di Emilio Del Bel Belluz
Le
giornate successive al nostro ultimo incontro erano passate in fretta, ma mi
avevano fatto sentire appagato e soddisfatto del futuro che riuscivo ad
intravvedere con Elena. Alla sera, dopo che Genoveffa se n’era andata, mi
sedevo davanti al caminetto a leggere un libro e contavo le ore che mi
separavano da lei. La sua bellezza mi aveva conquistato, come la sua nobiltà
d’animo. Erano importanti solo le ore che trascorrevo assieme a lei. Una
mattina, mentre calavo le reti, incontrai una persona che aveva la passione di
passeggiare lungo il fiume in compagnia del suo cane. Costui mi raccontò di un
vecchio che era sempre vissuto in un’isola vicino al Po e che non l’aveva mai
abbandonata. Questo signore aveva scelto di starsene per conto suo, lo scopo
della sua vita era quello di isolarsi dalla società, in modo particolare, dalle
donne che avevano condizionato
negativamente la sua vita. La donna di cui s’ era innamorato perdutamente era
una sua vicina di casa. Avevano frequentato le scuole elementari assieme, ed
erano cresciuti condividendo il loro tempo, finché la loro amicizia si tramutò
in amore profondo. La loro unione, davvero molto importante per entrambi, venne
incrinata dalla guerra. Il giovane dovette partire, lasciare la famiglia e la
donna che amava. Quella lontananza sarebbe stato un banco di prova per il loro
amore, e prima di partire si erano giurati mille volte che si sarebbero
aspettati e, alla fine, sposati. Per questo prima di lasciarsi, il giovane le
consegnò un anello, nel quale aveva inciso il nome di lei. Il giovane,
l’indomani, partì dalla sua casa, e ad accompagnarlo alla stazione c’era la
ragazza dagli occhi castani e dai lunghi capelli che le incorniciavano il bel
volto. Quando il treno uscì dalla stazione, il rumore della locomotiva si
sentiva ancora più forte, la mano del fidanzato che salutava si perdette
nell’infinito, e le lacrime della giovane che osservava il treno scomparire
furono notate dalle persone che la attorniavano. Nel cuore di entrambi vi
regnava una profonda tristezza. Passarono dei mesi senza che la ragazza potesse
ricevere delle notizie su dove il suo amore era stato mandato. Poi, un mattino
il postino le recapitò la prima lettera. Il ragazzo scriveva in quella missiva
tutto il grande amore che nutriva per lei; la lesse ripetutamente nella sua
stanza da letto, con la foto del suo amato davanti. Quanta nostalgia vi era in
quell’anima e la lontananza cominciava a pesarle. Nel piccolo paese dove
abitava vicino al Po, la vita scorreva lenta e monotona come il fiume. Accadde
quello che non sarebbe dovuto accadere mai. La ragazza si innamorò di un uomo
più grande di lei, e tra i due nacque una storia che non lasciava spazio alla
razionalità. La famiglia della giovane non vedeva di buon occhio l’amore che
era nato tra i due. Una mattina, ormai travolti da una grande passione,
scapparono di casa senza lasciare un indirizzo per i famigliari. Il giovane
ignaro di quello che era capitato continuò a scriverle, ma s’ insospettì che la
giovane non gli rispondesse. Alla prima licenza scoprì la dura verità. Il
ragazzo affranto dal dolore non aveva più voglia di tornare al fronte e per
questo decise di disertare. Pensò di rifugiarsi in una vecchia capanna che
aveva in un’isola del Po. Quel posto appartato gli era piaciuto subito. Alla
capanna abbandonata ci si arrivava con la barca, doveva essere stata il rifugio
di qualche ricercato che aveva avuto dei problemi con la giustizia. Quel luogo
gli sembrava l’ideale per estraniarsi dalla società e per dimenticare la sua
infelice storia d’amore. Non disse nulla ai genitori della sua decisione. Aveva
portato l’occorrente per la pesca, e un fucile per la caccia. Dalla sua casa
aveva preso una gavetta, un tegame, delle posate e dei piatti in alluminio. Il
giovane, che era molto religioso, volle portare con sé una madonnina e un
crocefisso in legno che aveva scolpito a scuola. Aveva acquistato una barca per
raggiungere l’isola, da un suo amico che prima di sposarsi, faceva il pescatore
di frodo. Una notte si avviò alla capanna, conosceva molto bene quei posti,
mentre si stava allontanando dalla riva osservò il campanile della chiesa del
paese, dove avrebbe voluto sposarsi. Gli tornarono in mente i ricordi più belli
della sua gioventù trascorsa al paese, ma la tristezza per il mancato matrimonio
con la sua amata ebbe il sopravvento. Il Po quella sera si presentava
minaccioso, era particolarmente ingrossato, per la tanta pioggia caduta nei
giorni precedenti. Aveva paura, ma il
ricordo delle parole di Isaia lo tranquillizzavano: “Se dovrai attraversare le
acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al
fuoco non ti scotterai, la fiamma non ti può bruciare”. Sapeva di non far del male ad alcuno, cercava
solo la solitudine che era posseduta dagli eremiti. Non cercava relazioni
sociali, perché solo la solitudine gli avrebbe permesso di non affrontare altre
tristezze. Il dolore per il suo amore non più corrisposto sarebbe stato lenito
dal tempo. La vita ritmata dalle acque del fiume sarebbe stata serena. Raggiunse
la capanna alle prime ore del mattino con grande difficoltà, perché era
diventata quasi irreperibile dalla folta vegetazione che l’attorniava. Quel
giorno lavorò sodo per togliere gli arbusti, le piante e per sistemare il tetto
della capanna. Vi collocò in salvo tutto quello che possedeva, cercò di pescare
qualcosa nel fiume e dopo qualche ora raccolse il frutto delle sue fatiche: un
grosso temolo che dopo averlo pulito con un coltello militare, lo cucinò. Si
sedette davanti al fuoco come se fosse un fuggiasco. Sperava tanto che nessuno
lo cercasse. Ricordò un racconto scritto in un giornale, dove due giovani erano
scappati con una barca scivolando lungo il fiume Mississipi, e i loro vicini li
cercarono per delle settimane, prima di convincersi che erano morti. Nel
racconto si diceva che i due ragazzi avevano vissuto delle settimane pescando,
e cucinando il pesce. La capanna che avevano trovata li ospitò fino al momento
in cui decisero di tornare in paese. Il
giovane innamorato non aveva però nessuna intenzione di tornare e per molti
anni visse nella solitudine più assoluta. Il crocefisso e quella piccola
Madonna che aveva portato con sé, gli furono di conforto fino alla morte. Si
seppe della sua scomparsa avvenuta molti anni dopo, grazie ad un cacciatore che
ritrovò le tracce del giovane. Il corpo dello sfortunato fu trovato disteso,
con dei disegni accanto e con il crocefisso in mano. La storia alla fine mi
commosse, il vecchio che me l’aveva raccontata aveva capito il mio grande amore
per la donna che avevo conosciuto e mi augurava una sorte felice. Qualche
giorno dopo andai a trovare Elena e le portai il denaro per acquistare le
attrezzature del padre. Dopo quel giorno, invitai Elena e sua madre nella mia
dimora, e il mio intento era quello di far loro conoscere la buona Genoveffa
che si occupava di me. L’incontro tra di noi fu cordiale, naturalmente
Genoveffa volle onorare le ospiti con un pranzetto delizioso. Poi uscii con
Elena, attraversammo il piccolo paese e camminammo fino a raggiungere Villa Morosina
che era la dimora estiva di nobili veneziani, la cui dinastia si era estinta.
Ora vi abitava una famiglia facoltosa che lavorava la terra. Quella villa mi
era sempre piaciuta e da bambino andavo a pescare nel piccolo canale che si trovava
vicino, dove calavo le mie canne per pescare qualche pesce. Attorno alla villa
si poteva ammirare un’armonia di colori, paragonabile alla tavolozza di un
pittore, data dal rispetto dell’uomo per la natura che era rimasta intatta
nella sua bellezza.
Nessun commento:
Posta un commento