di Emilio Del Bel Belluz
Un giornale aveva raccontato l’episodio in cui Carnera aveva fatto visita in un ospedale ad un suo connazionale che aveva tentato il suicidio. Costui, avendo perso il lavoro e non sapendo come fare per andare avanti, aveva scelto di morire. All’ingresso dell’ospedale, fu subito circondato da persone che lo acclamavano. Entrò nella stanza del poveretto e con una mano grande come un badile gli fece una carezza, supplicandolo di pensare alla vita. L’uomo si commosse, nella stanza c’era anche sua moglie ed iniziò a raccontare la sua storia. Carnera lo ascoltò, seduto accanto al letto del poveretto, lo incoraggiò dicendogli che anche lui aveva provato la povertà e che nella vita si dovevano accettare anche i periodi bui perché poi passano e che il buon Dio non ci abbandonava mai. La moglie proseguì il racconto, dicendo che gestivano una bottega ma con la recessione dovettero chiudere. Avrebbero desiderato fare ritorno in Italia, ma non avevano i soldi per sostenere il viaggio, anche perché avevano tre figli. Carnera che era un uomo pratico, estrasse da una tasca della giacca una busta contenente del denaro e la porse alla moglie, dicendole che non era un prestito, ma un regalo di un italiano ad un altro italiano. Si fece poi assicurare dal marito che non avrebbe mai più tentato un gesto disperato.
Entrambi espressero a Carnera parole di gratitudine. Fuori della stanza si erano raccolte delle persone, arrivarono anche il primario e delle suore, tra cui una italiana che lo aiutò a comprendere quello che gli veniva detto in inglese. Alla fine un giornalista scattò anche delle foto. Carnera con la sua mano salutò tutti e a poco a poco riuscì a guadagnare l’uscita dell’ospedale. Fuori c’erano in una macchina ad aspettarlo il suo allenatore Paul Journée e Léon Sée, che non vedendolo arrivare si erano preoccupati . Il campione salì in auto, e con la sua mano che sembrava toccare il cielo, salutò la gente che lo applaudiva. Carnera continuava a vivere il suo sogno americano. Qualche giorno dopo Primo incontrò sul ring di Atlantic City, il connazionale Bertazzolo. Una grande moltitudine di persone era corsa a vedere l’incontro. I biglietti si esaurirono subito. Attorno al ring c’erano molti giornalisti ed italiani attratti dall’avvenimento. Carnera entrò e la folla applaudiva ed urlava il suo nome. Primo rimase molto contento dell’entusiasmo che lo circondava e notò con piacere le tante bandiere italiane che sventolavano.
Negli ultimi mesi Carnera aveva combattuto tante volte e sempre vincendo. Anche ora voleva continuare questa scia di vittorie. Bertazzolo era già salito sul ring, pensava che il match non sarebbe stato facile, perché voleva vincere a tutti i costi per ottenere la possibilità di continuare a combattere, guadagnando delle buone borse. In Italia non c’erano delle possibilità così allettanti. I giornalisti erano convinti che avrebbe fatto un buon incontro, perché era un pugile forte, determinato ed aggressivo. Bertazzolo aveva fatto un buon contratto, aveva stabilito una buona borsa, superiore a quella di Carnera. Quella mattina durante le operazioni di peso Bertazzolo aveva registrato 212 libbre, contro le 253 di Primo Carnera. Questo incontro era determinante per tutti e due i campioni.
Un pezzetto d’Italia era presente in America. All’angolo di Primo
c’era il suo allenatore che, come in ogni incontro, sembrava più nervoso dell’
avversario di Carnera. Il match ebbe inizio, non durò molte riprese. Al terzo
round, l’ex campione italiano dei massimi Riccardo Bertazzolo veniva sconfitto
dal suo connazionale Primo Carnera. L’arbitro lo dichiarava vincitore,
alzandogli il braccio verso il cielo. Alla sera i due connazionali si ritrovarono
a cenare assieme. Bertazzolo raccontò a Carnera che sperava di poter combattere
in America, e di farsi una vita. Era stato alle Olimpiadi a rappresentare
l’Italia nel 1924, ed era stato battuto dal vincitore dell’alloro olimpico Otto
Von Paret. Carnera
davanti ad una buona bottiglia di vino e ad una bistecca
grande come un vassoio, disse che gli sarebbe piaciuto partecipare alle
Olimpiadi, indossando la maglia con lo scudo Sabaudo. Per lui era molto importante
portare i colori dell’Italia in giro per il mondo, e far vedere che il suo
Paese era una nazione forte. Bertazzolo gli raccontò che, dopo la conquista del
titolo italiano, aveva cercato di farsi strada in Europa, e si era battuto per
il titolo europeo contro Phil Scott, ma gli era andata male con suo grande
dispiacere. Il suo sogno era quello di scrivere il suo nome tra i pesi massimi
italiani che si erano imposti in Europa.
Il primo peso massimo era stato Erminio Spalla, che lui aveva sconfitto. Carnera lo ascoltava in silenzio, mentre la bistecca che aveva davanti era finita. Il cameriere ne portò subito un’altra, perché era stato avvertito che la fame di Carnera era davvero insaziabile. Consumarono anche dell’ottimo vino. Primo si mise a parlare di Mussolini. Da un giornale italiano aveva letto la sua storia, quella di un uomo determinato a risollevare l’Italia, a portarla al centro del mondo. A Carnera gli sarebbe piaciuto incontrarlo. Aveva saputo da un giornalista che Mussolini e i suoi figli amavano la boxe, e seguivano il pugilato. La noble art era l’immagine della forza che gli atleti portavano in giro per il mondo. Aveva constato che i giornali americani dedicavano dello spazio a Mussolini.
Ricordava precisamente il suo volto dalla mascella volitiva, lo sguardo penetrante, la sua uniforme ed il saluto romano. Carnera parlava come se avesse conosciuto personalmente Mussolini. Bertazzolo disse che lo aveva visto a Roma, era l’uomo affidato dal destino per rendere grande l’Italia. Il fascismo era diventato una realtà, e ci si sentiva fieri di portare l’Italia nel cuore. Nella Grande Guerra aveva combattuto da eroe, era stato ferito, e aveva dimostrato un grande coraggio. Bertazzolo disse che aveva letto spesso degli articoli su di lui, e il suo potere aumentava sempre di più. A tavola con Carnera e Bertazzolo, oltre agli allenatori, vi era Léon Sée che quella sera era stanco più dei due pugili che erano saliti sul ring, non parlava e il suo pensiero era legato ai prossimi incontri. Bertazzolo e Primo si salutarono con una stretta di mano, si augurarono ogni bene e un fotografo volle immortale il momento.
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