NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 31 luglio 2021

Il Libro azzurro sul referendum Cap XXII - 2

 



Questione istituzionale e opposizione monarchica (1)

«...Vi è tuttavia un assunto dell'opposizione istituzionale che ha fondamento oggettivo, e che sostiene e giustifica l'opposizione stessa, con grave danno della situazione politica generale. L'art. 139 della Costituzione è un assurdo giuridico e pone la stessa Repubblica come un fatto arbitrario. La Repubblica si fonda sulla volontà popolare, e trova in tale volontà la sua legittimità di istituzione fondamentale dello Stato italiano. Ciò implica il riconoscimento della «sovranità popolare» senza limiti e restrizioni in materia istituzionale. Come può la Costituzione della Repubblica senza negare la sua stessa le­gittimità negare alla sovranità popolare il potere di cambiare la forma istituzionale dello Stato? Se la Repubblica fosse sorta dalla ri­voluzione, la norma avrebbe il valore di un fatto di forza del tutto analogo a quello che instaurò la nuova forma di Stato; ma la Re­pubblica nata dalla legalità del voto popolare, non può negare la le­galità di un nuovo voto, senza legittimare con ciò una calzante e va­lida opposizione istituzionale.

L'art. 139 della Costituzione pone una contradizione politica e giuridica, che non solo attribuisce un valido fondamento all'opposi­zione monarchica — che non ne avrebbe, oggi, nessuno — ma, ciò che è ben più grave, la spinge fuori dello schieramento democratico verso una opposizione «di regime». Se l'art. 139 cadesse dalla Co­stituzione i monarchici non avrebbero più nessuna ragione oggettiva di porsi come partito, ma porterebbero l'istanza monarchica nei par­titi ove -solo ha ragione e possibilità di svilupparsi, senza recare danno gravissimo al processo di formazione della democrazia. Finché l'ar­ticolo 139 blocca a priori l'attività dei partiti democratici alle soglie della questione istituzionale, è chiaro che la massa dei monarchici è costretta a costituire un partito a sé, fuori e contro la coalizione de­mocratica che accetta l'art. 139 e non può quindi attribuire cittadi­nanza alle istanze monarchiche».

La lettera 'dell'art. 139 della nuova Costituzione italiana pro­spetta la figura della norma (costituzionale) inabrogabile.

Dell'assurdità, sul piano politico, di questa figura lascio ai po­litici 'di dire, la mia esposizione limitandosi a taluni rilievi sul piano strettamente giuridico.

Non vi è dubbio che il legislatore è arbitro di stabilire ed il nu­mero ed il contenuto delle fattispecie, intesa quest'ultima parola nel senso di complesso di fatti che il legislatore considera come causa di determinati effetti. Nel campo del diritto privato questi effetti con­sistono nella costituzione, modifica, estinzione di rapporti giuridici; nel campo del diritto costituzionali detti effetti consistono nella costi­tuzione, modifica, estinzione della norma giuridica.

E.' il legislatore che, nel campo del diritto privato, dispone che è ridotto, nei riguardi di un certo rapporto, il numero delle fatti­specie costitutive, modificative, estintive (ad esempio, il codice civile esclude, nei riguardi del rapporto di proprietà, la fattispecie della prescrizione estintiva). Il caso limite di questo atteggiamento del le­gislatore è costituito dall'ipotesi in cui il legislatore non riduce, ma addirittura elimina tutte le fattispecie normalmente previste. Così quando si parla di intrasmissibilità di un diritto si vuole indicare quella realtà normativa con la quale sono state eliminate, nei riguardi di quel diritto, tutte le fattispecie normalmente previste agli effetti del trasferimento del diritto stesso.

Con ragionamento analogo si potrebbe giustificare la potestà del legislatore di eliminare, nei riguardi di una determinata norma, ogni fattispecie diretta a far cessare questa norma. Ciò è avvenuto, stando alla dizione letterale dell'art. 139 della nuova Costituzione, nei ri­guardi della norma che sancisce la forma repubblicana.

Ma quale è, nella realtà, il valore di una statuizione di inabrogabilità? Io non esito a definire questo valore nullo, poiché il legi­slatore non potrà mai stabilire una inabrogabilità assoluta, ma sol­tanto relativa, relativa cioè al procedimento normale di abrogazione; la cosiddetta norma inabrogabile può pur sempre essere abrogata at­traverso il procedimento più lungo della doppia abrogazione e della norma che statuisce la inabrogabilità e della norma che forma og­getto di questa statuizione.

Al rilievo che anche nei riguardi della prima norma si possa avere la statuizione di inabrogabilità è facile anzitutto rispondere che, avendo detta statuizione carattere eccezionale, essa deve risul­tare dalla tassativa dizione di legge (tassativa dizione che manca nel caso dell'art. 139 della Costituzione). Ed anche supposto che questa tassativa dizione sussista, la conseguenza strettamente logica sarà soltanto quella di prolungare il procedimento della abrogazione at­traverso una triplice, anziché doppia, abrogazione (abrogazione della norma che statuisce la inabrogabilità della norma che sancisce la inabrogabilità di una certa disposizione; abrogazione di questa di­sposizione).

La verità è che quando nel campo del diritto privato il legisla­tore statuisce la eliminazione di determinate fattispecie, quali, ad esempio, le fattispecie negoziali traslative di un certo diritto (che pertanto diventa intrasmissibile), il soggetto che pone in essere la norma ed il soggetto della fattispecie (ad esempio, dell'attività ne­goziale), sono diversi; per contro nel campo della costituzione, mo­difica, estinzione della norma giuridica, il soggetto che statuisce, ad esempio, la inabrogabilità di una norma, e cioè il legislatore, è lo stesso soggetto della fattispecie, cioè lo stesso soggetto dell'attività di abrogazione.

Ecco perché, potendo lo stesso legislatore, che ha statuito la inabrogabilità di una certa norma, pur sempre abrogare questa sua statuizione, si palesa tutta la vacuità e, quasi direi, il ridicolo di una statuizione dì inabrogabilità nei riguardi di una determinata norma giuridica. Il legislatore è giustificato se richiede nei riguardi di de­terminate norme (ad esempio, le norme costituzionali) un più qua­lificato procedimento di abrogazione, ma, ripeto, è semplicemente ridicolo che questo più qualificato procedimento di abrogazione si concreti nella moltiplicazione del procedimento normale (2).

 

(1)      Prof. Pompeo Biondi, da Studi politici, n. 3, dicembre 1952, pag. 438.

 

(2)     Prof. Mario Allara, rettore dell'Università di Torino.

lunedì 26 luglio 2021

Luglio 1914 : il suicidio dell’ Europa

da "Un sogno italiano"
di Domenico Giglio 

Il 28 giugno ricorre l’assassinio dell’ Arciduca d’Austria Francesco Ferdinando, unitamente alla consorte morganatica Sofia, avvenuto nella tarda mattinata di quel stramaledetto giorno, a Sarajevo, ad opera di Gavrilo Princip: “due colpi di pistola : dieci milioni di morti”, come è stato sintetizzato. Ma l’Europa non ha questi grandi motivi di rammentare un evento che ha significato la fine, o l’inizio della fine, concretatasi nel 1945, della sua supremazia mondiale, se non per una atto di pentimento per gli errori commessi e per la riaffermazione - che è poi il maggiore e migliore motivo della attuale Unione - del mai più guerre tra gli stati europei, il che ha significato, ad oggi 2021, 76 anni anni di pace, fatta eccezione per le guerre locali e tribali dovute alla dissoluzione della Jugoslavia, che fin dalla sua origine, nel 1918 era un “coacervo” di popolazioni e religioni, sulla cui dubbia nascita nulla ebbe da dire l’ipocrita Presidente Wilson, implacabile invece nel negare Fiume all’Italia.

In questi ricordi e rievocazioni del “Luglio ’14 “, vi è una tendenza quasi a sottovalutare, se non dimenticare, l’assassinio dell’ erede al trono dell’ Austria-Ungheria, quale causa scatenante il conflitto, in quanto, dicono illustri storici, la guerra sarebbe scoppiata egualmente perché la politica mondiale dell’ Impero Germanico, lo sviluppo della sua flotta da battaglia non sarebbe stata tollerata a lungo dalla Gran Bretagna, potenza mondiale, particolarmente egemone sui mari.

Le guerre però non sorgono per “autocombustione”, ma necessitano di un “casus belli” per cui non è facile individuare il “quando” sarebbe scoppiata la guerra europea, se non ci fosse stato Sarajevo, e l’arroganza della diplomazia austroungarica, arroganza già mostrata nel 1859 nei confronti del Piemonte, ed in epoche successive, per cui la Serbia, che sapeva di godere della protezione “ortodossa” dell’Impero Russo, non potè accettare, come Stato Sovrano, l’incredibile ultimatum inviatogli da Vienna “Verum ipsum factum”, dice Giambattista Vico, ed il fatto e la verità coincidono.

Senza Serajevo il 1914 sarebbe trascorso tranquillamente, e l’estate avrebbe ancora una volta visto il gran mondo incontrarsi nei saloni dei grandi alberghi e nelle stazioni termali. Ed il 1915 ?

Se vogliamo continuare le ipotesi quale fatto poteva accadere per accendere la “miccia” della guerra? Se la storia non si fa “con i se e con i ma” vorrei capire se in un anno la Germania avrebbe compiuto un ulteriore balzo in avanti, tale da costringere la Gran Bretagna ad agire.

Andiamo al 1916 e qui è un fatto certo e cioè la scomparsa dopo 68 anni di regno di Francesco Giuseppe e qui l’ascesa al trono di Francesco Ferdinando, se non fosse stato assassinato due anni prima, come fu in realtà.

Presi in questo giuoco si poteva pensare che il nuovo Imperatore, che aveva idee interessanti di una ristrutturazione dell’ impero che riteneva urgente, date le spinte centrifughe esistenti, si sarebbe imbarcato in imprese belliche, almeno per qualche anno e si poteva pensare la Germania, senza avere la certezza di una collaborazione austroungarica, si sarebbe, a sua volta spinta oltre nella sua politica espansionistica?

Questo per rimanere su dati e date certe perché altrimenti si potrebbero ipotizzare gli eventi più svariati, da morti improvvise di capi di stato con problemi successori od a rivolgimenti interni dagli esiti imprevedibili.

Per questo il gesto criminale di Gavrilo Princip rimane l’unica e sola causa certa ed indiscussa della cosiddetta prima Guerra Mondiale, che portò in Europa una potenza fino ad allora estranea, gli Stati Uniti d’America, e portò anche negli eserciti franco-inglesi soldati dei loro imperi coloniali che videro e lo rividero nella seconda guerra mondiale, ricordiamo i marocchini di Juin, qui in Italia, i “padroni” bianchi combattere tra loro, con tutti i mezzi, anche i meno leciti, come i gas asfissianti e capirono che erano maturi per una propria indipendenza nazionale, magari e questa è storia recente, rivelatasi di molto inferiore alle loro aspettative.

Unica eccezione l’India, mentre i nuovi stati “ex coloniali”, non hanno risolto nessun problema fondamentale dei loro popoli, con governanti, non uso il termine “classe dirigente”, molto spesso travolti da corruzione o da rivolte popolari, che, a loro volta, non hanno apportato nessun beneficio, e pure pontificano all’ONU, fustigando sui i più vari argomenti, l’Europa e l’Occidente.

 

Domenico Giglio

 

Capitolo XXXVI Carnera continua a perdere.

di Emilio Del Bel Belluz 

Carnera divenne un bersaglio troppo facile. Con la sconfitta subita da Louis e con gli ultimi match non troppo brillanti, in cui talvolta finì al tappeto, Carnera non era più lui, era demoralizzato e stanco. L’unica certezza che gli rimaneva era quella che doveva salire ancora sul ring per ottenere delle borse sostanziose, perché i soldi cominciavano a scarseggiare dopo alcuni investimenti disastrosi. L’unica cosa che possedeva era la bella villa a Sequals, dove vivevano i suoi familiari. Carnera non era più molto considerato in America, dopo la doppia sconfitta con Leroy Haynes. Siamo nel 1936, tre anni prima era il campione del mondo, ora era un pugile definito al termine della carriera. Primo non era poi tanto vecchio, aveva compiuto trent’anni. Saliva sul ring dal 1928, ed erano passati solo otto anni. La sconfitta con Louis lo aveva stroncato, aveva perso la sua determinazione e lucidità e anche il suo vigore fisico. Carnera si accorse che gli amici erano diventati sempre meno, gli rimasero solo la sua famiglia e il suo allenatore che ancora credevano in lui. Una sera assieme al suo amico decise che era ora di preparare le valigie per far ritorno al suo paese. Questa decisione non lo rendeva felice, ma non aveva altre alternative. I soldi che possedeva in quel momento gli consentivano di viaggiare solo in terza classe. Il suo allenatore lo seguì, ma prima della loro partenza, Primo avvertì un giornalista, suo amico, che scriveva in un giornale letto da molti italiani per rilasciargli un’intervista che spiegasse la sua decisione di abbandonare l’America. Carnera sapeva che nel pugilato si cadeva, e ci si rialzava, ma questa volta non aveva la forza per continuare e si confidò con il cuore in mano delle amarezze che lo attanagliavano. Il giornalista lo interrogò sul suo futuro, ma Carnera alzò le braccia, in senso di resa. Tutto gli appariva così difficile, non aveva idee, non aveva speranze, solo il buon Dio conosceva il suo destino e lo pregava affinché non lo abbandonasse. 

Alla partenza non c’erano molte persone a salutarlo, solo quelle con cui aveva condiviso gli ultimi anni dopo la sconfitta. Salutò un tifoso che gli tese la mano commosso, s’imbarcò assieme a tanti italiani che facevano ritorno in patria perché non trovarono fortuna in America. Il capitano della nave lo accolse come un grande campione, lo volle alla sua tavola e lo circondò di mille attenzioni. Il comandante non poteva dimenticare l’entusiasmo provato nel vederlo salire le volte precedenti quando era ancora il re dei pesi massimi. Nella cabina il capitano conservava le sue foto e gli voleva bene. Non c’erano più i giornalisti ad intervistarlo e a subissarlo di domande sui suoi progetti futuri. In nave continuava ad allenarsi assieme al suo inseparabile maestro e si intratteneva a parlare con gli italiani che viaggiavano in terza classe. Costoro gli chiedevano di sentire dalla sua voce la cronistoria dei match più importanti, non avendo avuto la possibilità di assistervi. 

Carnera adesso era come uno di loro, anche lui stava tornando a casa con la valigia che conteneva i suoi sogni infranti. Primo donò a quei connazionali delle sue foto con dedica, rendendoli felici di possedere un ricordo del grande campione che aveva fatto molta strada, anche se attualmente era in una fase di stasi. La vera felicità molte volte stava in queste piccole cose. Il viaggio finì e Carnera finalmente, dopo tanto tempo, raggiunse Sequals. Rivide la famiglia. Non aveva voglia di parlare di pugilato o del suo futuro, e sapeva che solo il passare del tempo avrebbe definito il suo destino. La gente semplice ed umile lo cercava, Primo era gentile e affettuoso con tutti, non dimenticò che era uno di loro. Il suo allenatore sperava di convincerlo a risalire sul ring. Nel frattempo guadagnò qualcosa facendo delle esibizioni in vari paesi. Il suo pupillo aveva bisogno di tornare a combattere per guadagnarsi qualche soddisfazione. Si pensi che a livello europeo aveva ancora delle carte da giocare, e in Italia era ancora il più forte. 

Ambiva a riconquistare il titolo italiano ed europeo dei pesi massimi che gli avrebbero dato anche un ritorno economico. Sua madre, una sera, gli aveva detto che sarebbe stata ora di pensare al futuro che gli avrebbe riservato ancora delle soddisfazioni, di abbandonare il mondo della boxe e formarsi una famiglia. Per lei era rimasto il suo bambino a cui bisognava dare dei consigli. Da un lato capiva che la madre aveva ragione ma, d’altro canto, non si sentiva ancora pronto a prendere decisioni radicali. Trascorreva parte del suo tempo al Bottegon a giocare a carte assieme ai suoi compagni d’infanzia ed al suo allenatore. Costui s’ era innamorato del paese, e della sua gente dal cuore buono. Qualche pugile della zona aveva chiesto di potersi allenare nella palestra vicino alla Villa di Primo. Primo rimuginava sulla possibilità di appendere al chiodo i suoi guantoni, come le cinture del titolo mondiale, europeo ed italiano. Ma il bisogno di guadagnare era impellente. Il mondo del cinema gli aveva chiesto d’interpretare la figura dell’uomo forte. Aveva avuto anche delle proposte per delle esibizioni sia sul ring, che delle dimostrazioni di forza fisica. Una di queste era rappresentata da Carnera che con la sua forza teneva immobile due cavalli. I suoi tifosi lo amavano ancora e lo cercavano. Inoltravano richieste anche dall’estero, volevano che fossero inviate delle sue foto con dedica. 

Sua madre era contenta nel vedere il postino che le recapitava tanta posta per il figlio e lo invitava ad entrare per onorare Primo con un buon bicchiere di vino. Nelle lettere che riceveva trovava pure delle foto delle varie città americane dove aveva combattuto, come pure degli articoli di giornale che parlavano di lui. Qualcuno gli chiedeva di tornare in America a combattere. Era gente semplice, e Carnera rispondeva a tutti. Dall’ultimo combattimento, che aveva perduto contro Leroy Haynes, era passato oltre un anno. Nel 1937 il suo allenatore gli diede la notizia di poter disputare degli incontri in Francia e precisamente a Parigi, la città dove aveva iniziato a combattere, ricevendo delle borse sostanziose. I tifosi francesi non lo avevano dimenticato. Primo, che aveva trentun anni, doveva iniziare ad allenarsi con tenacia. In Francia aveva iniziato a combattere il 12 settembre del 1928, e aveva battuto Leon Sebillo per Ko alla seconda ripresa. Carnera conservava dentro di sé i ricordi di quel match come se lo avesse vissuto il giorno prima. Il primo incontro di boxe non si dimenticava mai, come il primo amore. Quando aveva iniziato a boxare, non avrebbe mai immaginato di arrivare così in alto, come dopo non aveva mai previsto di dover ripartire da capo. Primo Carnera accettò di fare il primo incontro parigino. Gli organizzatori gli concessero di trasferirsi in Francia una settimana prima del match, per ambientarsi e per dare la possibilità alla gente di rivedere il campione. 

Carnera non poteva chiedere di meglio, perché spesso il suo pensiero andava al periodo francese. Anche se le cose erano cambiate, un soggiorno in Francia gli sarebbe stato utile. Dopo aver accettato di battersi in Francia riprese gli allenamenti, come se dovesse affrontare una nuova sfida mondiale. La stampa italiana aveva sempre tenuto in considerazione Carnera, e non dimenticava mai di dare notizie su di lui e delle sue tante esibizioni che aveva tenuto in quei mesi. Al campione i tifosi non mancavano e costoro volevano sempre essere informati su di lui. Venne da Roma un giornalista per intervistarlo, che aveva conosciuto in America nel periodo della sfida mondiale. Carnera lo accolse con la cortesia di sempre, lo condusse alla palestra dove si allenava per mostrargli il recupero fisico ottenuto e per rimuovere i dubbi di coloro che lo davano per finito. Da qualche tempo curava l’alimentazione per smaltire i chili in eccesso con grande soddisfazione del suo allenatore. Il giornalista ritornò a Roma e scrisse una pagina molto importante che fece breccia nel cuore dei tifosi. Primo ricevette una copia del giornale, consegnatagli da un ragazzo che voleva a tutti i costi conoscere il campione. 

Nel quotidiano si raccontava la possibilità che Carnera aveva tutti i crismi per rientrare a pieno titolo nel mondo della boxe. Qualche settimana dopo Carnera partì con il suo allenatore. La mamma, nel frattempo, gli aveva raccomandato di essere prudente, infatti, temeva sempre per la vita di suo figlio. Nel cuore di Primo c’era il sogno di rimanere in Francia per guadagnare del denaro con qualche match. Aveva assoluto bisogno di raggranellare dei soldi e forse l’esperienza parigina poteva essere l’ultima occasione. I tempi erano cambiati e si accorse quando raggiunse il suo alloggio in un albergo di modeste condizioni, mentre un tempo dimorava in hotel lussuosi, dotati di ogni comfort. La signora che li aveva accolti era molto gentile, e l’albergo seppur modesto era molto in ordine. Avrebbe soggiornato fino al giorno dopo l’incontro. Nel pomeriggio incominciò ad allenarsi nella stessa palestra in cui il suo allenatore lo aveva accompagnato la prima volta, quando non conosceva nulla della boxe. La palestra era rimasta uguale, incontrò qualche pugile che aveva conosciuto in quegli anni, e vide con una certa felicità che avevano incorniciato una sua foto, scattata nei momenti in cui si allenava. Stava rivivendo quello che nove anni prima aveva provato. 

Agli allenamenti potevano assistere le persone, ma dovevano pagare un biglietto. Alla fine dell’allenamento la gente si intratteneva con lui, i giornali avevano ben pubblicizzato il suo arrivo in Francia. Gli organizzatori si aspettavano il pienone, come nelle grandi occasioni. Carnera appariva in forma, era di ottimo umore e guardava con ammirazione i pugili che si allenavano, e che nelle pause gli chiedevano qualche consiglio tecnico. La signora dell’albergo era felice di ospitare un campione, perché aveva fatto incrementare le sue richieste di alloggio. I tifosi lasciavano delle lettere, dei regali di benvenuto, e una ragazza portò anche un mazzo di fiori. Questo gesto fu molto apprezzato da Primo, perché lo faceva sentire ancora sulla cresta dell’onda. Un giorno decise di prendersi qualche ora di libertà, per rivisitare quei luoghi che anni fa gli erano stati familiari. Non aveva dimenticato la ragazza del bistrot che aveva conosciuto, e in qualche modo amato. Aveva chiesto a Paul Journée di lasciarlo andare da solo. Non gli fu difficile arrivare nei pressi del bistrot, e chiese al tassista di farlo scendere. 

Era mattina presto, quella notte non aveva dormito bene, forse dall’emozione di poter il giorno successivo incontrare la giovane di cui non aveva avuto più notizie, ma alla quale la sua mente era andata più volte. Carnera vide che all’interno del locale c’erano le solite persone che al mattino si dovevano recare al lavoro e facevano prima tappa al bistrot per bere qualcosa che li rincuorasse. Primo scorse subito la giovane che lo riconobbe e sorrise, e si avvicinò a lui per salutarlo. Anche le persone che si trovavano dentro al locale si accostarono al campione. Tutti gli fecero festa, e gli posero tante domande. Carnera pensò subito che forse avrebbe dovuto rimanere in quel paese, e magari ora sarebbe stato un buon padre di famiglia. La ragazza in quegli anni non era cambiata. Si era sposata, perché al dito portava la fede e a Primo dispiacque. La gente li lasciò soli, e si misero a parlare a lungo. Ammirò gli incantevoli occhi delle ragazza e sembrava che il tempo non fosse passato. La giovane gli disse che si era aspettata almeno qualche notizia da lui, o qualche lettera che non era mai arrivata. L’aveva tenuto nel suo cuore, ma non vedendo arrivare mai sue notizie, perse la speranza d’incontrarlo ancora. Si era trovata un giovane della sua età e aveva avuto due figli, e la sua vita era andata avanti. Carnera l’osservava, era ancora più bella, si era fatta donna, e il volto aveva assunto i lineamenti che solo la maternità poteva creare. Per un attimo chiuse gli occhi, ed immaginò di poter tornare indietro nel tempo. Carnera le prese una mano, e si sentì pervaso da una grande emozione, ma lei la ritirò subito, non voleva che si creassero dei fraintendimenti. 

La ragazza gli raccontò che era felice di vederlo e che gli dispiaceva che avesse perduto il titolo mondiale dei pesi massimi. La fama di Carnera non si era mai spenta in Francia. La giovane si alzò e andò a prendere una cartellina che conteneva dei ritagli di giornale che parlavano di lui e una loro foto scattata nel periodo in cui si frequentavano. Carnera sorrise e si emozionò, non aveva fatto nulla per cercarla, ma lei aveva continuato a raccogliere gli articoli scritti su di lui. Le chiese se era felice e gli rispose che la famiglia che aveva formato era la cosa più importante della sua vita e le riempiva il cuore di felicità. Suo marito era un pescatore, lavorava spesso lontano da casa e lo amava. Viveva in modo dignitoso che la appagava. Carnera avrebbe voluto stingerla a sé, come mille volte aveva fatto, ma ora non poteva. Prima di andarsene le donò una sua foto con dedica, e le chiese una foto di lei. Uscendo dal locale, pensò che aveva sbagliato a non portare avanti la loro relazione e che niente era più possibile. Non si può intaccare la felicità che gli altri avevano costruito, ma bisognava essere solo lieti per loro. Quella mattina lasciò che la malinconia lo avvolgesse, e si mise seduto su una panchina a meditare sul suo futuro. La boxe non gli prospettava un allettante avvenire, ma era costretto a salire sul ring solo per necessità economiche. 

Carnera aveva compreso che ormai era giunto al termine della sua carriera pugilistica. Il suo fisico era stato duramente messo alla prova e non nutriva più illusioni. Primo decise di pranzare in un trattoria che conosceva perché si era recato a mangiare anni prima. Si mise in un tavolino in un angolo del locale, seminascosto, ma gli avventori lo riconobbero subito e lo attorniarono con l’affetto di sempre. Primo non s’aspettava di vedere un suo amico che lavorava al circo, e si mise a mangiare con lui. Il circo aveva chiuso i battenti da molto tempo, e ora l’uomo viveva facendo piccoli lavori salutari, ma non si lamentava. Per anni quelli del circo avevano tentato di resistere, ma la crisi li mise al tappeto. Questa era la spietata legge della vita, a cui non si poteva scappare. L’uomo gli raccontò che gli altri si erano sistemati in giro per la Francia, e qualcuno era morto. Avevano sperato che la sua presenza dopo la vittoria del titolo mondiale potesse, almeno per alcune sere, far aumentare gli incassi. Il vecchio che si occupava degli animali, s’era portato a casa due asini e un cavallo che avevano trovato dimora nella vecchia fattoria dove abitava. Ogni tanto l’andava a trovare, e parlavano del periodo trascorso assieme nel circo e non dimenticavano di ricordare la grande affluenza di persone che era attirata dalla presenza di Carnera. L’amico si mostrò molto felice d’averlo rivisto. Mangiarono con allegria, Carnera non toccò un bicchiere di vino, ma nel contempo mangiò dell’ottimo cibo. 

Quando si salutarono Primo gli donò due biglietti per assistere all’incontro, uno era per l’amico che s’era ritirato in campagna. Primo rientrò in albergo che non era tardi e andò subito a dormire. Qualche giorno dopo si svolse il match in una sala dove aveva esordito per la prima volta e dove, anche, Paul Journée aveva combattuto. Il pubblico lo applaudì con molto entusiasmo, e per un attimo si sentì ancora un campione. Nel 1928 aveva trionfato e da allora erano passati solo nove anni. Il suo avversario sembrava intimorito per la presenza del gigante. Albert Di Maglio era un pugile che non sarebbe mai diventato un campione, ma era un onesto pugile che aveva accettato di battersi con Carnera per una buona borsa. Il Di Maglio non aveva molta esperienza, alla fine poteva essere un facile avversario. Le cose non andarono come gli organizzatori speravano. Il match finì dopo dieci riprese con la vittoria dell’italo-francese. Carnera comprese, quella sera, che la boxe era un capitolo chiuso. Prima di scendere dal ring si complimentò con il suo avversario, e questi ne fu lieto. Anche Paul Journée si era convinto che con la boxe Primo aveva chiuso. La campana era suonata. Nel camerino un vecchio cinese gli fece un massaggio alla spalla che gli faceva male. 

Gli fu pervenuto un biglietto vergato da una bella calligrafia che diceva : “Ti voglio bene campione”, dalla ragazza del bistrot che aveva assistito all’incontro. Per un solo attimo Carnera pensò a quella donna. Gli sarebbe piaciuto vivere in Francia, ma quella sconfitta aveva posto fine ai suoi sogni. Mentre attendeva di farsi la doccia, entrarono due amici con i quali aveva lavorato nel circo. Quella sorpresa lo rese contento. Costoro cercarono di consolarlo, di fargli attutire la tristezza che si era impossessata di lui, ma non ottennero il risultato sperato. Carnera li parlava con una voce flebile e malinconica ed era una lontana parvenza di quel grande personaggio che avevano conosciuto nel corso degli anni. Anche nei momenti difficili del circo il sorriso di Carnera non era mai assente, e riusciva a trovare sempre il lato positivo delle cose. Primo si congedò dai suoi amici. Il suo allenatore lo attendeva per cenare assieme. Questa volta non c’era un lussuoso albergo ad aspettarlo, ma una piccola e misera pensione. Gli organizzatori non gli proposero alcun incontro in Francia. Carnera non era più quello di prima, e quell’ultimo incontro era ben lontano dalle vittorie iniziali. Il pubblico che lo amava sempre era rimasto molto deluso. Primo, il giorno dopo, questa volta senza il suo allenatore e amico Paul Journée, se ne andava in Ungheria. Il suo allenatore gli aveva consigliato di lasciare il ring, non era che un pugile che sentiva il peso di quasi un centinaio di match. Carnera abbracciò il suo inseparabile amico per molti anni. 

Costui lo lasciava perché desiderava fermasi in Francia, la sua terra natia. Gli avevano, inoltre, proposto di allenare nella vecchia palestra dei pugili che sarebbero diventati professionisti. A Carnera gli voleva molto bene, e glielo dimostrò regalandogli una medaglia che aveva vinto nei primi tempi, quando i suoi pugni avevano contribuito a scrivere la storia della boxe francese. Alla stazione dei treni di Parigi si congedarono, mentre l’altoparlante annunciava il treno in partenza per Budapest, era l’ultimo gong del ring. Primo raggiunse la capitale con il cuore intristito, ma il match che l’attendeva avrebbe rimpinguato le sue finanze. Scese dal treno e fu attorniato da persone che lo riconobbe. Sui muri della città erano stati affissi dei manifesti che annunciavano l’incontro. Avrebbe dovuto affrontare Joseph Zupan, un pugile romeno, peso massimo, un avversario che Carnera non conosceva come gli era già capitato in passato di doversi battere con dei pugili sconosciuti. Il 4 dicembre 1937 Carnera sognava di tornare a casa con una vittoria, e in questo modo avrebbe potuto combattere ancora. Alloggiava poco distante dalla palestra in cui si allenava. La gente che andava ad assistere agli allenamenti non era tanta, e ciò gli permetteva di non perdere la concentrazione. 

Per la prima volta avrebbe combattuto senza avere all’angolo il suo angelo custode, Paul Journée, ed avrebbe, invece. trovato un vecchio pugile. Costui aveva girato il mondo con la boxe, con alterna fortuna, e aveva assunto l’impegno con molta serietà. Faceva compagnia a Carnera anche durante i pasti e, talvolta, gli fece visitare alcuni scorci della città, un mondo che il gigante non aveva mai visto. Quella borsa doveva guadagnarsela a tutti i costi, perché quei soldi sarebbero stati provvidenziali per lui. La sera del match non era al massimo della forma. Il pubblico in sala era molto, alcuni italiani erano stati in camerino a fargli gli auguri. L’incontro si concluse con una nuova sconfitta. “ Spera, con il guadagno che ritrarrà da questo incontro, di passare poi in Italia un felice Natale in compagnia dei suoi genitori. È tutta un’illusione! Durante l’incontro con l’ungherese, alla seconda ripresa Primo s’accascia al tappeto, dolorante. Viene contato k.o. ed occorrono quattro persone per rialzarlo, non potendocela fare da solo. Non è stordito. Accusa, però, un lancinante dolore al fianco sinistro, proprio nel punto dove è stato colpito dall’avversario, che così è riuscito a metterlo k.o. Naturalmente, sia il pubblico e sia l’organizzatore credono in una farsa, ma Primo viene accompagnato da sconosciuti all’ospedale per una visita di controllo che potesse consentire di individuare le ragioni di quel male. Aveva il rene sinistro con un’infezione galoppante. 

Doveva essere operato d’urgenza. Ecco Primo, rimasto solo, in un Paese a lui sconosciuto, dove si parla una lingua anch’essa sconosciuta, per lui che parla bene quattro idiomi. Nessuno s’interessa di ritirare il suo avere dall’organizzatore, mentre invece la Direzione dell’Ospedale si mette in comunicazione con l’Ambasciata d’Italia, per sapere chi avrebbe pagato il conto dell’operazione chirurgica cui Primo dovette essere sottoposto, se lo si voleva salvare. Dopo l’atto operatorio, Carnera si trovò senza mezzi per fare ritorno in Italia. Nè sapeva a chi rivolgersi e come fare per uscire dalla drammatica situazione. Per fortuna, l’Ambasciata d’Italia a Budapest s’era rivolta alle autorità del CONI. Venuto a conoscenza dei fatti, Benito Mussolini ordinò che il cassiere dell’Ambasciata d’Italia in Ungheria saldasse il conto dell’ospedale e consegnasse a Primo Carnera il biglietto per il viaggio in treno da Budapest fino a Sequals. 

Dieci giorni dopo, Primo rientrava a Sequals, fra le braccia di sua mamma, che erano giorni che l’aspettava senza mai riposare. Sembrava che fosse proprio arrivata la fine della carriera di Primo Carnera, se non addirittura la fine della sua vita, tante erano le disgrazie che si susseguivano. Abbattuto moralmente, economicamente senza un soldo, ma sorretto dall’affetto familiare, Primo rimase a Sequals sino a che poté liberalmente muoversi e cercarsi un lavoro, in modo da continuare la sua esistenza di buon campagnolo. Di tanto in tanto, i giornali parlavano di lui e ne descrivevano la fine sportiva. Qualche produttore cinematografico lo volle aiutare e gli offrì particine in diversi film, come “Maciste”, o come Primo Carnera. Tutto ciò gli consentiva di portare avanti la sua vita, in attesa di eventi migliori”.



( “Io e Primo- La vita de il gigante buono- Ed. Roma di Aldo Spoldi ).

mercoledì 21 luglio 2021

L'arte decorativa nei palazzi del potere a Roma

Siete gentilmente invitati

 a una nostra conferenza in presenza

che si svolgerà mercoledì 28 luglio 2021 alle ore 18,30

presso la Libreria Horafelix Roma

Evento dedicato all'

ARTE DECORATIVA NEI PALAZZI DEL POTERE A ROMA,

a Cento giorni dal Centenario del Milite Ignoto.

 


in calce il link e due allegati con le modalità di partecipazione.

Un'occasione per salutarCi prima delle 

FERIAE AUGUSTI.

Cordialmente.

Prof. Massimo Fulvio Finucci e D.ssa Clarissa Emilia Bafaro

 

LINK INFORMAZIONI CONFERENZA

https://www.consulpress.eu/conferenza-palatina-alla-libreria-horafelix/


domenica 18 luglio 2021

Castello di Racconigi apre percorso Visita privata di un Re

RACCONIGI (CUNEO), 16 LUG - Il Castello di Racconigi, una delle residenze sabaude meglio conservate in Piemonte, apre domani il nuovo percorso di visita "Vita privata di un Re". 

Si tratta di ambienti finora mai aperti al pubblico, restaurati con progetti e fondi attivati dall'associazione Le Terre dei Savoia, frutto di un lavoro di anni condiviso con la Direzione regionale Musei Piemonte del Ministero della cultura, già Polo Museale del Piemonte, e la direzione del Castello di Racconigi.

Al centro del percorso la figura del Re Carlo Alberto, nella dimensione più intima, attraverso gli spazi privati e della ritualità quotidiana, come la biblioteca o i bagni voluti dal sovrano.

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https://www.ansa.it/piemonte/notizie/2021/07/16/castello-di-racconigi-apre-percorso-visita-privata-di-un-re_0a814426-cfe8-4df0-90a3-321879471696.html

Capitolo XXXV : L’Argentina, l’ultima illusione.

di Emilio Del Bel Belluz. 

 Carnera sbarcò  in Argentina, ritrovò la vittoria e si sentì ancora un campione. Questa volta aveva vinto ai punti, ma in modo netto, e la conferma gli veniva data dai giornali che scrissero  pagine e pagine sul meritato risultato. La risalita era appena iniziata e subito gli proposero altri incontri, che con entusiasmo accettò. Dopo aver affrontato Campolo, avrebbe voluto far ritorno in Italia, ma questa decisione l’avrebbe allontanato dall’Argentina dove stava risalendo la china. Il popolo argentino lo amava e lo faceva sentire come a casa propria. Decise, quindi, di festeggiare il Santo Natale in Argentina, anche se dispiaciuto nel non poter essere assieme ai suoi familiari. Carnera non amava la solitudine e festeggiò con dei connazionali e il suo allenatore che gli permise in quell’occasione di trasgredire la sua ferrea dieta. A  Primo piaceva cantare delle melodie italiane accompagnate dalla sua inseparabile fisarmonica, ciò lo faceva sentire meglio. Il suo allenatore  gli fece presente che già a gennaio ci sarebbe stata la possibilità di combattere. Gli allenamenti lo impegnarono completamente. L’incontro si svolse in Brasile,  a San Paulo, e  Carnera si sbarazzò in sette riprese del suo avversario Harry Harris. Fu una vittoria convincente, in presenza di molti tifosi che gli manifestarono il loro calore. La sua popolarità era talmente grande che Carnera interrompeva  il traffico di San Paolo. La seconda vittoria dopo la caduta è ancora più bella. I giornali scrissero  che avrebbe dovuto incontrare Paulino Uzcudum e sarebbe stata la terza volta che si battevano. Carnera nei due combattimenti precedenti aveva sempre dominato. Ma le trattative non andarono a buon fine perché il pugile basco richiedeva una borsa molto più sostanziosa e non gli rimase che far ritorno in patria.  Carnera combatté, nel frattempo, a Rio De Janeiro dove si impose per Ko, alla sesta ripresa, contro un oriundo estone di 86 chili. In due settimane era salito sul ring due volte, riportando altrettante vittorie. Gli sembrava di ripercorrere i tempi passati in cui combatteva più volte al mese. Carnera si sentiva  nuovamente vincente, anche perché rassicurato sulle sue capacità fisiche da un addetto ai lavori, quale il suo allenatore.  La gente di Rio De Janeiro riempiva le strade per incontrarlo, e i migranti  italiani che vivevano in quella città erano felici di quel loro connazionale che aveva avuto fortuna. Non c’era italiano che non lo conoscesse, e la sua storia, era ormai diventata una leggenda. Carnera era felice del periodo che stava attraversando. Incontrava volentieri sia i tifosi che i giornalisti, anche la stampa americana continuava a scrivere su di lui. Il suo allenatore decise che era ora di tornare in America. In uno degli ultimi giorni di permanenza in Argentina ebbe  la gradita sorpresa di vedere esposto in vetrina un quaderno scolastico che sulla prima pagina riportava una sua foto e sull’ultima la sua biografia. Fu talmente entusiasta che ne comprò venti copie da donare a degli alunni di Sequals.  Una volta era stato a visitare una scuola elementare, frequentata da molti figli di italiani. La scuola era situata in un vecchio edificio, sistemato alla meglio. Intrattenne una classe raccontandole alcuni aneddoti sull’Italia. Questi bambini lo avevano ascoltato in silenzio, alla fine della sua visita tutti volevano stare con lui, e una carezza non l’aveva negata a nessuno.  Carnera era felice e comprò un centinaio degli stessi quaderni  Passò alcune ore a firmarli tutti. Il giorno dopo si recò alla scuola con un sacco, dove li aveva riposti, e d’accordo con la maestra donò a ciascun allievo una copia. I bambini contenti per ringraziarlo cantarono una canzone italiana. La maestra commossa promise a Carnera che avrebbe fatto fare un tema su di lui. Questa cosa piacque a Primo e alla fine della visita si incontrò con il sacerdote che dirigeva la scuola. Gli  consegnò una somma di denaro con la quale avrebbe potuto aiutare qualche ragazzo in difficoltà. Il sacerdote volle che visitasse il piccolo museo allestito dove avevano esposto delle foto che ritraevano degli italiani che avevano lasciato la loro patria. Nella mostra primeggiava anche la foto del pugile, nel giorno in cui divenne campione del mondo. Il vecchio sacerdote, accompagnando Carnera, lo ringraziò tanto per il suo nobile gesto e non nascose che gli sarebbe piaciuto che si fermasse in Argentina. Le porte dell’America si erano riaperte finalmente. Con sua grande meraviglia vide che i suoi tifosi lo cercavano ancora, come pure i giornalisti che volevano conoscere i suoi prossimi progetti. Ma Carnera   notò che nessuno scriveva sulla sua prossima rivincita contro Max Baer che si era eclissato, non mantenendo la promessa fatta dopo la sua vincita.  Il 15 marzo 1935  a New York disputò e vinse l’ incontro per Ko alla nona ripresa con il pugile d’origine italiana, Ray Impellettieri.  Carnera non  convinse molto, ma aggiunse un’altra vittoria al suo record.  In quello stesso periodo proposero a Carnera di risalire la classifica mondiale dei pesi massimi se avesse battuto il pugile Joe Luis che aveva ottenuto 22 vittorie,  delle quali ben 19 per Ko. Il pugile  era alto 1.86 e pesava 89 chili. Carnera era più alto di lui,  arrivava a quasi due metri, e pesava oltre 120 chili.  Carnera non ci pensò molto, dalla perdita del titolo era passato quasi un anno, e le ferite morali e fisiche sembravano essere superate. L’avventura in Sud America gli aveva fatto ritrovare entusiasmo e felicità. Carnera quindi decise di rimanere in America, e l’anno 1935 era iniziato bene. La sua meta tornava ad essere ambita. L’unica cosa che lo turbava era la nostalgia per i suoi familiari e compaesani che non li vedeva da un anno.  Quello che successe nelle settimane seguenti fu davvero importante. Dai giornali aveva appreso che Max Baer avrebbe difeso il titolo per la prima volta contro il pugile Jimmy Braddock, il 13 giugno 1935, lo stesso giorno, ma un anno dopo la sconfitta di Carnera. Primo incontrò casualmente Max Baer, ma costui non gli aveva più proposto la rivincita. Carnera  andò a vedere l’incontro tra il suo avversario Max Baer e lo sfidante Braddock. Quella sera davanti a tanta gente il campione Baer perdette il titolo mondiale,  e questo fu davvero un avvenimento. Max Baer venne battuto da un pugile che era riuscito nell’impresa dopo un momento difficile della sua vita.  Quella sera Primo andò a trovare nel camerino Baer, che appariva molto provato dall’incontro, ma non aveva perso la sua teatralità. Primo  Carnera gli strinse la mano, e gli dette una pacca sulla spalla. Furono poche le parole che i due si scambiarono. Lasciando gli spogliatoi un giornalista gli chiese cosa ne pensasse del nuovo campione e Carnera disse che era stato molto bravo e coraggioso. Primo sorrise, dicendo, che tra una decina di giorni sarebbe stato sul ring per combattere contro Joe Luis e sperava di vincere. Le cose non andarono come Primo sperava, e il 25 giugno allo Yankee Stadium, davanti a sessanta mila persone Carnera veniva travolto dalla furia di Joe Luis.    

sabato 17 luglio 2021

Congiure, spie, attentati. La lunga strada che portò alla caduta del fascismo

Un saggio di Paolo Cacace ricostruisce tutti i piani segreti prima del 25 luglio 1943

di Matteo Sacchi




Alle 2 e 30, nella notte del 25 luglio 1943, la lunga parabola politica di Benito Mussolini si schianta contro il muro della sfiducia, votata dal Gran consiglio del Fascismo. La vittoria della mozione presentata da Dino Grandi - 19 voti a favore, 7 contrari, 1 astenuto - e il successivo arresto, la mattina seguente, di Mussolini a Villa Savoia sono un turning point della Seconda guerra mondiale e quello che è accaduto nei convulsi giorni a seguire, sino all'armistizio dell'8 settembre, è stato studiato dagli storici con precisione certosina. Più difficile indagare il percorso che ha portato all'arresto dell'uomo che, per un ventennio, aveva controllato l'Italia. Come è stata costruita la tela di relazioni di Grandi, Presidente della camera dei fasci e delle corporazioni, per giungere al voto? Come hanno agito Vittorio Emanuele III e la corte ormai certi dell'impossibilità di continuare la guerra? Che ruolo hanno avuto i militari? Che ruolo hanno avuto i tedeschi visto che ormai si fidavano pochissimo della tenuta del fronte italiano? E soprattutto come è caduto Mussolini nella trappola della sfiducia di un organo che era solamente consultivo e che lui considerava ancora fondamentalmente malleabile?


[...]

www.ilgiornale.it

giovedì 15 luglio 2021

25 luglio 1943 fu colpo di stato ?


di Aldo A. Mola

“Lento pede” verso la verità storiografica

Ogni anno un piccolo passo avanti verso la verità sul 25 luglio 1943. Quel giorno, a conclusione di un colloquio di venti minuti iniziato alle 17 a Villa Savoia, Vittorio Emanuele III revocò Benito Mussolini da capo del governo e lo sostituì con il Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio. Secondo Luigi Salvatorelli e altri studiosi e polemisti fu il terzo “colpo di Stato” messo a segno dal sovrano in un trentennio, dopo la dichiarazione di guerra all'impero d'Austria-Ungheria il 24 maggio 1915 e l'insediamento del governo Mussolini il 31 ottobre 1922. In un saggio del 1953 Elio Lodolini denunciò La illegittimità del governo Badoglio (ed. Gastaldi). Troppi però trascurano che l'ingresso nella Grande Guerra fu previamente approvato dal Parlamento e che il 16 novembre 1922 il governo Mussolini alla Camera ebbe il voto favorevole di tutti i partiti costituzionali, i cui rappresentanti del resto ne facevano parte, compresi i popolari di don Sturzo, i demosociali di Colonna di Cesarò e i demoliberali capitanati da Giolitti, Orlando, Salandra, e ottenne il “si” quasi unanime del Senato.

Re costituzionale, Vittorio Emanuele III operò con l'avallo delle Camere sulla base dei poteri di “capo supremo dello Stato” e comandante delle forze armate, come stabilito dall'articolo 5 dello Statuto promulgato da Carlo Alberto il 4 marzo 1848. Il 25 luglio fu un'eccezione e in quali termini? La revoca di Mussolini da capo del governo può essere imputata al re quale arbitrio incostituzionale? Il sovrano abusò del regio potere sostituendo il duce con il duca di Addis Abeba?

In Come muore un regime. Il fascismo verso il 25 luglio (ed. il Mulino) Paolo Cacace, studioso di istituzioni e politica estera e autore dell'intrigante saggio Quando Mussolini rischiò di morire (ed. Fazi), mira a mettere ordine nelle “cordate” che lavorarono al “cambio” al vertice del governo di un'Italia ormai militarmente sconfitta, con la Sicilia già invasa dagli anglo-americani e dopo il bombardamento dell'aviazione americana su Roma il 19 luglio, proprio mentre Mussolini incontrava per l'ennesima volta Hitler, precisamente nella villa dell'industriale e finanziere Achille Gaggia, non lontano da Feltre, raggiunta dai due in aereo sino a Treviso, in treno fino a Feltre e infine in auto.

Pressato dai vertici delle forze armate, il duce si proponeva di chiedere che, con i buoni uffici del Giappone (in guerra contro gli USA e i suoi alleati occidentali ma non contro la Russia), la Germania imboccasse la via di un armistizio con Stalin per rovesciare la sua potenza di fuoco verso il Mediterraneo. Diversamente l'Italia, ormai soccombente e con armate disperse all'estero, sarebbe stata costretta a una pace separata. Hitler, invece, ancora sicuro di sconfiggere i sovietici (che proprio in quei giorni lanciarono l'offensiva vincente) e famelicamente bisognoso di sfruttare le risorse delle terre soggiogate, per due ore deplorò la resa degli italiani in Sicilia, a volte quasi senza combattere, e prospettò la completa subordinazione delle loro infide a generali tedeschi. L'incontro si risolse in un monologo di Hitler, che ventilò anche il possesso di armi segrete invincibili: le future V1 e V2, mentre però gli USA lavoravano all'atomica.

Rientrato pilotando personalmente l’aereo nella Roma sconvolta dai bombardieri statunitensi (3.000 morti, 10.000 feriti, rovine immense nel quartiere San Lorenzo), Mussolini dichiarò al generale Vittorio Ambrosio, capo di stato maggiore generale, di voler a scrivere a Hitler quanto non gli aveva detto nell’incontro. Troppo tardi...

 

  Nel paragrafo “bombe nella villa degli arcani”, Cacace torna a indagare sull'attentato ordito dal maggiore Cesare Del Vecchio e dal capitano Antonio Giuriolo (ufficiali degli alpini reduci dalla campagna di Russia) per uccidere il fuehrer e il duce al loro arrivo a Villa Gaggia; attentato sfumato perché, con i commilitoni pronti ad agire, essi vennero trasferiti altrove pochi giorni prima del convegno. In pagine dense di allusioni e di “forse”, l'autore ripercorre il reticolo di vaghe connivenze tra militari, esponenti del partito d'azione, socialisti, repubblicani, come Cino Macrelli, accenna a un colloquio tra l'insigne latinista Concetto Marchesi, comunista, e il generale Raffaele Cadorna e conclude che secondo l'azionista Ugo La Malfa fu il Vaticano a imporre l'“alt” all'esecuzione del “colpaccio”. Aggiunge, quasi per inciso, che l'intrigo era forse noto a Giuseppe Bottai, il gerarca (stranamente antisemita) che legò il nome alla Carta della Scuola.

 

Quanti “figli della Vedova” nel Gran Consiglio...

Generoso dispensatore dell'etichetta di massone a politici, militari e grandi affaristi (Vittorio Emanuele Orlando, a sua detta addirittura affiliato alla loggia “Propaganda massonica” del Grande Oriente d'Italia; Pietro Badoglio, classificato come “massone coperto”; Armando Diaz, “in odore di loggia”; Giuseppe Volpi e Vittorio Cini, entrambi intrinseci di Angelo Gaggia, e un lungo elenco di generali la cui iniziazione in realtà non è affatto documentata), Cacace non scrive che, a differenza dei predetti, proprio Bottai, “dottore in giurisprudenza, residente a Roma in via Ancona 65”, il 20 aprile 1920 era stato iniziato “apprendista massone” nell'“officina” romana “La Forgia”, all'obbedienza della Serenissima Gran Loggia d'Italia (GLI) e fu radiato per morosità il 19 maggio 1923, dopo la dichiarazione di incompatibilità tra fasci e grembiulini, deliberata dal Gran Consiglio del Fascismo su impulso dei nazionalisti e con la consulenza di un ex sacerdote che per validi motivi Mussolini evitava di incrociare e si guardava dal nominare.

Poiché la storiografia si fonda sul vaglio di documenti anziché su frammenti di memorie spesso più difensive che oggettive, né si basa su elucubrazioni e fantasiose illazioni, Cacace separa scrupolosamente il grano dei “fatti accertati” dal loglio di quelli meramente “supposti”, con l'intento di rispondere alla domanda fondamentale sul 25 luglio 1943: chi davvero preparò e quando decise la sostituzione di Mussolini con Badoglio?

Al netto di progetti di minor portata e di propositi che si esaurirono o non ottennero alcun risultato pratico (rientrano in tale ambito i contatti instaurati tra la Principessa di Piemonte, Maria José, verosimilmente non all'insaputa del principe ereditario, Umberto, il sostituto segretario di Stato vaticano monsignor Giovanni Battista Montini e taluni notabili dell'antifascismo incluso Concetto Marchesi), fermo restando che i partiti (incluso il comunista) erano ancora del tutto privi di organizzazione adeguata e di effettiva incidenza sul corso degli eventi, le “cordate” principali in azione per il riassetto o il “cambio” al vertice del governo sono tre. Anzitutto i componenti del Gran consiglio del fascismo, la massoneria e i militari. Benché si possa parlare di “filiere” separate e preso atto che ciascuna di esse procedette nel massimo riserbo, ognuna ignara delle altre se non per cenni confidenzialmente scambiati tra taluni loro componenti, senza però che l'una conoscesse protagonisti e progetti dell'altra (farsi scoprire comportava finire agli arresti o peggio...), in una visione sintetica della loro trama si evince che tutte e tre facevano comunque conto sull'intervento risolutore del Re quale referente ultimo della loro iniziativa.

Procedendo per sommi capi e senza quindi privare il lettore del piacere di addentrarsi nei meandri esplorati da Cacace, la “cordata” più visibile e ripetutamente indagata fu quella allestita da Dino Grandi, conte di Mordano, proto-fascista, a lungo ambasciatore a Londra, presidente della Camera dei deputati, in convergenza con Giuseppe Bottai e con Luigi Federzoni, nazionalista, dal 1929 al 1939 presidente del Senato e massonofobo. Da quella prima intesa nacque la richiesta a Mussolini di convocazione del Gran Consiglio, dal 1928 elevato a “organo della rivoluzione fascista”, che non si radunava dal 7 dicembre 1939, cioè da prima dell'ingresso dell'Italia in una guerra che da “parallela” divenne via via “subalterna” rispetto a quella della Germania. Anche il filotedesco Roberto Farinacci, “ras di Cremona”, razzista oltranzista, e il chiassoso segretario del partito nazionale fascista, Carlo Scorza, si unirono nella richiesta della convocazione, suggerita da Vittorio Emanuele III a Grandi come “un surrogato del Parlamento”. Le Camere non venivano convocate neppure dinnanzi alla catastrofe militare imminente, a differenza di quanto era avvenuto nel novembre 1917, quando istituzioni e “politica” risposero al disastro di Caporetto con un governo nuovo e l'intervento solenne degli ex presidenti del Consiglio (Salandra, Boselli e Giolitti) in una seduta durante la quale Filippo Turati dichiarò che anche per i socialisti la Patria era sul Piave.

A differenza di quanto spesso ripetuto, l'ordine del giorno illustrato da Grandi alle 17 del 24 luglio dinnanzi al Gran Consiglio radunato nella sala del Pappagallo a Palazzo Venezia, in una Roma angosciata e deserta, non prospettò affatto la fine del fascismo, né (a differenza di quanto asserito da Emilio Gentile) l'“eutanasia del regime”, ma semplicemente l’assunzione del comando delle forze armate da parte del sovrano, la nomina di titolari dei ministeri militari (fagocitati da Mussolini, capo del governo e ministro dell'Interno e degli Esteri), l'appello alla resistenza militare in costanza delle istituzioni del regime, a cominciare dal Gran Consiglio stesso, e la configurazione del ruolo politico del duce, la cui sostituzione né Grandi né quanti approvarono il suo ordine del giorno (compreso Galeazzo Ciano, genero di Mussolini) esplicitamente proposero. Non per caso, dopo poche ore di sonno a Villa Torlonia, la mattina del 25 il duce tornò a Palazzo Venezia nella convinzione di avere ancora in pugno il governo del Paese. In quella convinzione sollecitò e ottenne udienza dal Re alle 17 a Villa Savoia, anticipando di poche ore quella ordinaria, prevista per l'indomani.

 

Per motivi di cui poco oltre diciamo, non è il caso di insistere sull'antica affiliazione massonica di parecchi componenti del Gran Consiglio e meno ancora di insinuare il massonismo di chi sino a prova contraria non fu mai iniziato. È il caso dei due quadrumviri superstiti, Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon ed Emilio De Bono.

Che Giacomo Acerbo, Giuseppe Bottai, Alfredo De Marsico (dal 1911), Roberto Farinacci, Giovanni Marinelli ed Edmondo Rossoni, in tempi remoti e per diversa durata, fossero stati in logge del Grande Oriente d'Italia (GOI) o della Gran Loggia d'Italia (GLI) non consente di dedurne che fossero in combutta in quanto massoni. Solo nel corso della seduta alcuni “fratelli” aggiunsero la loro alla firma dei proponenti originari. Indurre la consonanza di vedute tra gerarchi solo perché “figli della Vedova” (ovvero massoni) comporterebbe induzioni e deduzioni su fatti mai acclarati: anzitutto erano a conoscenza gli uni degli altri dell'antica militanza in Comunità contrapposte in contese poco fraterne e duramente competitive come quelle guidate da Domizio Torrigiani e da Raoul Palermi? Avevano, e quale, un abbozzò di progetto unitario che li accomunasse al quartetto Grandi-Federzoni-Bottai-Ciano, massonofagi o massoni pentiti? A profittare del loro pronunciamento, come Grandi stesso apprese con amarezza, sarebbe stato il successore in pectore di Mussolini, il maresciallo Badoglio che taluni, riecheggiati da Cacace, classificano “massone coperto” o “non dichiarato”, ma senza produrre alcun documento probante.

 

e con le Stellette

Del pari, mentre è assodata l'iniziazione del maresciallo Ugo Cavallero (sia al GOI, sia alla GLI), notoriamente antagonista di Badoglio, il quale lasciò sulla scrivania in bella evidenza il “memoriale” che gli costò la vita (venne “suicidato” da Kesselring perché rifiutò di assumere il comando di un esercito italiano succubo dei tedeschi), del generale Giacomo Carboni e di altri minori protagonisti del “colpo di Stato”, come il generale Soleti e (molto importante) il Maresciallo Messe, caduto prigioniero degli inglesi e futuro capo di stato maggiore generale, manca qualunque prova di appartenenza massonica dei capi della “cordata” militare. Questa risultò la principale e vincente, in convergenza con il duca Pietro d'Acquarone, ministro della Real Casa di Vittorio Emanuele III. Essa fu incardinata sul capo di stato maggiore generale Vittorio Ambrosio e i suoi fidatissimi collaboratori, quale il giovane e fattivo Giuseppe Castellano, nessuno dei quali risulta massone, come non lo era il Maresciallo Enrico Caviglia benché pare che il Re non l'abbia preferito a Badoglio proprio perché non voleva si dicesse che la sostituzione di Mussolini riportava al potere la massoneria.

Meriterebbe un'ampia evocazione il ruolo svolto a ridosso del 24-25 luglio da Domenico Maiocco, capofila della Massoneria Italiana Unificata (biografato dal colonnello Antonino Zarcone), solerte tramite fra massoni, gerarchi di sicura sponda monarchica (come De Vecchi e Alfieri) e Ivanoe Bonomi, che guidava le forze antifasciste “aventiniane” con Marcelo Soleri (mai aventiniano né massone, a differenza di quanto afferma Cacace). Del pari va ricordato che il padre di Federico Comandini, nella cui abitazione venne fondato il Partito d'azione, era Ubaldo, repubblicano intransigente e massone nella loggia di Cesena. Insomma, a lungo costretta al sonno e con labili legami con le Comunità d'Oltrape, d'oltre Manica e oltre Atlantico, la massoneria in Italia, appena affiorante, non aveva affatto un progetto univoco.

Importa invece arrivare alla conclusione, cui conduce il materiale innovativo proposto da Paolo Cacace. Il vero regista del “cambio” fu l'impenetrabile Vittorio Emanuele III, unico vero interlocutore degli Alleati, in specie degli inglesi, consci che il sovrano era il garante della continuità dello Stato d'Italia, la cui legalità internazionale e interna poggiava su forze armate e corpo diplomatico.

Il disegno del Re era chiaro: ottenere che l'Italia potesse arrendersi e ottenere un “armistizio” (cioè la “tregua” delle armi) come il 9 settembre i giornali denominarono la “resa senza condizioni” (surrender), subita dopo le intricate trattative condotte da Giuseppe Castellano e firmate a Cassibile. Nello strumento della resa gli anglo-americani ordinarono all'Italia la “defascistizzazione”, altra cosa dalla “epurazione”, inventata per arruffate ragioni etiche da chi voleva scaricare sulla sola Corona il passivo della guerra e far dimenticare di aver votato a favore di Mussolini o di essere longa manus di Stalin.

 

Non fu “colpo di Stato”

Il 25 luglio fu dunque un “colpo di Stato”? La risposta è no. Vittorio Emanuele III esercitò il potere secondo l'articolo 65 dello Statuto: “Il Re nomina e revoca i suoi ministri”. Come a suo tempo osservò Luigi Einaudi, monarchico e presidente della Repubblica, il Re mostrò che “la prerogativa sovrana può e deve rimanere dormiente per lunghi decenni e risvegliarsi nei rarissimi momenti nei quali la voce unanime, anche se tacita, del popolo gli chiede di farsi innanzi a risolvere una situazione che gli eletti del popolo da sé non sono capaci di affrontare o per stabilire l'osservanza della legge fondamentale, violata nella sostanza, anche se osservata nell'apparenza”. L'Italia non era una “diarchia”, ma una “monarchia costituzionale”. Il Re fece quel che la Camera dei fasci e delle corporazioni, prona al duce, non seppe intraprendere. Venne implicitamente sollecitato dai 63 senatori che il 22 luglio chiesero la convocazione della Camera Alta. Il Gran Consiglio operò solo da “surrogato”. Cinque suoi componenti, condannati per alto tradimento, pagarono con la vita al Poligono di tiro di Verona per squallida vendetta di chi cercava tardivi meriti agli occhi di Hitler... Va loro tributato rispetto per quella iniqua fine, che non è l'ultimo dei motivi del sanguinoso epilogo della Repubblica sociale italiana. Alle 17 del 25 luglio 1943 Vittorio Emanuele III si era fatto garante della sicurezza personale del duce, che infatti non venne “arrestato” ma “fermato” e per scritto si dichiarò pronto a collaborare con Badoglio. Poi la storia ebbe altro corso...

Aldo A. Mola

 

DIDASCALIA: Vittorio Emanuele III (Napoli, 11 novembre 1869 - Alessandria d'Egitto, 28 dicembre 1947), Re d'Italia (20 luglio 1900 - 9 maggio 1946). La sua Salma riposa nel silenzio della Basilica di Vicoforte con quella della Consorte, la Regina Elena.

lunedì 12 luglio 2021

CAPITOLO XXXIV: La perdita del titolo mondiale.

di Emilio Del Bel Belluz


Dopo  la seconda  difesa del titolo mondiale Carnera appariva abbastanza tranquillo, ormai era un personaggio famoso sia in patria, sia in America. La gente lo amava, specialmente gli italiani sparsi in tutto il mondo. Era considerato un mito per tanta gente. Gli piaceva sapere che le persone povere avrebbero voluto avere un caro amico come lui, e anche i bambini amavano  Carnera, lo consideravano un eroe da chiamare nei momenti di difficoltà. Qualche bambino sognava Carnera, come se fosse suo padre, e magari avrebbe voluto che lo accompagnasse a scuola. Primo leggeva spesso le lettere che gli mandavano i bambini, gli piacevano anche i disegni che gli inviavano e spesso lo ritraevano  con dei muscoli possenti come Braccio di Ferro, con la differenza che Primo amava mangiare delle grandi bistecche nelle settimane che precedevano il combattimento. I giornali scrivevano di un possibile match contro Max Baer, un pugile molto quotato che aveva conosciuto sul set cinematografico assieme a Mirna Loy, durante le riprese del film: L’idolo delle donne .Con questo film Carnera che era già conosciuto divenne ancora più popolare. Baer  rappresentava un pugile che sfidava il campione Carnera, e quest’ultimo veniva sconfitto sul ring. Ciò infastidì tantissimo  Primo, a tal punto che non voleva più fare la pellicola, ma a convincerlo fu il compenso di 25 mila dollari che era considerato una fortuna per chiunque. Il film si fece, ebbe molto successo d’incassi e tutto filò liscio. Una cosa Carnera non l’aveva messa in conto, cioè la possibilità che ebbe Baer di scoprire i punti deboli nello boxare del campione, come pure il suo carattere.  Carnera era un uomo calmo, tranquillo il contrario di Max che era una persona giocherellona, simpatica, che stuzzicava,  anche sul set del film, il campione.  I giornali confermavano l’incontro e la data: il 14 giugno a Long Island. Max Baer fece delle dichiarazioni ai giornalisti in cui affermava  che avrebbe battuto il campione e gli avrebbe strappato la corona mondiale, ponendo fine alla sua carriera. Il suo era un gioco psicologico, che aveva iniziato già sul set.  In Italia si continuava a parlare di Carnera, e molti giornalisti scrivevano che Carnera sarebbe riuscito a vincere anche il suo nuovo sfidante. La fiducia sulla vittoria del campione era diffusa, tanto che veniva dato per favorito. L’affluenza di pubblico durante i suoi allenamenti era altissima, come pure la presenza della stampa, sempre in attesa di nuove interviste. Il vecchio allenatore che lo aveva seguito ovunque in quegli anni, raccomandava a Primo la massima concentrazione. Negli ultimi giorni prima del match gli chiese di intensificare i suoi colpi. 
Il 14 giugno doveva stendere il suo avversario, metterlo Ko nelle prime riprese, e fargli pagare tutte le battute che diceva su di lui. Anche se lo spettacolo sarebbe stato soddisfacente per i tifosi solo se durava a lungo. La sera prima del match Carnera ebbe la possibilità di sentire sua madre e si informò se lo stato di salute di suo padre fosse migliorato dopo un malanno di stagione. La povera donna gli raccomandò di non essere troppo duro sul ring, aveva ancora nel cuore il volto della mamma di Ernie, e pregava spesso per lui. Gli disse anche che il parroco lo mandava a salutare e che talvolta si fermava con loro a mangiare e a parlare di lui. Quella sera dopo il colloquio con la madre  si sentì più felice, la sua voce lo aveva commosso. Quanto avrebbe voluto che la sua mamma fosse con lui. Nella casa di Primo c’era una foto che la raffigurava davanti al caminetto a ricamare, una sua grande passione. Nella stanza il fuoco illuminava il suo volto, era un pilastro della famiglia, a cui Carnera teneva molto assieme ad altri valori saldi, quali Dio e la patria. Primo nella sua stanza riviveva con la mente gli ultimi avvenimenti che lo avevano entusiasmato: la corona mondiale, l’incontro con Mussolini, i suoi figli, e il match a Roma, davanti a una grande folla.  Carnera sognava ad occhi aperti steso sul letto, stanco dell’allenamento che aveva concluso  da poco. Il match si avvicinava e qualcuno aveva scritto sui giornali che il campione non godeva di buona salute, ma era solo una falsa notizia. Baer, dal canto suo, continuava a offenderlo con parole spregiative. La sera del 14 giugno 1934 Carnera fece il suo ingresso sul ring, tenendo tra le mani la bandiera Sabauda. Fu accolto con tripudio dalla gente che sventolava il tricolore. I guantoni si alzarono al cielo per salutare la folla in delirio. Nel suo cuore pensò ai tanti italiani presenti che avevano riposto le loro speranze su di lui. Il Duce avrebbe seguito la cronaca alla radio, come pure gli abitanti del suo paese. L’arbitro chiamò i due pugili al centro del ring, facendoli le solite raccomandazioni. Carnera guardò  negli occhi il suo avversario, non gli aveva mai dimostrato odio, il ring era solo il posto dove si misurava la forza dei pugili. Il match ebbe inizio. “Gong. Carnera sta nella sua guardia eretta, con il sinistro proteso. Baer va all’attacco . 
Mulinello di guantoni. Parte un improvviso swing destro e Carnera è colpito al mento. Arretra barcollando, cade a terra. Cade male. Stupore, meraviglia. Ma Carnera, qui è il suo grande errore, non lascia all’arbitro il tempo di contarlo. Si rialza subito. Il californiano gli è addosso come una furia e lo colpisce di nuovo. Primo cade sulle corde che gli impediscono di precipitare fuori dal ring. Si solleva stordito. La sua vista è annebbiata. Il momento è drammatico. Il campione è alla mercede dello sfidante. Lo salva la campana. Peggio di così non poteva cominciare. Seguiamo la cronaca trasmessa dal corrispondente,della “ Rosea”, Carlo Giovanardi. Secondo Round. Baer riprende subito a sparare tremendi colpi sul volto di Carnera che lo avvinghia e lo paralizza con una stretta possente. Cadono entrambi. Breve sospensione delle ostilità. Si alzano, si rimettono in guardia e Baer torna a sferrare i suoi destri. Carnera ne para uno, due, e il terzo lo riceve in pieno. Cade di nuovo. Sullo slancio, Baer incespica nel corpo di Carnera e perde anche lui l’equilibrio. La lotta è animalesca. L’italiano sembra riprendersi. Lavora infatti con calma e precisione, manovrando la sua arma migliore, il diretto sinistro. Sorpreso, Baer segna il passo. Ma prima del gong centra ancora il mento di Carnera che vacilla. Terzo round. Forse Carnera ha superato la terribile crisi. Baer si mantiene aggressivo ma il nostro campione lo tiene lontano con il sinistro. Baer insiste, spinge l’avversario in un angolo e torna a colpirlo. La punizione è severa. Carnera cade. E Baer non cessa di tempestarlo. L’arbitro si oppone. Segue un furibondo corpo a corpo. Gli italiani di Brooklyn incoraggiano a gran voce il povero golia che si scuote, finalmente. Nella quarta ripresa Carnera è più sicuro, boxa meglio, con più precisione. Due sinistri di Baer vanno fuori. Invece Carnera centra due destri di eccellente fattura. Baer è affaticato. Però non abbandona il suo atteggiamento di guappo e invita Primo ad attaccare.  Carnera risponde alle provocazioni piazzando precisi sinistri alla faccia. Netta superiorità di Carnera. Che il match stia cambiando musica? All’inizio della quinta ripresa Carnera porta sette sistri consecutivi senza che una sola risposta di Baer  interrompa la serie. Poi, d’un lampo, Baer reagisce. Uno – due al mento, un destro al fianco, uno swing destro al viso. Carnera sanguina dal naso e Baer non lo molla, bersagliandolo alla figura. Carnera ha una fiammata d’orgoglio e costringe Baer nell’angolo, ma quello si sottrae abilmente e termina la ripresa con un micidiale swing sinistro. Sesto round. Baer continua l’offensiva a tutto spiano. Non è più preciso come all’inizio, è logico, ma Carnera ne soffre ugualmente. L’italiano risponde con rabbia a un insulto dell’avversario e Baer gli saltella intorno a guardia bassa, prendendolo in giro, continuando ad insultarlo. Nel settimo round Baer si ripete ma Carnera rimane calmo. L’emorragia è cessata. Il gigante trova la forza di partire all’attacco. Vantaggio suo. Ottava ripresa. Il dominio di Baer è completo. Appena decide di premere l’acceleratore colpisce come e quando vuole. Ormai ha accumulato tanti di quei punti che Carnera, per non perdere la corona, può sperare solo in un Ko. 
Il nostro rappresentante cerca il colpo risolutivo e qualche pugno riesce a piazzarlo con felice scelta di tempo, ma i suoi muscoli non hanno più l’energia necessaria per stendere l’implacabile americano. Nella nona, Carnera dimostra stupende qualità di resistenza. Boxa di nuovo con sicurezza, e invita Baer a farsi avanti . Ma Baer non abbocca, conosce i trucchi. C’è anche un breve intermezzo di lotta greco-romana: Max si scioglie sparando due bellissimi destri. In questo match se ne vedono di tutti i colori. Nella decima ripresa, la scena madre. Baer produce lo sforzo finale. Scatta in avanti e piazza due destri tremendi. Le gambe di Carnera si piegano. Il campione si appoggia alle corde ma Baer non gli dà tregua. Carnera si aggrappa. Baer lo respinge e, presa la distanza, lo colpisce ancora. E’ un massacro. Allo stremo delle forze, l’italiano si affloscia a terra invece di riprendere fiato torna subito in piedi. Un istante prima del gong, Carnera cade ancora, folgorato da un destro al mento. Soresi accorre con il suo aiutante e insieme lo trasportano quasi di peso nell’angolo. Undicesima ripresa. Il campione non si muove più, è un bersaglio fisso. E Baer lo incalza per distruggerlo. Carnera barcolla. Baer lo atterra altre due volte. Perché continuare? Il pubblico protesta contro l’arbitro. E Donovan, dopo che Carnera gli ha rivolto qualche parola, interrompe il combattimento. Max Baer ha vinto per Ko tecnico. Carnera deve abbandonare la corona. Il divo Californiano lo sostituisce sul trono di pesi massimi. Tutta l’America si leva in piedi, esultante. Il titolo numero uno del pugilato è tornato negli Stati Uniti”. (Primo Carnera – L’uomo più forte del mondo – Mondadori- di Aldo Santini )  Il match si concluse, era stato  il calvario di un uomo coraggioso, perché Primo era sempre stato un uomo tenace e determinato. Il buon Primo,  s’avvicinò al campione per complimentarsi con lui. Era esausto, triste,  avrebbe voluto non assistere mai a quel momento, l’unica consolazione era data dall’aver dato il meglio di sé stesso. 
La gente, dopo la proclamazione, applaudì il  vincitore, ma  i tanti italiani presenti facevano sventolare le bandiere della loro patria. Primo era assieme al suo allenatore che lo fece scendere dal ring, era zoppicante, faceva fatica a camminare, per i forti dolori alla caviglia fratturata di destra.  Quell’infortunio accaduto alla seconda ripresa compromise lo svolgimento del combattimento. Carnera venne visitato nei camerini dal medico, che consigliò il ricovero in ospedale. Fuori dagli spogliatoi i giornalisti erano tutti attorno a Max Baer, ora era lui il nuovo campione del mondo. Paul Journée  lo consolava dicendogli che Baer gli avrebbe dato la possibilità della rivincita. Primo andò con il pensiero all’anno prima, quando divenne campione del mondo e in quel momento nel suo camerino entrò proprio Jack Sharkey, lo sfidante sconfitto.  Jack gli disse parole di conforto, e  di stima. Gli ricordò che aveva perso una battaglia, ma non la guerra  e che il coraggio di un uomo era sempre quello che dimostrava dopo una caduta. All’ospedale vi giunse con una ambulanza, era la prima volta che vi saliva, e questo particolare lo fece riflettere. Il dolore fisco si faceva sentire, le tante volte che era andato al tappeto gli avevano fatto male. Rannicchiato sull’ambulanza stretta e corta, gli fece pensare a quanto amara poteva essere la vita. Solo qualche ora prima disponeva di una grande fiducia in sé stesso, che ora aveva perduto, si sentiva umiliato, stanco senza sperare che il riposo lo avrebbe vinto dall’angoscia di vivere. Mentre l’ambulanza lo portava in ospedale ebbe, perfino, il tempo per pensare a quello  che era capitato al buon Ernie Shaaf, a quanta sfortuna aveva avuto, e al loro legame spirituale che non si sarebbe mai interrotto. Carnera pensò che pure Ernie, moribondo era andato all’ospedale, ma  il suo destino era ormai segnato, e non si riprese più. Il sentiero della vita lo aveva percorso troppo in fretta, il buon Dio lo aveva voluto con sé. Ma il forte dolore alla caviglia lo riportò subito alla realtà e non vedeva l’ora di arrivare in ospedale. Tra le persone che lo accolsero, v’era un’infermiera giovane, d’origine italiana. 
Dalla radio aveva saputo che il campione era stato sconfitto, era il primo volto sorridente che incontrava dopo aver perso, e questo lo tranquillizzò. Fu sottoposto a delle radiografie. Successivamente la giovane italiana, che viveva da molti anni in America  volle rimanere con lui. Carnera venne a sapere che si chiamava Angela, era nata a Napoli, e con la famiglia da bambina era arrivata in America. La giovane si occupò di Carnera portandogli del ghiaccio da porre sulla caviglia tumefatta.  La buona Angela si preoccupò anche delle ferite che  il campione aveva  sul volto. Carnera non smetteva di pensare a come si fosse concluso  il match. La giovane gli portò del cibo, che Primo gradì moltissimo.  Dopo il match di solito i pugili si ritrovano a mangiare, e sicuramente Max Baer sarà stato a festeggiare con i suoi amici, e con i tanti giornalisti che gli avranno fatto cento domande. Per un attimo ripensò alla pellicola che aveva girato con Baer, in cui perdeva. Alle volte i film possono prevedere  la cruda realtà. La ragazza gli disse di essere onorata di potersi occupare di lui e con modi affabili gli rivelò di essere dispiaciuta che il suo turno lavorativo stesse per finire. Carnera le sorrise, ma non seppe nascondere  una smorfia di dolore. Era stato contento delle espressioni di vicinanza della ragazza. L’infermiera lo salutò con un sorriso e se avesse  potuto l’avrebbe baciato, ma durante il lavoro non era concessa nessuna manifestazione d’affetto. Carnera la salutò, e mentre se ne stava andando le disse che sperava di  rivederla. Carnera in quella stanza non aveva visto che medici e infermieri, ma nessuno del suo staff,con grande dispiacere, era venuto a fargli visita.  Nella stanza silenziosa, Primo osservò il crocifisso che gli stava di fronte, e si mise a recitare una preghiera. Gli sarebbe  piaciuto essere in Italia, perché la presenza di sua madre poteva essergli di grande conforto; ma il buon Dio aveva già fatto un piccolo miracolo mandandogli  Angela. L’indomani, Max Baer assieme a dei giornalisti venne per informarsi sul trauma alla caviglia che era stata ingessata. 
Max strinse la mano a Carnera, dicendogli che gli avrebbe concesso la rivincita nei prossimi mesi, ma nel dirlo sembrava poco convincente. Primo sorrise, sapendo che il suo avversario era incapace di mantenere le promesse. In cuor suo Carnera sperava in quella rivincita, anche se prevedeva un verdetto infausto. Prima d’avere una nuova possibilità di battersi per il mondiale, avrebbe dovuto fare alcuni incontri per dimostrare che non era finito. Max rimase nella stanza per una buona mezz’ora, si vedeva che doveva aver passato la sua prima notte di campione festeggiando con del buon cibo e con delle donne, lo si sentiva dal profumo che emanavano i suoi vestiti.  Carnera dichiarò ai giornalisti che aveva sofferto molto dopo il trauma alla caviglia e che questo gli aveva impedito di portare avanti il match come avrebbe voluto.  Primo elogiò  Max  per aver condotto un buon combattimento. Il nuovo campione sorrise,  e volle farsi una foto vicino al letto del suo avversario, stringendogli la mano. I  giornali italiani scrissero della sconfitta inaspettata del campione. I suoi connazionali lo avrebbero voluto sul gradino più alto del podio per almeno dieci anni, ma la vittoria è imprevedibile. A Carnera dispiaceva di non aver vinto perché il Duce se l’aspettava vittorioso.  Primo rimase  in quell’ospedale per qualche giorno, e la  caviglia non gli faceva più tanto male. In quel posto lo trattarono tutti molto bene. Alcuni pazienti erano venuti a trovarlo, fieri di poter raccontare agli amici d’aver incontrato Carnera. I giornalisti dopo i primi giorni non si fecero più vedere,  e i giornali parlavano solo del nuovo campione. Carnera lesse un’ intervista rilasciata da Max Baer e riportata su un giornale sportivo: “ Fin da quando ho conosciuto Carnera mi sono sentito sicuro di poterlo battere e ne ho dato la prova. Sono contento che l’arbitro abbia deciso di sospendere il match perché Primo aveva ricevuto una severissima punizione. Se gli avessi allungato qualche altro pugno temo che sarebbe finito all’ospedale. E’ stato il più facile incontro della mia carriera. Carnera non mi ha mai colpito seriamente, eccettuato nella sesta o nell’ottava ripresa, quando mi raggiunse con un  uppercut nel quale aveva messo tutta la sua forza. Ma vi assicuro che negli allenamenti ho incassato colpi più duri. Primo ha combattuto una partita sportiva e cavalleresca senza ricorrere a sotterfugi. 
Si è dimostrato  l’avversario più sportivo che abbia mai affrontato. Credo di averlo colpito duecento volte con pugni che avrebbero demolito una casa e avrebbero messo a dormire qualsiasi altro pugile. Ma lui ha resistito fino in fondo, per quanto io credo che nelle ultime due riprese non sapesse più neppure in che mondo era . Ciononostante ha continuato a lottare”. Sempre nell’intervista gli chiesero: “ Cosa vede nel suo futuro?” Gli domandarono: “ Sono certo: rimarrò campione per dieci anni . Poi mi dimetterò in favore di mio fratello Buddy che ora ha diciannove anni ed è grosso quanto Carnera. Mio padre, Buddy e io abbiamo constatato che questo affare del campionato  mondiale ci piace molto  e perciò  abbiamo deciso di tenerlo in famiglia”. Tratto dal libro L’uomo più forte del mondo –Ed. Mondadori-di Aldo Santini. Carnera quando lesse queste righe diventò triste, nella sua lunga carriera aveva sempre avuto un grande rispetto per gli avversari, e ne aveva sempre parlato bene. L’intervista non gli piacque, era offensiva, e nel suo cuore gli sarebbe piaciuto poter ottenere la rivincita, visto che Baer era tanto convinto di uscirne vittorioso. Mentre rifletteva entrò Angela con un pacco di telegrammi indirizzati a Primo. La ragazza gli sistemò il letto, e gli alzò con difficoltà  il piede. In quella giornata di giugno  splendeva un bel sole, che l’aiutava ad affrontare il suo nuovo ruolo di sconfitto. La buona infermiera aveva un sorriso dolce che rasserenò il volto di Primo.  La ragazza aprì la finestra, e un leggero soffio di vento entrò. Angela chiese a Primo se poteva fargli la cortesia di firmargli una foto,che era per suo padre che quella sera aveva assistito al match, e si considerava un suo grande tifoso. L’uomo aveva detto a sua figlia che Carnera avrebbe battuto nella rivincita Baer, e che questa volta non avrebbe avuto problemi. Una sconfitta non determina la fine di un pugile, e gli italiani sono un popolo che non si arrende. Il volto di Angela venne illuminato da un raggio di sole, e se avesse potuto l’avrebbe stretta a sé, gli mancava il calore e il profumo di una donna. Primo pensò che gli rimanevano due titoli, quello italiano ed europeo dei pesi massimi. Al Columbia hospital dove si trovava Carnera aveva avuto la possibilità di incontrare i suoi amici, quelli che non lo avevano abbandonato, e in modo particolare suo fratello, e suo cugino Pasquale. Il suo manager era sparito, lo aveva visto solo dopo l’incontro, uno che non lo aveva lasciato era il suo allenatore che cercò di consolarlo in tutti i modi.  
Carnera comunque non si vuole arrendere, il suo obbiettivo è la riconquista del titolo mondiale, ma i suoi amici gli consigliarono di tornare a casa e di riposarsi. Carnera voleva ritornare in Italia solo con la corona mondiale  e non si sentiva di presentarsi ai suoi paesani a mani vuote. Quando venne dimesso dall’ospedale, a salutarlo c’era sempre  Angela, che si rese disponibile d’ andarlo a trovare per aiutarlo. Carnera accettò con gratitudine i servizi della giovane infermiera. Nell’albergo dove ritornò, ritrovò la stessa affettuosa vicinanza degli amici di sempre. Carnera aveva recuperato in parte il buon umore, stava elaborando il trauma della sconfitta. Anche il suo allenatore gli rimase sempre accanto. Dopo avergli tolto il gesso fece i primi passi sostenuto da Angela ed è solo dopo le sedute di fisioterapia, praticate dall’infermiera, che riuscì a stare in piedi autonomamente. Primo s’era accorto  che il periodo di immobilità lo aveva fatto ingrassare. Quando si trovò finalmente a passeggiare per la città, sentì il calore della gente che non aveva dimenticato il suo idolo. Carnera ricordava con commozione i negozi che esponevano la sua foto e quella del Duce. Mussolini gli aveva fatto pervenire una lettera, dove lo incoraggiava  ad andare avanti. Costui, come i suoi figli, gli volevano bene, non potevano dimenticare quello che aveva fatto per l’Italia fascista e per la Patria. Questo lo rincuorò, gli tornò la voglia di allenarsi e si affidò alle mani sicure di Paul Journée. Primo credeva ancora alle parole di Max Baer che aveva promesso che gli avrebbe dato la rinvicita, ma nel suo clan nessuno credeva a questa possibilità. Carnera era ancora in vetta alla classifica tra i primi dieci del mondo, in Europa era ancora il campione.  I giornali scrivevano di un possibile match in Argentina, dove tra l’altro vivevano molti italiani. In Argentina avrebbe dovuto battersi con il pugile mastodontico Campolo che aveva boxato e sconfitto tre anni prima. Ma nel frattempo costui poteva aver  affinato la sua tecnica pugilistica, pertanto, non era assolutamente da sottovalutare. “Quando  tocca terra tutti gli si pigiano attorno, tutti vogliono stringergli la mano, o almeno toccarlo. Il pubblico vicino è come preso da un  delirio d’entusiasmo, mentre quello più  lontano, che non ha potuto entrare nell’aeroporto  continua ad applaudire e a gridare : “ Carnera! Carnera!” ( L’entusiasmo della folla per il formidabile atleta, 3 Novembre 1934 dal libro Carnera di Daniele Marchesini- Ed. Il Mulino)“ Boca è la sottoripa genovese del Sudamerica. E l’ingresso di Carnera nello stadio del Boca  Juniors è salutato da applausi scroscianti. Il golia di Sequals risponde con il saluto romano. Poi, è finita la partita e consumati molti brindisi, visita la sede del “ Mattino d’Italia,” il giornale dei nostri emigranti |….| Corrientes, la strada più rappresentativa della metropoli, simbolo dell’italianità argentina, tributa  onori solenni all’ex campione del mondo. Per il friulano è un bagno di fiducia e di entusiasmo. “ Qui mi sento di nuovo a casa mia” ( Daniele Marchesini – Carnera- Ed. Il Mulino).  Carnera continua gli allenamenti, anche se ha ancora qualche dolore al piede. Dopo la sconfitta erano terminati gli inviti alle feste, alle manifestazioni, alle inaugurazioni e le sue partecipazioni agli eventi pubblicitari. I soldi incominciavano a scarseggiare, ma come spesso suo padre ripeteva:” Dio vede e Dio provvede”. La fede e la speranza nel Signore non erano mai venute meno.  Carnera in quelle settimane si vedeva con Angela, ma era ben conscio che non le poteva offrire un futuro assieme. Angela, d’altra parte, non gli chiedeva nulla, e spesso gli faceva compagnia dopo gli allenamenti. Una sera gli lesse un articolo su Campolo. Il suo avversario era nato in Calabria, precisamente a Reggio –Calabria , nel 1903, e a soli quattro anni dovette lasciare il paese natio per l’America.  
La sua famiglia aveva un allevamento di bestiame e lui dopo aver perso con Carnera s’era ritirato a lavorare nella fattoria di famiglia. Nel 1934 riprese ad allenarsi, in vista di un futuro incontro con Primo.  Gli organizzatori gli avevano  offerto una discreta somma di denaro se era disposto di salire sul ring con determinazione, ed era quello che  Vittorino Campolo aveva fatto. Nei primi due  incontri di rodaggio aveva sconfitto due pugili abbastanza importanti, il campione del Cile, Arturo Godoy, e il campione  uruguayano, Josè Santa. Con queste credenziali si preparava ad incontrare Carnera. Gli organizzatori avevano puntato molto su questo match. I migranti italiani e gli italo-argentini  avevano accolto Carnera al suo arrivo come un eroe, ancora detentore del titolo mondiale dei pesi massimi.  Primo sembrava aver dimenticato quel terribile match e gli pareva che la vita iniziasse a sorridergli di nuovo. In Argentina si cercava il nuovo Luis  Angel Firpo, il selvaggio toro della Pampas come era soprannominato. Carnera trascorreva le sue giornate in palestra ad allenarsi, interrotto, talvolta, da qualche giornalista. Una volta fu avvicinato da un reporter americano che doveva scrivere degli articoli su di lui. Primo lo aveva incontrato altre volte ed era sempre stato una persona corretta, non aveva mai travisato la verità, pur di incentivare le vendite del giornale. Primo era sempre affabile con i suoi connazionali e gli dispiaceva solo d’incontrare molti di loro che non avendo avuto fortuna in Argentina avevano deciso di far ritorno in patria. Talvolta, aveva fatto visita a dei migranti italiani e si commuoveva perché nelle loro case, appese alle pareti  c’erano le foto dei reali e del Duce: una parte d’Italia era stata portata via con loro. Il 24 novembre 1934 il pugile saliva sul ring, era come se fosse il suo primo incontro. Nel cuore  del campione erano racchiusi il ricordo del povero Ernie e il dolore indicibile della madre. Pochi minuti prima di entrare sul quadrato osservò un crocefisso appeso alla parete, istintivamente si fece il segno della croce, e pregò. Il match che stava per affrontare non era tra i più facili. L’ultima volta che era salito sul ring era andato al tappeto per ben undici volte. Il suo allenatore gli aveva già messo l’accappatoio sulle spalle, i muscoli del volto erano tesi, ma non temeva nulla, perché la sua storia era nelle mani di Dio. Gli organizzatori rimasero stupiti perché tra il pubblico c’erano delle persone che erano arrivate dall’Uruguay con il battello. Un fiume di persone inneggiava al pugile che ritornava a combattere dopo una sconfitta. Ciò rappresentava un’ iniezione di vita, il modo migliore per allontanarsi da quel 29 giugno di pochi mesi prima.  Carnera non si sentiva più come una quercia spezzata, ma una persona nuova. All’incontro con il pugile  di origine italiane Primo non fallì, lo sconfisse ai punti dopo dodici riprese e vittorioso gli parve di essere tornato il campione del mondo dei pesi massimi. Il suo allenatore era felice, il suo campione era all’apice del successo. 


I festeggiamenti che ricevette Carnera dopo il match erano indescrivibili. L’entusiasmo del popolo argentino,  per un pugile che era rinato ed aveva scritto una nuova pagina della sua vita, era indicibile.  Anche il suo avversario riconobbe la superiorità di Primo e si congratulò con lui. Si erano incontrati due volte e per due volte Carnera lo aveva  sconfitto. Quella sera dopo il match, finalmente,  Carnera brindò con del buon vino. Seduto al suo tavolo c’era un grosso industriale che gli propose di rimanere a vivere in Argentina. Carnera sorrise, non ebbe il coraggio di dire nulla, ma nel suo cuore aveva il suo paese, anche se in Argentina aveva trovato una seconda patria. La notte argentina fu lunga, un brindisi si susseguiva all’altro, e non mancarono delle risate fragorose.