NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 2 gennaio 2018

Io difendo la Monarchia - II cap. III parte


Fu dunque un fenomeno mondiale dell’altro dopoguerra: l’umanità straziata dalla lunga e sanguinosa e « inutile strage » (mai come nella seconda guerra mondiale è apparsa grande la verità espressa dal Pontefice Benedetto XV in una sua celebre frase) si ribellava all’ordine politico e sociale che aveva scatenato il conflitto e si poneva alla ricerca di un ordine nuovo. Quell’umanità lasciava l’iniziativa del movimento al popolo russo, il meno dotato di esperienza politica ma il più pronto, per il suo diffuso spirito evangelico, ad accettare i dettami di una nuova religione, sia pure di una antireligione.
Non supponeva nella sua ingenuità, il popolo russo, e neppure pensavano nei loro più vasti strati, i popoli di Europa che il nuovo ordine comportava più violenze, più abusi, più delitti e più sangue del precedente.
La natura e la storia, procedono per vie inconsueta e strane, assai più contraddittorie di quelle intraviste dal cervello umano più paradossale. 11 turbine devastatore e innovatore partito da Mosca si estese in tutta l’area dei paesi vinti; poi toccò l'Italia che subiva la psicosi dei paesi vinti. Ne nacquero in Italia come in Germania e in Ungheria delle reazioni che il pensiero politico mondiale salutò e giudicò come benefiche.
I fatti più salienti dell’anno 1919 in Italia furono i primi scontri armati nelle strade di Milano tra i cortei socialisti e le nuove formazioni del fascio; (aprile 1919), il ritorno della nostra delegazione da Parigi; (maggio 1919) i fatti di Fiume e la nuova Camera. Lo scontro tra fascisti e socialisti a via Mercanti (Marinetti celebrerà quell’avvenimento per molti anni e lo chiamerà la battaglia di via Mercanti) fu il primo episodio della guerra civile italiana. Fu un fenomeno del tutto nuovo. La folla si comportò come un’unità militare. Non furono, infatti, veri e propri fascisti che affrontarono il grosso corteo socialista avverso, con grida e cartelli, allo spirito della guerra e della vittoria. Furono gruppi di futuristi, di arditi, di ufficiali studenti del Politecnico. Questi gruppi scalmanati aprirono il fuoco: gli scioperanti si sbandarono: gli altri incalzarono furiosi, andarono alla redazione dell Avanti!, vi penetrarono a forza e la devastarono. Fu subito chiaro che le masse operaie erano condotte da uomini non preparati, pur dopo tanti anni di predicazione della violenza e dell’azione diretta (1) ai nuovi compiti della lotta politica che si veniva combattendo. I fascisti apparvero subito e II Popolo d'Italia si affrettò a menarne vanto, come i difensori della vittoria e come i restauratori dell’ordine. Aggiungeva quel giornale non esservi più nulla da temere se numerosi cittadina erano risoluti a impedire il sovvertimento dell’ ordine sociale e politico. Ma quei cittadini non volevano difendere il vecchio stato democratico parlamentare. Essi non attribuivano la vittoria delle armi allo Stato liberale. Essi affermavano di aver ottenuto l'intervento in guerra nonostante l'opposizione sorda del Parlamento e pretendevano di aver vinto nonostante il disfattismo dei parlamentari. Altri fatti significativi si svolgevano in quell'anno 1919: la nostra delegazione a Parigi interrompeva le conversazioni alla Conferenza della Pace per gravi divergenze sulla questione italiana con il Presidente Wilson. Orlando e Sonnino venivano accolti trionfalmente a Roma: D'Annunzio tornava nella capitale a rinnovare gli incitamenti e i discorsi del «maggio radioso».
Egli parlava questa volta dal Campidoglio agitando una bandiera che aveva coperto la salma di un eroe della guerra a lui caro, G. Randaccio. Il motto da lui ripetuto era: «Memento audere semper». Si iniziavano allora le agitazioni per Fiume e la Dalmazia alle quali seguiva nel settembre la Marcia di Ronchi e l'impresa di Fiume.
Anche in questo caso si mescolavano pensieri e sentimenti diversi e si ottenevano risultati contrastanti. Da una parte si notavano l'amore alla causa nazionale, la glorificazione del sacrificio in guerra, la difesa della vittoria e delle frontiere; dall'altra si ripeteva l’esperienza delle milizie volontarie e partigiane non legate ad ununico giuramento al Re e alla Patria; in definitiva quindi un nuovo e deplorevole indice di indebolimento della disciplina militare e di dissolvimento delle forze armate dello Stato. Questi fenomeni non rivelavano interamente e immediatamente la loro intera natura. Si cominciava col difendere l’onore della bandiera dall'assalto dei neutralisti e dei disfattisti di ieri che erano poi gli antimilitaristi programmatici del 1910 e gli avversari di tutte le nostre rivendicazioni nazionali e si finiva col compiere un atto di aperta sedizione militare con la marcia dei Granatieri da Ronchi a Fiume.
La Monarchia non poteva non accusare simili colpi; quelli della rivolta endemica dei partiti di sinistra e quelli della destra dannunziana e fascista. Ma come attribuire alla Monarchia le responsabilità di tali iniziative? E come attribuire alla Monarchia la responsabilità della mancanza di un partito medio, forte, patriottico e insieme democratico, amico del progresso e delle riforme
sociali? Il rimedio esisteva ed era quello classico dei regimi parlamentari; convocare i comizi elettorali e attenersi al responso delle urne. Ma le condizioni dell'Italia in quell'autunno e inverno del 1918-1919 sconsigliarono agli eminenti parlamentari e giuristi del tempo (primo fra tutti Vittorio Scialoia) la convocazione dei comizi elettorali. L'Italia non poté avere il suo Parlamento bleu horizont come la Francia, né il suo Parlamento della vittoria come l'Inghilterra, per l'irrequietezza dello spirito pubblico. E questa situazione non migliorò durante il 1919 : essa divenne anzi più grave nel corso dell'anno, prima di giungere alle elezioni della nuova Camera. La nuova legislatura con i suoi 156 deputati socialisti e 101 deputati popolari significò la rivincita sul
«maggio radioso».
Le forze dell'interventismo furono battute: la lista di Mussolini ebbe a Milano una votazione miserevole. Quale fu la prima manifestazione della nuova Camera? I 156 deputati socialisti quando il Re entrò nell’aula di Montecitorio per leggere il discorso della Corona, intonarono l’inno Bandiera Rossa. Verrà un giorno in cui quegli stessi socialisti invocheranno dall’autorità dello Stato a difesa della legalità, ma essi dimenticavano che, in quel tempo, avevano deliberatamente offeso il più alto rappresentante della legalità. Era questo lo spirito nuovo della guerra e della vittoria? Una grande quantità di italiani non accolse, non si riconobbe in quello spirito e, purtroppo, andò ad ingrossare le file del fascismo. Gli anni 1919 e 1920 furono in Italia gli anni del socialismo, diun socialismo aggressivo violento e barricadiero ove gli antichi intellettuali di non dubbia fede, ma di tendenza democratica e riformista, Turati e Treves, rimanevano in minoranza. Quel socialismo non era abbastanza forte e abbastanza duttile per tentare l'esperienza di Governo con una concentrazione della sinistra, ma era abbastanza forte per impedire di governare.

Era questo lo spirito nuovo della guerra e della vittoria? Una grande quantità di italiani non accolse, non si riconobbe in quello spirito e,  purtroppo, andò ad ingrossare le file del fascismo. Gli anni 1919 e 1920 furono in Italia gli anni del socialismo, di un socialismo aggressivo violento e barricadiero ove gli antichi intellettuali di non dubbia fede, ma di tendenza democratica e riformista, Turati e Treves, rimanevano in minoranza. Quel socialismo non era abbastanza forte e abbastanza duttile per tentare l’esperienza di Governo con una concentrazione della sinistra, ma era abbastanza forte per impedire di governare.
Gli scioperi industriali, gli scioperi agrari, le occupazioni delle terre, gli scioperi dei servizi pubblici resero difficile la vita economica e la vita cittadina. Nel settembre 1920 si verificò, con Giolitti, succeduto da qualche mese a Nitti, l’occupazione delle fabbriche. Migliaia di comuni e decine di provincie ebbero delle amministrazioni socialiste che da quei ridotti cercarono di combattere lo Stato e la Monarchia. Sotto la pressione di bande ribelli e in seguito ad un ammutinamento dei bersaglieri ad Ancona, Giolitti dovette decidere l’abbandono dell’Albania che era costata tanto sangue e denaro italiano.
Il socialismo non assunse la responsabilità del potere né da solo né tentando una coalizione delle sinistre. I popolari resero impossibile il successivo governo di Bonomi perché pretesero che i loro Ministri obbedissero agli ordini della Segreteria del Partito. L’unità del Governo fu quindi rotta: per ogni provvedimento, anche i più modesti, si richiedevano infiniti patteggiamenti e numerose riunioni e infinite discussioni.

Anche i popolari si trovarono, dopo, a dover difendere il Parlamento e la legalità senza però rimediare al danno recato all'uno e all’altra con i loro disegni e le loro manovre di parte. Alla fine del 1920 fu chiaro a tutti gli italiani che se si voleva un'industria ordinata, un’agricoltura produttiva, dei servizi politici che funzionassero e un minimo di ordine e di rispetto della legge bisognava fare qualche cosa e farlo senza indugio.

Così malauguratamente, il fascismo vide rafforzare le proprie formazioni. Non fu certo la «reazione monarchica» ad armare il fascismo che era allora tendenzialmente repubblicano e indeboliva lo Stato quanto e più d'ogni altro movimento politico. Vecchi e nuovi agitatori come i Rossoni, i Farinacci, i Balbo, i Razza, oltre Mussolini, erano repubblicani quanto e più dei socialisti. Questo fascismo era fenomeno antico e nuovo. Aveva aspetti del nostro Rinascimento per gli accesi odii di fazione e di comune; aveva aspetti del Risorgimento per alcuni ostentati simboli, per i suoi riti, per le sue camicie nere che ricordavano quelle rosse.
I socialisti e i comunisti usano descrivere il fascismo come strumento della reazione agraria e capitalistica. È questa una interpretazione che pecca di astrattezza per essere ricavata dai canoni del materialismo storico. Riportiamo qui di seguito due interpretazioni del movimento che, pur dovute a due tra i massimi esponenti dell’antifascismo, ci sembrano assai più obiettive e concrete.


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