Opuscolo del 1946, del quotidiano Italia Nuova.
Nel 1922 il fascismo era diventato la maggior forza organizzata del paese. Esso era armato, e non era stata la Monarchia a fornirgli le armi. Né il suo spirito era monarchico; Mussolini aveva anzi apertamente affermato il carattere «tendenzialmente Repubblicano» del movimento fascista. Vi furono le azioni dimostrative di Fiume, di Bolzano, di Udine, di Napoli; da per tutto il futuro duce parlava di conquista dello Stato, da farsi con o senza la Monarchia; era un modo esplicito di minacciare la guerra civile. Si ripeteva il fenomeno del 1915. Ora, l'altissimo compito morale della Monarchia era appunto quello di evitare ad ogni costo la guerra civile; essa non poteva avere nessuna speciale simpatia per il fascismo, ma poteva sperare di assorbirlo nelle forme costituzionali. Quando, del Resto, venne iniziata la cosiddetta marcia su Roma, fu opinione generale dei benpensanti, compresi alcuni liberali di grande autorità, che non ci fosse altro rimedio se non la chiamata di Mussolini al governo. In questo senso telefonava ansioso il senatore Albertini da Milano: «Date a Mussolini l'incarico di formare il governo, o rassegnatevi a veder andare tutto in malora!».
D'altronde, che cosa poteva fare la Corona di fronte ad un'azione di forza, che inoltre aveva con sé tanta parte dell'opinione pubblica? Esisteva un'altra forza da opporre alle squadre fasciste in cammino verso la capitale? Non si dimentichi che l'esercito e la, polizia, per tanti anni svillaneggiati dai sovversivi, simpatizzavano con Mussolini. Vi fu un tentativo di proclamare lo stato d'assedio; vi furono altri tentativi di combinazioni Mussolini-Giolitti o Salandra-Mussolini; ma tutti fallirono. Non Restava altra soluzione all'infuori di quella che venne adottata.
Oggi è facile criticare quella soluzione. Ma di fronte alla carenza degli istituti parlamentari non si poteva fare diversamente Per impedire l’andata del fascismo al potere, bisognava che il paese non fosse scivolato così in basso, che i partiti non avessero impedito il Regolare funzionamento degli organi di governo, che tutte le correnti sane si fossero raccolte attorno alla Corona come al miglior caposaldo della libertà. Invece la Monarchia, senza alcun motivo, era stata messa essa stessa in discussione; e nel modo più villano. Nel 1919 e nel 1921, alla inaugurazione della nuova legislatura, l'estrema sinistra si era allontanata dall'aula quando entrava il sovrano; ed è interessante osservare che anche il gruppetto fascista aveva partecipato a quella scortese dimostrazione.
Nell'ottobre del 1922 il Re non poteva dunque risolvere la crisi se non col tentare di legalizzare un movimento che appariva, come ebbe a dire egli stesso, «così forte nel paese e così sorretto dall'opinione nazionale». Era vero. Effettivamente il paese desiderava un governo forte, e s'illuse di trovarlo nel governo fascista. Nessuno desiderava una Reazione violenta e sanguinaria, ma solo il ristabilimento dell'ordine nella legge. Parve che col salire al potere del fascismo, questo scopo potesse essere raggiunto.
IL FASCISMO AL POTERE
Se fino dal primo giorno il fascismo si fosse affermato come un Regime autoritario, dispotico, personalistico; se avesse bruscamente soppresso le garanzie costituzionali, senza dubbio la Corona avrebbe avuto il dovere d'impedirlo, e si può pensare che avrebbe avuto la forza di farlo. Ma i fatti si svolsero diversamente. Dittatura, tirannide di partito, politica di avventure non facevano affatto parte della logica del fascismo e non erano contenute nel suo programma primitivo, che anzi molti giudicavano troppo democratico. Mussolini non solo non si presentò come un paladino dello Stato autoritario, ma anzi proclamò di voler ridurre al minimo le funzioni dello Stato. Quanto accadde dopo fu piuttosto una deformazione del primo programma fascista; fu un fenomeno degenerativo non facile a prevedere, non facile a correggere, perché lento e insensibile. I primi atti di Mussolini diedero un'impressione di moderazione. Il suo primo gabinetto fu misto, e se nittiani e socialisti non vi parteciparono, non mancò una tacita adesione di taluni di essi. Per un momento la crisi parve superata; si disse che ancora una volta, per saggezza del sovrano, con una illegalità formale si era ristabilita la legalità sostanziale. L'esperimento del fascismo al potere fu visto dalla maggior parte della nazione con benevolenza.
E non solo gli italiani. Anche fuori dei confini l'avvenimento non venne mal giudicato. La figura di Mussolini era popolare in Europa, anche nelle nazioni democratiche, dove non si era dimenticata l'azione interventista da lui svolta nel 1915. Scrittori e statisti illustri ne fecero più volte l'elogio. Il democratico Fisher non parlava del «genio ardente» del duce? Sir Percival Philips non paragonava Mussolini al «nuovo David» che sfidava il Golia bolscevico? W. Churchill non ebbe a dichiarare che se fosse stato italiano sarebbe stato fascista? Austin Chamberlain non fu con Mussolini in amichevoli rapporti personali, e la sua signora non si compiacque di portare sul petto il distintivo fascista? Lord Rothermere non definì Mussolini «la più grande figura della nostra epoca»? Ward Price non lo presentò come il massimo paladino della libertà? Il Times non lo paragonò una volta a Cromwell?
Nessuno dunque poteva dire allora che il Re avesse fatto una cattiva scelta. Una sua presa di posizione ostile al fascismo sarebbe apparsa una nota stonata, un atto strano e ingiustificato, una mossa antipatriottica. Bisogna ricordare che il fascismo si presentava come il rivendicatore delle tesi nazionali, mortificate dal sovversivismo. D'altronde esso mostrava di non essere prigioniero di alcuna pregiudiziale; e nessun'ombra di reazione appariva nei suoi primi atti. Il governo fascista fu il primo a riprendere regolari rapporti diplomatici con quello sovietico.
Vennero le ore oscure del delitto Matteotti. E’ questo il cavallo di battaglia dei critici della Monarchia. Il Re — dicono — avrebbe dovuto assicurare il libero corso della giustizia e sbarazzare l'Italia dal dittatore. Ma è più facile dirlo che dimostrarlo. Il Parlamento, in ambo i suoi rami, si comportò in modo inetto e dimostrò scarsa energia, non offrendo alla Corona nessuno spunto per un intervento decisivo. Non è il caso di esaminare qui il contegno dei deputati che si ritirarono sull'Aventino; certo è che al Sovrano vennero meno le armi costituzionali di cui avrebbe potuto servirsi per un'azione energica. Egli non solo rimase a lungo in attesa di un gesto del Parlamento che gli permettesse di agire, ma si sa che lo sollecitò invano. Né, d'altronde vi fu alcun moto nel paese, che giustificasse provvedimenti d'eccezione, che avrebbero rasentato il colpo di Stato; nessuno si mosse. E allora è supremamente ingiusto prendersela con la Monarchia perché essa non ha, con un gesto magico, risolto una situazione che lasciava tutti incerti e perplessi.
LA LENTA SVALUTAZIONE DELLA MONARCHIA
Mussolini, portato sempre più verso un regime dittatoriale, con la complicità del partito e, bisogna dirlo, con la supina tolleranza del paese, tolse a poco a poco al sovrano tutti i suoi privilegi costituzionali. Lo sgretolamento della funzione monarchica e del regime costituzionale fu lento e condotto con grande abilità, per modo che non fu mai possibile alla Corona di opporsi recisamente. Il Re venne messo a poco a poco nell'ombra. D'altra parte non si può dimenticare che l'opera di Mussolini, all'interno come all'estero fu per lungo tempo fortunata, e ottenne un generale consenso, sulla sincerità del quale è vano oggi sottilizzare. Il fascismo si inseriva sempre più profondamente negli organi dello Stato e nelle stesse forze armate; finché giunse a dominare completamente ambo i rami del Parlamento; la Monarchia aveva perduto in tal modo gli strumenti classici che ne dovevano assicurare il funzionamento nell'orbita delle libertà costituzionali. Essa era stata la prima a soffrire della privazione della libertà.
LA POLITICA ESTERA FASCISTA
Non era facile per nessuno, nemmeno per il sovrano, influire sulle decisioni di Mussolini in fatto di politica estera; d’altronde il capo del fascismo per molti anni si portò, in questo campo, con abilità, e le sue escandescenze verbali non gli impedirono di mantenere, in pratica, un atteggiamento prudente. Quando egli promosse il Patto a quattro, quando mobilitando al Brennero salvò l'indipendenza dell'Austria, quando presiedette al convegno di Stresa, e fino al settembre 1938, allorché contribuì alla conclusione degli accordi di Monaco, egli fu considerato uno statista di grande levatura. Lo dicevano gli stranieri, e sarebbe stato inconcepibile che proprio il Re d'Italia avesse mostrato di dubitarne. Lo stesso conflitto italo etiopico, iniziato senza sufficiente preparazione diplomatica e che mise l'Italia contro la Società delle Nazioni, finì con un successo materiale e morale dell'Italia, e se fece diminuire i consensi esterni, rafforzò la coesione degli animi all'interno. Non si vide, allora, un purissimo liberale come V.E. Orlando offrire la propria adesione a Mussolini; e il maresciallo Caviglia, fiero antifascista, rallegrarsi pubblicamente col « duce » per l'ottenuta vittoria?
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