NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

mercoledì 31 maggio 2023

Venezia. La storia dell'editrice Vittoria de Buzzacarini: «Mio padre, l'aiutante del Re»

 


Suo padre, il marchese Brunoro de Buzzaccarini, discendente di un'aristocratica famiglia padovana, tenente colonnello di artiglieria, è stato l'ultimo aiutante di campo di Vittorio Emanuele III

di Vittorio Pierobon

Vittoria de' Buzzacarini

VENEZIA - Il re Vittorio Emanuele III lo ha incontrato una sola volta, quando era bambina. Invece la frequentazione con la regina Elena, in esilio in Francia, è durata a lungo. Ogni estate andava a trovarla a Cannes assieme al padre. La marchesa Vittoria de Buzzaccarini è un pezzo di storia vivente. Le circostanze della vita l'hanno portata ad essere testimone, o quantomeno depositaria, degli accadimenti, che hanno condotto alla fine della monarchia in Italia. Suo padre, il marchese Brunoro de Buzzaccarini, discendente di un'aristocratica famiglia padovana, tenente colonnello di artiglieria, è stato l'ultimo aiutante di campo di Vittorio Emanuele III. Lo ha seguito dal 15 agosto del 1942 fino all'abdicazione. Anzi, sull'atto di abdicazione, sotto alla firma del sovrano, c'è quella di de Buzzaccarini, uno dei testimoni che hanno avallato l'autenticità del documento. Ed era anche sul molo di Napoli quando il 9 maggio del 1946, il penultimo regnante di casa Savoia, si imbarcò sulla nave Duca degli Abruzzi per l'esilio volontario in Egitto.

[...]


Venezia. La storia dell'editrice Vittoria de Buzzacarini: «Mio padre, l'aiutante del Re» (ilgazzettino.it)

domenica 28 maggio 2023

mercoledì 24 maggio 2023

24 Maggio: la dichiarazione di guerra all'Austria Ungheria

 


Vienna, 23 maggio 1915

«Secondo le istruzioni ricevute da S. M. il Re suo augusto Sovrano, il sottoscritto ha l'onore di partecipare a S. E. il Ministro degli Esteri d'Austria-Ungheria la seguente dichiarazione:

«Già il 4 del mese di maggio vennero comunicati al Governo Imperiale e Reale i motivi per i quali l'Italia, fiduciosa del suo buon diritto, ha considerato decaduto il Trattato d'Alleanza con l'Austria-Ungheria, che fu violato dal Governo Imperiale e Reale, lo ha dichiarato per l'avvenire nullo e senza effetto ed ha ripreso la sua libertà d'azione. «Il Governo del Re, fermamente deciso di assicurare la difesa dei diritti e degl'interessi italiani, non trascurerà il suo dovere di prendere contro qualunque minaccia presente e futura quelle misure che vengano imposte dagli avvenimenti per realizzare le aspirazioni nazionali.

«S. M. il Re dichiara che l'Italia si considera in istato di guerra con l'Austria-Ungheria da domani.

«Il sottoscritto ha l'onore di comunicare nello stesso tempo a S. E. il ministro degli Esteri Austro-Ungarico che i passaporti vengono oggi consegnati all'ambasciatore imperiale e reale a Roma. Sarà grato se vorrà provvedere a fargli consegnare i suoi.

« DUCA D'AVARNA »

giovedì 18 maggio 2023

Monarchia o repubblica? - II parte

 Opuscolo del 1946, del quotidiano Italia Nuova.


IL RE E LA MARCIA SU ROMA

Nel 1922 il fascismo era diventato la maggior forza organizzata del paese. Esso era armato, e non era stata la Monarchia a fornirgli le armi. Né il suo spirito era monarchico; Mussolini aveva anzi apertamente affermato il carattere «tendenzialmente Repubblicano» del movimento fascista. Vi furono le azioni dimostrative di Fiume, di Bol­zano, di Udine, di Napoli; da per tutto il futuro duce par­lava di conquista dello Stato, da farsi con o senza la Monarchia; era un modo esplicito di minacciare la guerra ci­vile. Si ripeteva il fenomeno del 1915. Ora, l'altissimo com­pito morale della Monarchia era appunto quello di evitare ad ogni costo la guerra civile; essa non poteva avere nes­suna speciale simpatia per il fascismo, ma poteva sperare di assorbirlo nelle forme costituzionali. Quando, del Resto, venne iniziata la cosiddetta marcia su Roma, fu opinione generale dei benpensanti, compresi alcuni liberali di grande autorità, che non ci fosse altro rimedio se non la chiamata di Mussolini al governo. In questo senso telefonava ansioso il senatore Albertini da Milano: «Date a Mussolini l'in­carico di formare il governo, o rassegnatevi a veder an­dare tutto in malora!».

D'altronde, che cosa poteva fare la Corona di fronte ad un'azione di forza, che inoltre aveva con sé tanta parte dell'opinione pubblica? Esisteva un'altra forza da opporre alle squadre fasciste in cammino verso la capitale? Non si dimentichi che l'esercito e la, polizia, per tanti anni svillaneggiati dai sovversivi, simpatizzavano con Mussolini. Vi fu un tentativo di proclamare lo stato d'assedio; vi furono altri tentativi di combinazioni Mussolini-Giolitti o Salandra-Mussolini; ma tutti fallirono. Non Restava altra soluzione all'infuori di quella che venne adottata.

Oggi è facile criticare quella soluzione. Ma di fronte alla carenza degli istituti parlamentari non si poteva fare diversamente Per impedire l’andata del fascismo al potere, bisognava che il paese non fosse scivolato così in basso, che i partiti non avessero impedito il Regolare funzionamento degli organi di governo, che tutte le correnti sane si fos­sero raccolte attorno alla Corona come al miglior caposaldo della libertà. Invece la Monarchia, senza alcun motivo, era stata messa essa stessa in discussione; e nel modo più vil­lano. Nel 1919 e nel 1921, alla inaugurazione della nuova legislatura, l'estrema sinistra si era allontanata dall'aula quando entrava il sovrano; ed è interessante osservare che anche il gruppetto fascista aveva partecipato a quella scortese dimostrazione.

Nell'ottobre del 1922 il Re non poteva dunque risolvere la crisi se non col tentare di legalizzare un movimento che appariva, come ebbe a dire egli stesso, «così forte nel pae­se e così sorretto dall'opinione nazionale». Era vero. Effettivamente il paese desiderava un governo forte, e s'illuse di trovarlo nel governo fascista. Nessuno desiderava una Reazione violenta e sanguinaria, ma solo il ristabili­mento dell'ordine nella legge. Parve che col salire al po­tere del fascismo, questo scopo potesse essere raggiunto.

IL FASCISMO AL POTERE

Se fino dal primo giorno il fascismo si fosse affermato come un Regime autoritario, dispotico, personalistico; se avesse bruscamente soppresso le garanzie costituzionali, senza dubbio la Corona avrebbe avuto il dovere d'impe­dirlo, e si può pensare che avrebbe avuto la forza di farlo. Ma i fatti si svolsero diversamente. Dittatura, tirannide di partito, politica di avventure non facevano affatto parte della logica del fascismo e non erano contenute nel suo pro­gramma primitivo, che anzi molti giudicavano troppo de­mocratico. Mussolini non solo non si presentò come un pa­ladino dello Stato autoritario, ma anzi proclamò di voler ridurre al minimo le funzioni dello Stato. Quanto accadde dopo fu piuttosto una deformazione del primo programma fascista; fu un fenomeno degenerativo non facile a preve­dere, non facile a correggere, perché lento e insensibile. I primi atti di Mussolini diedero un'impressione di mode­razione. Il suo primo gabinetto fu misto, e se nittiani e socialisti non vi parteciparono, non mancò una tacita ade­sione di taluni di essi. Per un momento la crisi parve superata; si disse che ancora una volta, per saggezza del so­vrano, con una illegalità formale si era ristabilita la lega­lità sostanziale. L'esperimento del fascismo al potere fu vi­sto dalla maggior parte della nazione con benevolenza.

E non solo gli italiani. Anche fuori dei confini l'avvenimento non venne mal giudicato. La figura di Mussolini era popolare in Europa, anche nelle nazioni democratiche, dove non si era dimenticata l'azione interventista da lui svolta nel 1915. Scrittori e statisti illustri ne fecero più volte l'elogio. Il democratico Fisher non parlava del «ge­nio ardente» del duce? Sir Percival Philips non paragona­va Mussolini al «nuovo David» che sfidava il Golia bol­scevico? W. Churchill non ebbe a dichiarare che se fosse stato italiano sarebbe stato fascista? Austin Chamberlain non fu con Mussolini in amichevoli rapporti personali, e la sua signora non si compiacque di portare sul petto il di­stintivo fascista? Lord Rothermere non definì Mussolini «la più grande figura della nostra epoca»? Ward Price non lo presentò come il massimo paladino della libertà? Il Times non lo paragonò una volta a Cromwell?

Nessuno dunque poteva dire allora che il Re avesse fatto una cattiva scelta. Una sua presa di posizione ostile al fa­scismo sarebbe apparsa una nota stonata, un atto strano e ingiustificato, una mossa antipatriottica. Bisogna ricor­dare che il fascismo si presentava come il rivendicatore delle tesi nazionali, mortificate dal sovversivismo. D'altron­de esso mostrava di non essere prigioniero di alcuna pre­giudiziale; e nessun'ombra di reazione appariva nei suoi primi atti. Il governo fascista fu il primo a riprendere re­golari rapporti diplomatici con quello sovietico.

Vennero le ore oscure del delitto Matteotti. E’ questo il cavallo di battaglia dei critici della Monarchia. Il Re — dicono — avrebbe dovuto assicurare il libero corso della giustizia e sbarazzare l'Italia dal dittatore. Ma è più facile dirlo che dimostrarlo. Il Parlamento, in ambo i suoi rami, si comportò in modo inetto e dimostrò scarsa ener­gia, non offrendo alla Corona nessuno spunto per un intervento decisivo. Non è il caso di esaminare qui il conte­gno dei deputati che si ritirarono sull'Aventino; certo è che al Sovrano vennero meno le armi costituzionali di cui avrebbe potuto servirsi per un'azione energica. Egli non solo rimase a lungo in attesa di un gesto del Parlamento che gli permettesse di agire, ma si sa che lo sollecitò in­vano. Né, d'altronde vi fu alcun moto nel paese, che giustificasse provvedimenti d'eccezione, che avrebbero rasen­tato il colpo di Stato; nessuno si mosse. E allora è supre­mamente ingiusto prendersela con la Monarchia perché essa non ha, con un gesto magico, risolto una situazione che lasciava tutti incerti e perplessi.

LA LENTA SVALUTAZIONE DELLA MONARCHIA

Mussolini, portato sempre più verso un regime dittato­riale, con la complicità del partito e, bisogna dirlo, con la supina tolleranza del paese, tolse a poco a poco al sovrano tutti i suoi privilegi costituzionali. Lo sgretolamento della funzione monarchica e del regime costituzionale fu lento e condotto con grande abilità, per modo che non fu mai possibile alla Corona di opporsi recisamente. Il Re venne messo a poco a poco nell'ombra. D'altra parte non si può dimenticare che l'opera di Mussolini, all'interno come al­l'estero fu per lungo tempo fortunata, e ottenne un gene­rale consenso, sulla sincerità del quale è vano oggi sotti­lizzare. Il fascismo si inseriva sempre più profondamente negli organi dello Stato e nelle stesse forze armate; finché giunse a dominare completamente ambo i rami del Parla­mento; la Monarchia aveva perduto in tal modo gli stru­menti classici che ne dovevano assicurare il funzionamento nell'orbita delle libertà costituzionali. Essa era stata la prima a soffrire della privazione della libertà.

LA POLITICA ESTERA FASCISTA

Non era facile per nessuno, nemmeno per il sovrano, in­fluire sulle decisioni di Mussolini in fatto di politica estera; d’altronde il capo del fascismo per molti anni si portò, in questo campo, con abilità, e le sue escandescenze verbali non gli impedirono di mantenere, in pratica, un atteggiamento prudente. Quando egli promosse il Patto a quattro, quando mobilitando al Brennero salvò l'indipendenza dell'Austria, quando presiedette al convegno di Stresa, e fino al settembre 1938, allorché contribuì alla conclusione de­gli accordi di Monaco, egli fu considerato uno statista di grande levatura. Lo dicevano gli stranieri, e sarebbe stato inconcepibile che proprio il Re d'Italia avesse mostrato di dubitarne. Lo stesso conflitto italo etiopico, iniziato senza sufficiente preparazione diplomatica e che mise l'Italia con­tro la Società delle Nazioni, finì con un successo materiale e morale dell'Italia, e se fece diminuire i consensi esterni, rafforzò la coesione degli animi all'interno. Non si vide, allora, un purissimo liberale come V.E. Orlando offrire la propria adesione a Mussolini; e il maresciallo Caviglia, fiero antifascista, rallegrarsi pubblicamente col « duce » per l'ottenuta vittoria?

domenica 14 maggio 2023

Il giovane alpino del Re caduto per la Patria





di Emilio Del Bel Belluz

Il mese di maggio è dedicato alla venerazione della Madonna. Per un attimo, chiudendo gli occhi, penso al mio paese e a quello che ivi accadeva. Nel mese di maggio, assieme ad altri fedeli, raggiungevamo un capitello che era poco lontano da dove abitavo. Per arrivarci dovevamo attraversare i campi, e venivamo avvolti dal profumo della natura che si trovava nella massima esplosione della sua bellezza. All’interno del capitello era collocata una statua della Madonna che aveva una storia. Ci si trovava circa in una ventina di persone. Ognuna aveva il suo modo per  onorare la Vergine:  chi portava una rosa, e chi un fiore di campo. C’era anche chi vi metteva una foto di una persona cara che abbisognava di una grazia. Tra le donne che frequentavano quel luogo nel mese di maggio, ma non solo, vi era una un’anziana signora vestita sempre di nero; che conoscevamo poco e che non parlava mai. Quella vecchia signora  aveva il volto molto triste e si percepiva che dentro al cuore portava una grande sofferenza. La donna recitava il rosario ed era sempre l’ultima che se ne andava. In quel capitello la donna vi aveva collocato la foto di suo figlio caduto in guerra. Il figlio si era arruolato volontario nel Corpo degli Alpini. La foto che era stata posta, raffigurava l’alpino fiero nella sua divisa vicino ad una vecchia chiesa. La foto gliela aveva spedita dalla Russia. Il ragazzo era molto cattolico e, prima di partire, la mamma gli aveva donato un rosario benedetto dal vecchio parroco. Un sera decisi di farle compagnia, volevo farmi raccontare la storia del figlio. Aspettai che finisse di pregare, che faceva sempre in ginocchio. Dopo estraeva dalla sua borsa un contenitore in cui aveva riposto del cibo che consumava davanti al capitello. In quel luogo c’era una sorgente d’acqua limpida da cui attingeva per dissetarsi.  Mi accostai a lei, dicendole che avevo perso la corona del Rosario. La donna per la prima volta mi sorrise e mi chiese di sedermi accanto. Volle darmi un pezzetto di pane e una mela. Non me lo feci ripetere due volte e con appetito mi  misi a  mangiare. Nel frattempo, avevo instaurato una certa confidenza con la donna. La mamma del soldato caduto per la patria, mi raccontò che si soffermava in quel posto  per pregare per suo figlio. Sapeva che era morto, anche se non conosceva dove fosse stato seppellito e quel capitello glielo ricordava. Quando si  trovava nella sua casa si sentiva sola, tormentata, inquieta; invece, davanti al capitello ritrovava serenità e pace. Il dolore per la morte del figlio era stato devastante. Da una tasca estrasse una sua foto che era diversa da quella che era stata appoggiata nel capitello. Il giovane le sorrideva, e dietro la foto alcune parole: “ Mamma se non dovessi tornare, sappi che sono morto per la Patria,  che ho sempre amato. Il mio cuore rimarrà sempre nel tuo”. La donna si commosse, una lacrima le scese  lungo la guancia. Le diedi il mio fazzoletto e quel gesto lo apprezzò davvero molto. La accompagnai a casa, la sua abitazione non era molto distante dalla mia. Questa volta volle farmi entrare. Vi erano pochi mobili, il camino era molto grande,e sulle pareti erano appese le foto di famiglia. La donna mi fece sedere sulla vecchia poltrona, usurata dal tempo. Da un cassetto prese un vangelo, e me lo pose. Glielo aveva portato un alpino che dalla guerra era tornato sano e salvo. Era l’ultima cosa che possedeva di suo figlio, e me lo donò. Aveva capito che non le rimanevano molti anni da vivere e non aveva altri parenti a cui lasciarlo. Prima di andarmene, volle abbracciarmi. Fu una stretta calorosa, forse, pensava a suo figlio.  Quando giunsi a casa, raccontai tutto a mia mamma e le feci vedere il vangelo che era appartenuto a quell’alpino. Da quel giorno non la dimenticai mai ed ero anche tra coloro che l’accompagnarono al camposanto, con il vangelo tra le mani. La sera stessa del funerale mi recai al capitello e vi deposi un fiore e pensai che finalmente il giovane alpino avrebbe abbracciato sua madre.

Capitolo XXXX: La nascita di Felice


di Emilio del Bel Belluz


Nei giorni che seguirono la vita si svolgeva come sempre, non ci fu nessuna novità di rilievo. Andai a pescare con Ludovico e la pesca fu abbondante. La fortuna ci aveva assistito perché avevamo preso un luccio davvero grande, pesava 10 chili, e lo catturammo dopo una lotta serrata. Quando lo issammo nella barca  potemmo capire che la pesca era stata davvero fortunata, anche se due reti si erano rotte e così le ore del pomeriggio erano state programmate per la loro riparazione.  Nella tarda mattinata iniziò a piovere e pertanto decidemmo di rientrare a casa. Quando fummo arrivati, vedemmo  Genoveffa in stato d’agitazione. La povera donna mi disse che Elena era entrata in travaglio e con lei c’era questa volta la levatrice. Il medico sarebbe intervenuto se ci fossero state delle complicazioni. Dalla stanza dove si trovava Elena sentivo provenire dei lamenti che non riuscivo a sopportare e, pertanto, decisi di andare con Ludovico a vendere il pesce alla trattoria del paese. L’oste poi, si mise a sedere con noi chiedendoci del frate che era morto. Quella storia lo aveva incuriosito e volle  chiedermi altri particolari a riguardo. Quel frate mi aveva commosso ed ero convinto che la sua  vita non fosse stata facile ma che aveva dentro di sé quella fede che lo sosteneva.  
Aveva dedicato gran parte della sua vita a restaurare i capitelli e a porsi a servizio dei più bisognosi. La vita delle persone buone è paragonabile alla pioggia che cade sulla terra e la fa diventare  più fertile; ogni attimo vissuto con amore é il seme che viene piantato e che poi darà frutto. Gli uomini non hanno mai smesso di fare del male, ma il buon Dio manda sulla terra degli angeli capaci di fare del bene. Fra Felice era stato uno di questi. Avevo avuto l’impressione che avesse chiesto a Dio il permesso di morire, e il buon Dio lo ha chiamato a sé. L’oste mi chiese se avevo una foto del frate e se addosso gli avessi trovato dei documenti. 
Allora trassi dalla mia tasca una foto che avevo recuperato nella sua sacca militare. Lo si vedeva in compagnia di un suo fratello davanti a un capitello. I nomi: Fra Felice  e Fra Leopoldo erano riportati in fondo alla foto. Il secondo proveniva  dal Montenegro, il Paese dove era nata anche la Regina d’Italia, Elena, moglie di Re Vittorio Emanuele III. Fra Felice aveva conosciuto al convento di Bassano il frate degli umili e degli ultimi :Fra Leopoldo. 
L’oste volle a tutti costi, dopo averci pagato il pesce, offrici il piatto tipico della giornata. Aveva pure saputo da una vicina che mia moglie stava aspettando una creatura, e aveva visto che ero molto emozionato: si trattava del quarto figlio. Gli dissi che non avevo voluto stare a casa perché non potevo sopportare i lamenti di Elena che, invece, ero riuscito a tollerare le volte precedenti. L’oste ci versò dell’ulteriore vino che ci fece diventare più loquaci. Nell’osteria stavano giocando a carte dei vecchi. Uno di essi, sentendo che stavo per diventare padre per la quarta volta, mi disse che lui aveva ben nove figli, e che se fosse stato per lui ne avrebbe voluti degli altri. Ci raccontò che durante la Grande Guerra aveva avuto l’esperienza d’essere ferito e che fu soccorso da un suo camerata. Questi lo aveva aiutato a mettersi in salvo, e di questo gli era grato. Era, inoltre, molto riconoscente ad un frate che nei momenti del dolore  lo invitava a pregare e ad avere fede nel Signore e confidare nell’aiuto della Madonna. Il frate era talmente buono che spesso gli portava qualcosa da mangiare, specialmente, ricordava molto bene di aver ricevuto un pezzetto di cioccolato che non aveva mai assaggiato nella sua vita. Quei piccoli gesti lo avevano fatto guarire sia dalle cicatrici del corpo sia da quelle dell’anima. Anche lui era rimasto sconvolto della tragica fine del frate. L’uomo fece segno a Vittorio di stare tranquillo, anche il parto di sua moglie sarebbe andato molto bene. Quelli che fanno del bene agli altri, prima o poi, saranno ricompensati.  L’uomo che aveva una barba bianca riprese a giocare a carte con i suoi amici. Si era ormai fatto tardi ed era ora di tornare a casa. L’oste ci strinse la mano come non aveva mai fatto e ci volle donare un vasetto di miele d’acacia di sua produzione che avrebbe fatto del bene ad Elena.   Nella strada di ritorno ci fermammo davanti alla chiesa, dove c’era una statua della Madonna, per recitare qualche preghiera. Di lì a poco, arrivò il sacerdote, uscito dalla canonica all’abbaiare del suo cane. Chiese se Elena avesse partorito..Quella mattina era stata Genoveffa che gli aveva chiesto di pregare per la nuova creatura che doveva nascere. Il prete osservò il volto di Vittorio e senza che lui parlasse gli disse di andare a casa. Il sacerdote sentiva che l’evento era vicino. Vittorio e Ludovico non persero dell’altro tempo e si avviarono verso casa. Alla porta c’era Genoveffa che disse  che era nato uno splendido maschietto, e che sarebbe diventato un tenore, da quanto aveva strillato nel momento di nascere. Vittorio entrò nella  camera di Elena e la vide che aveva il bambino tra le braccia avvolto in un asciugamano. 
Elena era commossa, la stanza era stata abbelita da Genoveffa con un bellissimo mazzo di fiori di campo. M’avvicinai a Elena e la baciai, presi in braccio il nascituro e fui travolto da un’immensa gioia. Elena propose di chiamarlo Felice, come il frate che avevamo conosciuto.  La famiglia si allargava, una nuova creatura era venuta a farne parte. Chiesi al buon Dio che la proteggesse, e che  diventasse una persona buona e sensibile. Il Livenza ora aveva una storia in più da raccontare. 
Qualche giorno dopo il buon Felice veniva battezzato nella chiesa di Villanova. Mamma Elena voleva dividere la gioia di quel giorno con più gente possibile, ma non avevamo molte disponibilità economiche. La festa del battesimo era la più bella, nostro figlio entrava nel nostro cuore e di quello della comunità di cui facevamo parte. 
Per questo decidemmo che si sarebbe organizzato un banchetto, aperto a tutte le persone del paese. Il pranzo sarebbe stato a base di pesce accompagnato da della polenta e da un buon vino. Il pesce lo avremmo pescato io e Ludovico, per quanto riguardava la polenta avremmo chiesto ad un mugnaio della farina, possibilmente, ad un prezzo modico. Il padrone del mulino  era un buon uomo di settant’ anni, senza figli, amico del parroco. L’uomo ci assicurò che anche due donne, sue conoscenti, ci avrebbero aiutato per fare la polenta. Il mugnaio ci avrebbe dato pure una capiente pentola che aveva comprato dopo la guerra da un militare e con la quale si poteva preparare la polenta per cento persone.  Tutti questi preparativi furono possibili grazie  alla buona volontà di molte persone che  ci aiutarono. Il pesce che avevamo preso nei due giorni che precedevano la festa era abbondante  e lo avevamo lasciato dentro una grande rete immersa nel fiume. Almeno cento persone vennero al banchetto, allestito con dei tavoli davanti alla casa. Le donne del paese aiutarono Genoveffa a preparare. 
L’oste del paese volle donarci una damigiana di vino.  La festa ebbe inizio. La presenza di Felice si faceva sentire con dei pianti prevedibili. A quella festa il parroco volle essere della compagnia, e raccontò la parabola dei due pani e dei cinque pesci. 
Qualcuno del paese disse che la pesca era stata così abbondante che di sicuro c’era lo zampino di Fra Felice che dal cielo aveva guidato la buona pesca. Quel giorno il frate  venne ricordato con le parole del parroco, che commossero molta gente. Alla festa qualcuno suonò la fisarmonica e molti ballarono fino a notte inoltrata. Era  il 1° luglio del 1939. La vita di  Vittorio, di Elena e dei loro quattro figli era intrecciata a quella del fiume e a coloro che lo amavano…

venerdì 12 maggio 2023

Forse se ne accorgono

La Monarchia rende la Repubblica no

di Carlo Alberto Tregua




Lo scorso 6 maggio Carlo III, ormai settantaquattrenne, è stato ufficialmente incoronato come Re del Regno Unito con una festa grandiosa che ha coinvolto la popolazione londinese.

La monarchia britannica è antica e ha visto passare diverse Casate di origine tedesca, fra cui l’ultima regnante che è quella dei Windsor. È stata una monarchia vastissima perché – seppure formalmente – è rimasta al vertice del Commonwealth, che comprende cinquantasei Paesi di tutto il mondo.

L’Australia, ultimamente, ha deliberato di non indicare come capo del Paese il Re del Regno Unito.

A parte ciò, vi è stato qualcuno che si è divertito a quantificare i “costi e ricavi della Monarchia”. Pare che essa costi a ciascun/a cittadino/a 2,4 sterline per anno, mentre, per l’attenzione che attira in tutto il mondo, genera un indotto di Pil pari a 1,7 miliardi perché costituisce una forte attrattiva per turisti e stranieri. Da aggiungere il costo delle due Camere.

La nostra Repubblica, votata con il referendum del 1946, prevede l’elezione indiretta del suo Presidente da parte dell’intero Parlamento in seduta congiunta attraverso un meccanismo di votazioni, partendo da quelle qualificate arrivando a quelle semplici.Quanto costa per cittadino/a l’istituzione della Repubblica? Sembra che nessuno abbia fatto questo conto, ma noi possiamo fare una stima grossolana come segue. Il Senato ha un bilancio 2023 di 600 milioni; la Camera ha un bilancio di quasi un miliardo; la Presidenza della Repubblica ha un bilancio di circa 200 milioni; con un totale di quasi due miliardi.Dividendo tale importo per cinquantanove milioni di cittadini/e, risulta che ognuno di essi/e ha un costo delle tre Istituzioni pari a circa 30 euro. Tali istituzioni non creano indotto di Pil.

[...]


La Monarchia rende la Repubblica no - QdS

mercoledì 10 maggio 2023

Monarchia o repubblica?

Opuscolo del 1946

 

MONARCHIA O REPUBBLICA?

 

Non è il caso di porre la questione nei suoi termini dottrinari. Se si dovesse risolvere il problema, tutto teorico, della maggiore o minor bontà dei due sistemi, vi sarebbero molti buoni argomenti in favore della soluzione monarchica; ma per l'Italia non si tratta di fare del nuovo ad ogni costo. L'Italia non è una nazione nata ieri, alla quale occorra dare una costituzione creata di sana pianta. L'Italia è monarchica fino dal primo giorno della sua formazione a Stato unitario. Occorre dunque dimostrare la necessità di disfare ciò che i nostri padri hanno fatto, di distruggere l'edificio istituzionale da essi innalzato, di imporre al paese nuove e pericolose esperienze; Chi auspica l'avvento della repubblica deve portare le prove convincenti di questa necessità. Deve mettere la monarchia di fronte alle circostanze, in cui essa ha demeritato del paese; deve dirci come e perché una repubblica sarebbe in grado di correggere gli errori commessi e di garantirci contro una ricaduta. Deve spiegarci perché e come un'Italia in berretto frigio troverebbe maggior credito all'estero, più denaro per le sue industrie, più rispetto per le proprie leggi, più pane per i propri figli.

 

UN PROCESSO ARTIFICIOSO

 

Coloro che fanno il processo alla monarchia partono dal concetto ch'essa sia stata «complice» del regime fascista, che ha portato l'Italia a quello stato di rovina che oggi dolorosamente sopportiamo. Si vuole dunque fare contro la monarchia una vera «questione morale». Le questioni morali sono, di solito, abbastanza comode per chi accusa, difficili per chi viene accusato, perché l'opinione pubblica è purtroppo sempre proclive a credere alle calunnie. E di calunnia in questo caso veramente si tratta. Chi ripete come un assioma, che la monarchia deve essere punita perché correa della disgraziata avventura fascista, dimostra di essere in cattiva fede, o malissimo informato, o inca­pace di vedere un po' sotto la superficie degli avvenimenti e di comprenderne le ragioni profonde.

 

La monarchia non ha inventato il fascismo: tra monarchia costituzionale e regime totalitario v'è contraddizione assoluta. La monarchia non aveva alcun interesse a suscitare un movimento estraneo alla costituzione e che tea deva a cambiare sostanzialmente quello statu qua politico dì cui la monarchia stessa era il fulcro. Essa ha «subito» il fascismo; non l'ha desiderato e neppure accolto con gioia; essa ne ha ricevuto danni morali e sopraffazioni d'ogni ge­nere. Accusarla di «complicità» col fascismo è altrettanto ridicolo come accusare il derubato di complicità con chi l'ha svaligiato.


La Monarchia ha accolto il fascismo senza entusiasmo; l'ha accolto perché esso appariva un movimento di vaste masse popolari, aveva un'etichetta patriottica e pareva il portato inevitabile del clima creatosi nel paese dopo la guerra. Di fronte ad esso, era la decadenza del regime parlamentare con tutti i suoi organi: decadenza di cui la monarchia non aveva evidentemente colpa alcuna ed alla quale non poteva certo, da sola, mettere rimedio.

 

PAESE E PARLAMENTO

 

Il fascismo fu il portato, estremo del dissidio esistente fra il paese e il Parlamento. Non bisogna dimenticare che questo dissidio esisteva fino dal 1915, quando trionfò la campagna interventista, condotta fuori e contro il Parla­mento neutralista. Quella campagna fu condotta con pu­rezza di cuore da molti giovani generosi; ma accanto ad essi e sopra di essi stavano e si agitavano personaggi irre­quieti e ambiziosi i quali vollero forzare ad ogni costo la mano agli organi competenti, come d'Annunzio e Musso­lini. La causa dell'intervento era moralmente e storicamente sacrosanta; ma il modo in cui s'impose fu irregolare. La guerra venne chiesta a gran voce dalla piazza; si minacciò la rivoluzione se il governo non si fosse deciso a interve­nire nel conflitto europeo; minoranze audaci prevalsero sul­l'opinione della maggioranza del Parlamento e su quella dei partiti organizzati. Il re non poté fare altro che con­sentire a quel movimento (che del resto corrispondeva ai suoi sentimenti più intimi) e poiché la sua decisione con­dusse alla vittoria, il sovrano fu poi esaltato per la sua saggezza e glorificato come re-soldato.

 

Egli aveva in realtà creduto d'interpretare il volere della parte migliore dell'opinione pubblica, che premeva per l'in­tervento. Ma per far questo aveva anche dovuto passar sopra la regolare procedura parlamentare. Il Parlamento stesso in un secondo tempo sanò tale irregolarità votando a grande maggioranza in favore della guerra all'Austria. Orbene, nel 1922 non si riprodusse forse, nelle grandi linee, lo stesso fenomeno? Non si aveva anche allora un Parla­mento deficitario, e un'opinione pubblica che dal trionfo del fascismo si aspettava la rinascita della nazione, la ri­presa della vita economica, il ristabilimento dell'ordine pubblico? Lo stesso sovrano, per aver preso decisioni si­mili, viene oggi vituperato, semplicemente perché la se­conda deliberazione ha avuto — dopo ventidue anni — un epilogo sfortunato. E ciò è molto ingiusto.

 

GENESI DEL FASCISMO

 

Dopo la prima guerra mondiale, tutti i paesi europei furono in crisi; più gravemente, com'era naturale, i paesi vinti. L'Italia, benché vittoriosa, usciva dalla guerra mal­contenta e divisa. Non bisogna dimenticare che il dissidio fra neutralisti e interventisti era rimasto latente, ma pre­sente, durante tutti quegli anni. Dopo la guerra i partiti sovversivi, ripreso coraggio, pretesero che la classe diri­gente italiana «espiasse» la colpa commessa conducendo il paese alla guerra! Si vide allora il fenomeno strano e intollerabile d'un popolo vittorioso che sembrava pentito d'aver affrontato e superato una prova così gloriosa; che insultava la bandiera, offendeva i reduci dalle trincee, de­rideva i mutilati e i decorati. Intanto la decadenza dei vecchi istituti parlamentari diventava sempre più grave.

 

Essi non riuscivano a riacquistare il prestigio perduto nella crisi dell'intervento, quando tutto era stato deciso senza di essi.

 

Dall'altra parte le correnti nazionaliste, deluse per il mediocre trattamento fatto all'Italia dai tratta ti di pace e portate ad attribuire quell'insuccesso diplomatico alla debolezza del governo, andavano in cerca d'un assetto politico del paese più adatto, secondo loro, a difendere la di­gnità e gli interessi della patria. Le correnti sovversive at­taccavano aspramente e in piena malafede la monarchia come preteso esponente delle forze conservatrici. In tal modo la monarchia costituzionale, che aveva fatto l’Italia, si vide assalita da due parti. Gli uni volevano la dittatura del proletariato; gli altri fantasticavano la ditta­tura militare. Nessuno pensava a valersi invece della mo­narchia costituzionale come dello strumento più sicuro per ridare all'Italia la sicurezza all'interno e il prestigio al­l'estero, come sarebbe stato più semplice e doveroso.

 

Venne l'episodio di Fiume, che mise il disordine tra le stesse forze armate. La massa degli ufficiali di complemen­to, sapendo di non poter trovare tanto presto un'occupa­zione nel paese pacificato, tendeva a prolungare uno stato di guerra o simile alla guerra, da cui traeva facili soddi­sfazioni. La disciplina nell'esercito, s'era indebolita; v'era entrato il politicantismo. D'altra parte grande era il ri­sentimento degli ex-combattenti contro i partiti d'estrema sinistra, che rinnegando la guerra e la vittoria svalutavano il loro sacrificio, Il contegno incerto delle autorità appari­va agli uni troppo debole, agli altri troppo tirannico. Ve­niva a molti il desiderio istintivo di farsi giustizia da sé.

 

In questo clima confuso di malcontento e di perplessità generale sorse il movimento fascista.

 

ORIGINI RIVOLUZIONARIE DEL FASCISMO

 

Quel movimento non proveniva dalle sfere conservatrici, ma — è bene ripeterlo — da quelle rivoluzionarie; vi par­teciparono largamente socialisti (a cominciare dal suo ca­po), repubblicani, massoni, anarchici, sindacalisti. L'illu­stre storico Pietro Silva, in un suo recente studio (Io difendo la monarchia, Roma 1946) cita alcuni passi di ben noti scrittori antifascisti dai quali risulta come non si possa assolutamente vedere nel fascismo — alle sue origini —un moto di reazione. Nelle pagine di I. Bonomi e di F. S. Nitti, irriducibili avversari del fascismo, questo fenomeno viene equamente analizzato. Il fascismo sorse e si affermò per complesse ragioni; in esso confluirono le più diverse correnti del malcontento. Si fusero in quello strano movi­mento un patriottismo esasperato, un'ostilità istintiva ver­so il pericolo bolscevico, un residuo di bellicosità dei gio­vanissimi che non avevano fatto in tempo a combattere sui campi di battaglia, un ribollimento di spirito d'avventura e antiborghese, un desiderio di novità tenuto desto dalla crisi economica e morale dilaganti. Solo in un secondo tem­po il fascismo fu aiutato dai grossi capitalisti, specialmente agrari; ma rimase sempre un malfido alleato del capitale; fu sempre, anche quando divenne regime, demagogico e, in sostanza, rivoluzionario come era cominciato.

 

Nella nascita e nello sviluppo del movimento, è chiaro che la monarchia non ha nessuna responsabilità. Di fronte al disordine che la lotta politica, oramai portata sulle piazze, aveva creato nel paese, che cosa poteva fare il sovrano?

Tentare di riportare le forme costituzionali alla loro genuina funzione; ricorrere ai partiti di massa affinché assumessero il potere, e col potere il compito di ristabilire l'ordine. t ciò che fece la Corona, coi suoi replicati appelli ai socialisti. Ma questi non vollero andare al governo. Ritennero più comodo restare all'opposizione, benché questa apparisse sempre più sterile. Essi sapevano bensì organizzare scioperi, nelle officine, nei campi, nei pubblici servizi; erano forti nella polemica, abili nella propaganda; ma tutta questa loro azione restava fine a se stessa. Essi non volevano governare, ma impedire che altri governasse. Vi fu l'occupazione delle fabbriche; un colpo mancato, ma che turbò gravemente l'economia nazionale e fece sentire a tutti il bisogno d'uscire dal disordine cronico che affliggeva l'Italia.

Poiché le autorità dello Stato apparivano impotenti, sorgeva istintiva la tentazione di cercare un rimedio fuori di esse. Si concepì allora, contro la rivoluzione socialista, la necessità d'una rivoluzione fascista. Ambedue erano antiborghesi e antimonarchiche; ma l’una non osò passare ai fatti; l'altra osò farlo.


martedì 9 maggio 2023

Appuntamento a Roma

 





Aggiornato il sito dedicato a Re Umberto II

Nella ricorrenza della ascesa al trono, salutata da tripudio spontaneo del popolo di Roma,  pubblichiamo la seconda parte dell'intervista concessa a Paese sera, noto quotidiano romano di sinistra, nel 1952.



Ricordiamo che anche questa intervista è nelle nostre disponibilità grazie alla generosità del nostro Ingegnere Domenico Giglio che l'ha conservata per 60 anni.

Viva il Re!


domenica 7 maggio 2023

Capitolo XXXIX: La storia di Fra Felice

 



di Emilio del Bel Belluz

L’uomo che aveva cercato la morte venne soccorso da tutta la mia famiglia; Elena e Genoveffa quella sera fecero di tutto per metterlo a proprio agio. Gli furono consegnati degli indumenti asciutti e puliti, anche se usati. Ci ringraziò di cuore per il nostro interessamento nei suoi confronti e lasciò trasparire una parvenza di voglia di ricominciare a vivere. Mangiò con molto appetito e la stanchezza lo assalì subito. Si mise a dormire su un materasso vicino al fuoco. L’indomani ci saremmo fatti raccontare qualcosa di più sulla sua triste vicenda umana. Nel frattempo arrivò Ludovico che aveva avvertito il padre che sarebbe venuto a prenderlo il giorno dopo. Ludovico non si fermò molto con noi perché aveva deciso di passare dalla sua amata. Mentre lo accompagnavo alla porta, mi disse che era stata una grande emozione ritrovare una persona che si pensava morta. Raccontai a Ludovico che mi aveva molto colpito la figura del frate e che mi sarebbe piaciuto stare ad ascoltarlo. Sicuramente Fra Felice, quello era il suo nome, era una persona saggia e ricca di spiritualità. Ludovico aveva la mia stessa opinione. Ci lasciammo mentre si sentivano i dieci rintocchi del campanile del paese. Quella notte faticai a prendere sonno; rimuginavo su quello che era accaduto durante la giornata e alla disperazione di un padre che ormai pensava d’aver perduto il proprio figlio. Elena si era accorta che non stavo dormendo e mi chiese a che cosa stessi pensando. Le risposi solamente che stavo cercando di addormentarmi e che la meta del sonno era vicina. Mi aiutava molto a cadere nelle braccia di Morfeo, l’immaginare lo scorrere placido delle acque del fiume e le lunghe ombre che si proiettavano su di esse dalla folta vegetazione che costeggiava le sue rive. Quando da piccolo non riuscivo a dormire, mia mamma mi diceva di pregare l’Angelo del sonno che mi avrebbe aiutato. Costui era diventato il mio migliore amico e lo invocavo in ogni mia necessità. Quella notte ringraziai anche il Buon Dio per tutto quello che ogni giorno mi offriva e finalmente mi addormentai. Alle prime luci dell’alba mi alzai e andai in cucina dove l’uomo, che aveva tentato di annegare, era già desto. La sera prima non gli avevo neppure chiesto che nome avesse, e mi disse che si chiamava Franco. Quella mattina non andai a pesca, mi soffermai a parlare con lui che mi disse che provava molta vergogna per l’insensato gesto e per la grande preoccupazione data alla sua famiglia. Quando giunse Genoveffa, si apprestò a preparare la colazione. Franco aveva un viso stanco, si mise a parlare con molta timidezza, e si era reso conto che sarebbe stata una pazzia togliersi la vita. Il frate che lo aveva salvato gli aveva parlato di tutte le cose belle che la vita poteva riservargli e, soprattutto, che l’esistenza era un dono di Dio e, pertanto, non ci apparteneva. Fra Felice sembrava essere stato messo proprio sulla sua strada per evitare una tragedia. Mentre parlavamo in cucina davanti alla fumante tazza di latte, e accompagnati da un dolce che aveva preparato Genoveffa, arrivò il padre di Franco che quando vide il figlio sano e salvo, lo abbracciò e non disse nulla. Franco invece chiedeva scusa al genitore per quello che aveva patito in quelle ore d’angoscia, ma ora era tutto finito. Il padre accettò una buona tazza di caffè e un pezzetto di dolce. Le sue parole di gratitudine verso di noi sembravano non avere fine . Ludovico si offerse di trascorrere del tempo con Franco che , ovviamente, poteva contare anche sul nostro aiuto. Avrebbe potuto venire a trovarci finché le cose che lo turbavano non fossero passate. Franco timidamente ringraziò commosso. Mentre eravamo a tavola arrivò Elena con il suo pancione che quella mattina sembrava ancora più grande. La sua presenza diede alla conversazione la bellezza che in quel momento mancava. Il padre del giovane mi chiese di parlare un attimo da soli, e uscimmo da casa. Da una tasca prese del denaro e me lo porse a ricompensa per quello che avevo fatto. Gli dissi che non volevo nulla, se avevo fatto qualcosa di buono il premio me lo avrebbe dato il Buon Dio. L’uomo non ne volle sapere e mi mise in una tasca il denaro dicendomi che stavo per diventare padre per la quarta volta e qualche soldo in più mi avrebbe fatto comodo. Accettai la somma di denaro che non era poca, dicendogli che l’avrei divisa con quel frate che aveva aiutato suo figlio. Avevo deciso di raggiungere al più presto Fra Felice. La barca scivolava tranquilla sul fiume, la giornata era calda, e una leggera brezza ci scompigliava i capelli. Ludovico era come al solito di buon umore, l’amore ricambiato per Serena aveva dato una nuova impronta alla sua vita. Per raggiungere il posto dove si era fermato Fra Felice non impiegammo molto tempo. La campana della chiesa suonava otto rintocchi. Spesso pensavo alla chiesa che osservava lo scorrere del fiume, sempre diverso, con le sue acque cangianti: come sono diversi i caratteri delle persone. Quella mattina mi sentivo felice e non vedevo l’ora di dividere il denaro con Fra felice che sicuramente ne avrebbe fatto buon uso. Quando arrivammo, vidi il fuoco che ardeva ancora e il fumo che si stagliava verso il cielo. Ma non riuscivo a capire come il frate non si fosse ancora risvegliato. Era ricoperto da una vecchia giacca, mi avvicinai e lo chiamai a voce alta, scrollandogli le spalle ossute. Mi rispose con un lamento. La sua barba bianca era sporca di sangue, e cercai di parlargli, ma come risposta ebbi delle parole appena abbozzate. Allora raccolsi le sue povere cose che teneva in uno zaino militare, lo caricai sulla barca deciso di portarlo a casa mia per farlo vedere da un medico. Il frate aveva gli occhi chiusi e cercava di dire qualcosa che veniva coperto dal rumore dei remi. Ludovico mi disse che il frate doveva essersi ammalato dopo aver salvato l’uomo dal fiume, in seguito ad un grave raffreddamento del corpo. Raggiungemmo la mia casa e con l’aiuto di un passante che ci aveva visti arrivare, lo portammo dentro. Ludovico uscì in fretta per andare ad avvertire il medico ed il parroco. In casa lo adagiammo nella stanza più grande, il sangue fuoriusciva con i colpi di tosse e la sua fronte scottava come non mai. Genoveffa gli si avvicinò. Era l’unica che ne capiva qualcosa, avendo curato dei feriti tornati dal fronte. Il volto di Fra Felice era pallido come un cencio, temevo che morisse ancora prima che giungessero il prete e il dottore. Ma subito ,apparvero entrambi. Il dottore dove averlo visitato, scuoteva di nascosto la testa, per lui non c’era più nulla da fare. Il parroco gli aveva dato l’estrema unzione, e gli aveva messo tra la mani un rosario dai grani color nero che aveva tolto da una scatolina. Il frate era semicosciente, ma a noi apparve che capisse che vicino a lui ci fosse un ministro di Dio. Dopo la benedizione la cute del suo volto si distese. Allora gli presi la mano che era quasi fredda. Il sonno della morte si stava avvicinando, quel momento che il poveretto aveva atteso per tutta la vita. Qualche minuto dopo, aprì gli occhi e fissò per un attimo il crocefisso che aveva davanti, mi strinse la mano e spirò. Il dottore chiuse gli occhi al frate e certificò la sua morte. Il sacerdote disse che lo avrebbe sepolto nel piccolo cimitero di Villanova di Motta. Decidemmo che si facesse un funerale semplice, come in modo umile aveva vissuto. Con il denaro, che avevo ricevuto il giorno prima dal padre di Franco, avrei pagato le spese per la sepoltura e per la croce issata sulla tomba. Questa mia decisione fu pienamente accettata da tutti, quel frate era entrato nella nostra famiglia e avrebbe avuto lo stesso trattamento che si riservava a una persona cara. Mandai il sacrestano dai frati di Motta di Livenza affinché mi potessero dare un saio , perché quello che aveva addosso Fra Felice era tutto liso e rattoppato. Il funerale vennero celebrato a Villanova da due frati giunti dalla basilica dei Miracoli di Motta e molta gente vi partecipò. Nessuno di loro conosceva questo umile francescano, che evidentemente, era in pellegrinaggio per raggiungere il Santuario. Quando lo condussero al cimitero, il sole comparve tra le nuvole come se volesse salutarlo nel suo ultimo viaggio. Venne sepolto vicino al parroco del paese che era morto tanti anni prima: Don Carlo, un sant’uomo. Di ritorno dal funerale, presi in mano il suo zaino militare, logoro dall’uso e che conteneva pochi effetti personali: una povera croce in legno, un quadernetto nero, chiuso con uno spago sfilacciato e una scodella e delle posate in alluminio. Chiesi a Genoveffa, che sapeva decifrare anche le calligrafie difficili, avendo lavorato in una scuola, d’iniziare a leggere delle pagine del piccolo quaderno. Aveva scritto che negli ultimi giorni s’era fermato per riparare il tetto e fortificare le pareti di un capitello. Quella era la sua missione: ripristinare le edicole votive. Scriveva, inoltre, che dormiva rannicchiato in una coperta e per mangiare aveva bisogno della carità del prossimo, anche se, talvolta, riusciva a pescare dei pesci in qualche fiume, servendosi di una lenza attaccata allo spago. Raccontava che era un frate del convento di Bassano del Grappa. Fra Felice non aveva in vita alcun parente e aveva sempre vissuto in povertà. Alla fine della lettura del piccolo diario mi commossi. Quel quaderno l’avrei tenuto in suo ricordo. Sentivo verso il frate dell’affetto e della stima, lo consideravo come un fratello che avrei voluto conoscere meglio e che mi fece capire che la più grande dote che ti faceva avvicinare a Dio era l’umiltà. Genoveffa dovette lasciarmi per andare da Elena, il parto si stava avvicinando. La piccola croce in legno la appesi in cucina, a protezione di tutti coloro che vi abitavano.

sabato 6 maggio 2023

martedì 2 maggio 2023

UMBERTO II UN RE CANCELLATO DALLA STORIA ITALIANA

 

A cosa serve oggi occuparsi di Monarchia e in particolare di un Re in carica solo per un mese, peraltro costretto ad abbandonare il proprio Paese perché gli italiani lo hanno bocciato in un Referendum piuttosto discusso. A questo interrogativo ha cercato di rispondere l’altra sera a Palermo il professore Tommaso Romano in una conversazione tra amici (lui stesso non l’ha chiamata pr
esentazione del suo libro) presso la “Sala del Novecento” dell’Hotel Joli in via Michele Amari.

Il testo discusso è “Umberto II e il Referendum del 1946 nella Sicilia che votò Monarchia” , (Fondazione Thule Cultura) Per la verità per essere una conversazione tra amici, dal filmato su Fb, in sala c’erano oltre 80 persone, si può vedere e ascoltare su Fb. Comunque sia il professore stimolato da Nino Sala e da Alfonso Lo Cascio, in premessa ha ribadito che non si stava parlando di un argomento anacronistico, lontano dalla realtà e soprattutto non è un testo revanscista. Discutere di un Re e dell’istituzione monarchica è attualissimo. Se ci fate caso, ha evidenziato Romano, nel mondo ancora oggi l’istituzione monarchica magari come simbolo è presente in molti Paesi, vedi il Regno Unito, tutti ricordano il clamore per la morte della regina Elisabetta II e poi in Giappone, Spagna, Olanda, Belgio, gli Emirati Arabi, la Thailandia, il Dalai Lama del Tibet, e perché no il Vaticano, con il Papa, sovrano assoluto.

[...]

UMBERTO II UN RE CANCELLATO DALLA STORIA ITALIANA - imgpress

lunedì 1 maggio 2023

115 anni fa, oggi, nasceva Giovannino Guareschi


Oggi, 115 anni fa, nasceva da una maestra monarchica e da un imprenditore socialista Giovannino Guareschi. Lina Maghenzani lo mise al mondo nella casa di Fontanelle di Roccabianca, in provincia di Parma, mentre suo marito, Primo Augusto Guareschi, poteva osservare dalla finestra i festeggiamenti dei lavoratori.

 

[...]

 

https://www.iltimone.org/news-timone/115-anni-fa-oggi-nasceva-giovannino-guareschi/