di Emilio Del Bel Belluz
Carnera ritorna in Italia dopo la sconfitta
patita il 9 ottobre sul ring di Boston contro Maloney. Si imbarca a New York
sulla nave il Conte Grande.
Con lui c’era il suo
allenatore Paul Journée, il suo animo era triste, dopo tanti incontri vinti,
aveva quella sconfitta che gli bruciava dentro. L’amarezza, però, era mitigata
dalla prospettiva di rientrare in famiglia, dopo una anno di assenza. Una cosa
era certa: era diventato famoso, la gente lo riconosceva e lo fermava per
congratularsi del suo coraggio. La sua vita era cambiata, non era più povero,
in tasca aveva un portafoglio con del denaro. In nave trascorreva molto tempo
con gli italiani che si erano imbarcati. Questa gente lo commuoveva, ascoltava
le loro storie, si informava su che paese fossero diretti: c’erano molti veneti
e friulani, ma anche gente del sud. Erano orgogliosi di parlargli, e Carnera
amava sentire dei connazionali. Il suo manager gli aveva confermato che nel
mese di novembre 1930 avrebbe combattuto contro il basco di Spagna, Paulino
Uzcudum. Questo pugile aveva passato due anni in America dove aveva incontrato
molti pesi massimi, aveva esperienza, non era molto alto, ma aveva un fisico
ben costruito, grazie al lavoro come taglialegna. Gli italiani lo conoscevano
bene perché aveva tolto il titolo europeo dei pesi massimi a Erminio Spalla.
Costui l’aveva detenuto dal 1923 al 1926. Spalla era un puglie molto forte e
per questo il boxeur basco non sarebbe stato un uomo facile da sconfiggere.
Questo match per il basco avrebbe potuto rappresentare il passaporto per il
titolo mondiale, tanto agognato. Carnera, dal canto suo, aveva bisogno di
vincere questo incontro per archiviare la sconfitta patita a Boston contro
Maloney. La stampa americana aveva scritto troppe inesattezze sulla sua
sconfitta e temeva d’essere dimenticato. Carnera era consapevole che la sua
carriera era giunta a un bivio: poteva tornare in America e combattere per diventare
campione del mondo, o rimanere in Italia e disputare il titolo italiano ed
europeo dei pesi massimi che erano alla sua portata. Primo aveva solo 24 anni,
un fisico da lottatore, e in questi mesi era molto maturato. In nave Carnera
venne invitato dal capitano a mangiare al suo tavolo, assieme a persone molto
importanti. Il comandante gli disse d’essere onorato della sua presenza, e
considerava Carnera un pugile che si sarebbe aggiudicato il titolo mondiale dei
massimi. La stampa americana dedicava molto spazio al campione. Si diceva che
in America si dava più rilevanza a Carnera che al presidente degli Stati Uniti.
A tavola, Primo parlò del suo prossimo match in Spagna contro Paulino Uzcudum.
Non sarebbe stato un match facile, non avrebbe potuto perdere contro lo
sfidante che era avvantaggiato combattendo nella sua terra. Carnera riferì che
aveva visto molte volte il filmato dell’incontro tra il basco ed Erminio
Spalla. Nella prima parte del match l’italiano era riuscito a guadagnarsi le
riprese, combattendo come un gladiatore, ma poi l’irruenza del basco aveva
avuto la meglio. Il capitano della nave ascoltava con molta attenzione, e poi
disse che il basco era più vecchio di lui, aveva trentadue anni, e l’età
giocava a suo sfavore. Il comandante non aveva dubbi che Primo sarebbe
risultato vincitore. Per sigillare questa sua previsione scommise con Carnera
una bottiglia di buon vino italiano. A tavola tutti concordarono con lui, il
nostro Carnera avrebbe sconfitto agevolmente il basco. Quei giorni
trascorrevano come un premio: Carnera mangiava bene e godeva di ottima
compagnia. La mattina si allenava correndo, e questo esercizio gli era
utilissimo per smaltire i chili di troppo guadagnati nel viaggio. A correre con
lui c’era un giovane di appena sedici anni che stava ritornando in Italia,
vinto dalla nostalgia per la sua terra e dalle poche prospettive di guadagno in
America. Entrambi godevano della reciproca compagnia. Il giovane era di un
paesino vicino a Padova. La sua famiglia era tornata in patria lo scorso anno, lui
aveva cercato di resistere in America. Ma preferiva fare la fame nel suo paese,
piuttosto che all’estero. La depressione economica aveva stravolto la vita di
molte persone. Anche lui, come tanti, aveva fatto la fila per un pezzo di pane
e una minestra, e aveva sofferto, abitando in una baracca, assieme ad altri
italiani. Carnera lo ascoltava e gli diede una pacca sulle spalle, gli raccontò
che pure lui aveva patito tanto e si era dovuto allontanare dalla sua Sequals,
per andare in Francia da uno zio dove lo attendeva una vita dura e con poche
speranze. Il giovane disse che la più bella cosa era quella di aver conosciuto
Carnera e avrebbe voluto che anche suo padre avesse potuto godere di questo
momento. Molti volevano stringere la mano a Carnera, quando lo vedevano non gli
toglievano gli occhi di torno, e volevano fare una foto con lui. In nave c’era
un fotografo che offriva volentieri i suoi servigi, era un modo come un altro
per sbarcare il lunario. In quei giorni il campione non era mai solo, un
sorriso e una frase cordiali li aveva per tutti. Il successo andava goduto
finché durava e questo era il suo motto. La vita correva velocemente e nulla
poteva essere rivissuto. Quello che spesso gli veniva in mente era che tutto
questo sarebbe finito. Il Conte Grande fece scalo a Gibilterra, e fu imbarcato
un noto giornalista delle Gazzetta dello Sport, uno dei giornali italiani che
avevano criticato la sua carriera, nel momento in cui venne in Italia per
combattere nel 1928. Aveva sognato molto quel giorno in cui avrebbe rivisto la
sua terra, ma la sua gioia era stata smorzata dai commenti negativi della
stampa italiana. Il giornalista Cappelletti si presentò al campione per
intervistarlo e scrisse:
“Debbo constatare che i modi
di Carnera hanno un effetto accattivante sull’animo di tutti. I passeggeri di
terza classe, quasi tutti emigranti italiani che ritornano in Patria, tra i
quali egli passa sovente lunghe ore, lo idolatrano. Sono le manifestazioni più
commoventi. Bisogna pensare all’animo dell’operaio italiano che porta il suo
lavoro in un Paese straniero; gente semplice, elementare, che si piega a duri
lavori e che sente il bisogno di nutrire di sentimenti il proprio spirito.
Negli Sati Uniti ce ne sono otto milioni e mezzo, quasi due milioni nella sola
New York. Essi non sono mai scesi all’analisi del valore tecnico di Carnera e
non lo faranno mai. Carnera è il pugile che ha vinto tutti i match prima di
arrivare all’ultimo con Jim Maloney; è l’uomo al quale i giornali americani
dedicano il maggior spazio, più che al presidente della repubblica, al disarmo
navale, alla Società delle Nazioni, più che agli uragani di Wall Street, e
infine l’uomo che quando compariva a passeggiare in Broadway arrestava il
traffico convulso, diventando l’epicentro di una marea di curiosità e faceva
accorrere un affannato esercito di policeman per ristabilire l’ordine e la
circolazione”. Quello che scrisse fece piacere a Carnera, non era facile far
cambiare opinione ai giornalisti. Primo aveva cercato con il pugilato di
riscattare sé stesso, di combattere la fame che lo aveva perseguitato negli
anni passati. Era stato uno dei tanti che avevano provato a migliorarsi, ad
andare avanti. Cappelletti parla anche di Léon Sée che ammette: “Colpa mia la
sconfitta di Carnera. Tutti mi avevano detto che non si può battere Maloney a
Boston, ma io, sicuro del mio uomo, accettai ugualmente. Invece l’arbitro seppe
impedire che Carnera portasse un pugno efficace al suo avversario, bloccandogli
il braccio destro ogni qual volta Primo faceva un passo avanti. Porto con me il
film di questo match e voi vedrete in quale maniera inaudita sia stato
arbitrato”. Il viaggio in nave era lungo ma per Carnera era un modo per
riflettere. Rimuginava quella sconfitta, e avrebbe voluto rimediare con una
rivincita, ma non a Boston, che era la tana del suo avversario. In nave incontrò
un giornalista che ritornava dall’America, dove lavorava nella redazione di un
giornale per gli italiani. Trascorse con lui del tempo, e gli narrò che la boxe
era uno sport duro, ma che alla fine gli aveva dato qualcosa. Una sera che non
dimenticherà facilmente fu quella in cui il comandante della nave, mentre
mangiavano, gli confidò che era sicuro che lui sarebbe diventato campione del
mondo. Il capitano amava il pugilato, aveva assistito ad alcuni incontri
importanti, e raccontò che quella sera a Milano aveva visto il suo primo
combattimento in Italia. Il comandante aveva chiesto un autografo su una sua
foto, voleva donarla alla moglie. Carnera ne fu felice, sorrise come faceva
sempre, e si lasciò andare a qualche battuta sulla vita. Quando arrivò a Genova
c’erano migliaia di persone che lo attendevano, che urlavano il suo nome; la
gente felice voleva stingergli la mano e toccarlo. Trovò ad attenderlo il
sindaco di Sequals, assieme ad altre personalità del fascismo in uniforme, e a
degli uomini della milizia fascista. Primo fu travolto da questo tripudio, non
s’ aspettava un’accoglienza così calorosa. Quando riuscì a sottrarsi alla
folla, raggiunse l’albergo Savoia e ricevette il saluto delle autorità. Tanti
furono i giornalisti che vollero informazioni sul suo prossimo impegno in
Spagna. Qualcuno gli chiese dei chiarimenti sul combattimento che aveva perduto
contro Maloney. Carnera disse che non vedeva l’ora di rincontrarlo sul ring, ma
non a Boston. L’incontro con Paolino verrà considerato come una prova della sua
tenacia e della sua ottima forma. I giornalisti gli chiesero di come avesse
trovato la società americana. Carnera era molto dispiaciuto che ci fossero
tanti italiani che faticassero a sbarcare il lunario, a causa della depressione
economica. Quando gli chiesero che cosa l’avesse emozionato di più, rispose che
era stato il vedere la bandiera sabauda sventolare ai suoi mach e al di fuori
dei ristoranti e botteghe gestite da italiani. Tanti connazionali erano fieri
delle loro radici, e speravano un giorno di poter tornare a casa. Carnera
confidò che ogni tanto telefonava alla famiglia, e parlando con sua madre amava
sentire il rintocco delle campane del paese che lo facevano vivere per un
attimo in terra amica. Disse che l’Italia era il più bel Paese del mondo.
Quello che intristì Carnera fu che allo sbarco qualcuno gli sottrasse il
portafoglio, che era un dono di una persona cara. Esso fu, poi, miracolosamente
ritrovato, ma il ladro aveva pensato bene di prendersi tutti i soldi. Si
accorse del furto, quando per la strada si era fermato per bere qualcosa, e non
trovò più il portafoglio. Questo furto lo infastidì parecchio, ma conoscendo
Carnera avrebbe perdonato anche il malvivente. Il viaggio verso Sequals lo fece
in compagnia di suo fratello e di un amico. L’autista era felice di fare
qualcosa per Primo, ne aveva tanto sentito parlare e a tutti avrebbe ricordato
che aveva fatto da autista al campione. La strada che portava a Sequals gli
sembrava sempre più lunga, tanta era la voglia di arrivarci, non fecero che
poche tappe, per far rifornimento e per mangiare un boccone. In ogni posto dove
si fermavano c’erano persone che lo volevano salutare, e il campione non si
sottraeva mai. Quando arrivarono a Sequals era già sera, la casa di Primo era illuminata
a festa, lo attendevano amici e parenti e prima di tutti, i suoi genitori. La
gente veniva a salutarlo, come un anno prima, a dimostrazione che la sua fama
era cresciuta. I giorni di permanenza a Sequals furono una festa continua, gli
facevano domande di come si fosse trovato in America e se avesse conosciuto
persone importanti, ed attori famosi. Carnera raccontò d’aver visto molta gente
del mondo del pugilato, come Max Schmeling, il pugile tedesco che era campione
del mondo dei pesi massimi: si videro e si salutarono ad un suo incontro. Primo
aveva notato che questo pugile era molto più piccolo di lui, ma non significava
niente perché anche i piccoli pugili hanno una grande forza. Carnera passò
alcuni giorni in lieta compagnia dei familiari. In cantiere c’era la
possibilità di comprare un terreno per edificare la sua nuova casa, che doveva
essere grande, una villa con degli alberi attorno e un pezzetto di terra. Primo
ne aveva parlato con uno del posto che aveva un terreno da vendere. Nel suo cuore
il campione voleva fare qualcosa di meraviglioso per i familiari. Questo
progetto lo occupò per qualche giorno. Il 30 novembre del 1930 doveva
combattere contro lo spagnolo, e non sarebbe stata un’impresa facile. Dopo aver
festeggiato con i paesani era giunto il momento di incominciare gli allenamenti
con Paul e un nuovo allenatore che lo affiancava. Alla mattina si svegliava
all’alba e imbottito di maglioni si metteva a correre, solo le stalle avevano
la luce accesa, i contadini stavano mungendo e provava nostalgia per i tempi
passati in cui anche lui aiutava la famiglia nel lavoro dei campi. Correva
quasi un’ora, e nei primi giorni con qualche pausa, poi la forma fisica
ritrovata gli permise di migliorare. Aveva la passione di correre intorno al
paese, passando davanti al luogo dove sarebbe sorta la sua casa, e l’immaginava
finita. A fianco della villa avrebbe fatto una palestra. Al suo interno vi
avrebbe messo delle sue foto, e la corona mondiale se l’avesse conquistata. In
quei giorni arrivarono due pesi massimi che lo avrebbero sostenuto negli
allenamenti. L’incontro con lo spagnolo si faceva sentire, la meta era ambita,
c’era una sconfitta da riscattare una volta ritornato in America. La
preparazione fu minuziosa fino alla partenza per la Spagna. Il suo manager
aveva preparato ogni singolo particolare, i giornali americani dedicavano molto
spazio al combattimento, anzi lo consideravano una verifica, uno spartiacque.
Se Primo avesse perso, difficilmente, avrebbe avuto la possibilità di fare il
mondiale, era necessaria, pertanto, una affermazione netta. La stampa italiana
questa volta gli riservava il giusto spazio. Il pugile aveva intensificato gli
allenamenti perdendo quei chili in eccesso guadagnati durante le feste in
famiglia e con gli amici. L’incontro con Paolino Uzcudun si svolse a
Barcellona, e fu una grande manifestazione di popolo, arrivato da più parti
della Spagna, al di là di ogni aspettativa. Carnera salì sul ring emozionato, e
consapevole che questo sarebbe stato un incontro davvero essenziale, ma la sua
mente rimuginava la sconfitta di Boston. Tra le migliaia di persone notò le
bandiere italiane che sventolano. Gli spettatori urlavano il nome dello
spagnolo, moltissimi erano dalla sua parte. La Spagna sperava nella vittoria
del suo idolo, e l’Italia si augurava il successo del nostro Carnera. Il match
iniziò alla quattro del pomeriggio, arbitrò l’inglese Moss De Young, i giudici
di parte furono Edoardo Mazzia, segretario della Federazione italiana, e
Casanovas, segretario della Federazione spagnola. Dopo dieci combattute riprese
venne assegnata la vittoria ai punti a Primo Carnera. Al suo angolo esultavano il
suo allenatore Paul Journée e Leon Sée. La felicità di Carnera era davvero
incontenibile, aveva superato la paura della sconfitta precedente, aveva vinto
il pugile Paolino Uzcudun in casa, davanti ai suoi tifosi che erano migliaia.
Questa impresa di Primo era davvero importante per l’Italia, aveva vinto quel
pugile che aveva sconfitto Erminio Spalla, togliendogli il titolo europeo di
pesi massimi. All’incontro con Paolino era venuto ad assistervi lo scrittore
Orio Vergani, che onorò Carnera con lodevoli parole. Per la Gazzetta dello
Sport era presente il direttore Emilio Colombo che scrisse come titolo
dell’articolo: “Primo Carnera, palesandosi atleta poderoso, autoritario e
abile, batte nettamente ai punti Paulino Uzcudun a Barcellona”. Continuò: “Se
Carnera non avesse superato ogni previsione, non scriveremmo. Per Carnera
battuto malamente, o per un match dubbioso avremmo preferito il silenzio.
Tacere ora non sarebbe onesto. Abbiamo discusso il gigante e lo abbiamo
attaccato quando i sistemi degli organizzatori, dei managers, e suoi sembravano
offendere lo sport e ci offesero. Lo si è attaccato quando la sua mole parve
manovrata senza troppi scrupoli nella scelta dei matchs. Ma Primo Carnera
vincitore di Paulino Uzcudun merita l’elogio pieno e anche il pieno riconoscimento
“. Lo scrittore con queste parole vibranti elevava Carnera tra i grandi pesi
massimi. La Gazzetta: “Carnera non ha dovuto incassare duri colpi al viso. Paulino
molto più basso, non arrivava al volto di Carnera che con le sventole troppo
larghe. Ma al corpo l’italiano ha incassato tutto. Anzi, a questo punto vien
fatto di chiedere se sia stato Paulino a deludere i suoi connazionali e anche i
tecnici o se si debba piuttosto considerare Carnera un tale macigno da
richiedere altri avversari ben più freschi e agguerriti … Carnera deve ancora
apprendere. Se il gigante sapesse picchiare con precisione e potenza, Paulino
non avrebbe potuto rimanergli di fronte sino al termine. Le braccia, la
statura, le spalle, il peso del friulano sono sembrate armi formidabili per le
possibilità di Paulino … Il Basco ha terminato provato, anche se è sempre
ostinato e vitale. Carnera ha dimostrato di possedere una riserva di fiato
proporzionata al suo patrimonio fisico. Ha chiuso il match senza segni e con
una mano rovinata dal guanto troppo voluminoso”. Carnera dal suo canto dice: “Non
sono contento del mio match. Ho boxato quasi sempre a mani aperte per impaccio
dei guanti ingiustamente impostimi. Ho dovuto assestare degli schiaffi, anziché
dei pugni. Appunto per non aver potuto serrare i guanti, mi sono lussato la
mano destra. Comunque il risultato dell’incontro mi rende felice e posso
serenamente affermare che a parità… di guanti, il successo sarebbe stato di
certo più netto”. Questo articolo allietò molto Carnera, e il suo pensiero andò
alla sua famiglia a Sequals, sperando che lo avesse letto ed immaginò la
contentezza dei suoi genitori. Il mondo della boxe mondiale si accorse
finalmente che Carnera non era più quello che pensavano all’inizio. Con gli
anni era maturato, aveva assunto uno stile pugilistico, imparando tutti i
trucchi del mestiere e lo aveva fatto velocemente. Aveva capito che il mondo
della boxe era spietato, e bisognava stare in guardia. Nulla pareva come
sembrasse. Carnera negli anni aveva accumulato migliaia di articoli che erano
stati scritti su di lui nei giornali italiani, francesi e tedeschi. Tutto questo
materiale occupava una cassa che era custodita nella sua camera a Sequals. Un
domani, invecchiato, avrebbe potuto far vedere ai suoi figli la vita che aveva
vissuto e le sofferenze patite girando per il mondo. Conservava dai giornali
anche le critiche più aspre, che gli servivano per diventare sempre più grande
e forte. Spesso osservava che le persone mutavano nel tempo, come pure la loro
genuinità. Quando tornò in Italia dalla Spagna si sentì un uomo più sicuro, la
vittoria lo aveva rafforzato. Anche il suo allenatore che lo seguiva sempre,
Paul Journée era felice della forma ritrovata. Il pubblico lo salutò con
entusiasmo al suo rientro in Italia. Un tripudio di folla a Genova e a Milano.
Mani che si alzavano verso il cielo per salutarlo e gente che acclamava il suo
nome. Molte persone cercavano di farsi fotografare con il campione. Il suo
sorriso lo trovava sempre per tutti. Infine, Carnera era solo un ragazzo che
aveva 24 anni, e nel cuore tanto entusiasmo per la vittoria conseguita.
Trascorse tre settimane a casa, ed invitò a pranzo il parroco del paese che lo
ricordava sempre nelle sue preghiere e gli voleva un gran bene. La mamma di
Carnera preparò una pagnotta speciale che gli era riuscita molto bene, a forma
di cuore, oltre alla polenta che accompagnava della cacciagione procurata dal
figlio. Il prete gli raccomandava di comportarsi bene, d’essere umile, lo
vedeva ancora come un chierichetto, che avrebbe potuto mettersi nei guai.
Carnera sorrideva felice, la mamma ritrovò la serenità che non aveva quando il
campione era in giro per il mondo. Il sacerdote disse a Primo che si accorgeva
quando lui era in America, perché la madre si recava in chiesa per assistere
tutti i giorni alla S. Messa e per accendere dei lumini, invocando la
protezione della Beata Vergine sul figlio e l’avversario.
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