NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 13 giugno 2023

Appuntamento culturale



 

Il falso storico dietro il 2 Giugno

 


L'articolo 1 della legge 27 maggio 1949, n. 260, dispone: "Il giorno 2 giugno, data di fondazione della Repubblica, è dichiarato festa nazionale". Si tratta di uno smaccato falso storico.

 

di Paolo Armaroli


L'articolo 1 della legge 27 maggio 1949, n. 260, dispone: «Il giorno 2 giugno, data di fondazione della Repubblica, è dichiarato festa nazionale». Si tratta di uno smaccato falso storico volto a retrodatare la nascita della Repubblica. Il 2 giugno 1946 infatti vede ancora al Quirinale Umberto II, il re di maggio. In quel giorno e in quello successivo gl'italiani e le italiane voteranno per i 556 componenti dell'Assemblea costituente e si pronunceranno sul referendum istituzionale: Monarchia o Repubblica. Tutto qui.


Lo spoglio delle schede fu un'operazione al cardiopalmo. Sembrava che la Monarchia fosse avanti. Ma poi affluirono i voti del Nord e non ci fu più partita. Ci furono irregolarità e qualche broglio. Ma le famose «macchinette» del ministro dell'Interno, il socialista Romita, non potevano fare miracoli. Perché due milioni di scarto non si prestavano a giochi di prestigio. Il 10 giugno, a norma dell'articolo 17 del decreto legislativo luogotenenziale 23 aprile 1946 n. 219, alle 18 la Corte di cassazione, riunitasi nella sala della Lupa di Montecitorio, «procede alla somma dei voti attribuiti alla Repubblica e di quelli attribuiti alla Monarchia in tutti i collegi e fa la proclamazione dei risultati del referendum'». Si riserva di emettere in altra adunanza il giudizio definitivo sulle contestazioni, le proteste, i reclami e sui risultati delle 118 sezioni mancanti.

[...]

Il falso storico dietro il 2 Giugno - ilGiornale.it

sabato 10 giugno 2023

Monarchia o repubblica? III parte

 


LA GUERRA A FIANCO DELLA GERMANIA

La politica dell'Asse non fu certo di gradimento del sonano, antitedesco per natura e per educazione. Ma anche Mussolini dapprima non aveva simpatizzato con Hitler. Solo dopo le sanzioni avvenne il raccostamento fra le due dittature, e non v'è dubbio che in primo tempo Mussolini s'illuse di poter esser lui a dominare la situazione. Anche la malaugurata alleanza del maggio 1939 fu ispirata sopra tutto al concetto di tenere a freno Hitler, di costringerlo a rivelarci in tempo i suoi disegni. Il Re, oltre a non possedere alcun mezzo legale per mettere un veto alle iniziative di Mussolini, dovette anch'egli in buona fede pensare che l'alleanza servisse a tenere ancora per qualche anno lontana la guerra dall'Europa; tutti sanno infatti che il governo italiano aveva espressamente dichiarato di non esser pronto prima del 1942 e che il Patto d'acciaio escludeva ogni iniziativa di guerra fino a quella data. Fu l'impazienza folle di Hitler a scatenare il conflitto, e d'allora in poi gli eventi si svolsero in modo tanto vertiginoso da impedire alla monarchia un efficace cambiamento di posizione.

 

Certo è che se vi fu in Italia una forza che facesse opposizione alle idee bellicose di Mussolini, questa fu la Corona. Lo ha dichiarato in modo tassativo Galeazzo Ciano, nella lettera, resa poi di pubblica ragione, scritta al re dal carcere di Verona. Ecco le sue espressioni, che sono di una tragica eloquenza: «Io posso testimoniare dinanzi a Dio e agli uomini l'eroica lotta da Lei sostenuta per impedire quell'errore e quel crimine che è stata la nostra guerra a fianco dei tedeschi».

Queste parole vanno ricordate a chi parla di complicità o anche solo di passività del Re di fronte a quei gravi eventi. Ciano non esita a dire che la condotta del sovrano era stata «eroica». Egli doveva essere meglio informato della verità, di tanti calunniatori dell'ultima ora.

LA CADUTA DEL FASCISMO

Mussolini non soltanto fu l'unico responsabile della guerra, ma volle anche dirigerla a suo modo, coi risultati che tutti sanno. Il cattivo andamento delle operazioni lo costrinse a chiedere il soccorso dell'alleato tedesco, che in tal modo spadroneggiò sempre più in Italia. I contingenti tedeschi scesi fra noi non avevano tuttavia il solo scopo di aiutarci, ma anche quello di sorvegliarci. In tali condizioni, era facile per il Re troncare l'infausta avventura, sostituire Mussolini, sciogliersi dagli impegni presi coi nazisti?

Eppure, quando l'invasione della Sicilia e i disastrosi bombardamenti aerei resero inutile e dannosa ogni ulteriore resistenza, fu la Corona, e nessun altro, che prese le supreme decisioni. Non vi furono moti di piazza, non dimostrazioni di partiti; il malcontento appariva diffuso, ma impotente. Nessuno osava; chi osò fu il sovrano. Egli ordinò l'arresto di Mussolini, lo scioglimento del partito fascista, l'inizio di trattative con gli Alleati per l'armistizio. Il rischio fu grave; il colpo poteva non riuscire, e quali sarebbero state le conseguenze? Chi avrebbe pagato per tutto il fallimento dell'audace tentativo? Ci pensino gli italiani, troppo propensi a giudicare con leggerezza, o a dimenticare.

Il modo in cui furono condotte le trattative per l'armistizio è stato oggetto di severe critiche. Certo, gravi errori furono commessi, ma il Re non c'entra per nulla. Il governo e le autorità militari agirono nel modo effe ritenevano migliore, e del resto non era comodo trattare per la resta, coi tedeschi in casa, diffidenti e prepotenti. Gli Alleati in quel caso non ci aiutarono punto, non ci vennero incontro; anzi, annunziando al mondo prematuramente la conclusione dell'armistizio provocarono la controffensiva tedesca contro un'Italia ormai quasi disarmata. Un'azione meglio combinata, una maggior comprensione da parte degli anglo-americani avrebbe abbreviato d'un anno la guerra in Italia. Ma di ciò quale responsabilità spetta al Re? Evidentemente nessuna.

LA PRETESA «FUGA DI PESCARA»

Grave appunto fanno al sovrano i nemici della monarchia per avere egli abbandonato la capitale nella notte daini al ti settembre. E questo il loro ritornello preferito. La «fuga di Pescara» viene presentata come una diserzione, come un abbandono di posto volontario! Ma allora il fatto parve a tutti, come era, naturalissimo. Fu la propaganda tedesca e repubblichina che creò la leggenda della «fuga di Pescara», e chi oggi la raccoglie fa, senza volerlo, il giuoco dei nemici e della verità.

Roma non poteva essere efficacemente difesa contro i tedeschi, che l'assalivano con decisione e con forze meccanizzate nettamente superiori. La resistenza sporadica tentata nei dintorni della città fa onore a chi vi lasciò la vita, ma non poteva essere efficace. Quando il maresciallo Caviglia, che aveva per ordine del Re assunto i pieni poteri nella città abbandonata dal governo, ricevette l’ultimatum» del tedesco Kesselring, non esitò un istante ad accettarlo per salvare Roma dalla distruzione. Pochi minuti dopo egli s'incontrava con alcuni personaggi politici di cui non si potrebbe mettere in dubbio il patriottismo: l'on. Bonomi, il senatore Casati, l'on. Ruini, il ministro Piccardi.

«Che cosa avreste fatto voi?»   domandò. E quelli a una voce: «Avremmo accettato».

 

Ammesso dunque che Roma doveva cadere in mano dei tedeschi, che arrivavano pieni d'odio e di rabbia, che cosa doveva fare il Sovrano? Farsi catturare? Con quale vantaggio per la Nazione? Nessun capo di Stato, tranne il Re del Belgio, (che poi ne fu aspramente rimproverato) si è lasciato prendere volontariamente dal nemico; in simili circostanze hanno abbandonato la capitale il presidente della repubblica francese, la Regina d’Olanda, la Regina d'Olanda, il Re di Norvegia, il Re di Jugoslavia. Nessuno, se non sia un pazzo, può sostenere sul serio serio che il re abbia tradito il proprio dovere quando, partendo all'ultimo momento da Roma, si sottrasse a una cattura che avrebbe enormemente complicato la situazione già tanto difficile.

MONARCHIA E LIBERTA'

La questione morale suscitata artificialmente contro la Monarchia dimostra una cosa sola: che non si è osato portare il dibattito sui principii, e si è preferito rivolgersi alle passioni. Nessuno ha potuto dimostrare che la Monarchia costituzionale sia in contrasto con le aspirazioni del popolo alla libertà e al progresso sociale; ecco perché è tasta lanciata quell'iniqua accusa di «complicità «col fascismo, che non è appoggiata da alcuna prova, ma che, valendosi di alcune superficiali apparenze, era facile far accettare a un'opinione pubblica ingenua e politicamente impreparata, com'è purtroppo quella italiana.

In realtà le istituzioni monarchiche non hanno fatto cattiva prova, seppure nel ventennio fasciata; esse hanno assai costituito la sola forza efficiente che ha opposta qualche resistenza alla dittatura Mussoliniana, nei limiti del passibile e del giusto; e alla fine è stata la monarchia che ha preso l’iniziativa di liquidare il fascismo. In Germania, dove non esisteva una monarchia, la follia di Hitler non è stata fermata da nessuno e il popolo tedesco è stato portato, fino in fondo all'abisso.

Le istituitolo monarchiche sono per loro natura una garanzia di libertà; naturalmente occorre che il Parlamento e la nazione collaborino con esse; se la monarchia viene, come nel 1922 e nel 1944, abbandonata a se stessa, non può far miracoli. Ma è iniquo accusare di debolezza quelle istituzioni che si è fatto di tutto per indebolire e paralizzare.

La dittatura fascista non è stata un caso isolato in Europa; essa ha trionfato in un periodo in cui erano di moda i totalitarismi e gli esperimenti demagogici. Molta gente ha favorito quegli esperimenti, se n'è compiaciuta, ha creduto di vedere in essi un progresso; solo col senno del poi s'è accorta che nulla può compensare la perdita della libertà. Ma con quale logica si accusa oggi la monarchia del fallimento di questa illusione, che essa non ha né provocato né favorito, ma solo tollerato per forza maggiore?

 

LA MISSIONE DELLA MONARCHIA COMINCIA OGGI!

La monarchia costituzionale non è un sistema politico superato, ma anzi attualissimo. Chiunque teme il ritorno di metodi dittatoriali deve appoggiare la Monarchia. Quale opposizione potrebbe fare un regime repubblicano a un moto popolare (imposto da una minoranza audace) tendente a creare l'egemonia d'un partito o d'un uomo? Il presidente d'una repubblica non rappresenterebbe il partito più forte? Quando si generasse un movimento diretto a sopprimere le libertà degli altri partiti (come fece il fascismo e come fa tuttora il comunismo sovietico), gli organi della repubblica si troverebbero in migliori condizioni per impedirlo, di quelli monarchici? O non è piuttosto il contrario? Un istituto che è superiore ai partiti, che è ereditario, che tende per sua natura all'equilibrio, costituisce un ostacolo poderoso contro il prevalere delle fazioni; né si può chiedergli di più: il resto spetta alla coscienza civica, al coraggio, alla coerenza dei cittadini.

Chi assale oggi con maggior furore la Monarchia, in Italia? I partiti che tendono al totalitarismo, alla «dittatura del proletariato» (vale a dire alla dittatura d'un uomo che presume di rappresentare il proletariato); ed anche gli ingenui, gli ignari, che si aspettano chi sa quali vantaggi da un cambiamento radicale; infine gli arrivisti sfacciati. Tutta questa gente non pensa affatto a difendere la libertà. I più abili pensano alla conquista del potere; gli altri aspettarlo il miracolo che migliori le loro condizioni di vita, oggi indubbiamente difficili. La monarchia liberale e democratica non consente arrivismi né miracolismi; perciò bisogna colpirla! E’ possibile che anche persone intelligenti e oneste non si accorgano del substrato reale di certe polemiche?

La Monarchia è, oltre tutto, il fulcro dell'unità nazionale. Il motto famoso di Crispi è vero oggi più che mai. t bastato che si parlasse di repubblica perché spuntassero fuori tutti i regionalismi, gli autonomismi, i federalismi ed altre tendenze dissolventi. Giosuè Carducci, il vecchio vate repubblicano convertito alla causa della monarchia, ammoniva: « Repubblica! Repubblica in Italia vuol dire le repubbliche. E le repubbliche voglion dire debolezza interna, e guerra civile, prepotenza estera ed egemonia, e poi la benedizione del Santo Padre».

Anche per questo la missione della Monarchia in Italia è attuale, è viva, è preziosa e insostituibile. Essa assicura la continuità della vita nazionale. Solo chi ha interesse a sconvolgere totalmente la struttura storica, morale, economica dell'Italia in vista di mitiche palingenesi su modello straniero, può volere l'avvento di una repubblica aperta a tutti i capricci della plebe e agli esperimenti di tutti gli avventurieri politici.

Non si ripeterà mai abbastanza agli italiani che, prima di pronunziarsi sul grave problema, ne considerino tutti

gli aspetti, riflettano alle conseguenze lontane della loro decisione, non si lascino trasportare da giudizi frettolosi né da illusioni balorde, che preparerebbero loro, assai presto, terribili ma sterili resipiscenze.