Questione
istituzionale e opposizione monarchica (1)
«...Vi è tuttavia un assunto dell'opposizione
istituzionale che ha fondamento oggettivo, e che sostiene e giustifica
l'opposizione stessa, con grave danno della situazione politica generale.
L'art. 139 della Costituzione è un assurdo giuridico e pone la stessa Repubblica
come un fatto arbitrario. La Repubblica si fonda sulla volontà popolare, e
trova in tale volontà la sua legittimità di istituzione fondamentale dello
Stato italiano. Ciò implica il riconoscimento della «sovranità popolare» senza
limiti e restrizioni in materia istituzionale. Come può la Costituzione della
Repubblica senza negare la sua stessa legittimità negare alla sovranità
popolare il potere di cambiare la forma istituzionale dello Stato? Se la
Repubblica fosse sorta dalla rivoluzione, la norma avrebbe il valore di un
fatto di forza del tutto analogo a quello che instaurò la nuova forma di Stato;
ma la Repubblica nata dalla legalità del voto popolare, non
può negare la legalità di un nuovo voto, senza legittimare con ciò una
calzante e valida opposizione istituzionale.
L'art. 139
della Costituzione pone una contradizione politica e giuridica, che non solo
attribuisce un valido fondamento all'opposizione monarchica — che non ne
avrebbe, oggi, nessuno — ma, ciò che è ben più grave, la spinge fuori dello
schieramento democratico verso una opposizione «di regime». Se l'art. 139
cadesse dalla Costituzione i monarchici non avrebbero più nessuna ragione
oggettiva di porsi come partito, ma porterebbero l'istanza monarchica nei partiti
ove -solo ha ragione e possibilità di svilupparsi, senza recare danno
gravissimo al processo di formazione della democrazia. Finché l'articolo 139
blocca a priori l'attività dei partiti democratici alle soglie della
questione istituzionale, è chiaro che la massa dei monarchici è costretta a
costituire un partito a sé, fuori e contro la coalizione democratica che accetta
l'art. 139 e non può quindi attribuire cittadinanza alle istanze monarchiche».
La lettera
'dell'art. 139 della nuova Costituzione italiana prospetta la figura della norma
(costituzionale) inabrogabile.
Dell'assurdità, sul piano
politico, di questa figura lascio ai politici 'di dire, la mia esposizione
limitandosi a taluni rilievi sul piano strettamente giuridico.
Non vi è
dubbio che il legislatore è arbitro di stabilire ed il numero ed il contenuto
delle fattispecie, intesa quest'ultima parola nel senso di complesso
di fatti che il legislatore considera come causa di determinati effetti. Nel
campo del diritto privato questi effetti consistono nella costituzione,
modifica, estinzione di rapporti giuridici; nel campo del diritto
costituzionali detti effetti consistono nella costituzione, modifica,
estinzione della norma giuridica.
E.' il
legislatore che, nel campo del diritto privato, dispone che è ridotto, nei
riguardi di un certo rapporto, il numero delle fattispecie costitutive,
modificative, estintive (ad esempio, il codice civile esclude, nei riguardi del
rapporto di proprietà, la fattispecie della prescrizione estintiva). Il caso
limite di questo atteggiamento del legislatore è costituito dall'ipotesi in
cui il legislatore non riduce, ma addirittura elimina tutte le
fattispecie „ normalmente previste. Così quando si parla di
intrasmissibilità di un diritto si vuole indicare quella realtà
normativa con la quale sono state eliminate, nei riguardi di quel diritto,
tutte le fattispecie normalmente previste agli effetti del trasferimento del
diritto stesso.
Con
ragionamento analogo si potrebbe giustificare la potestà del legislatore di
eliminare, nei riguardi di una determinata norma, ogni fattispecie diretta a
far cessare questa norma. Ciò è avvenuto, stando alla dizione letterale
dell'art. 139 della nuova Costituzione, nei riguardi della norma che sancisce
la forma repubblicana.
Ma quale è,
nella realtà, il valore di una statuizione di inabrogabilità? Io non esito a
definire questo valore nullo, poiché il legislatore non potrà mai stabilire
una inabrogabilità assoluta, ma soltanto relativa, relativa cioè al
procedimento normale di abrogazione; la cosiddetta norma inabrogabile può pur
sempre essere abrogata attraverso il procedimento più lungo della doppia
abrogazione e della norma che statuisce la inabrogabilità e della norma che
forma oggetto di questa statuizione.
Al rilievo
che anche nei riguardi della prima norma si possa avere la statuizione di
inabrogabilità è facile anzitutto rispondere che, avendo detta statuizione
carattere eccezionale, essa deve risultare dalla tassativa dizione di legge
(tassativa dizione che manca nel caso dell'art. 139 della Costituzione). Ed
anche supposto che questa tassativa dizione sussista, la conseguenza
strettamente logica sarà soltanto quella di prolungare il procedimento della
abrogazione attraverso una triplice, anziché doppia, abrogazione (abrogazione
della norma che statuisce la inabrogabilità della norma che sancisce la
inabrogabilità di una certa disposizione; abrogazione di questa disposizione).
La verità
è che quando nel campo del diritto privato il legislatore statuisce la
eliminazione di determinate fattispecie, quali, ad esempio, le fattispecie
negoziali traslative di un certo diritto (che pertanto diventa
intrasmissibile), il soggetto che pone in essere la norma ed il soggetto della
fattispecie (ad esempio, dell'attività negoziale), sono diversi; per
contro nel campo della costituzione, modifica, estinzione della norma
giuridica, il soggetto che statuisce, ad esempio, la inabrogabilità di una
norma, e cioè il legislatore, è lo stesso soggetto della fattispecie, cioè
lo stesso soggetto dell'attività di abrogazione.
Ecco perché,
potendo lo stesso legislatore, che ha statuito la inabrogabilità di una certa
norma, pur sempre abrogare questa sua statuizione, si palesa tutta la vacuità
e, quasi direi, il ridicolo di una statuizione dì inabrogabilità nei riguardi
di una determinata norma giuridica. Il legislatore è giustificato se richiede
nei riguardi di determinate norme (ad esempio, le norme costituzionali) un più
qualificato procedimento di abrogazione, ma, ripeto, è semplicemente ridicolo che questo più qualificato
procedimento di abrogazione si concreti nella moltiplicazione del procedimento
normale (2).
(1)
Prof. Pompeo
Biondi, da Studi politici, n. 3, dicembre 1952, pag. 438.
(2)
Prof. Mario
Allara, rettore dell'Università di Torino.
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