. Una, parte dei loro membri non avevano più focolare; dopo la seconda generazione i figli perdevano ogni sentimento di nazionalità. Banditi dai loro focolari essi si facevano cittadini del genere umano» ... «Esuli o figli di esuli, gli scrittori, i poeti, gli artisti non sono chiusi nei limiti di nessuna nazionalità. Dante, Petrarca, Leonardo Aretino, Leonardo da Vinci, Michelangiolo, Machiavelli, Cristoforo Colombo, cacciati o respinti dal loro paese si fanno del mondo la loro pa­tria». E concludeva il Quinet questo suo capitolo sul tenore come fondamento delle repubbliche italiane, con un avvertimento di grande attualità: « Una tale esperienza, unita a tutte le altre mi au­torizza a trarre da questo capitolo la seguente conclu­sione: che in un'epoca corrotta ogni democrazia che na­scerà dopo una lunga abitudine di servitù e che si con­tenterà della pura gioia di nascere senza prendere nes­suna garanzia contro la furberia dei suoi nemici diven­terà per forza loro preda e scherno ».

Ma il nemico della democrazia parlamentare nell'età contemporanea, con i partiti di massa non è il Principe costituzionale ma il capo-popolo, il demagogo che secondo il temperamento e la tradizione italiana dei Masaniello, dei Michele di Lando, dei Cola di Rienzo, dei Mussolini mira a sostituire il Principe.

Assai impressionante infatti è il paragone tra il re­gime mediceo e quello instaurato da Mussolini a Roma con le sue «prese di contatto con il popolo», le adunate in piazza Venezia, le proclamazioni dal balcone, i riti, le insegne, le legioni, il saluto al duce, e tutto l'arma­mentario della dittatura. Sono due forme di falsa de­mocrazia, singolarmente vicine. Anche allora venivano conservati gli istituti tradizionali ma se ne falsava il fun­zionamento con ignobili trucchi, finte elezioni e falsi sor­teggi: in definitiva il signore e i suoi clienti e parenti disponevano di tutto facendo ricorso alla acclamazione della folla che si adunava in Piazza della Signoria al grido: Palle! Palle! Questo singolare riavvicinamento non deve meravigliarci. Abbiamo già visto come il fa­scismo avesse distrutto il Risorgimento e quella forma di Governo parlamentare e di democrazia rappresenta­tiva o indiretta che in Italia era stata importata con Ca­vour dall'Inghilterra e successivamente dalla Francia. Tolta via la vernice del Risorgimento era venuta in luce la vecchia natura italiana prima dei governi stranieri dell'età moderna. Da sotto la coltre dei secoli (ottocento, settecento e seicento) rispuntava fuori l'Italia del Ma­chiavelli e del Guicciardini, con i suoi venturieri, i suoi capitani e il suo popolo pittoresco, acceso e mutevole, ma senza il fulgore inimitabile del Rinascimento. D'An­nunzio aveva annunziato il ritorno di quest'epoca con i suoi romanzi e i suoi drammi appartenenti al ciclo del superuomo. È stato un breve e fortunoso ciclo che ha avuto per protagonista il demagogo romagnolo e che si è concluso nuovamente con le invasioni straniere, Prorompeva Machiavelli nella sua corrispondenza con il Vet­tori tutta intonata ai piaceri volgari del tempo.

Però se alcuna volta io rido o canto

facciol perché non ho se non quest'una via da sfogare il mio angoscioso pianto.

 

E anche con D'Annunzio la disfrenata sensualità della vita e dell'arte dà luogo assai spesso a un disperato amore della sua terra e a sentimenti di vera grandezza.

 

(1) Pasquale Villari: Savonarola, vol. l, pag. 287-289. - Cecil Roth: L'ultima repubblica fiorentina. Vallecehi, Editore, Firenze.

(2) Edgar Quinet : Le rivoluzioni d'Italia. Bari. Laterza, pag. 154.

domenica 18 ottobre 2020

Il nostro saluto ad Alberto

Mai e poi mai avremmo voluto che su questo blog vi fossero dei necrologi, per la tristezza dell'avvenimento in sé e per non trasformare questo strumento in un triste bollettino parrocchiale.



Tuttavia vi sono amici carissimi che hanno condiviso fede, energie e speranze che se ne vanno portandosi via un pezzo del nostro cuore.

La settimana scorsa è successo ancora.

E’ mancato purtroppo il dottor Alberto Foracchia, validissimo medico e quindi mio collega, già militante del robustissimo Fronte Monarchico Giovanile di Stresa, città nella quale esercitava la professione, tra i primissimi tifosi del sito dedicato a Re Umberto II per il quale si era prodigato nella ricerca di materiale, entusiasta sostenitore di ogni iniziativa, sempre presente alle cerimonie ad Hautecombe dove spesso siamo stati insieme unendo alla solennità della cerimonia il piacere della buona tavola e dello stare insieme.

Di Alberto sono in casa mia le orchidee che omaggiarono la nascita della mia prima bambina, Letizia, quasi sette anni fa e sono un ricordo quotidiano affettuosissimo.

Era persona di una generosità senza pari, animato da una fede cristiana praticata e vissuta con zelo quotidianamente. 

Non è retorica dire che lascia un vuoto. Non è retorica.

Anche nel suo nome continueremo la nostra testimonianza di monarchici.

Caro Alberto ci manchi e ci mancherai tanto.

 

Roberto dello staff


Il lungo Regno di Vittorio Emanuele III

Gli anni delle tempeste (1938-1946)”.

             

Nella splendida cornice del Santuario-Basilica di Vicoforte (CN) sabato 10 ottobre 2020 si è svolto il terzo Convegno di studi sul lungo Regno di Vittorio Emanuele III, organizzato dalla Associazione di studi storici Giovanni Giolitti (ASSGG), con il concorso del Gruppo Croce Bianca e dell'Associazione di Studi sul Saluzzese, con l'egida della Consulta dei Senatori del Regno e di concerto con il Comando Militare Esercito Piemonte (presente con il Comandante Colonnello Andrea Mulciri), l'Associazione Nazionale ex Allievi della Nunziatella, l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici,  il Centro Studi Piemontesi e il Premio Acqui Storia. 

    Aperti dal Presidente della ASSGG,  Alessandro Mella, i lavori (ospitati nel teatro della Casa Regina Montis Regalis) sono iniziati con la lettura dei bene auspicanti Messaggi di S.A.R. il Principe Amedeo di Savoia, Duca di Savoia e Capo della Real Casa, letto dal segretario della Consulta, Gianni Stefano Cuttica, e di S.A.R. la Principessa Maria Gabriella di Savoia, indirizzato al Presidente di sessione, Giuseppe Catenacci, Presidente della Associazione Nazionale ed Allievi della Nunziatella.

     Come da programma, che si allega, i lavori sono proseguiti la mattina con le relazioni dei professori Tito Lucrezio Rizzo (già Consigliere della Presidenza della Repubblica), Gian Paolo Ferraioli (Università della Campania “L. Vanvitelli”), Gianpaolo Romanato (Università di Padova), Luca G. Manenti (Università di  Trieste);  ed il pomeriggio con quelle del colonnello Carlo Cadorna, del prof. Aldo G. Ricci (già sovrintendente dell'Archivio Centrale dello Stato), del Generale Antonio Zerrillo, del filmografo  Giorgo Sangiorgi e  di Aldo A. Mola, Presidente della Consulta e coordinatore del Convegno.

    Il prof. Gianni Rabbia, Consultore, ed Alessandro Mella hanno presentato il volume “Il lungo regno di Vittorio Emanuele III – Parte I- Dall'età giolittiana al consenso per il regime, 1900-1937” (ed. Bastogi Libri, pp.440) che raccoglie gli Atti dei convegni precedenti.

     Infine il Vicepresidente del Gruppo Croce Bianca, Carlo Maria Braghero, ha rievocato il conte Alessandro Cremonte Pastorello di Cornour, mecenate e filantropo, Consultore dal 1990 e Vicepresidente anziano della Consulta dal 2003; la prof. Cristina Vernizzi ha ripercorso l'opera di Romano Ugolini, già Presidente dell'Istituto per la storia del Risorgimento italiano e Premio Acqui Storia alla carriera (2019).

     Nell'intervallo il Gruppo Croce Bianca e l'Associazione Italiani Monarchici, presieduta da Stefano Tarenghi, hanno recato corone di alloro alle Reali Tombe di Vittorio Emanuele III e della Regina Elena nella Cappella di San Bernardo del Santuario-Basilica, loro riservata dal vescovo di Mondovì, Mons. Luciano Pacomio, che accolse l'istanza di S.A.R. la Principessa Maria Gabriella di Savoia e del Presidente della Consulta (13 aprile 2013), come ricordato da Aldo A. Mola.

  Ai lavori ha assistito un pubblico folto e partecipe. Dalle relazioni, che saranno pubblicate all'inizio del 2021 (alcune vengono anticipate nel sito della ASSGG: giovannigiolitticavour.it) è emerso che, malgrado le “narrazioni”, anche negli anni più difficili, della tracotanza e dell'isolamento del sovrano, l'Italia non fu mai diarchia. Rimase monarchia. Il Re lo mostrò il 25 luglio 1943 quando, egli solo, decise la svolta che avviò dalle rovine alla ricostruzione. Vittorio Emanuele III – è stato sottolineato - il 9 maggio 1946 partì dall'Italia per l'estero cittadino di pieni diritti e così rientrò in Patria il 17 dicembre 2017, con gli onori di Capo di Stato.

 

Torre San Giacomo, 12 ottobre 2020

 

            Il Segretario                                                                Il Presidente           

      Gianni Stefano Cuttica                                                     Aldo A. Mola

                             


sabato 17 ottobre 2020

Pubblico numeroso per il convegno sul lungo regno di Vittorio Emanuele III

 

Nella splendida cornice del Santuario di Vicoforte (provincia di Cuneo) si è svolto il terzo convegno di studi su "Il lungo regno di Vittorio Emanuele III - Gli anni delle tempeste, 1938-1946”, organizzato dalla Associazione di studi storici Giovanni Giolitti (ASSGG), con il concorso del Gruppo Croce Bianca e dell'Associazione di Studi sul Saluzzese, con l'egida della Consulta dei Senatori del Regno e di concerto con il Comando Militare Esercito Piemonte (presente il suo Comandante, Colonnello Andrea Mulciri), l'Associazione Nazionale ex Allievi della Nunziatella, l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, il Centro Studi Piemontesi e il
Premio Acqui Storia.

Aperti dal presidente della ASSGG, cav. Alessandro Mella, i lavori (ospitati nel teatro della Casa Regina Montis Regalis) sono iniziati con la lettura dei beneauspicanti Messaggi di S.A.R. il Principe Amedeo di Savoia, Duca di Savoia e Capo della Real Casa, letto dal segretario della Consulta, Gianni Stefano Cuttica, e di S.A.R. la Principessa Maria Gabriella di Savoia, indirizzato al presidente di sessione, Giuseppe Catenacci, presidente della Associazione Nazionale ex Allievi della Nunziatella.

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https://www.cuneocronaca.it/vicoforte-pubblico-numeroso-per-il-convegno-sul-lungo-regno-di-vittorio-emanuele-iii