MONARCHIA
E SOCIETA' TRADIZIONALI
Descriviamo
la Monarchia e la società tradizionali. Anticipiamo subito che la Tradizione
deve sempre avere un aggancio metafisico e religioso e poiché uno solo è il
vero Dio, una sola è la vera Tradizione a cui dobbiamo rifarci. Ciò richiede un
chiarimento preliminare con i tradizionalisti non cattolici. Come dimostra il
fatto che ci siamo valsi dell'insegnamento di Evola, è possibile, in sede di
dottrina monarchica, una larga parte di cammino in comune tra tradizionalisti
cattolici e non cattolici. Poiché il Cristianesimo ha recepito in sé, nella
dottrina, si pensi a S. Tommaso che si serve della metafisica classica greca, e
nelle istituzioni, nel Medioevo romano-germanico, parecchi elementi del mondo
tradizionale pre-cristiano, molti caratteri della Monarchia tradizionale sono
ugualmente rivendicati da cattolici e da pagani. A questi ultima manca però
l'aggancio finale e più alto, la roccia saldissima che solo possiede chi,
abbracciando la dottrina e la fede cattolica, può arrivare alla dimostrazione
razionale, data in maniera insuperata dalla filosofia scolastica e
neo-scolastica, dell'esistenza di un Dio Persona e Creatore.
I
costanti richiami che farò alla dottrina cattolica vogliono fornire alla
dottrina monarchica la base più solida e vera; in una certa misura, il discorso
generale può essere accettato anche dai tradizionalisti che tale base
rifiutino, ma perde la più inattaccabile delle difese.
Ulteriore
chiarimento richiede l'esistenza, attuale o potenziale, di monarchie,
tradizionali e non, cristiane non cattoliche o di altre religioni non
cristiane. Quanto a queste ultime, in esse possono sussistere, accanto ad
elementi barbarici (la Tradizione non ha nulla a che vedere con il mantenimento
acritico di usanze primitive), caratteri tradizionali affini al nostro modello,
e comunque sarà sempre da preferire, nell'ambito di una stessa confessione
religiosa, una Monarchia ad una repubblica. Il problema di una conversione alla
vera religione di tali popolazioni non si vede come potrebbe essere posto
direttamente dai monarchici.
Una
critica apparentemente fondata è quella di chi osserva che oggi esistono più
monarchie protestanti che cattoliche. Ma, a parte che è stata appena restaurata
la Monarchia nella Spagna cattolica, tra le non schiacciante prevalenza dipende
in molti casi più da ragioni storiche particolari che dalla religione della
nazione. Il caso della Gran Bretagna, la più splendida delle monarchie
esistenti, conferma che non si può generalizzare. Infatti, a parte che
evidentemente le basi della Monarchia erano già saldamente poste quando il
paese era cattolico, ciò che dà un contributo, ma non certo l'unico,
importante alla solidità della Corona può essere certo la religione anglicana
(essa è però in piena crisi ed ha recentemente compiuto scelte politiche di
"sinistra"), ma più per il fatto di essere religione di stato con a
capo la Regina che per il suo contenuto protestante, che, oltre tutto, tra le
varie sette, è il meno lontano dal Cattolicesimo.
Ma il
discorso di fondo è un altro. Se i monarchici vogliono vivacchiare cercando di
salvare le monarchie esistenti a prezzo di qualunque concessione e sperando
nella buona sorte per restaurarne qualcuna, possono benissimo trascurare tutto
il discorso che segue e rifiutare di aderire alla vera religione. Se invece
vogliono operare per una inversione del ciclo rivoluzionario degli ultimi
secoli, convinti che ciò sia possibile o comunque debba essere tentato, e che
solo in tal modo si possa avere un ritorno generale delle monarchie, allora
evidentemente di tale discorso di restaurazione globale la vera religione è il
pilastro.
Descriveremo
un modello meta-storico di Monarchia e società tradizionali e cattoliche;
modello che si realizzò però largamente nel Medioevo. Dobbiamo chiederci: tutta
la società nel Medioevo è tradizionale? Non è esistito nulla di tradizionale al
di fuori di esso? Non potrà di nuovo esistere una società tradizionale? Vediamo
l'insegna mento della Chiesa. Papa Pio XII ha detto: "Si pretende,
sovente, identificare Medioevo e civilizzazione cattolica. La fusione non è del
tutto esatta. La vita di un popolo, di una nazione, si svolge in un ambito
molto vario che oltrepassa i limiti dell'attività propriamente religiosa.
Quando una società rispetta, in tutta l'estensione del termine, i diritti di
Dio e si interdice di varcare le frontiere poste dalla dottrina e dalla morale
della Chiesa, a buon diritto può dirsi cristiana e cattolica.
Nessuna
civiltà può vantarsi di essere tale, così totalitariamente, nemmeno la civiltà
medioevale, per non dire che essa era in continua evoluzione e che, in
quell'epoca, andava arricchendosi di una nuova corrente di civiltà antica"
(11).
D'altro
canto S. Pio X scrive che: "La civiltà cristiana non è più
da
inventare, e neppure la nuova città da erigere nelle nuove. Essa è stata, essa
è: è la civiltà cristiana, è la città cattolica" (12).
Il
concetto di Civiltà Cristiana deriva dal dogma della Regalità Sociale di
N.S.G.C. Il Papa Leone XIII afferma, riferendosi al Medioevo, che "Fu già
tempo che la filosofia del Vangelo governava gli Stati, quando la forza e la
sovrana influenza dello spirito cristiano era entrata bene addentro nelle
leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in tutti gli ordini e ragioni
dello Stato, quando la religione di Gesù Cristo, posta solidamente in
quell'onorevole grado, che le conveniva, traeva su fiorente all'ombra del
favore dei Principi e della dovuta protezione dei magistrati, quando
procedevano concordi il Sacerdozio e l'Impero, stretti avventurosamente tra
loro per amichevole reciprocanza di servizi. Ordinata in tal modo la società,
recò frutti che più preziosi non si potrebbe pensare, dei quali dura e durerà
la memoria, affidata ad innumerevoli monumenti storici, che niuno artifizio di
nemici potrà falsare od oscurare" (13).
Cosa
concludere? Il Regno di Dio non è di questo mondo e quindi non potrà mai su
questa terra realizzarsi nella sua forma perfetta. "Ciò che non bisogna
però dimenticare è che in un mondo cristiano (come la cristianità medioevale,
ad esempio) il mondo, inteso nel senso delle tre concupiscenze e del rifiuto di
Dio, ha una importanza ben reale e fa sentire la sua influenza nefasta... le
istituzioni, bene o male, erano conformi alla giustizia e permeate di spirito
cristiano. Che cosa faceva allora il demonio? Tentava di distogliere i re e
gli uomini dall'ideale di giustizia cristiana che era quello della città.
Tuttavia, finché la citta, nell'insieme, rimaneva cristiana, non diveniva in
quanto tale uno strumento del demonio..." (14). Così il modello di
Monarchia tradizionale non potrà mai realizzarsi compiutamente (ciò vale anche
per tutti i progetti derivanti puramente da ideologie terrene, che non si
realizzano mai in forma pura).
Però
il Medioevo è la civiltà più cristiana che sia mai esistita, tanto che si
parla, per quel periodo, di "Cristianità", intesa come
"l'universalità
dei Principi e dei popoli cristiani obbedienti alla stessa
dottrina,
animati dalla stessa fede, soggetti allo stesso magistero spirituale"
(15). Il fine della nostra milizia di monarchici contro-rivoluzionari è la
restaurazione della società tradizionale. Ciò sarà tanto più possibile quanto
più sapremo in primo luogo esserne degni noi stessi. "Società tradizionale
è ogni società fondata sul principio della Contemplazione, o del Sacro, o del
Metafisico. In essa l'uomo ha due ordini di rapporti. Un primo con il Principio
che lo trascende, ed è un rapporto metafisico, e quindi verticale, perché
presuppone il salto qualitativo tra Creatore e creatura. Esso determina il
posto dell'uomo nell'Universo. Un secondo con tutti gli altri uomini, ed è un
rapporto sociale, e quindi orizzontale, perché presuppone la eguaglianza
metafisica tra le creature. Esso determina il posto dell'uomo nella società. E
come ciò che è imperfetto deve riflettere ciò che è perfetto, come l'opera dell'uomo
deve imitare l'opera di Dio, così l'orizzontale deve modellarsi sul verticale,
l'ordine sociale deve rispecchiare l'ordine cosmico" (16).
In una
società tradizionale, quindi, "Dio è misura" e vi è una gerarchia di
valori, religiosi e metafisici, spirituali, morali, politici, economici.
La
pietra angolare che garantisce l'esistenza e la sopravvivenza di tale società è
la Tradizione, cioè "un insieme di principi aventi una immutata validità
normativa e un carattere metafisico"(17). Ha scritto il grande Francisco
Elias de Tejada: "La Tradizione si filtra due volte: in un primo passaggio
sociologico, in un secondo etico. Nel primo, il suo contenuto va depurandosi
naturalmente nel corso della storia. Nel secondo, la Tradizione si depura
metafisicamente nella pietra di paragone assoluta che è la legge di
Cristo" (18).
La
Tradizione può dunque essere definita come il giudizio che il naturale senso
morale formula sugli avvenimenti storici.
Mentre
lo storicismo sottomette i valori al giudizio della storia, rimanendo privo di
qualunque aggancio che possa salvarli dalla dissoluzione rivoluzionaria, il
tradizionalismo giudica i fatti storici alla luce della Verità, che è sovra
temporale. Perciò il tradizionalismo sottintende una metafisica dell'essere
quale quella della tradizione tomistica e una concezione della verità quale
"Adaequatio intellectus ad rem", che è propria del realismo critico
di S. Tommaso.
Il
filosofo Luigi Pareyson ha scritto che "Il senso profondo di tradizione,
quello che direi metafisico-ontologico, è proprio questo: sentire, pensare,
volere e agire nell'infinito dell'essere" (19). Un atteggiamento
filosofico che rifiuti una metafisica dell'essere porta, oltre che alla
dissoluzione della filosofia stessa, al rifiuto del reale, ad una concezione
prometeica della ragione umana, ritenuta capace di creare essa la realtà, alla
utopia rivoluzionaria (20).
Dopo
Hegel, viene necessariamente Marx.
La
società tradizionale non nasce da un ipotetico contratto, ma è il naturale
sviluppo della famiglia, delle comunità naturali, dei corpi intermedi; si fonda
sulle tradizioni ed i costumi, senza necessariamente avere bisogno di una
costituzione scritta (21); è organica, cioè si organizza attorno ad un centro,
ad un'idea che tutta la informa.
La
fonte del potere è Dio: "Per me reges regnant" (Prov. VIII, 15).
Insegna Papa Leone XI I I:"Moltissimi dicono che ogni potere viene dal
popolo: per cui coloro che esercitano questo potere, non lo esercitano come
proprio ma come dato loro dal popolo, e altresì con la condizione che dalla
volontà dello stesso popolo, da cui il potere fu dato, possa venir revocato.
Da costoro però dissentono i cattolici, i quali il diritto di comandare
derivano da Dio, come dal suo naturale e necessario principio" (22 ).
È
stato scritto che "Il Cattolicesimo consacrò l'autorità e santificò
l'obbedienza". Va però precisato chiaramente che può invocare per il suo
potere la "Grazia di Dio" solo l'autorità legittima l'autorità che,
con la fedeltà quotidiana alla vera religione, unisca la legittimità di
esercizio alla legittimità di origine. Altrimenti qualunque tiranno,
interpretando erroneamente il "Non est postestas nisi a Deo" (Rom. XII,1
(22 bis) potrebbe proclamare di essere l'unto del Signore. La "Grazia di
Dio" deve essere ad un tempo segno di privilegio e di umiltà: il Re
cattolico davanti al confessore è uguale al più modesto dei suoi sudditi.
Sia
detto per inciso che unire alla "Grazia di Dio" la "volontà
della nazione" è un ibrido ed un assurdo. O la "volontà della
nazione" è intesa nel senso che la Provvidenza divina che agisce nella
storia dei popoli consente che il Re continui a regnare, e allora essa è già
compresa nella "Grazia di Dio". Oppure si vuole intendere, ed è
questo il senso corrente, che l'autorità deriva a mezzadria da Dio e dal
popolo, e allora ciò è in netto contrasto con l'insegnamento di Leone XIII,
testé ricordato, e della Chiesa.
Si
pone evidentemente il problema dei rapporti tra potere religioso e potere
politico. È chiaro che il primo è superiore, per la gerarchia di valori sopra
accennata e per il fatto che il Papa, dotato a certe condizioni di
infallibilità, è il custode del dogma, che costituisce la pietra di paragone
ultima della Tradizione. Naturalmente l'autorità religiosa deve lasciare la
giusta autonomia al potere politico nelle questioni temporali. Si ricordi
comunque che in una società tradizionale
i due poteri devono collaborare per la salvezza celeste ed il benessere terreno
dei sudditi. L'artificioso separatismo liberale, che vorrebbe scindere in una
stessa persona il cittadino dal credente, non è concepibile. Le lotte tra
Papato ed Impero nel Medioevo riguardavano i limiti delle rispettive zone di
influenza, ma non fu mai messo in dubbio che i due poteri dovessero collaborare
a maggior gloria di Dio ed a beneficio della Cristianità.
Bene
sintetizza il Papa Gregorio X, dicendo: "Se è dovere di coloro che
reggono gli stati salvaguardare i diritti e l'indipendenza della Chiesa, è
anche dovere di coloro che hanno il governo ecclesiastico di adoperarsi
affinché i Re ed i Principi abbiano la pienezza della loro autorità" (23).
Il
potere del Sovrano è limitato dalle leggi divine e dalle tradizioni, non dagli
uomini: "Quod rex non habet hominem qui sua facta dijudicet". Il
giurista inglese Sir Edward Coke, in polemica con le tendenze assolutiste di
Giacomo 1 Stuart, gli ricordò queste parole di Henry Bracton, giureconsulto
dell'epoca medioevale: "Quod Rex non debet esse sub homine sed sub Deo et
lege". Naturalmente la legge di cui qui si parla è la common law del
diritto anglo-sassone, cioè appunto i costumi e le tradizioni, non certo la
legge intesa quale norma impersonale e generalizzata emanante da un parlamento
democratico. Se qualcuno pensa che il potere del Re non sia in tal modo
efficacemente condizionato, ricordi che "I secoli sono piú forti dei
Re". Nonostante l'assolutismo abbia rappresentato una degenerazione della
Monarchia tradizionale, aprendo la strada, specialmente con l'assolutismo
illuminato, alla Rivoluzione, non è affatto vero che nell'Ancien Régime
immediatamente prima della Rivoluzione francese il potere del Sovrano fosse
così illimitato come si vuol far credere. Alla vigilia del 1789 vi erano in
Francia 4 Consigli Superiori e 13 Parlamenti (come è noto i Parlamenti
nell'Ancien Régime erano corti di giustizia che avevano il compito di vegliare
sul mantenimento e sulla applicazione delle leggi, unendo in una certa misura
il potere giudiziario a quello legislativo). Molto più illimitato ed assoluto è
il potere delle odierne democrazie totalitarie (24).
17) Cit. in Trono e Altare, scritti inediti del Principe di Canosa, Ist. ed. del Mediterraneo, 1973, p. 5.
18) In La Monarchia tradizionale, ed dell'Albero, 1966.
19) Nel volume di AA. VV., Eternità e storia, ed. Vallecchi, 1970, p. 29.
20) Sulle conseguenze della "ragione impazzita", cfr. M. De Corte, L'intelligenza in pericolo di morte, ed. Volpe, 1973.
21) De Maistre ha scritto che non ha senso chiedere in che libro sia scritta la legge Salica, perché essa è scritta nel cuore dei francesi (op. cit., p. 33).
22) Enciclica Diuturnum, 29-6-1881, in Tutte le encicliche dei Sommi Pontefici, ed. Dall'Oglio, 1964, p. 364.
22 bis) Vedere sul tema: G. Torti, Non est potestas nisi a Deo, Ed. Thule, 1977.
23) Cit. in Pernoud, op. cit., p. 100.
24)
Sull'ancien régime, cfr. i primi capitoli di P. Gaxotte, La Rivoluzione
francese, ed. Rizzoli, 1949. Sul concetto di "democrazia
totalitaria", cfr. J.L. Talmon, Le origini della democrazia totalitaria,
ed. Il Mulino, 1967.
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