di Emilio Del Bel Belluz
I mesi che seguirono furono
inanellati da altre vittorie. Carnera l’otto settembre 1930 combatté a New York
vincendo contro Pat Mc Carthy per KO. Salì, poi, sul ring il 17 settembre
contro Jack Gross che sconfisse per arresto del combattimento alla quarta
ripresa. I giornali sportivi scrissero che Carnera si stava avvicinando ai
primi posti della classifica mondiale. I tifosi continuavano a seguirlo, gli arrivavano
delle lettere di ammiratosi sia dall’America, che dall’Italia.
Carnera cercava di rispondere a tutti con l’aiuto di una giovane che gli
leggeva le lettere e gli preparava le foto a cui fare la dedica. Il campione si
era fatto fare da un tipografo alcune centinaia di foto, dove lo si vedeva in
tutta la sua grandezza con i guantoni, e la bandiera italiana sempre vicina,
donatagli dalla sua cara maestra assieme al libro Cuore che ogni tanto si
rimetteva a leggere alcuni capitoli, rimanendone confortato. La sua maestra era
in cielo, e sicuramente lo proteggeva da lassù. Primo, nei momenti di
solitudine, tornava con il pensiero alla sua maestra e alla sua mamma. In quei
giorni era stato a trovare il suo amico sacerdote, che lo accolse con felicità,
e gli parlò del suo ultimo incontro di cui aveva letto sui giornali.
Al curato piaceva intrattenersi con
Carnera, discorrevano dell’Italia e dei poveri in difficoltà. Il pugile, a
volte travolto dalla nostalgia, gli raccontava che gli mancava l’Italia, il paese
dove era nato e vissuto e dove avrebbe voluto ritornare. Nella boxe non era
facile farsi degli amici sinceri, parlare a cuore aperto con qualcuno. Il mondo
del ring era spietato, era un susseguirsi di persone che conoscevi
superficialmente e poi, non incontravi più. Il sacerdote gli disse che il
miglior amico che possediamo è il buon Dio, nessuno più di lui ti sta accanto e
non ti tradisce mai. Gli raccontò, inoltre, che la mucca che aveva donato era
stata molto utile, tante bocche di bambini erano state sfamate, grazie alla sua
bontà.
La vecchia perpetua aveva portato un
dolce, Carnera ne mangiò con piacere più fette, e bevve del buon vino, che lo
rese allegro. Il sacerdote gli volle raccomandare la preghiera e l’amore verso
gli altri, come era sua consuetudine fare. Nel mese di ottobre avrebbe compiuto
24 anni, al suo paese molti amici della sua età erano già sposati, avevano una
moglie che li aspettava a casa, dei figli; e questo lo faceva riflettere, anche
lui voleva una famiglia ed una donna con cui invecchiare assieme. Il sacerdote
lo guardò e gli disse di stare tranquillo, un domani dopo la boxe, avrebbe
anche lui trovato una donna da amare, perché il buon Dio aveva scritto una
pagina importante anche per lui. Il parroco poteva sentire dove la nobiltà
d’animo poteva arrivare.
Carnera era tra quelle persone buone che
cercavano pace. Lasciata la canonica, ritornò all’albergo, dove lo attendevano
Paul Journée e Léon Sée. Gli comunicarono che il prossimo incontro lo avrebbe
fatto a Boston contro Jim Maloney, un pugile di una certa fama, e che bisognava
riprendere gli allenamenti con molta determinazione. Ad ottobre, mese del suo
compleanno, desiderava come regalo, la vittoria contro Maloney. Il mese
settembre stava finendo, gli allenamenti diventarono molto più duri del
previsto, l’avversario doveva essere domato, non si poteva arrivare
impreparati. In palestra, per una ventina di giorni, venne arruolato un pugile
piuttosto forte, che aveva girato il mondo con la boxe. Costui doveva fare
lunghe sessioni di guanti con Carnera. Maloney aveva battuto nel 1924 Jack
Sharkey. Successivamente Maloney venne sconfitto per ben due volte da
quest’ultimo. Carnera ricordava, poi, che, una sera, parlando con Bertazzolo
disse che aveva incontrato Maloney due volte ed in una era riuscito a vincere,
grazie ad una scorrettezza dell’avversario, perché lo colpì mentre se ne stava
tornando all’angolo. L’incontro si svolse sempre a Boston, ambiente molto
favorevole a Maloney. Nella rivincita disputata sempre a Boston, Bertazzolo venne
sconfitto e durante il match si ruppe una mano. Questo avversario che aveva una
fama nella boxe, andava affrontato nella miglior forma possibile. A Carnera
sarebbe piaciuto avere come allenatore per la sessione di guanti Bertazzolo,
gli sarebbe stato di sicuro molto utile. I giorni degli allenamenti passarono
molto velocemente, il solo svago di Primo consisteva nel leggere i giornali che
parlavano di lui, ora qualche parola d’inglese faceva parte del suo
vocabolario. Nella sua stanza aveva una valigia speciale, dove raccoglieva
tutto ciò che parlava di lui. La ragazza, figlia dell’albergatore napoletano,
gli consegnava spesso dei plichi di ritagli incollati su dei fogli bianchi e
con una calligrafia molto precisa vi annotava la data dell’articolo e il nome
del giornale. La valigia in quel periodo americano era diventata sempre più
piccola. Carnera acquistava pure il giornale americano - The ring - che gli
aveva dedicato alcuni articoli e una copertina. Il 7 ottobre 1930, a Boston,
Carnera affrontò il pugile J. Maloney.
Molti scommettitori lo davano per
favorito, grazie alla serie impressionante di vittorie per KO ottenute in
quell’anno. Ma questa volta Carnera perse ai punti in dieci riprese. Il match
fu uno dei più brutti che avesse disputato. Primo ricordò le parole di
Bertazzolo che lo avevano messo in guardia da Maloney. Dopo la fine del
combattimento Carnera, tornando negli spogliatoi, mostrava il volto della
sconfitta, il suo allenatore cercava in tutti i modi di farlo sorridere,
ricordandogli che una mancata vittoria aveva radici per un futuro trionfo.
Carnera, però, gli ricordava che questa sconfitta gli comprometteva il suo
incontro per il titolo mondiale che sembrava cosa fatta. Aveva disputato ben
ventiquattro incontri e ne aveva vinti ventitré per kO, ma questa volta aveva
perso con un avversario che non era il campione del mondo. Léon Sée stava a
sentire anche lui infastidito, quella battuta d’arresto non doveva accadere,
aveva in mano le carte per il mondiale, che si sarebbe potuto fare all’inizio
del 1931. Ora le cose erano talmente ingarbugliate che bisognava ricominciare
da capo. Léon Sée, che era un uomo che non si arrendeva mai, pensò al da farsi,
ma non lo disse, né a Primo, né a Paul.
I giorni che seguirono erano
contraddistinti da una grande malinconia che s’impadronì di Carnera. I suoi
ammiratori gli erano rimasti vicini, e qualcuno gli disse che quell’incontro
non doveva combatterlo a Boston, la casa del suo avversario, perché aveva dalla
sua parte molti tifosi. Carnera decise che si sarebbe concesso una settimana di
vacanza, voleva andare a comprare qualche dono, ma per lui il 25 ottobre non
sarebbe stato un compleanno felice. Gli sarebbe piaciuto festeggiarlo come si
deve, con poche persone che gli stavano vicine a New York, nel locale del suo
amico napoletano, ma non aveva lo stato d’animo adatto. Qualche giorno dopo il
match, era tornato a mangiare in quel locale, la figlia del proprietario gli
aveva preparato i ritagli di giornale, ben sistemati come sempre faceva;
includendo anche quelli dell’ultimo match con J. Maloney e il plico era
diventato piuttosto spesso. Tanti giornalisti avevano scritto su questa
sconfitta, solo qualcuno aveva detto che il match perduto non gli pregiudicava
la possibilità di battersi per il mondiale. Coloro nelle cui vene scorreva
sangue italiano si riconoscevano in Carnera, lo vedevano come il lato buono e
nobile dell’Italia, un atleta che era amato da Mussolini e che rappresentava la
forza nella boxe.
Un giornalista che aveva intervistato Léon
Sée aveva detto che in redazione erano arrivate tante lettere di persone che
avevano considerato Carnera ancora più grande, anche nella sconfitta. La
ragazza timidamente gli diede una pacca sulla spalla per dargli coraggio, e
trovò nel volto di Primo un sorriso inaspettato e questo le era bastato. La
giovane gli voleva bene, lo stimava, gli era grata che da quando frequentava il
suo locale, molte persone venivano a mangiare. Chiedevano di Carnera,
ammiravano le sue foto appese alla parete di cui una in particolare dove lo si
vedeva con in guantoni rivolti verso l’alto in segno di vittoria. Per il
campione quel ristorante era un posto che gli faceva respirare l’aria di casa.
Il proprietario gli faceva trovare delle specialità napoletane, tra cui la
pizza Margherita che gli piaceva molto perché era semplice come lui. Carnera
gradiva i volti sereni, i momenti gioiosi potevano sparire all’improvviso, è la
vita che spesso è complicata. In quel locale vedeva gente italiana che voleva
stare con lui. Qualcuno gli chiedeva di fare una foto assieme.
I tifosi, anche dopo questa imprevista
sconfitta, lo consideravano un grande del pugilato, per loro sarebbe diventato
campione del mondo. Gli italiani che erano emigrati in America lavoravano sodo
con lo scopo di accantonare dei soldi per comprarsi una casa modesta ed un
piccolo fazzoletto di terra in Italia. Ma la maledetta crisi del 1929 aveva
fatto sfumare i loro sogni, le loro aspirazioni, molti non possedevano neppure
i soldi per tornare a casa, con grande dispiacere di Carnera. Primo in quei
giorni decise di andare ancora una volta dal suo amico parroco, voleva stare
con lui perché gli piaceva la sua compagnia e, nel frattempo, il suo allenatore
e Léon Sée avrebbero pianificato i prossimi combattimenti. Il suo amico
sacerdote lo accolse come sempre con felicità, la perpetua gli preparò un dolce
e colse l’invito di pranzare assieme.
Il curato gli chiese di accompagnarlo a
far visita ad un malato. Carnera ne fu felice e s’incamminarono verso la
destinazione. Il parroco era a conoscenza della sua battuta d’arresto, arrivata
in modo inaspettato. Nella vita capitano dei momenti di difficoltà in cui tutto
ci sembra insormontabile e l’animo di Carnera era colmo di tristezza. Ma
bastava che ritornasse con la mente alle vittorie dei combattimenti dell’ultimo
anno per ritrovare la forza di risollevarsi. Il curato gli consigliò di
ritornare in Italia per disputare il titolo italiano di pesi massimi e poi
tornare in America per la sfida mondiale. Il prete gli disse, inoltre, che
aveva già 24 anni ed era ora di trovare una brava ragazza con cui pensare a
formare una famiglia. Carnera rispose che il mondo della boxe non gli garantiva
ancora un futuro economicamente tranquillo. Ma non gli nascose che in Francia
frequentava una giovane, alla quale, però, non aveva più scritto. Ritornati in
canonica pranzarono assieme e per la prima volta il vecchio curato aveva visto
quanto mangiasse il campione e ne fu felice. Carnera si congedò dal suo amico
sacerdote che era già scesa la sera, e si sentiva meno triste. Pensava che era
compito di ogni uomo lasciare un mondo migliore di quello che aveva trovato.
Canticchiò una canzone e si avviò verso un taxi per tornare in albergo.
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