NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

giovedì 18 marzo 2021

Re Umberto II fino all’ultimo amò il suo Paese

 


di Emilio Del Bel Belluz

 

“Una delle poche consolazioni, quando perdiamo una persona cara, è data dal rendersi conto che la sua scomparsa è soltanto relativa: essa continuerà in qualche modo ad esistere finché noi esisteremo e la ricorderemo, e sopravviverà tanto più intensamente e durevolmente, quanto maggiore è l’ “eredità d’affetti” che lascia dietro di sé”. Queste parole sono di Paola Capriolo apparse nel Corriere della Sera del 14 settembre 1991. Questa frase mi ha fatto pensare all’ultimo Re d’Italia, Umberto II e al grande affetto che nutro tuttora per lui. 

Gli italiani che gli sono stati sempre fedeli, non possono onorarlo in Italia, perché il Re è sepolto in terra straniera da oltre trentotto anni, e ha vissuto in esilio per altri trentasette anni. E’ l’unico tra i Re che è rimasto lontano dalla sua patria per decenni, pur avendo dato molto al suo Paese, e che non ha avuto nulla da parte di quei politici che si sono susseguiti dopo il dubbio referendum istituzionale. Questa pagina dolorosa per il Re d’Italia non viene mai ricordata come dovrebbe. 

Oltre all’esilio il sovrano ha dovuto sopportare il rifiuto dei nostri politici di abrogare la XIII disposizione transitoria che impediva ai Savoia di ritornare in Italia. Inutile dire che l’odio serpeggia ancora, e che non si possa dedicargli una strada, un monumento, una scuola. Subito la democrazia che volle l’esilio si risveglia, e combatte anche chi lo vuole ricordare, l’odio è rimasto quello di sempre, tramandato da padre in figlio, e pochi hanno il coraggio di prendere delle posizioni. Le persone che furono vicino a Casa Savoia non hanno che una possibilità per ricordare il loro sovrano con una preghiera o un fiore: andare in Francia dove è sepolto, nella Abbazia di Hautecombe. 

La persecuzione contro il Re continua anche dopo la morte, pochi sono i giornali che ne danno spazio. Un grande giurista come il Carnelutti scrisse: “ L’Italia è la culla del diritto, e la tomba della giustizia ”. Alla sua morte scrissi un articolo per un giornale e vi misi questa citazione che racchiudeva tutta la rabbia che avevo dentro. Partecipai ai suoi funerali assieme a migliaia di persone da tutta Italia e sentii che era un giorno triste per i fedeli di Casa Savia, ma soprattutto era una giornata in cui mi vergognai di essere un italiano. La solitudine del Re in esilio fu mitigata, in parte, da tutti quelli che andarono a trovarlo in Portogallo, per manifestargli affetto e comprensione e non si spiegavano la tanta cattiveria nei confronti di un uomo così nobile e grande. 

Quanti politici avrebbero rinunciato a tutto per salvare l’Italia da una guerra civile? Perché furono pochi i politici che avevano consentito al Re di poter morire nella sua terra, nel sacro suolo che aveva dovuto amare in esilio. Nelle settimane che precedettero la sua morte non ci fu nessun padre della patria repubblicana che acconsentì al suo rientro. Quelli che lo hanno esiliato e che lo hanno dimenticato, avrebbero dovuto provare l’amarezza dell’esilio, una condizione che non doveva subire una persona innocente. Una cosa è certa: la repubblica che si dice democratica ha avuto paura di far tornare un vecchio Re, che sognava solo di poter rivedere il cielo dove era nato, e sentire il profumo della sua terra. Quanta sofferenza dovette patire il sovrano. Alla sera gli piaceva osservare il mare, vedere le navi che passavano in lontananza e sognava che una di queste lo venisse a prendere per portarlo in Italia. 

Ogni volta che qualcuno lo veniva a trovare, al momento del commiato, accompagnandolo alla porta, gli sarebbe piaciuto anche a lui fare il viaggio di ritorno come un qualsiasi italiano. Questo suo sogno non riuscì mai a esaudirlo, cosa sarebbe potuto accadere a questa Italia se il Re fosse tornato? Cosa temeva realmente la repubblica? C’è una citazione che trovai in un quaderno di scuola di uno studente “ Nella lotta, sta la vita. Soltanto chi ha fortemente operato per la Patria, può dire d’aver degnamente vissuto”. Il Re d’Italia ha sempre operato per il bene del suo Paese, come un buon padre di famiglia verso i suoi figli, e lo ha fatto con tutto il cuore. La figura del Re Umberto è stata dimenticata dalla Chiesa, a cui donò la Sacra Sindone, che non gli ha dato quello che gli spettava come cattolico, come uomo, come pellegrino sofferente. Il Re amava talmente tanto il buon Dio che ogni mattina si recava alla Santa Messa, e faceva la comunione, sempre presente con quel messale che gli aveva donato la madre. 

Il Messale della Regina Elena lo tenne sempre con sé, la fede in Dio lo consolava nella triste situazione in cui si trovava. Quando la messa finiva il Re si intratteneva con la gente del posto, umili persone che lottavano ogni giorno contro le difficoltà della vita. Erano famiglie di pescatori che vivevano in modo umile e dignitoso ed erano state aiutate dal sovrano. A qualcuno aveva comprato la barca, perché sapeva che aveva bisogno d’aiuto. Quei pescatori lo amavano, spesso lo invitavano a pranzo nelle loro case, e lui si sentiva in famiglia. Gli sarebbe piaciuto poter avere la propria famiglia con sé, per condividere la tristezza dell’esilio. Passava molte ore con i pescatori del paese, erano i suoi unici amici. Qualche volta aveva tenuto da battesimo dei bambini dei pescatori, magari qualcuno di loro avrà dato il suo nome Umberto, e questo l’avrà reso felice. Il Re viveva in sintonia con i valori di buon cristiano. 

Ogni giorno lo passava in armonia facendo del bene. Questa inclinazione nell’ aiutare gli altri l’aveva ricevuta dalla madre, la Regina Elena, una donna che aveva fatto della sua vita un percorso verso i poveri. La Sovrana non chiudeva la porta a quelli che soffrivano, lo dimostrò da Regina d’Italia, ma anche nel periodo doloroso dell’esilio non smise mai di interessarsi degli altri. La considerava una missione e il buon Umberto l’aveva fatta propria. Il Re sapeva trattare con la stessa attenzione sia i poveri che le persone del suo rango. Quando arrivava della gente dall’Italia veniva ricevuta immediatamente. Una delle sue caratteristiche era questa: la porta sempre aperta a tutti. Trascorreva molte ore del suo tempo nella sua biblioteca: una stanza gremita di libri, e di lettere giunte da varie parti d’Italia e del mondo, che apriva personalmente. Nella biblioteca leggeva, e consultava i suoi preziosi libri. In un articolo Domenico Rigotti descrisse una visita che fece al re il 17 settembre 1973. 

Il titolo era: “Cascais: tiepida visita a Villa Italia da Re Umberto II, gentile e silenzioso” . Continuò: “Con estrema cortesia mi strinse la mano. Una mano tremante, come scossa in continuazione da un brivido, il sintomo di un male che già da tempo lo faceva soffrire. Mi colpì la straordinaria somiglianza di viso con la madre Elena. “Stavo aspettando un gruppo di Brescia ma evidentemente hanno avuto un ritardo. Venga”. E mi fece strada all’interno della casa. M’introdusse in una sala spaziosa con mobili eleganti e tanti fiori e lunghe tende che filtravano la luce ancor forte. Mi presentai subito. Gli dissi del giornale milanese cui appartenevo. Gli occhi del re ebbero un piccolo lampo di luce. Si ricordò della vecchia “Italia” e disse di avere dei graditi ricordi di Milano. Mi ricordò le sue visite milanesi negli anni giovanili. Poi mi domandò se m’era piaciuto il Portogallo. Forse temeva domande imbarazzanti o troppo personali. 

Mi disse che ormai si era amalgamato col Paese, anche se nei primi tempi aveva trovato difficoltà, soprattutto per la lingua. Parlammo di Eca de Quieroz grande romanziere verista e forse il più grande scrittore dell’ottocento portoghese sui cui libri il Principe di Sarre s’era a lungo esercitato e che certamente, erano finiti in quella grande biblioteca (oltre ventimila volumi dicono i meglio informati) sistemata al primo piano di Villa Italia”. Una biblioteca che avrebbe meritato di essere conservata, era la biblioteca del Re esule. Quanti libri conteneva con la dedica di scrittori italiani. Domenico Rigotti scrisse: “C’era, in quelle parole, la nostalgia per un Paese, una terra, la sua terra, il cui ricordo quasi trent’anni d’esilio non avevano potuto cancellare. Quando mi congedò (“ecco ci sono quelli di Brescia “) la sua mano mi sembrò ancora più tremante. Negli occhi ancora quel sorriso buono che aveva avuto durante tutto l’improvvisato incontro ma adesso come velato però di mestizia. 

Fuori dalla Villa, l’Atlantico mi sembrava ancora più infinito. Era il tramonto e pensai ai tramonti senza termine vissuti da un uomo che per combatterli, non aveva a disposizione che qualche lettura e una passeggiata in un giardino. Pensai a Umberto come a un uomo solo e sfortunato (non volevo indagare sulle cause) che di questa sua solitudine però non aveva mai accusato nessuno. Sereno nella sua dignità”.

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