di Emilio Del Bel Belluz
Carnera divenne un bersaglio troppo facile. Con la sconfitta subita da Louis e con gli ultimi match non troppo brillanti, in cui talvolta finì al tappeto, Carnera non era più lui, era demoralizzato e stanco. L’unica certezza che gli rimaneva era quella che doveva salire ancora sul ring per ottenere delle borse sostanziose, perché i soldi cominciavano a scarseggiare dopo alcuni investimenti disastrosi. L’unica cosa che possedeva era la bella villa a Sequals, dove vivevano i suoi familiari. Carnera non era più molto considerato in America, dopo la doppia sconfitta con Leroy Haynes. Siamo nel 1936, tre anni prima era il campione del mondo, ora era un pugile definito al termine della carriera. Primo non era poi tanto vecchio, aveva compiuto trent’anni. Saliva sul ring dal 1928, ed erano passati solo otto anni. La sconfitta con Louis lo aveva stroncato, aveva perso la sua determinazione e lucidità e anche il suo vigore fisico. Carnera si accorse che gli amici erano diventati sempre meno, gli rimasero solo la sua famiglia e il suo allenatore che ancora credevano in lui. Una sera assieme al suo amico decise che era ora di preparare le valigie per far ritorno al suo paese. Questa decisione non lo rendeva felice, ma non aveva altre alternative. I soldi che possedeva in quel momento gli consentivano di viaggiare solo in terza classe. Il suo allenatore lo seguì, ma prima della loro partenza, Primo avvertì un giornalista, suo amico, che scriveva in un giornale letto da molti italiani per rilasciargli un’intervista che spiegasse la sua decisione di abbandonare l’America. Carnera sapeva che nel pugilato si cadeva, e ci si rialzava, ma questa volta non aveva la forza per continuare e si confidò con il cuore in mano delle amarezze che lo attanagliavano. Il giornalista lo interrogò sul suo futuro, ma Carnera alzò le braccia, in senso di resa. Tutto gli appariva così difficile, non aveva idee, non aveva speranze, solo il buon Dio conosceva il suo destino e lo pregava affinché non lo abbandonasse.
Alla partenza non c’erano molte persone a salutarlo, solo quelle con cui aveva condiviso gli ultimi anni dopo la sconfitta. Salutò un tifoso che gli tese la mano commosso, s’imbarcò assieme a tanti italiani che facevano ritorno in patria perché non trovarono fortuna in America. Il capitano della nave lo accolse come un grande campione, lo volle alla sua tavola e lo circondò di mille attenzioni. Il comandante non poteva dimenticare l’entusiasmo provato nel vederlo salire le volte precedenti quando era ancora il re dei pesi massimi. Nella cabina il capitano conservava le sue foto e gli voleva bene. Non c’erano più i giornalisti ad intervistarlo e a subissarlo di domande sui suoi progetti futuri. In nave continuava ad allenarsi assieme al suo inseparabile maestro e si intratteneva a parlare con gli italiani che viaggiavano in terza classe. Costoro gli chiedevano di sentire dalla sua voce la cronistoria dei match più importanti, non avendo avuto la possibilità di assistervi.
Carnera adesso era come uno di loro, anche lui stava tornando a casa con la valigia che conteneva i suoi sogni infranti. Primo donò a quei connazionali delle sue foto con dedica, rendendoli felici di possedere un ricordo del grande campione che aveva fatto molta strada, anche se attualmente era in una fase di stasi. La vera felicità molte volte stava in queste piccole cose. Il viaggio finì e Carnera finalmente, dopo tanto tempo, raggiunse Sequals. Rivide la famiglia. Non aveva voglia di parlare di pugilato o del suo futuro, e sapeva che solo il passare del tempo avrebbe definito il suo destino. La gente semplice ed umile lo cercava, Primo era gentile e affettuoso con tutti, non dimenticò che era uno di loro. Il suo allenatore sperava di convincerlo a risalire sul ring. Nel frattempo guadagnò qualcosa facendo delle esibizioni in vari paesi. Il suo pupillo aveva bisogno di tornare a combattere per guadagnarsi qualche soddisfazione. Si pensi che a livello europeo aveva ancora delle carte da giocare, e in Italia era ancora il più forte.
Ambiva a riconquistare il titolo italiano ed europeo dei pesi massimi che gli avrebbero dato anche un ritorno economico. Sua madre, una sera, gli aveva detto che sarebbe stata ora di pensare al futuro che gli avrebbe riservato ancora delle soddisfazioni, di abbandonare il mondo della boxe e formarsi una famiglia. Per lei era rimasto il suo bambino a cui bisognava dare dei consigli. Da un lato capiva che la madre aveva ragione ma, d’altro canto, non si sentiva ancora pronto a prendere decisioni radicali. Trascorreva parte del suo tempo al Bottegon a giocare a carte assieme ai suoi compagni d’infanzia ed al suo allenatore. Costui s’ era innamorato del paese, e della sua gente dal cuore buono. Qualche pugile della zona aveva chiesto di potersi allenare nella palestra vicino alla Villa di Primo. Primo rimuginava sulla possibilità di appendere al chiodo i suoi guantoni, come le cinture del titolo mondiale, europeo ed italiano. Ma il bisogno di guadagnare era impellente. Il mondo del cinema gli aveva chiesto d’interpretare la figura dell’uomo forte. Aveva avuto anche delle proposte per delle esibizioni sia sul ring, che delle dimostrazioni di forza fisica. Una di queste era rappresentata da Carnera che con la sua forza teneva immobile due cavalli. I suoi tifosi lo amavano ancora e lo cercavano. Inoltravano richieste anche dall’estero, volevano che fossero inviate delle sue foto con dedica.
Sua madre era contenta nel vedere il postino che le recapitava tanta posta per il figlio e lo invitava ad entrare per onorare Primo con un buon bicchiere di vino. Nelle lettere che riceveva trovava pure delle foto delle varie città americane dove aveva combattuto, come pure degli articoli di giornale che parlavano di lui. Qualcuno gli chiedeva di tornare in America a combattere. Era gente semplice, e Carnera rispondeva a tutti. Dall’ultimo combattimento, che aveva perduto contro Leroy Haynes, era passato oltre un anno. Nel 1937 il suo allenatore gli diede la notizia di poter disputare degli incontri in Francia e precisamente a Parigi, la città dove aveva iniziato a combattere, ricevendo delle borse sostanziose. I tifosi francesi non lo avevano dimenticato. Primo, che aveva trentun anni, doveva iniziare ad allenarsi con tenacia. In Francia aveva iniziato a combattere il 12 settembre del 1928, e aveva battuto Leon Sebillo per Ko alla seconda ripresa. Carnera conservava dentro di sé i ricordi di quel match come se lo avesse vissuto il giorno prima. Il primo incontro di boxe non si dimenticava mai, come il primo amore. Quando aveva iniziato a boxare, non avrebbe mai immaginato di arrivare così in alto, come dopo non aveva mai previsto di dover ripartire da capo. Primo Carnera accettò di fare il primo incontro parigino. Gli organizzatori gli concessero di trasferirsi in Francia una settimana prima del match, per ambientarsi e per dare la possibilità alla gente di rivedere il campione.
Carnera non poteva chiedere di meglio, perché spesso il suo pensiero andava al periodo francese. Anche se le cose erano cambiate, un soggiorno in Francia gli sarebbe stato utile. Dopo aver accettato di battersi in Francia riprese gli allenamenti, come se dovesse affrontare una nuova sfida mondiale. La stampa italiana aveva sempre tenuto in considerazione Carnera, e non dimenticava mai di dare notizie su di lui e delle sue tante esibizioni che aveva tenuto in quei mesi. Al campione i tifosi non mancavano e costoro volevano sempre essere informati su di lui. Venne da Roma un giornalista per intervistarlo, che aveva conosciuto in America nel periodo della sfida mondiale. Carnera lo accolse con la cortesia di sempre, lo condusse alla palestra dove si allenava per mostrargli il recupero fisico ottenuto e per rimuovere i dubbi di coloro che lo davano per finito. Da qualche tempo curava l’alimentazione per smaltire i chili in eccesso con grande soddisfazione del suo allenatore. Il giornalista ritornò a Roma e scrisse una pagina molto importante che fece breccia nel cuore dei tifosi. Primo ricevette una copia del giornale, consegnatagli da un ragazzo che voleva a tutti i costi conoscere il campione.
Nel quotidiano si raccontava la possibilità che Carnera aveva tutti i crismi per rientrare a pieno titolo nel mondo della boxe. Qualche settimana dopo Carnera partì con il suo allenatore. La mamma, nel frattempo, gli aveva raccomandato di essere prudente, infatti, temeva sempre per la vita di suo figlio. Nel cuore di Primo c’era il sogno di rimanere in Francia per guadagnare del denaro con qualche match. Aveva assoluto bisogno di raggranellare dei soldi e forse l’esperienza parigina poteva essere l’ultima occasione. I tempi erano cambiati e si accorse quando raggiunse il suo alloggio in un albergo di modeste condizioni, mentre un tempo dimorava in hotel lussuosi, dotati di ogni comfort. La signora che li aveva accolti era molto gentile, e l’albergo seppur modesto era molto in ordine. Avrebbe soggiornato fino al giorno dopo l’incontro. Nel pomeriggio incominciò ad allenarsi nella stessa palestra in cui il suo allenatore lo aveva accompagnato la prima volta, quando non conosceva nulla della boxe. La palestra era rimasta uguale, incontrò qualche pugile che aveva conosciuto in quegli anni, e vide con una certa felicità che avevano incorniciato una sua foto, scattata nei momenti in cui si allenava. Stava rivivendo quello che nove anni prima aveva provato.
Agli allenamenti potevano assistere le persone, ma dovevano pagare un biglietto. Alla fine dell’allenamento la gente si intratteneva con lui, i giornali avevano ben pubblicizzato il suo arrivo in Francia. Gli organizzatori si aspettavano il pienone, come nelle grandi occasioni. Carnera appariva in forma, era di ottimo umore e guardava con ammirazione i pugili che si allenavano, e che nelle pause gli chiedevano qualche consiglio tecnico. La signora dell’albergo era felice di ospitare un campione, perché aveva fatto incrementare le sue richieste di alloggio. I tifosi lasciavano delle lettere, dei regali di benvenuto, e una ragazza portò anche un mazzo di fiori. Questo gesto fu molto apprezzato da Primo, perché lo faceva sentire ancora sulla cresta dell’onda. Un giorno decise di prendersi qualche ora di libertà, per rivisitare quei luoghi che anni fa gli erano stati familiari. Non aveva dimenticato la ragazza del bistrot che aveva conosciuto, e in qualche modo amato. Aveva chiesto a Paul Journée di lasciarlo andare da solo. Non gli fu difficile arrivare nei pressi del bistrot, e chiese al tassista di farlo scendere.
Era mattina presto, quella notte non aveva dormito bene, forse dall’emozione di poter il giorno successivo incontrare la giovane di cui non aveva avuto più notizie, ma alla quale la sua mente era andata più volte. Carnera vide che all’interno del locale c’erano le solite persone che al mattino si dovevano recare al lavoro e facevano prima tappa al bistrot per bere qualcosa che li rincuorasse. Primo scorse subito la giovane che lo riconobbe e sorrise, e si avvicinò a lui per salutarlo. Anche le persone che si trovavano dentro al locale si accostarono al campione. Tutti gli fecero festa, e gli posero tante domande. Carnera pensò subito che forse avrebbe dovuto rimanere in quel paese, e magari ora sarebbe stato un buon padre di famiglia. La ragazza in quegli anni non era cambiata. Si era sposata, perché al dito portava la fede e a Primo dispiacque. La gente li lasciò soli, e si misero a parlare a lungo. Ammirò gli incantevoli occhi delle ragazza e sembrava che il tempo non fosse passato. La giovane gli disse che si era aspettata almeno qualche notizia da lui, o qualche lettera che non era mai arrivata. L’aveva tenuto nel suo cuore, ma non vedendo arrivare mai sue notizie, perse la speranza d’incontrarlo ancora. Si era trovata un giovane della sua età e aveva avuto due figli, e la sua vita era andata avanti. Carnera l’osservava, era ancora più bella, si era fatta donna, e il volto aveva assunto i lineamenti che solo la maternità poteva creare. Per un attimo chiuse gli occhi, ed immaginò di poter tornare indietro nel tempo. Carnera le prese una mano, e si sentì pervaso da una grande emozione, ma lei la ritirò subito, non voleva che si creassero dei fraintendimenti.
La ragazza gli raccontò che era felice di vederlo e che gli dispiaceva che avesse perduto il titolo mondiale dei pesi massimi. La fama di Carnera non si era mai spenta in Francia. La giovane si alzò e andò a prendere una cartellina che conteneva dei ritagli di giornale che parlavano di lui e una loro foto scattata nel periodo in cui si frequentavano. Carnera sorrise e si emozionò, non aveva fatto nulla per cercarla, ma lei aveva continuato a raccogliere gli articoli scritti su di lui. Le chiese se era felice e gli rispose che la famiglia che aveva formato era la cosa più importante della sua vita e le riempiva il cuore di felicità. Suo marito era un pescatore, lavorava spesso lontano da casa e lo amava. Viveva in modo dignitoso che la appagava. Carnera avrebbe voluto stingerla a sé, come mille volte aveva fatto, ma ora non poteva. Prima di andarsene le donò una sua foto con dedica, e le chiese una foto di lei. Uscendo dal locale, pensò che aveva sbagliato a non portare avanti la loro relazione e che niente era più possibile. Non si può intaccare la felicità che gli altri avevano costruito, ma bisognava essere solo lieti per loro. Quella mattina lasciò che la malinconia lo avvolgesse, e si mise seduto su una panchina a meditare sul suo futuro. La boxe non gli prospettava un allettante avvenire, ma era costretto a salire sul ring solo per necessità economiche.
Carnera aveva compreso che ormai era giunto al termine della sua carriera pugilistica. Il suo fisico era stato duramente messo alla prova e non nutriva più illusioni. Primo decise di pranzare in un trattoria che conosceva perché si era recato a mangiare anni prima. Si mise in un tavolino in un angolo del locale, seminascosto, ma gli avventori lo riconobbero subito e lo attorniarono con l’affetto di sempre. Primo non s’aspettava di vedere un suo amico che lavorava al circo, e si mise a mangiare con lui. Il circo aveva chiuso i battenti da molto tempo, e ora l’uomo viveva facendo piccoli lavori salutari, ma non si lamentava. Per anni quelli del circo avevano tentato di resistere, ma la crisi li mise al tappeto. Questa era la spietata legge della vita, a cui non si poteva scappare. L’uomo gli raccontò che gli altri si erano sistemati in giro per la Francia, e qualcuno era morto. Avevano sperato che la sua presenza dopo la vittoria del titolo mondiale potesse, almeno per alcune sere, far aumentare gli incassi. Il vecchio che si occupava degli animali, s’era portato a casa due asini e un cavallo che avevano trovato dimora nella vecchia fattoria dove abitava. Ogni tanto l’andava a trovare, e parlavano del periodo trascorso assieme nel circo e non dimenticavano di ricordare la grande affluenza di persone che era attirata dalla presenza di Carnera. L’amico si mostrò molto felice d’averlo rivisto. Mangiarono con allegria, Carnera non toccò un bicchiere di vino, ma nel contempo mangiò dell’ottimo cibo.
Quando si salutarono Primo gli donò due biglietti per assistere all’incontro, uno era per l’amico che s’era ritirato in campagna. Primo rientrò in albergo che non era tardi e andò subito a dormire. Qualche giorno dopo si svolse il match in una sala dove aveva esordito per la prima volta e dove, anche, Paul Journée aveva combattuto. Il pubblico lo applaudì con molto entusiasmo, e per un attimo si sentì ancora un campione. Nel 1928 aveva trionfato e da allora erano passati solo nove anni. Il suo avversario sembrava intimorito per la presenza del gigante. Albert Di Maglio era un pugile che non sarebbe mai diventato un campione, ma era un onesto pugile che aveva accettato di battersi con Carnera per una buona borsa. Il Di Maglio non aveva molta esperienza, alla fine poteva essere un facile avversario. Le cose non andarono come gli organizzatori speravano. Il match finì dopo dieci riprese con la vittoria dell’italo-francese. Carnera comprese, quella sera, che la boxe era un capitolo chiuso. Prima di scendere dal ring si complimentò con il suo avversario, e questi ne fu lieto. Anche Paul Journée si era convinto che con la boxe Primo aveva chiuso. La campana era suonata. Nel camerino un vecchio cinese gli fece un massaggio alla spalla che gli faceva male.
Gli fu pervenuto un biglietto vergato da una bella calligrafia che diceva : “Ti voglio bene campione”, dalla ragazza del bistrot che aveva assistito all’incontro. Per un solo attimo Carnera pensò a quella donna. Gli sarebbe piaciuto vivere in Francia, ma quella sconfitta aveva posto fine ai suoi sogni. Mentre attendeva di farsi la doccia, entrarono due amici con i quali aveva lavorato nel circo. Quella sorpresa lo rese contento. Costoro cercarono di consolarlo, di fargli attutire la tristezza che si era impossessata di lui, ma non ottennero il risultato sperato. Carnera li parlava con una voce flebile e malinconica ed era una lontana parvenza di quel grande personaggio che avevano conosciuto nel corso degli anni. Anche nei momenti difficili del circo il sorriso di Carnera non era mai assente, e riusciva a trovare sempre il lato positivo delle cose. Primo si congedò dai suoi amici. Il suo allenatore lo attendeva per cenare assieme. Questa volta non c’era un lussuoso albergo ad aspettarlo, ma una piccola e misera pensione. Gli organizzatori non gli proposero alcun incontro in Francia. Carnera non era più quello di prima, e quell’ultimo incontro era ben lontano dalle vittorie iniziali. Il pubblico che lo amava sempre era rimasto molto deluso. Primo, il giorno dopo, questa volta senza il suo allenatore e amico Paul Journée, se ne andava in Ungheria. Il suo allenatore gli aveva consigliato di lasciare il ring, non era che un pugile che sentiva il peso di quasi un centinaio di match. Carnera abbracciò il suo inseparabile amico per molti anni.
Costui lo lasciava perché desiderava fermasi in Francia, la sua terra natia. Gli avevano, inoltre, proposto di allenare nella vecchia palestra dei pugili che sarebbero diventati professionisti. A Carnera gli voleva molto bene, e glielo dimostrò regalandogli una medaglia che aveva vinto nei primi tempi, quando i suoi pugni avevano contribuito a scrivere la storia della boxe francese. Alla stazione dei treni di Parigi si congedarono, mentre l’altoparlante annunciava il treno in partenza per Budapest, era l’ultimo gong del ring. Primo raggiunse la capitale con il cuore intristito, ma il match che l’attendeva avrebbe rimpinguato le sue finanze. Scese dal treno e fu attorniato da persone che lo riconobbe. Sui muri della città erano stati affissi dei manifesti che annunciavano l’incontro. Avrebbe dovuto affrontare Joseph Zupan, un pugile romeno, peso massimo, un avversario che Carnera non conosceva come gli era già capitato in passato di doversi battere con dei pugili sconosciuti. Il 4 dicembre 1937 Carnera sognava di tornare a casa con una vittoria, e in questo modo avrebbe potuto combattere ancora. Alloggiava poco distante dalla palestra in cui si allenava. La gente che andava ad assistere agli allenamenti non era tanta, e ciò gli permetteva di non perdere la concentrazione.
Per la prima volta avrebbe combattuto senza avere all’angolo il suo angelo custode, Paul Journée, ed avrebbe, invece. trovato un vecchio pugile. Costui aveva girato il mondo con la boxe, con alterna fortuna, e aveva assunto l’impegno con molta serietà. Faceva compagnia a Carnera anche durante i pasti e, talvolta, gli fece visitare alcuni scorci della città, un mondo che il gigante non aveva mai visto. Quella borsa doveva guadagnarsela a tutti i costi, perché quei soldi sarebbero stati provvidenziali per lui. La sera del match non era al massimo della forma. Il pubblico in sala era molto, alcuni italiani erano stati in camerino a fargli gli auguri. L’incontro si concluse con una nuova sconfitta. “ Spera, con il guadagno che ritrarrà da questo incontro, di passare poi in Italia un felice Natale in compagnia dei suoi genitori. È tutta un’illusione! Durante l’incontro con l’ungherese, alla seconda ripresa Primo s’accascia al tappeto, dolorante. Viene contato k.o. ed occorrono quattro persone per rialzarlo, non potendocela fare da solo. Non è stordito. Accusa, però, un lancinante dolore al fianco sinistro, proprio nel punto dove è stato colpito dall’avversario, che così è riuscito a metterlo k.o. Naturalmente, sia il pubblico e sia l’organizzatore credono in una farsa, ma Primo viene accompagnato da sconosciuti all’ospedale per una visita di controllo che potesse consentire di individuare le ragioni di quel male. Aveva il rene sinistro con un’infezione galoppante.
Doveva essere operato d’urgenza. Ecco Primo, rimasto solo, in un Paese a lui sconosciuto, dove si parla una lingua anch’essa sconosciuta, per lui che parla bene quattro idiomi. Nessuno s’interessa di ritirare il suo avere dall’organizzatore, mentre invece la Direzione dell’Ospedale si mette in comunicazione con l’Ambasciata d’Italia, per sapere chi avrebbe pagato il conto dell’operazione chirurgica cui Primo dovette essere sottoposto, se lo si voleva salvare. Dopo l’atto operatorio, Carnera si trovò senza mezzi per fare ritorno in Italia. Nè sapeva a chi rivolgersi e come fare per uscire dalla drammatica situazione. Per fortuna, l’Ambasciata d’Italia a Budapest s’era rivolta alle autorità del CONI. Venuto a conoscenza dei fatti, Benito Mussolini ordinò che il cassiere dell’Ambasciata d’Italia in Ungheria saldasse il conto dell’ospedale e consegnasse a Primo Carnera il biglietto per il viaggio in treno da Budapest fino a Sequals.
Dieci giorni dopo, Primo rientrava a Sequals, fra le braccia di sua mamma, che erano giorni che l’aspettava senza mai riposare. Sembrava che fosse proprio arrivata la fine della carriera di Primo Carnera, se non addirittura la fine della sua vita, tante erano le disgrazie che si susseguivano. Abbattuto moralmente, economicamente senza un soldo, ma sorretto dall’affetto familiare, Primo rimase a Sequals sino a che poté liberalmente muoversi e cercarsi un lavoro, in modo da continuare la sua esistenza di buon campagnolo. Di tanto in tanto, i giornali parlavano di lui e ne descrivevano la fine sportiva. Qualche produttore cinematografico lo volle aiutare e gli offrì particine in diversi film, come “Maciste”, o come Primo Carnera. Tutto ciò gli consentiva di portare avanti la sua vita, in attesa di eventi migliori”.
( “Io e Primo- La vita de il gigante buono- Ed. Roma di Aldo Spoldi ).
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