III. - Autocritica di un
elaborato critico
Stabiliti i criteri da
seguire, ho compiuta una prima analisi dei risultati del Referendum, sulla base
dei dati comunicati alla stampa dal Ministero dell'Interno, in data 7 giugno
1946, riassumendone deduzioni e rilievi in una «memoria» che aveva il precipuo
scopo di richiamare l'attenzione sulle appariscenti incongruenze dei «dati»
ministeriali.
Infatti vi ponevo in evidenza
che 28.000.000 di elettori erano indubbiamente eccessivi allorché il 60% di una
popolazione, calcolata aggirarsi sui 43 milioni - essendone escluse le
Provincie di Bolzano e della Venezia Giulia - •denunciava una cifra di elettori
non superiore ai 25.800.000; rilevavo che da questa cifra di elettori occorreva
dedurre il numero degli elettori esclusi di diritto o di fatto, per varie cause
normali o arbitrarie, dall'esercizio del voto, cosicché avendoli calcolati con
un calcolo presuntivo sommare complessivamente dai tre ai tre milioni e
trecentomila, la cifra di elettori in possesso legittimo di certificato
elettorale doveva ridursi a 22.500.000; osservavo che questa cifra doveva
ulteriormente ridursi di un 10% per arrivare a stabilire il numero dei votanti,
che risultarono conseguentemente aggirarsi sui 20 milioni, e notavo che
diventava inspiegabile come i dati ministeriali denunciassero 23.500.000 voti
validi per il «referendum», ai quali dovendosi aggiungere almeno un milione di
voti nulli, i «votanti» avrebbero sommato a 24.500.000, cifra evidentemente
incredibile di fronte agli stessi 25.800.000 elettori «teorici» di cui avrebbe
rappresentato il 95%, e sbalorditiva di fronte ai 22.500.000 elettori «probabili»,
fatte le deduzioni degli esclusi, ed ai 20 milioni di votanti probabili.
Concludevo che se le cifre ministeriali erano vere, occorreva supporre che tre
milioni e mezzo o quattro milioni di elettori «non muniti di certificato
elettorale» avessero votato «per interposta persona».
Debbo però confessare che in
quella prima «memoria» ero incorso in un errore materiale, in quanto, avendo
calcolato separatamente per ciascuno dei periodi 1936-1940 e 1941-1945 le cifre
di probabile accrescimento della popolazione, allorché per il periodo bellico
1941-1945 ho calcolato la cifra di probabile «diminuzione naturale» mi è
accaduto, nella operazione aritmetica riepilogativa, di omettere per una svista
la correlativa cifra di accrescimento. Il calcolo rettificato, dovendosi tener
conto in diminuzione anche dei morti in zona di operazione, valutati oltre
500.000, avrebbe elevato la cifra di popolazione a circa 44.300.000, e la corrispondente
popolazione elettorale a circa 26.580.000. Correlativamente si sarebbero
modificate le altre cifre per valori da seicento a settecentomila, compensati
in parte da circa mezzo milione di voti nulli in più di quelli da me
presupposti sulla base dei risultati di elezioni precedenti: senza peraltro
modificare la sostanza dei miei rilievi.
Il 13 giugno 1946, il Ministro
dell'Interno aveva comunicati i «suoi» dati «ufficiali» per il «referendum»:
voti validi 23.361.772, votanti 24.887.300. Nel frattempo, mi era riuscito di
trovare una pubblicazione che pareva divenuta clandestina: il Bollettino
Mensile dell'Istituto Centrale di Statistica, da cui rilevai che la popolazione
del Regno era «valutata» alla data del io luglio 1943 in 45.681.000, e quindi
44.373 .449 deducendone le Provincie di Bolzano e della Venezia Giulia.
Ne elaborai nuovi «rilievi»
che sostanzialmente confermavano i precedenti, ponendosi in evidenza che, pur considerandosi
elevata a 26.700.000 la cifra della «popolazione elettorale», le differenze
risultanti incidevano minimamente sulle primitive deduzioni.
• Alla fine, la sera del 18 giugno 1946, la Suprema Corte di Cassazione
comunicava - senza alcuna «proclamazione» quale era prevista dalla legge, e che
doveva fondarsi sul presupposto di risultati indubbi — le somme filiali delle
votazioni per il «referendum» : Repubblica voti validi 12.717.923; Monarchia :
voti validi 10:719.284. Totale voti validi, 23.437.207. Voti nulli, 1.498.136.
Totale votanti, 24.935.343. La sera stessa, il Ministro dell'Interno annunciava:
Elettori inscritti, 28.021.375. Votanti, l'89%.
Poiché la cifra che avevo
definito «cervellotica» era ufficialmente consacrata, elaborai un ulteriore
commento ai miei precedenti rilievi statistici per illustrare la «falsità» di
quella cifra — che naturalmente l'Istituto Centrale di Statistica aveva il
dovere di accettare ad occhi chiusi - di fronte alla irrealtà di correlativi
46.700.000 abitanti, contraddetta dal dato di popolazione al 10luglio 1943 calcolato
dall'Istituto Centrale di Statistica in circa 44.500.000 a cui non potevano
corrispondere più di 26.700.000 «legittimi» elettori.
Le mie considerazioni
conseguenti concludevano col prospettare la probabilità di una cifra effettiva
di votanti non superiore ai 22.500.000; il che induceva a considerare a
esuberanti o 2.500.000 voti, sui 25 milioni circa di votanti ufficialmente
comunicati.
Evidentemente soltanto
carattere polemico poteva avere, ed aveva, la supposizione di una «ricostruzione
dei risultati» che, ipotizzando l'attribuibilità alla Monarchia del milione e
mezzo di voti nulli, e la sottraibilità alla Repubblica dei due milioni e mezzo
di voti «esuberanti», induceva, per un facile giuoco aritmetico, all'esatto
capovolgimento dei risultati ufficiali.
La finalità serena, il
risultato obiettivo di quei miei «Rilievi», erano tuttavia espressi dalle
parole conclusive di quel mio studio: volte ad affermare che i risultati del
Referendum comunque, lasciano i soccombenti fautori della Monarchia,
logicamente dubbiosi e insoddisfatti i fautori della Repubblica.
E concludevo osservando: «Sull'incertezza
e il sospetto non può ovviamente reggersi un Regime che comunque la stragrande
maggioranza degli Italiani avverte nato da una consultazione popolare insincera
se non pur viziata da una preordinata frode. Ragioni morali e di onestà
politica esigono che ogni incertezza sia sanata, ogni dubbio eliminato; e ciò
non può conseguirsi se non col ripetersi del «referendum», in un clima di
pacificazione degli animi, con la partecipazione indiscriminata di tutti i
cittadini, con ogni e più ampia garanzia di libertà di propaganda, e di voto».
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