NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 19 marzo 2021

Un ricordo del 1983

Il nostro fraterno amico, Francesco Maurizio di Giovine, ha scritto sul gruppo "Monarchia Oggi" di Facebook, in occasione del Santo Natale, questo breve suo ricordo che nella sua nitidezza ci fa correre un brivido lungo la schiena. 

Lo abbiamo ritrovato e con il suo permesso lo riproponiamo sotto forma di post per questo blog. C'era un'Italia, ed in parte ancora c'è, che sente nel suo DNA di irrigidirsi sull'attenti davanti alla figura del Re, senza che vi sia alcuna altra spiegazione in questa cosa che l'amore per la propria Patria e per la sua Storia.
Anche un imberbe ragazzino di 17 anni, quale era il sottoscritto, pur non avendo mai fatto il militare sentì la stessa tranquilla necessità. Troppo ignorante per capire un'infinità di cose ma a cui l'amore di Patria parlava in uno ed in un solo modo.

Non capivo niente ma ai funerali del Re c'ero anche io. 

E ne vado immensamente fiero.


Cari Amici che mi seguite sulle pagine di questo gruppo e date il vostro gradimento scrivendo "mi piace". 

Ricorrendo il Santo Natale ho pensato a Voi e, per ringraziarvi, voglio raccontare un fatto accaduto più di trenta anni or sono. Quel fatto, per me, trascende l'aneddotica potendo entrare nel patrimonio ideale di una generazione di giovani che ebbero la fortuna di militare nel F.M.G. .     

Era pomeriggio del Venerdì 18 marzo del 1983. Ero in casa e la radio accesa mi faceva compagnia. Il Giornale Radio annunciò la morte, in una clinica svizzera, dell'ultimo Re d'Italia. La notizia non mi colse di sorpresa. Sapevo che il Re stava male. Ma l'annuncio della sua morte mi diede tanta sofferenza. Improvvisamente squillò il telefono. Dall'altra parte una voce rotta dall'emozione disse: "Maurizio, hai saputo?" Risposi tristemente di si. Era un vecchio maresciallo dell'Arma, mio buon amico, che giovanissimo, aggregato al Reggimento Cavalleggeri di Alessandria, si era guadagnato una Croce di Guerra al Valor Militare comportandosi da eroe nell'ultima carica della Cavalleria Italiana, a Poloi, nell'ottobre del 1942. 



In serata ebbi dei contatti con l'Istituto Nazionale delle Guardie Al Pantheon, di cui facevo parte, accettando di essere della pattuglia che avrebbe vegliato il Re sino alla sepoltura.  Il giorno seguente, sabato, dopo mezzogiorno, partii in auto per Altacomba assieme al mio amico, dott. A. C., anch'egli Guardia d'Onore.        

Cominciava ad imbrunire quando giungemmo al passo del Frejus. 

Avevamo scelto quel transito perché temevamo di incontrare la neve percorrendo la Valle d'Aosta. Ci fermammo al posto di dogana della frontiera dove ci venne incontro un giovane carabiniere che ci chiese i documenti. Li consegnammo prontamente ed il milite, piegandosi verso il finestrino, ci chiese dove eravamo diretti. In quel momento sfogai tutta l'aggressività che avevo dentro e che era andata crescendo durante il viaggio conversando con il mio amico di bordo. Risposi con tono fermo, quasi ad alta voce, proprio per affermare un concetto che non ammetteva equivoci: "Andiamo ai funerali del Re d'Italia!". Il giovane carabiniere non fiatò. Si avviò, portando con sè i documenti, verso la stazione di comando, situata al margine della strada. Dal finestrino dell'auto osservammo la scena grazie alla spaziosa vetrata, ma non potemmo ascoltare la conversazione.

Intanto cominciai a provare un certo rimorso per la temerarietà osata. Pensammo che, forse, le mie parole avrebbero pregiudicato il proseguimento del viaggio. Probabilmente ci avrebbero trattenuto con cavilli pretestuosi. Il tempo trascorreva ed il pessimismo si impadroniva di noi. Con questo stato d'animo addosso continuammo ad osservare quel che accadeva nella piccola caserma di frontiera.                                                                                                       

Il carabiniere confabulava con un brigadiere che, ora, aveva in mano i nostri documenti e li scrutava con attenzione. 

Poco dopo vedemmo uscire da una porta il maresciallo comandante la stazione il quale, dopo aver ascoltato i suoi due dipendenti, prese in mano i nostri documenti e ci venne incontro. Ci preparammo al peggio. Camminava lentamente e si diresse verso il mio finestrino. il vetro dello sportello era abbassato. Appena giunto, si curvò verso di me, consegnandomi i documenti. 

A questo punto, dopo un silenzio che parve durare un'eternità, finalmente parlò e mi disse: "Quando sarete davanti alla salma del Re, portate il riverente saluto di un maresciallo dell'Arma". Fu un attimo. Lo guardai in viso e mi accorsi che aveva gli occhi lucidi. Improvvisamente si alzò. Si mise sugli attenti e portò il palmo destro della mano aperta alla visiera. Capii che non salutava me, ma il Re. Il suo Re! Il nostro Re!         

 

Risposi: "sarà fatto" e ripartimmo verso la Savoia con un groppo in gola.

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