NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

lunedì 8 gennaio 2018

Ius soli e forzature di Natale: a Francesco si è ingolfata la comunicazione

di Francesco Adonia 
La situazione è diventata via via sempre più evidente e in queste festività ha raggiunto l'apice. Qualcosa nella comunicazione di papa Francesco si è ingolfata. Le numerose polemiche sull'omelia di Natale, dove il vescovo di Roma ha affiancato l'inospitalità vissuta da Giuseppe e Maria la notte in cui Gesù venne al mondo alle recenti traversate del Mediterraneo, è solo l'ultimo vespaio in ordine di tempo scatenato sui sacri Palazzi. Che la predicazione sui migranti sia uno dei temi qualificanti del pontificato bergogliano – una «fissazione» per citare Antonio Socci – lo si era inteso fin dal viaggio pastorale a Lampedusa. Un tema, per carità, nelle piene corde del cattolicesimo sociale.
Tuttavia, è proprio su questo argomento che il flusso di consenso attorno a Francesco ha subìto una brusca interruzione, spaccando in due il suo uditorio. Più dei suoi predecessori, il papa argentino gode di una vasta attenzione anche fuori dal recinto ecclesiale. Più ad extra, probabilmente. Ed è da questo dato che bisogna partire. Un cortocircuito bello e buono che rivela una delle contraddizioni più profonde di questo momento storico, almeno sotto il profilo credente. Francesco piace ad Eugenio Scalfari, piace ai redattori di Rolling Stones, come a quelli di Wired. Ma la sua credibilità fra i cattolici è attraversata da sempre più frequenti fibrillazioni che neanche l'obbedienza e il lealismo riescono più a calmierare.

La questione è appunto di credibilità. Perché, restando sempre al tema dei migranti, Bergoglio è venuto meno a una delle regole che egli stesso si era imposto una volta intronizzato: quella cioè di non intervenire nel dibattito politico dei singoli Paesi. Almeno in Italia – e forse anche negli Stati Uniti – la sensazione è invece assai diversa. La coincidenza della sua uscita con la discussione sul disegno di legge sullo Ius soli e le relative polemiche per la mancata approvazione a seguito dello scioglimento delle Camere, hanno disegnato il quadro entro cui le riflessioni del pontefice non potevano non risultare incendiarie. Incendio che tuttavia non è esploso quando il Senato ha definitivamente approvato il testo sul testamento biologico. Perché al netto di alcune ricostruzioni giornalistiche un po' affrettate, il mondo cattolico – a partire dai suoi vertici – non ha eretto alcuna barricata.

Inutile ribadire anche in questa sede che il diritto alla cittadinanza tanto caro al pontefice è un espediente tanto artificioso quanto ingenuo. È semmai il rispetto della dignità della persona umana a dover essere preminente sia in termini di teologia morale, sia di assunto costituzionale, che di argomento che merita una risoluzione politica. Soltanto alle luce di questo principio la condizione migrante è illuminata, e non di per sé. Ha ragione Andrea Tornielli quando rievoca le riflessioni natalizie di Ratzinger e l'utilizzo da parte del pontefice tedesco delle stesse figure usate dall'argentino. La differenza è che nella predicazione benedettina la centralità della persona umana era più evidente e meglio scolpita nell'antropologia cristiana.
Che la condizione peregrinante goda della benedizione divina, lo si può apprendere sia dal Nuovo che dall'Antico testamento. Che gli ultimi godano di un primato esistenziale alla luce del Vangelo, è un fatto. Ma la questione va ancorata al campo teologico e alla disciplina spirituale, altrimenti è impossibile comprendere dove stia la beatitudine nel migrante che pochi giorni fa ha scippato una signora a piazza Garibaldi a Napoli. Senza una valida riflessione, sarà quella stessa vittima a non comprendere dove voglia parare il Santo padre.  Tra il mistero cristico e l'assunto politico, ci vogliono delle mediazioni che mirino all'interesse generale di una comunità accogliente: che badino a degli equilibri allo stesso tempo economici, sociali e culturali. Altrimenti ci troveremmo dinnanzi a forzature disastrose.
Insomma, tra il dovere dell'accoglienza a cui ogni singolo cristiano è chiamato e le esigenze di gestire un fenomeno, ce ne passa. Soprattutto se assistiamo al travaso di metà dell'Africa in Europa. Ragionare sulla questione migranti glissando sul realismo storico, campo in cui un tempo i gesuiti erano maestri, rischia di essere un ideologismo utile – come denunzia Diego Fusaro – a mere logiche di mercato e che neanche al papa può essere abbuonato. Non senza tenere in considerazione che altri pontefici hanno parlato senza tentennamenti del principio che ad ogni uomo va riconosciuto il diritto di vivere in pace e nella propria terra di appartenenza. Ovvero, del diritto ad avere una patria ove seppellire i propri padri.



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