NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 5 marzo 2021

Io difendo la Monarchia cap X - 6

 


Non si equivalgono allo stesso modo una Monarchia costituzionale e una repubblica giacobina o socialista o comunista per la elementare ragione che quest'ultima repubblica tende alla dittatura di una par­te, il proletariato, e quindi al partito unico e alla dittatura permanente. Quando il sig. Nenni dice che la Repubblica «sarà socialista o non sarà», egli esclude che possa essere democratica o parlamentare. È allora evidente che la repubblica giacobina del signor Nenni rispetterà le libertà individuali e le garanzie parlamentari, a quel modo che la recente legislazione dei Comitati di liberazione nazionale e i sistemi da loro inau­gurati e la storia di tutti i regimi giacobini possono far pensare. Le intimazioni ai giornali del nord da parte di tali comitati, la pratica dell'assassinio ad opera delle milizie di parte, la scomparsa e deportazione di citta­dini ai quali la polizia regolare e i carabinieri non han­no nessun addebito da fare, i tumulti popolari, sorretti da schiere di armati e il tentativo di risolvere tutti i pro­blemi con l'impiego della forza, possono far comprende­re come una siffatta repubblica rispetterebbe i diritti del Parlamento. E non parliamo della repubblica che sareb­be attuata dal comunismo o da quella coalizione delle sinistre che troverebbe necessariamente la sua direzione e l'iniziativa e la più rigorosa organizzazione e la milizia di parte, nel comunismo. Da 28 anni questo partito ha strappato il potere in Russia e lo regge con la dittatura permanente e con un sistema rigorosamente totalitario.

Tutti i Metodi di polizia del nazismo e del fascismo furono copiati da Mosca (la polizia politica, i campi di concentramento, le esecuzioni sommarie, il colpo alla nuca, la fossa comune, ecc.) e ora che il fascismo e il nazismo sono andati distrutti noi dovremmo introdurre in Italia il loro modello? Ma ecco i liberali di sinistra, i democristiani, i demolaburisti, gli azionisti sostenere che essi vogliono attuare una repubblica parlamentare, una repubblica che chiameremo di destra (1). In che modo?

Essi fanno parte di una coalizione che riceve vigore, impulso, programmi, masse dai partiti socialista e comunista. Questa coalizione in ogni città, in ogni villaggio, in ogni azienda, in ogni ufficio, in ogni commissione si inchina a una sola decisione, si affretta ad accogliere un solo parere, quello socialcomunista. In che modo questa situazione potrebbe cambiare? La giustizia ordinaria e quella straordinaria sono nel­le mani del partito socialista e di quello comunista: così l'epurazione che tormenta centinaia di migliaia di per­sone è nelle loro mani. L'illegalità e l'ingiustizia di tali procedimenti sono evidenti e clamorose (2).

Rimane a questo punto un interrogativo. Perché le autorità di occupazione inglesi e americane che hanno probabilmente compreso questa situazione, continuano a favorire, tenendola al potere, una coalizione che non può avere altro sbocco logico che consegnare l'Italia al socialcomunismo e cioè a quella Russia che i Governi di Londra e di Washington devono fronteggiare già in con­dizioni di estremo sfavore, in Polonia, in Austria, in Cecoslovacchia, in Romania, in Ungheria, in Bulgaria, in Jugoslavia, nel Levante, nel Medio Oriente?

Ma supponiamo — per amor di polemica — che si possa arrivare ad una repubblica parlamentare sul modello francese. In che modo tale Repubblica potrebbe impedire lo slittamento verso la dittatura quando un partito più forte d'ogni altro si impadronisse del potere?

I partiti in Italia, come altra volta le fazioni, non si affidano ai soli dati razionali nella lotta politica. Essi vi introducono la fantasia e il sentimento e le passioni delle moltitudini, così da mutare il significato e i termini della contesa. A tale impetuosa corrente non poté far fronte né il Parlamento nel 1919-1922, né la Corona; né alcun altro istituto tradizionale: come potrebbe resistere una repubblica che è usa a scegliere il suo Presidente tra uomini politici rappresentativi dei partiti di governo?

 

(1) Nel settimanale L'Indice del 10 settembre 1945 veniva posto acutamente il problema in un articolo, dal titolo: "La Repubblica di destra ": a Alcuni suggeritori di fiducia hanno insinuato nelle mani dei nostri repubblicani di destra volumi ben rilegati e brani di enciclopedie edite dall'alta borghesia francese, dai quali si apprende senza eccessivo sforzo intellet­tuale che il celebre politico marsigliese A. Thiers, dopo la di­sfatta della Francia a Sédan, provocata dalla follia dittatoriale del terzo Napoleone, riuscì a edificare sulle macerie imperiali una repubblica conservatrice borghese, le cui forme diedero, si, ampia e sufficiente soddisfazione al rivoluzionarismo generico del popolo, che non ne poteva più di avventure militari; ma il cui contenuto diede amplissima e sufficientissima garanzia di salvezza e di durata alla ricchezza francese, ricchezza che voleva; sopravvivere a qualunque costo. La repubblica di Thiers è il modello dello Stato oligarchico moderno, il cui comando viene trasmesso, di generazione in generazione, ai rappresen­tanti di gruppi finanziari, industriali e affaristici. Il sogno del­l'oligarchia conservatrice capitalistica dell'Italia del Nord è questo : facciamoci la nostra repubblica, e terremo il potere ben più saldamente di quanto non ci sia stato concesso nei 50 anni di monarchia costituzionale. Se Thiers riuscì a costrui­re rapidamente, con materiale sostanzioso di destra, una re­pubblica la cui facciata era di sinistra, perchè non dovrebbero pervenire al medesimo risultato i Parri e le banche, gli Alber-tini e le industrie, i Carandini e gli agrari, i Tupini e i catto­lici, i Cingolani e l'ex aristocrazia nera, i Brosio e i professio­nisti piemontesi? I nostri repubblicani di destra non hanno un Thiers, è vero, questo nei loro conciliabili lo riconoscono : ma noi pensiamo francamente che manca loro, oltre un Thiers, tantissima altra roba necessaria per imbastire, oggi in Italia, una repubblica di destra con l'etichetta di sinistra. Manca qua­si tutto ». E dopo una dettagliata esposizione della nostra mi­seria l'A. continua : « Ed è con questa miseria che i gruppi set­tentrionali, che trent'anni fa costituivano la consorteria clerico-moderato-liberale lombarda, vogliono costruire ora una repub­blica di destra? Stolta illusione! La miseria è sostanza di sini­stra, rivoluzionaria, livellatrice, ugualitaria, atea, antiborghese, anticapitalista. Se in Italia si fa la repubblica, si fa soltanto e necessariamente la repubblica di Nenni e Togliatti. Non è vero che manca solo Thiers: o meglio Thiers manca, non perché la borghesia italiana non lo dà„ ma perché mancano completa­mente le condizioni e i presupposti che potrebbero generare un Thiers italiano. Thiers fu l'espressione francese individuale e superficiale di una realtà collettiva e profonda: la repubblica di Thiers fu la vera repubblica dei francesi. La repubblica detta di destra, sarebbe la repubblica di alcune... quasi sovrane fa­miglie, e dei loro più immediati accoliti di parentado, di regio­ne, di mentalità), di passato politico — e non sarebbe la repub­blica di nessun altro. La repubblica di Nenni sarebbe solo quel­la sognata dalle masse ingannate; resterebbe la repubblica del­la povera gente rivoluzionaria per fame. La repubblichina del­l'ex Corriere della Sera si rivelerebbe subito per un malinconico episodio effimero, solitario e prealpino, e avrebbe un solo risul­tato veramente concreto, tangibile, non rimediabile, di lunga durata: quello di distruggere lo Stato Monarchico, di privare l'Italia di quella realtà, nazionale che si chiama ed è un trono che aveva in nome di Dio, eccellenti prove storiche…

(2) Nella rivista La civiltà cattolica del 1 settembre 1945 il padre gesuita Lener scrive: «Vi sono, senza dubbio respon­sabilità specifiche di singoli individui per azioni obbiettivamente considerate dal diritto comune come fonti, appunto di responsabilità penale, politica, amministrativa. Questo è il ter­reno solido su cui attuare una genuina e severa giustizia in modo che nessun disonesto, nessun delinquente, nessun respon­sabile della folle dichiarazione di guerra, se ancora ne soprav­vivono, resti impunito, o peggio, stipendiato dallo Stato». In un acuto studio sul "Diritto e politica nelle sanzioni contro il fascismo" lo stesso Lener scrive: «...Se fosse vero che tutti o i principali esponenti del regime furono ladri omicidi, concussori e via dicendo, non si comprende per qual motivo sfasi ritenuto necessario per colpirli, ricorrere a disposizioni eccezio­nali, a nome mai udite come quelle che li puniscono appunto non in quanto delinquenti, ma membri del patrio governo o attivamente partecipi alla vita politica di un partito che co­stituì l'unica attività politica possibile in Italia per oltre venti anni! ».

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