NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

mercoledì 10 maggio 2023

Monarchia o repubblica?

Opuscolo del 1946

 

MONARCHIA O REPUBBLICA?

 

Non è il caso di porre la questione nei suoi termini dottrinari. Se si dovesse risolvere il problema, tutto teorico, della maggiore o minor bontà dei due sistemi, vi sarebbero molti buoni argomenti in favore della soluzione monarchica; ma per l'Italia non si tratta di fare del nuovo ad ogni costo. L'Italia non è una nazione nata ieri, alla quale occorra dare una costituzione creata di sana pianta. L'Italia è monarchica fino dal primo giorno della sua formazione a Stato unitario. Occorre dunque dimostrare la necessità di disfare ciò che i nostri padri hanno fatto, di distruggere l'edificio istituzionale da essi innalzato, di imporre al paese nuove e pericolose esperienze; Chi auspica l'avvento della repubblica deve portare le prove convincenti di questa necessità. Deve mettere la monarchia di fronte alle circostanze, in cui essa ha demeritato del paese; deve dirci come e perché una repubblica sarebbe in grado di correggere gli errori commessi e di garantirci contro una ricaduta. Deve spiegarci perché e come un'Italia in berretto frigio troverebbe maggior credito all'estero, più denaro per le sue industrie, più rispetto per le proprie leggi, più pane per i propri figli.

 

UN PROCESSO ARTIFICIOSO

 

Coloro che fanno il processo alla monarchia partono dal concetto ch'essa sia stata «complice» del regime fascista, che ha portato l'Italia a quello stato di rovina che oggi dolorosamente sopportiamo. Si vuole dunque fare contro la monarchia una vera «questione morale». Le questioni morali sono, di solito, abbastanza comode per chi accusa, difficili per chi viene accusato, perché l'opinione pubblica è purtroppo sempre proclive a credere alle calunnie. E di calunnia in questo caso veramente si tratta. Chi ripete come un assioma, che la monarchia deve essere punita perché correa della disgraziata avventura fascista, dimostra di essere in cattiva fede, o malissimo informato, o inca­pace di vedere un po' sotto la superficie degli avvenimenti e di comprenderne le ragioni profonde.

 

La monarchia non ha inventato il fascismo: tra monarchia costituzionale e regime totalitario v'è contraddizione assoluta. La monarchia non aveva alcun interesse a suscitare un movimento estraneo alla costituzione e che tea deva a cambiare sostanzialmente quello statu qua politico dì cui la monarchia stessa era il fulcro. Essa ha «subito» il fascismo; non l'ha desiderato e neppure accolto con gioia; essa ne ha ricevuto danni morali e sopraffazioni d'ogni ge­nere. Accusarla di «complicità» col fascismo è altrettanto ridicolo come accusare il derubato di complicità con chi l'ha svaligiato.


La Monarchia ha accolto il fascismo senza entusiasmo; l'ha accolto perché esso appariva un movimento di vaste masse popolari, aveva un'etichetta patriottica e pareva il portato inevitabile del clima creatosi nel paese dopo la guerra. Di fronte ad esso, era la decadenza del regime parlamentare con tutti i suoi organi: decadenza di cui la monarchia non aveva evidentemente colpa alcuna ed alla quale non poteva certo, da sola, mettere rimedio.

 

PAESE E PARLAMENTO

 

Il fascismo fu il portato, estremo del dissidio esistente fra il paese e il Parlamento. Non bisogna dimenticare che questo dissidio esisteva fino dal 1915, quando trionfò la campagna interventista, condotta fuori e contro il Parla­mento neutralista. Quella campagna fu condotta con pu­rezza di cuore da molti giovani generosi; ma accanto ad essi e sopra di essi stavano e si agitavano personaggi irre­quieti e ambiziosi i quali vollero forzare ad ogni costo la mano agli organi competenti, come d'Annunzio e Musso­lini. La causa dell'intervento era moralmente e storicamente sacrosanta; ma il modo in cui s'impose fu irregolare. La guerra venne chiesta a gran voce dalla piazza; si minacciò la rivoluzione se il governo non si fosse deciso a interve­nire nel conflitto europeo; minoranze audaci prevalsero sul­l'opinione della maggioranza del Parlamento e su quella dei partiti organizzati. Il re non poté fare altro che con­sentire a quel movimento (che del resto corrispondeva ai suoi sentimenti più intimi) e poiché la sua decisione con­dusse alla vittoria, il sovrano fu poi esaltato per la sua saggezza e glorificato come re-soldato.

 

Egli aveva in realtà creduto d'interpretare il volere della parte migliore dell'opinione pubblica, che premeva per l'in­tervento. Ma per far questo aveva anche dovuto passar sopra la regolare procedura parlamentare. Il Parlamento stesso in un secondo tempo sanò tale irregolarità votando a grande maggioranza in favore della guerra all'Austria. Orbene, nel 1922 non si riprodusse forse, nelle grandi linee, lo stesso fenomeno? Non si aveva anche allora un Parla­mento deficitario, e un'opinione pubblica che dal trionfo del fascismo si aspettava la rinascita della nazione, la ri­presa della vita economica, il ristabilimento dell'ordine pubblico? Lo stesso sovrano, per aver preso decisioni si­mili, viene oggi vituperato, semplicemente perché la se­conda deliberazione ha avuto — dopo ventidue anni — un epilogo sfortunato. E ciò è molto ingiusto.

 

GENESI DEL FASCISMO

 

Dopo la prima guerra mondiale, tutti i paesi europei furono in crisi; più gravemente, com'era naturale, i paesi vinti. L'Italia, benché vittoriosa, usciva dalla guerra mal­contenta e divisa. Non bisogna dimenticare che il dissidio fra neutralisti e interventisti era rimasto latente, ma pre­sente, durante tutti quegli anni. Dopo la guerra i partiti sovversivi, ripreso coraggio, pretesero che la classe diri­gente italiana «espiasse» la colpa commessa conducendo il paese alla guerra! Si vide allora il fenomeno strano e intollerabile d'un popolo vittorioso che sembrava pentito d'aver affrontato e superato una prova così gloriosa; che insultava la bandiera, offendeva i reduci dalle trincee, de­rideva i mutilati e i decorati. Intanto la decadenza dei vecchi istituti parlamentari diventava sempre più grave.

 

Essi non riuscivano a riacquistare il prestigio perduto nella crisi dell'intervento, quando tutto era stato deciso senza di essi.

 

Dall'altra parte le correnti nazionaliste, deluse per il mediocre trattamento fatto all'Italia dai tratta ti di pace e portate ad attribuire quell'insuccesso diplomatico alla debolezza del governo, andavano in cerca d'un assetto politico del paese più adatto, secondo loro, a difendere la di­gnità e gli interessi della patria. Le correnti sovversive at­taccavano aspramente e in piena malafede la monarchia come preteso esponente delle forze conservatrici. In tal modo la monarchia costituzionale, che aveva fatto l’Italia, si vide assalita da due parti. Gli uni volevano la dittatura del proletariato; gli altri fantasticavano la ditta­tura militare. Nessuno pensava a valersi invece della mo­narchia costituzionale come dello strumento più sicuro per ridare all'Italia la sicurezza all'interno e il prestigio al­l'estero, come sarebbe stato più semplice e doveroso.

 

Venne l'episodio di Fiume, che mise il disordine tra le stesse forze armate. La massa degli ufficiali di complemen­to, sapendo di non poter trovare tanto presto un'occupa­zione nel paese pacificato, tendeva a prolungare uno stato di guerra o simile alla guerra, da cui traeva facili soddi­sfazioni. La disciplina nell'esercito, s'era indebolita; v'era entrato il politicantismo. D'altra parte grande era il ri­sentimento degli ex-combattenti contro i partiti d'estrema sinistra, che rinnegando la guerra e la vittoria svalutavano il loro sacrificio, Il contegno incerto delle autorità appari­va agli uni troppo debole, agli altri troppo tirannico. Ve­niva a molti il desiderio istintivo di farsi giustizia da sé.

 

In questo clima confuso di malcontento e di perplessità generale sorse il movimento fascista.

 

ORIGINI RIVOLUZIONARIE DEL FASCISMO

 

Quel movimento non proveniva dalle sfere conservatrici, ma — è bene ripeterlo — da quelle rivoluzionarie; vi par­teciparono largamente socialisti (a cominciare dal suo ca­po), repubblicani, massoni, anarchici, sindacalisti. L'illu­stre storico Pietro Silva, in un suo recente studio (Io difendo la monarchia, Roma 1946) cita alcuni passi di ben noti scrittori antifascisti dai quali risulta come non si possa assolutamente vedere nel fascismo — alle sue origini —un moto di reazione. Nelle pagine di I. Bonomi e di F. S. Nitti, irriducibili avversari del fascismo, questo fenomeno viene equamente analizzato. Il fascismo sorse e si affermò per complesse ragioni; in esso confluirono le più diverse correnti del malcontento. Si fusero in quello strano movi­mento un patriottismo esasperato, un'ostilità istintiva ver­so il pericolo bolscevico, un residuo di bellicosità dei gio­vanissimi che non avevano fatto in tempo a combattere sui campi di battaglia, un ribollimento di spirito d'avventura e antiborghese, un desiderio di novità tenuto desto dalla crisi economica e morale dilaganti. Solo in un secondo tem­po il fascismo fu aiutato dai grossi capitalisti, specialmente agrari; ma rimase sempre un malfido alleato del capitale; fu sempre, anche quando divenne regime, demagogico e, in sostanza, rivoluzionario come era cominciato.

 

Nella nascita e nello sviluppo del movimento, è chiaro che la monarchia non ha nessuna responsabilità. Di fronte al disordine che la lotta politica, oramai portata sulle piazze, aveva creato nel paese, che cosa poteva fare il sovrano?

Tentare di riportare le forme costituzionali alla loro genuina funzione; ricorrere ai partiti di massa affinché assumessero il potere, e col potere il compito di ristabilire l'ordine. t ciò che fece la Corona, coi suoi replicati appelli ai socialisti. Ma questi non vollero andare al governo. Ritennero più comodo restare all'opposizione, benché questa apparisse sempre più sterile. Essi sapevano bensì organizzare scioperi, nelle officine, nei campi, nei pubblici servizi; erano forti nella polemica, abili nella propaganda; ma tutta questa loro azione restava fine a se stessa. Essi non volevano governare, ma impedire che altri governasse. Vi fu l'occupazione delle fabbriche; un colpo mancato, ma che turbò gravemente l'economia nazionale e fece sentire a tutti il bisogno d'uscire dal disordine cronico che affliggeva l'Italia.

Poiché le autorità dello Stato apparivano impotenti, sorgeva istintiva la tentazione di cercare un rimedio fuori di esse. Si concepì allora, contro la rivoluzione socialista, la necessità d'una rivoluzione fascista. Ambedue erano antiborghesi e antimonarchiche; ma l’una non osò passare ai fatti; l'altra osò farlo.


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