LA
GUERRA A FIANCO DELLA GERMANIA
La
politica dell'Asse non fu certo di gradimento del sonano, antitedesco per
natura e per educazione. Ma anche Mussolini dapprima non aveva simpatizzato con
Hitler. Solo dopo le sanzioni avvenne il raccostamento fra le due dittature, e
non v'è dubbio che in primo tempo Mussolini s'illuse di poter esser lui a
dominare la situazione. Anche la malaugurata alleanza del maggio 1939 fu
ispirata sopra tutto al concetto di tenere a freno Hitler, di costringerlo a
rivelarci in tempo i suoi disegni. Il Re, oltre a non possedere alcun mezzo
legale per mettere un veto alle iniziative di Mussolini, dovette anch'egli in
buona fede pensare che l'alleanza servisse a tenere ancora per qualche anno
lontana la guerra dall'Europa; tutti sanno infatti che il governo italiano
aveva espressamente dichiarato di non esser pronto prima del 1942 e che il
Patto d'acciaio escludeva ogni iniziativa di guerra fino a quella data. Fu
l'impazienza folle di Hitler a scatenare il conflitto, e d'allora in poi gli
eventi si svolsero in modo tanto vertiginoso da impedire alla monarchia un
efficace cambiamento di posizione.
Certo
è che se vi fu in Italia una forza che facesse opposizione alle idee bellicose
di Mussolini, questa fu la Corona. Lo ha dichiarato in modo tassativo Galeazzo
Ciano, nella lettera, resa poi di pubblica ragione, scritta al re dal carcere
di Verona. Ecco le sue espressioni, che sono di una tragica eloquenza: «Io
posso testimoniare dinanzi a Dio e agli uomini l'eroica lotta da Lei sostenuta
per impedire quell'errore e quel crimine che è stata la nostra guerra a fianco
dei tedeschi».
Queste
parole vanno ricordate a chi parla di complicità o anche solo di passività del
Re di fronte a quei gravi eventi. Ciano non esita a dire che la condotta del
sovrano era stata «eroica». Egli doveva essere meglio informato della verità,
di tanti calunniatori dell'ultima ora.
LA
CADUTA DEL FASCISMO
Mussolini
non soltanto fu l'unico responsabile della guerra, ma volle anche dirigerla a
suo modo, coi risultati che tutti sanno. Il cattivo andamento delle operazioni
lo costrinse a chiedere il soccorso dell'alleato tedesco, che in tal modo
spadroneggiò sempre più in Italia. I contingenti tedeschi scesi fra noi non
avevano tuttavia il solo scopo di aiutarci, ma anche quello di sorvegliarci. In
tali condizioni, era facile per il Re troncare l'infausta avventura, sostituire
Mussolini, sciogliersi dagli impegni presi coi nazisti?
Eppure,
quando l'invasione della Sicilia e i disastrosi bombardamenti aerei resero
inutile e dannosa ogni ulteriore resistenza, fu la Corona, e nessun altro, che
prese le supreme decisioni. Non vi furono moti di piazza, non dimostrazioni di
partiti; il malcontento appariva diffuso, ma impotente. Nessuno osava; chi osò
fu il sovrano. Egli ordinò l'arresto di Mussolini, lo scioglimento del partito
fascista, l'inizio di trattative con gli Alleati per l'armistizio. Il rischio
fu grave; il colpo poteva non riuscire, e quali sarebbero state le conseguenze?
Chi avrebbe pagato per tutto il fallimento dell'audace tentativo? Ci pensino
gli italiani, troppo propensi a giudicare con leggerezza, o a dimenticare.
Il
modo in cui furono condotte le trattative per l'armistizio è stato oggetto di
severe critiche. Certo, gravi errori furono commessi, ma il Re non c'entra per
nulla. Il governo e le autorità militari agirono nel modo effe ritenevano
migliore, e del resto non era comodo trattare per la resta, coi tedeschi in
casa, diffidenti e prepotenti. Gli Alleati in quel caso non ci aiutarono punto,
non ci vennero incontro; anzi, annunziando al mondo prematuramente la
conclusione dell'armistizio provocarono la controffensiva tedesca contro
un'Italia ormai quasi disarmata. Un'azione meglio combinata, una maggior
comprensione da parte degli anglo-americani avrebbe abbreviato d'un anno la
guerra in Italia. Ma di ciò quale responsabilità spetta al Re? Evidentemente
nessuna.
LA
PRETESA «FUGA DI PESCARA»
Grave
appunto fanno al sovrano i nemici della monarchia per avere egli abbandonato la
capitale nella notte daini al ti settembre. E questo il loro ritornello
preferito. La «fuga di Pescara» viene presentata come una diserzione, come un
abbandono di posto volontario! Ma allora il fatto parve a tutti, come era,
naturalissimo. Fu la propaganda tedesca e repubblichina che creò la leggenda
della «fuga di Pescara», e chi oggi la raccoglie fa, senza volerlo, il giuoco
dei nemici e della verità.
Roma
non poteva essere efficacemente difesa contro i tedeschi, che l'assalivano con
decisione e con forze meccanizzate nettamente superiori. La resistenza
sporadica tentata nei dintorni della città fa onore a chi vi lasciò la vita, ma
non poteva essere efficace. Quando il maresciallo Caviglia, che aveva per
ordine del Re assunto i pieni poteri nella città abbandonata dal governo,
ricevette l’ultimatum» del tedesco Kesselring, non esitò un istante ad accettarlo
per salvare Roma dalla distruzione. Pochi minuti dopo egli s'incontrava con
alcuni personaggi politici di cui non si potrebbe mettere in dubbio il
patriottismo: l'on. Bonomi, il senatore Casati, l'on. Ruini, il ministro
Piccardi.
«Che
cosa avreste fatto voi?» domandò. E
quelli a una voce: «Avremmo accettato».
Ammesso
dunque che Roma doveva cadere in mano dei tedeschi, che arrivavano pieni d'odio
e di rabbia, che cosa doveva fare il Sovrano? Farsi catturare? Con quale vantaggio
per la Nazione? Nessun capo di Stato, tranne il Re del Belgio, (che poi ne fu aspramente
rimproverato) si è lasciato prendere volontariamente dal nemico; in simili circostanze
hanno abbandonato la capitale il presidente della repubblica francese, la
Regina d’Olanda, la Regina d'Olanda, il Re di Norvegia, il Re di Jugoslavia. Nessuno,
se non sia un pazzo, può sostenere sul serio serio che il re abbia tradito il
proprio dovere quando, partendo all'ultimo momento da Roma, si sottrasse a una cattura
che avrebbe enormemente complicato la situazione già tanto difficile.
MONARCHIA
E LIBERTA'
La
questione morale suscitata artificialmente contro la Monarchia dimostra una
cosa sola: che non si è osato portare il dibattito sui principii, e si è
preferito rivolgersi alle passioni. Nessuno ha potuto dimostrare che la Monarchia
costituzionale sia in contrasto con le aspirazioni del popolo alla libertà e al
progresso sociale; ecco perché è tasta lanciata quell'iniqua accusa di «complicità
«col fascismo, che non è appoggiata da alcuna prova, ma che, valendosi di
alcune superficiali apparenze, era facile far accettare a un'opinione pubblica
ingenua e politicamente impreparata, com'è purtroppo quella italiana.
In
realtà le istituzioni monarchiche non hanno fatto cattiva prova, seppure nel
ventennio fasciata; esse hanno assai costituito la sola forza efficiente che ha
opposta qualche resistenza alla dittatura Mussoliniana, nei limiti del
passibile e del giusto; e alla fine è stata la monarchia che ha preso l’iniziativa
di liquidare il fascismo. In Germania, dove non esisteva una monarchia, la
follia di Hitler non è stata fermata da nessuno e il popolo tedesco è stato portato,
fino in fondo all'abisso.
Le
istituitolo monarchiche sono per loro natura una garanzia di libertà; naturalmente
occorre che il Parlamento e la nazione collaborino con esse; se la monarchia
viene, come nel 1922 e nel 1944, abbandonata a se stessa, non può far miracoli.
Ma è iniquo accusare di debolezza quelle istituzioni che si è fatto di tutto
per indebolire e paralizzare.
La
dittatura fascista non è stata un caso isolato in Europa; essa ha trionfato in
un periodo in cui erano di moda i totalitarismi e gli esperimenti demagogici.
Molta gente ha favorito quegli esperimenti, se n'è compiaciuta, ha creduto di
vedere in essi un progresso; solo col senno del poi s'è accorta che nulla può
compensare la perdita della libertà. Ma con quale logica si accusa oggi la
monarchia del fallimento di questa illusione, che essa non ha né provocato né
favorito, ma solo tollerato per forza maggiore?
LA
MISSIONE DELLA MONARCHIA COMINCIA OGGI!
La
monarchia costituzionale non è un sistema politico superato, ma anzi
attualissimo. Chiunque teme il ritorno di metodi dittatoriali deve appoggiare
la Monarchia. Quale opposizione potrebbe fare un regime repubblicano a un moto
popolare (imposto da una minoranza audace) tendente a creare l'egemonia d'un
partito o d'un uomo? Il presidente d'una repubblica non rappresenterebbe il partito
più forte? Quando si generasse un movimento diretto a sopprimere le libertà
degli altri partiti (come fece il fascismo e come fa tuttora il comunismo
sovietico), gli organi della repubblica si troverebbero in migliori condizioni
per impedirlo, di quelli monarchici? O non è piuttosto il contrario? Un
istituto che è superiore ai partiti, che è ereditario, che tende per sua natura
all'equilibrio, costituisce un ostacolo poderoso contro il prevalere delle fazioni;
né si può chiedergli di più: il resto spetta alla coscienza civica, al
coraggio, alla coerenza dei cittadini.
Chi
assale oggi con maggior furore la Monarchia, in Italia? I partiti che tendono
al totalitarismo, alla «dittatura del proletariato» (vale a dire alla dittatura
d'un uomo che presume di rappresentare il proletariato); ed anche gli ingenui,
gli ignari, che si aspettano chi sa quali vantaggi da un cambiamento radicale;
infine gli arrivisti sfacciati. Tutta questa gente non pensa affatto a
difendere la libertà. I più abili pensano alla conquista del potere; gli altri
aspettarlo il miracolo che migliori le loro condizioni di vita, oggi
indubbiamente difficili. La monarchia liberale e democratica non consente
arrivismi né miracolismi; perciò bisogna colpirla! E’ possibile che anche
persone intelligenti e oneste non si accorgano del substrato reale di certe
polemiche?
La
Monarchia è, oltre tutto, il fulcro dell'unità nazionale. Il motto famoso di
Crispi è vero oggi più che mai. t bastato che si parlasse di repubblica perché
spuntassero fuori tutti i regionalismi, gli autonomismi, i federalismi ed altre
tendenze dissolventi. Giosuè Carducci, il vecchio vate repubblicano convertito
alla causa della monarchia, ammoniva: « Repubblica! Repubblica in Italia vuol
dire le repubbliche. E le repubbliche voglion dire debolezza interna, e guerra
civile, prepotenza estera ed egemonia, e poi la benedizione del Santo Padre».
Anche
per questo la missione della Monarchia in Italia è attuale, è viva, è preziosa
e insostituibile. Essa assicura la continuità della vita nazionale. Solo chi ha
interesse a sconvolgere totalmente la struttura storica, morale, economica
dell'Italia in vista di mitiche palingenesi su modello straniero, può volere
l'avvento di una repubblica aperta a tutti i capricci della plebe e agli
esperimenti di tutti gli avventurieri politici.
Non si
ripeterà mai abbastanza agli italiani che, prima di pronunziarsi sul grave
problema, ne considerino tutti
gli
aspetti, riflettano alle conseguenze lontane della loro decisione, non si
lascino trasportare da giudizi frettolosi né da illusioni balorde, che
preparerebbero loro, assai presto, terribili ma sterili resipiscenze.
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