NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 30 ottobre 2020

Il libro azzurro sul referendum - XXI cap - 1


 I - Premesse e considerazioni generali.

II - Critica dei metodi di indagine statistica.

III - Autocritica di un elaborato critico.

IV - Rielaborazione dei dati.

V – Le cifre nascoste

VI. – Analisi e sintesi di una ricostruzione.

 

I Premesse e considerazioni generali

Nelle giornate precedenti il referendum istituzionale del 2 giugno 1946, mentre si sapeva che circa 750.000 elettori delle Provincie di Bolzano e della Venezia Giulia non sarebbero stati chiamati alle urne, il Ministro dell'Interno lasciava, o faceva circolare la voce, accreditata nei suoi discorsi dallo stesso Presidente del Consiglio, che gli elettori chiamati il 2 giugno ad eleggere i Deputati alla Costituente e a votare nel  Referendum si sarebbero aggirati sulla cifra di 28.000.000.

A chiunque avesse qualche consuetudine con le statistiche, specie demografiche e sociali, una «popolazione elettorale» di 28 milioni non poteva non apparire notevolmente lontana dalla realtà, sol che ponesse mente al fatto che la popolazione elettorale corrisponde alla somma dei cittadini di ambo i sessi che hanno compiuto gli anni 21, e sol che, ricordando che i cittadini «maggiorenni» costituiscono a un dipresso il 60% della popolazione dello Stato, osservasse come quest'ultima venisse a risultare vicina ai 46.710.000 - che sarebbero stati 48 milioni, includendovi le provincie escluse dalle urne, - e assai lontana dalla cifra reale di una popolazione che, sebbene aumenti ogni anno, aveva necessariamente subito dalla guerra falcidie assai rilevanti durante il quinquennio 1941-1945.

Io ero fra coloro che non potevano accettare ad occhi chiusi tali maggiorazioni di cifre, che non esitai a definire pubblicamente «cervellotiche anche se l'aggettivo parve, e pare, offensivo. Ed anche pensavo che, di solito, cioè da quando mondo è mondo, le elezioni si preparano prima, anche manovrando, da chi può, le cifre; e che a prepararle, di solito più di ogni altro, è il Ministro dell'interno.

Pensavo che, in funzione della manovra preparatoria - nella quale si comprende «il far credere  ai cittadini che la somma degli elettori sarà una piuttosto che un'altra - due o tre milioni di cittadini in più avrebbero fatto ottimo giuoco, consentendo una abbondante a riserva» di schede e di voti, da gettare nella mischia, non a caso, in veste di elettori compiacenti e disciplinati, tempestivamente istruiti e organizzati con metodo paziente e sapiente, inviati a votare una seconda e una terza volta, posto che, per fare questo, il mezzo «legale» c'era.

Questo pensavo, perché non credevo, e non ho mai creduto poi, alle possibilità di giochetti con le «macchine calcolatrici» assai meno addomesticabili degli uomini, e neppure alla facilità di «sostituzioni di schede», specie da effettuarsi per cifre ingenti.

Ma anche pensavo che il Ministro dell'Interno, fra le molte cose che normalmente sa o deve sapere, ne sapeva due: l'una, che un Ministro dell'Interno, di regola, non perde le elezioni - salvo che la regola può essere confermata da eccezioni, e l'eccezione non è escluso si verifichi nel 1953 - e l'altra, che gli uffici elettorali, nel 1945-1946, specie nelle grandi Città, erano in disordine e quindi in condizioni da potervi preordinare qualsiasi «accorgimento».

Ma il Ministro dell'Interno sapeva, soprattutto, una terza cosa, e di importanza somma: e cioè che l'Istituto Centrale di Statistica non aveva né veste né mezzi per «rilevare» i dati elettorali alle fonti dirette, e quindi doveva accettare a priori per buoni i dati che gli avrebbe comunicati il Ministero dell'Interno, sui quali poi avrebbe potuto come gli piacesse sbizzarrirsi nelle più varie è complesse elaborazioni. 

Poiché la «Statistica» è una «tecnica», soprattutto, che si vale dei mezzi offertile dalle «Scienze esatte», le elaborazioni statistiche sono «esatte», in principio, soltanto se in fondo siano esatte le premesse, cioè se siano esatti i «dati» che le vengono forniti: i dati forniti dal Ministero dell'Interno, in materia elettorale, sono presunti esatti «per decreto ministeriale». 

Non ha però pensato il Ministro dell'Interno, che se l'Istituto Centrale di Statistica è costretto - fra un censimento e l'altro - a «calcolare» anno per anno il movimento, cioè a dire le variazioni annuali, della popolazione, allorché si compie un nuovo censimento si viene a fissare un «dato certo», che consente di «rifare i calcoli» e di «rettificarli», procedendo, anche, a ritroso. Se a questo avesse pensato, il Ministro dell'Interno - che per la sua professione privata ha una «istituzionale» dimestichezza coi numeri - sarebbe andato più cauto.

Comunque, l'Istituto Centrale di Statistica doveva credere alla attendibilità dei 28 milioni di elettori inscritti; un confronto, se mai, o una conferma, l'avrebbe avuta col numero - anche quello «autorevolmente» comunicatogli - dei «certificati elettorali emessi», posto che le due cifre devono coincidere. L'incidenza di «errori di emissione», per «omissioni» e per «duplicati» di certificati, che praticamente tendono a compensarsi, è incidenza, in ogni caso - cioè, se le cose siano fatte «onestamente» - irrilevante. Quindi, la coincidenza delle due cifre avrebbe sancito il «presupposto della onestà»: e sul numero di 28.000.000, ogni indiscreta indagine sarebbe stata preclusa.



Poichè la « Statistica » è una «tecnica», soprattutto, che si vale dei mezzi offertile dalle «Scienze esatte», le elaborazioni statistiche sono « esatte», in principio, soltanto se in fondo siano esatte le premesse, cioè se siano esatti i «dati» che le vengono forniti: i dati forniti dal Ministero dell'Interno, in materia elettorale, sono presunti esatti «per decreto ministeriale».

Non ha però pensato il Ministro dell'Interno, che se l'Istituto Cen­trale di Statistica è costretto — fra un censimento e l'altro - a «calcolare» anno per anno il movimento, cioè a dire le variazioni annuali, della popolazione, allorché si compie un nuovo censimento si viene a fissare un «dato certo», che consente di «rifare i calcoli» e di «rettificarli», proce­dendo, anche, a ritroso. Se a questo avesse pensato, il Ministro dell'Interno - che per la sua professione privata ha una «istituzionale» dimestichezza coi numeri -sarebbe andato più cauto.

Comunque, l'Istituto Centrale di Statistica doveva credere alla attendibilità dei 28 milioni di elettori inscritti; un confronto, se mai, o una conferma, l'avrebbe avuta col numero - anche quello « autorevolmente » comunicatogli — dei « certificati elettorali emessi », posto che le due cifre devono coincidere. L'incidenza di « errori di emissione », per « omissioni » e per « duplicati » di certificati, che praticamente tendono a compensarsi, è incidenza, in ogni caso — cioè, se le cose siano fatte « onestamente » -irrilevante. Quindi, la coincidenza delle due cifre avrebbe sancito il « pre­supposto della onestà»: e sul numero di 28.000.000, ogni indiscreta inda­gine sarebbe stata preclusa.

Poiché io non avevo il dovere di credere, ed avevo anzi, come qual­siasi cittadino, la «libertà di fare da me» gli stessi calcoli che l'Istituto Centrale di Statistica era da 10 anni «costretto a fare» non disponendo di dati certi di popolazione se non di quelli che risalivano al Censimento del 21 aprile 1946, mi proposi di fare io stesso quei calcoli, che poi riassunsi in un modesto studio, intitolato «Rilievi statistici sul «referen­dum» istituzionale del 2 giugno 1946».


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