di Emilio Del Bel Belluz
Il mese di maggio è dedicato alla venerazione della Madonna. Per un attimo, chiudendo gli occhi, penso al mio paese e a quello che ivi accadeva. Nel mese di maggio, assieme ad altri fedeli, raggiungevamo un capitello che era poco lontano da dove abitavo. Per arrivarci dovevamo attraversare i campi, e venivamo avvolti dal profumo della natura che si trovava nella massima esplosione della sua bellezza. All’interno del capitello era collocata una statua della Madonna che aveva una storia. Ci si trovava circa in una ventina di persone. Ognuna aveva il suo modo per onorare la Vergine: chi portava una rosa, e chi un fiore di campo. C’era anche chi vi metteva una foto di una persona cara che abbisognava di una grazia. Tra le donne che frequentavano quel luogo nel mese di maggio, ma non solo, vi era una un’anziana signora vestita sempre di nero; che conoscevamo poco e che non parlava mai. Quella vecchia signora aveva il volto molto triste e si percepiva che dentro al cuore portava una grande sofferenza. La donna recitava il rosario ed era sempre l’ultima che se ne andava. In quel capitello la donna vi aveva collocato la foto di suo figlio caduto in guerra. Il figlio si era arruolato volontario nel Corpo degli Alpini. La foto che era stata posta, raffigurava l’alpino fiero nella sua divisa vicino ad una vecchia chiesa. La foto gliela aveva spedita dalla Russia. Il ragazzo era molto cattolico e, prima di partire, la mamma gli aveva donato un rosario benedetto dal vecchio parroco. Un sera decisi di farle compagnia, volevo farmi raccontare la storia del figlio. Aspettai che finisse di pregare, che faceva sempre in ginocchio. Dopo estraeva dalla sua borsa un contenitore in cui aveva riposto del cibo che consumava davanti al capitello. In quel luogo c’era una sorgente d’acqua limpida da cui attingeva per dissetarsi. Mi accostai a lei, dicendole che avevo perso la corona del Rosario. La donna per la prima volta mi sorrise e mi chiese di sedermi accanto. Volle darmi un pezzetto di pane e una mela. Non me lo feci ripetere due volte e con appetito mi misi a mangiare. Nel frattempo, avevo instaurato una certa confidenza con la donna. La mamma del soldato caduto per la patria, mi raccontò che si soffermava in quel posto per pregare per suo figlio. Sapeva che era morto, anche se non conosceva dove fosse stato seppellito e quel capitello glielo ricordava. Quando si trovava nella sua casa si sentiva sola, tormentata, inquieta; invece, davanti al capitello ritrovava serenità e pace. Il dolore per la morte del figlio era stato devastante. Da una tasca estrasse una sua foto che era diversa da quella che era stata appoggiata nel capitello. Il giovane le sorrideva, e dietro la foto alcune parole: “ Mamma se non dovessi tornare, sappi che sono morto per la Patria, che ho sempre amato. Il mio cuore rimarrà sempre nel tuo”. La donna si commosse, una lacrima le scese lungo la guancia. Le diedi il mio fazzoletto e quel gesto lo apprezzò davvero molto. La accompagnai a casa, la sua abitazione non era molto distante dalla mia. Questa volta volle farmi entrare. Vi erano pochi mobili, il camino era molto grande,e sulle pareti erano appese le foto di famiglia. La donna mi fece sedere sulla vecchia poltrona, usurata dal tempo. Da un cassetto prese un vangelo, e me lo pose. Glielo aveva portato un alpino che dalla guerra era tornato sano e salvo. Era l’ultima cosa che possedeva di suo figlio, e me lo donò. Aveva capito che non le rimanevano molti anni da vivere e non aveva altri parenti a cui lasciarlo. Prima di andarmene, volle abbracciarmi. Fu una stretta calorosa, forse, pensava a suo figlio. Quando giunsi a casa, raccontai tutto a mia mamma e le feci vedere il vangelo che era appartenuto a quell’alpino. Da quel giorno non la dimenticai mai ed ero anche tra coloro che l’accompagnarono al camposanto, con il vangelo tra le mani. La sera stessa del funerale mi recai al capitello e vi deposi un fiore e pensai che finalmente il giovane alpino avrebbe abbracciato sua madre.
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