Da il Giornale, 26 Gennaio 2018
Se putacaso il Re fosse rimasto a Roma anche in seguito all'armistizio, che
sarebbe successo? Anni fa lo stesso Re Umberto II, in un'intervista, disse e ripeté
più volte che se si fosse rimasti in Roma, si sarebbe dato ragione sia ai
tedeschi, sia agli alleati, poiché si sarebbero scatenati delle lotte ancora
più feroci,di quanto non lo furono già quei sanguinosi mesi di guerra (le Fosse
Ardeatine, Marzabotto, Monte Cassino, per dirne solo alcuni). Non soltanto
l'intera Famiglia Reale, compresi i nostri anziani Sovrani ed il Principe
Ereditario, avrebbe conosciuto la stessa sorte della sventurata Principessa
Mafalda, ma ne sarebbe
andato di mezzo il patrimonio storico, culturale, artistico e soprattutto religioso dell’intera Urbe. In definitiva, le due operazioni di de fascistizzazione dell’Italia ad opera del Re e del suo governo furono senz'altro necessarie ma mal condotte.
andato di mezzo il patrimonio storico, culturale, artistico e soprattutto religioso dell’intera Urbe. In definitiva, le due operazioni di de fascistizzazione dell’Italia ad opera del Re e del suo governo furono senz'altro necessarie ma mal condotte.
E tutto ciò non per colpa del Re, ma
del ministro della Real Casa, Acquarone per la prima (25 luglio), del governo Badoglio per la
seconda (8 settembre). Per la prima, fu un errore relegare Mussolini in zona
vicina al controllo tedesco. Se fosse stato messo a Ponza piuttosto che sulla
Sila. Skorzeny difficilmente avrebbe potuto farla franca fino laggiù; quanto alla
«fuga» da Roma, avrebbe potuto essere organizzata meglio, in modo da togliere all'opinione pubblica la (falsa) impressione che fosse quella che in realtà non era. Ma
sappiamo tutti che invece le cose andarono come andarono e che il Re ne fu il
comodo capro espiatorio. In realtà nessuno si fece mai l’esame di coscienza di
chi fosse stata la colpa, per essere arrivati a tanto: dov’erano gli antifascisti
il 3 gennaio 1925, quando Mussolini col suo discorso toglieva le libertà dello Statuto,
dov'erano il 9 maggio 1935, quando proclamava da palazzo Venezia la riapparizione
dell'impero sui colli fatali dell'Urbe», idem il 10 giugno 1940,
quando spediva otto milioni di baionette
a sacrificarsi per sedere tra i vincitori al tavolo della pace, segno già questo della sua delirante demenza politica (eppure era tutt’altro che
stupido; era stato plagiato e soggiogato da quella mente satanica del caporale boemo).
Mario S. Manca di Villahermosa, Milano.
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