MONARCHIA O REPUBBLICA?
Non è il caso di porre la questione nei suoi termini
dottrinari. Se si dovesse risolvere il problema, tutto teorico, della maggiore
o minor bontà dei due sistemi, vi sarebbero molti buoni argomenti in favore
della soluzione monarchica; ma per l'Italia non si tratta di fare del nuovo ad
ogni costo. L'Italia non è una nazione nata ieri, alla quale occorra dare una
costituzione creata di sana pianta. L'Italia è monarchica fino dal primo giorno
della sua formazione a Stato unitario. Occorre dunque dimostrare la necessità
di disfare ciò che i nostri padri hanno fatto, di distruggere l'edificio
istituzionale da essi innalzato, di imporre al paese nuove e pericolose
esperienze; Chi auspica l'avvento della repubblica deve portare le prove
convincenti di questa necessità. Deve mettere la monarchia di fronte alle
circostanze, in cui essa ha demeritato del paese; deve dirci come e perché una
repubblica sarebbe in grado di correggere gli errori commessi e di garantirci
contro una ricaduta. Deve spiegarci perché e come un'Italia in berretto frigio
troverebbe maggior credito all'estero, più denaro per le sue industrie, più
rispetto per le proprie leggi, più pane per i propri figli.
UN PROCESSO ARTIFICIOSO
Coloro che fanno il processo alla monarchia partono dal
concetto ch'essa sia stata «complice» del regime fascista, che ha portato
l'Italia a quello stato di rovina che oggi dolorosamente sopportiamo. Si vuole
dunque fare contro la monarchia una vera «questione morale». Le questioni
morali sono, di solito, abbastanza comode per chi accusa, difficili per chi
viene accusato, perché l'opinione pubblica è purtroppo sempre proclive a
credere alle calunnie. E di calunnia in questo caso veramente si tratta. Chi
ripete come un assioma, che la monarchia deve essere punita perché correa della
disgraziata avventura fascista, dimostra di essere in cattiva fede, o malissimo
informato, o incapace di vedere un po' sotto la superficie degli avvenimenti e
di comprenderne le ragioni profonde.
La monarchia non ha inventato il fascismo: tra monarchia
costituzionale e regime totalitario v'è contraddizione assoluta. La monarchia
non aveva alcun interesse a suscitare un movimento estraneo alla costituzione e
che tea deva a cambiare sostanzialmente quello statu qua politico dì cui la
monarchia stessa era il fulcro. Essa ha «subito» il fascismo; non l'ha
desiderato e neppure accolto con gioia; essa ne ha ricevuto danni morali e
sopraffazioni d'ogni genere. Accusarla di «complicità» col fascismo è
altrettanto ridicolo come accusare il derubato di complicità con chi l'ha
svaligiato.
La Monarchia ha accolto il fascismo senza entusiasmo; l'ha
accolto perché esso appariva un movimento di vaste masse popolari, aveva
un'etichetta patriottica e pareva il portato inevitabile del clima creatosi nel
paese dopo la guerra. Di fronte ad esso, era la decadenza del regime
parlamentare con tutti i suoi organi: decadenza di cui la monarchia non aveva
evidentemente colpa alcuna ed alla quale non poteva certo, da sola, mettere
rimedio.
PAESE E PARLAMENTO
Il fascismo fu il portato, estremo del dissidio esistente fra
il paese e il Parlamento. Non bisogna dimenticare che questo dissidio esisteva
fino dal 1915, quando trionfò la campagna interventista, condotta fuori e
contro il Parlamento neutralista. Quella campagna fu condotta con purezza di
cuore da molti giovani generosi; ma accanto ad essi e sopra di essi stavano e
si agitavano personaggi irrequieti e ambiziosi i quali vollero forzare ad ogni
costo la mano agli organi competenti, come d'Annunzio e Mussolini. La causa
dell'intervento era moralmente e storicamente sacrosanta; ma il modo in cui
s'impose fu irregolare. La guerra venne chiesta a gran voce dalla piazza; si
minacciò la rivoluzione se il governo non si fosse deciso a intervenire nel
conflitto europeo; minoranze audaci prevalsero sull'opinione della maggioranza
del Parlamento e su quella dei partiti organizzati. Il re non poté fare altro
che consentire a quel movimento (che del resto corrispondeva ai suoi
sentimenti più intimi) e poiché la sua decisione condusse alla vittoria, il
sovrano fu poi esaltato per la sua saggezza e glorificato come re-soldato.
Egli aveva in realtà creduto d'interpretare il volere della
parte migliore dell'opinione pubblica, che premeva per l'intervento. Ma per
far questo aveva anche dovuto passar sopra la regolare procedura parlamentare.
Il Parlamento stesso in un secondo tempo sanò tale irregolarità votando a
grande maggioranza in favore della guerra all'Austria. Orbene, nel 1922 non si
riprodusse forse, nelle grandi linee, lo stesso fenomeno? Non si aveva anche
allora un Parlamento deficitario, e un'opinione pubblica che dal trionfo del
fascismo si aspettava la rinascita della nazione, la ripresa della vita
economica, il ristabilimento dell'ordine pubblico? Lo stesso sovrano, per aver
preso decisioni simili, viene oggi vituperato, semplicemente perché la
seconda deliberazione ha avuto — dopo ventidue anni — un epilogo sfortunato. E
ciò è molto ingiusto.
GENESI DEL FASCISMO
Dopo la prima guerra mondiale, tutti i paesi europei furono
in crisi; più gravemente, com'era naturale, i paesi vinti. L'Italia, benché
vittoriosa, usciva dalla guerra malcontenta e divisa. Non bisogna dimenticare
che il dissidio fra neutralisti e interventisti era rimasto latente, ma
presente, durante tutti quegli anni. Dopo la guerra i partiti sovversivi,
ripreso coraggio, pretesero che la classe dirigente italiana «espiasse» la
colpa commessa conducendo il paese alla guerra! Si vide allora il fenomeno
strano e intollerabile d'un popolo vittorioso che sembrava pentito d'aver
affrontato e superato una prova così gloriosa; che insultava la bandiera,
offendeva i reduci dalle trincee, derideva i mutilati e i decorati. Intanto la
decadenza dei vecchi istituti parlamentari diventava sempre più grave.
Essi non riuscivano a riacquistare il prestigio perduto nella
crisi dell'intervento, quando tutto era stato deciso senza di essi.
Dall'altra parte le correnti nazionaliste, deluse per il
mediocre trattamento fatto all'Italia dai tratta ti di pace e portate ad
attribuire quell'insuccesso diplomatico alla debolezza del governo, andavano in
cerca d'un assetto politico del paese più adatto, secondo loro, a difendere la
dignità e gli interessi della patria. Le correnti sovversive attaccavano
aspramente e in piena malafede la monarchia come preteso esponente delle forze
conservatrici. In tal modo la monarchia costituzionale, che aveva fatto
l’Italia, si vide assalita da due parti. Gli uni volevano la dittatura del
proletariato; gli altri fantasticavano la dittatura militare. Nessuno pensava
a valersi invece della monarchia costituzionale come dello strumento più
sicuro per ridare all'Italia la sicurezza all'interno e il prestigio
all'estero, come sarebbe stato più semplice e doveroso.
Venne l'episodio di Fiume, che mise il disordine tra le
stesse forze armate. La massa degli ufficiali di complemento, sapendo di non
poter trovare tanto presto un'occupazione nel paese pacificato, tendeva a
prolungare uno stato di guerra o simile alla guerra, da cui traeva facili
soddisfazioni. La disciplina nell'esercito, s'era indebolita; v'era entrato il
politicantismo. D'altra parte grande era il risentimento degli ex-combattenti
contro i partiti d'estrema sinistra, che rinnegando la guerra e la vittoria
svalutavano il loro sacrificio, Il contegno incerto delle autorità appariva
agli uni troppo debole, agli altri troppo tirannico. Veniva a molti il
desiderio istintivo di farsi giustizia da sé.
In questo clima confuso di malcontento e di perplessità
generale sorse il movimento fascista.
ORIGINI RIVOLUZIONARIE DEL FASCISMO
Quel movimento non proveniva dalle sfere conservatrici, ma —
è bene ripeterlo — da quelle rivoluzionarie; vi parteciparono largamente
socialisti (a cominciare dal suo capo), repubblicani, massoni, anarchici,
sindacalisti. L'illustre storico Pietro Silva, in un suo recente studio (Io
difendo la monarchia, Roma 1946) cita alcuni passi di ben noti scrittori
antifascisti dai quali risulta come non si possa assolutamente vedere nel
fascismo — alle sue origini —un moto di reazione. Nelle pagine di I. Bonomi e di
F. S. Nitti, irriducibili avversari del fascismo, questo fenomeno viene
equamente analizzato. Il fascismo sorse e si affermò per complesse ragioni; in
esso confluirono le più diverse correnti del malcontento. Si fusero in quello
strano movimento un patriottismo esasperato, un'ostilità istintiva verso il
pericolo bolscevico, un residuo di bellicosità dei giovanissimi che non
avevano fatto in tempo a combattere sui campi di battaglia, un ribollimento di
spirito d'avventura e antiborghese, un desiderio di novità tenuto desto dalla
crisi economica e morale dilaganti. Solo in un secondo tempo il fascismo fu
aiutato dai grossi capitalisti, specialmente agrari; ma rimase sempre un
malfido alleato del capitale; fu sempre, anche quando divenne regime, demagogico
e, in sostanza, rivoluzionario come era cominciato.
Nella nascita e nello sviluppo del movimento, è chiaro che la
monarchia non ha nessuna responsabilità. Di fronte al disordine che la lotta
politica, oramai portata sulle piazze, aveva creato nel paese, che cosa poteva
fare il sovrano?
Tentare di riportare le forme costituzionali alla loro genuina funzione; ricorrere ai partiti di massa affinché assumessero il potere, e col potere il compito di ristabilire l'ordine. t ciò che fece la Corona, coi suoi replicati appelli ai socialisti. Ma questi non vollero andare al governo. Ritennero più comodo restare all'opposizione, benché questa apparisse sempre più sterile. Essi sapevano bensì organizzare scioperi, nelle officine, nei campi, nei pubblici servizi; erano forti nella polemica, abili nella propaganda; ma tutta questa loro azione restava fine a se stessa. Essi non volevano governare, ma impedire che altri governasse. Vi fu l'occupazione delle fabbriche; un colpo mancato, ma che turbò gravemente l'economia nazionale e fece sentire a tutti il bisogno d'uscire dal disordine cronico che affliggeva l'Italia.
Poiché le autorità dello Stato apparivano impotenti, sorgeva istintiva la tentazione di cercare un rimedio fuori di esse. Si concepì allora, contro la rivoluzione socialista, la necessità d'una rivoluzione fascista. Ambedue erano antiborghesi e antimonarchiche; ma l’una non osò passare ai fatti; l'altra osò farlo.
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