di Emilio Del Bel Belluz
Primo Carnera dopo un mese di duro lavoro, si trasferì nuovamente a Parigi, gli venne assegnato lo stesso albergo, trovò tanta gente che lo attendeva, non pensava di meritare tanta fama, ma la gente amava quel gigante così forte. Carnera non si sottrasse alle persone che lo attendevano, non gli dispiacquero neanche le donne che erano venute a salutarlo. Il suo allenatore gli sussurrò all’orecchio che doveva pensare solo all’incontro, non aveva ancora portato a casa il risultato e per festeggiare c’era tempo. Paul gli voleva bene e sapeva anche che se Carnera vinceva, anche lui avrebbe potuto guadagnarci. La sua carriera in tanti incontri disputati non era stata molto fortunata e il denaro che aveva accantonato era irrisorio.
Quella sera prima di
addormentarsi, Carnera pensò al pugile con il quale avrebbe dovuto boxare.
Salvatore Ruggirello era un pugile nato in Tunisia un anno prima di lui, nel
1905, e ed era d’origine italiana, come si poteva comprendere dal suo cognome.
Strano destino quello di due pugili italiani che si trovavano a sfidarsi in una
patria che non è la loro. In cuor suo gli dispiaceva combattere all’estero
proprio contro un suo connazionale, infatti, avevano la stessa bandiera e la
stessa Patria nel cuore. Lo aveva incontrato alle operazioni di peso, era più
piccolo e pesava molto meno di lui, ma Carnera ricordava il suo primo incontro
da dilettante quando venne messo al tappeto da uno che era metà di lui. In
quell’occasione Primo aveva deciso di non boxare più. Salvatore Ruggirello gli
era simpatico, pure lui aveva avuto una vita dura e gli sarebbe piaciuto
parlargli, da italiano a italiano, ma questo non si verificò. Nel giornale
sportivo si faceva solo qualche cenno al paese dove era nato: la Tunisia e alla
sua carriera pugilistica.
Proprio lì aveva deciso di
fare il pugile, una carriera che non gli aveva dato grandi soddisfazioni. Il
suo avversario alloggiava in piccola pensione assieme al suo allenatore. Primo
non riusciva a prendere sonno, troppe emozioni lo turbavano. A Salvatore
avrebbe voluto mostrargli la sua bandiera, quella che la maestra gli aveva
donato, e di cui era orgoglioso. La bandiera che la maestra aveva avuto con sé
per tutta la sua vita. Alla fine cedette al sonno, dopo aver pregato, come sua
madre gli aveva insegnato. Primo Carnera, l’indomani sera, avrebbe combattuto
contro il suo rivale italiano, due destini che si sarebbero incontrati grazie
ai pugni.
Al suo ingesso nell’arena gli spettatori avevano
urlato il suo nome, molti erano emigranti italiani, con le bandiere italiane
innalzate. Primo aveva la sua con sé, la sventolava all’inizio prima di
combattere, e l’avrebbe fatto anche dopo; quella bandiera era il suo orgoglio,
e ne traeva una forza immensa. Davanti all’arbitro che raccomandava ai due
pugili la correttezza, Carnera era sereno, il suo animo rispecchiava una grande
forza e una volontà che aveva sperimentato in quei mesi durissimi. L’incontro
ebbe inizio, Primo riusciva a colpirlo con una certa facilità. Ruggirello, ogni
tanto riusciva a mettere a segno qualche colpo, ma la sua fine era destinata.
Carnera riusciva a mettere KO
alla quarta ripresa l’avversario. La folla esultava, gridava il suo nome e
andando all’angolo, mentre l’arbitro faceva il conteggio, e dichiarava fine al
combattimento, prima di alzare le braccia al cielo, andò verso il suo
avversario e in modo cavalleresco, lo abbracciò con affetto. Ora poteva
considerarsi un pugile con un pugno che faceva male. Era circondato da un
pubblico festante, ma Primo pensava all’avversario sconfitto e condivideva la
sua tristezza. La vittoria contro Ruggirello era stata importante, il mondo del
pugilato sapeva che era nata una stella, un pugile che avrebbe fatto parlare di
lui. Parigi era diventata la sua città, e per tre volte aveva centrato il
segno. Il prossimo match era fissato in Italia, e finalmente sarebbe potuto
tornare in patria.
Il grande impresario Carpegna
aveva sottoscritto un contratto con Léon See, per una grossa somma di denaro
per quell’epoca. Carpegna era venuto per vedere Carnera combattere e gli era
piaciuto. L’incontro doveva svolgersi a Milano il 25 novembre 1928, e in quella
data i giornali avrebbero sicuramente dato molto spazio all’avvenimento. La
venuta di Carnera a Milano aveva scatenato i tifosi, perché Carnera era un
italiano, un emigrante che aveva iniziato ad aver fortuna all’estero. Primo
Carnera arrivò a Milano qualche giorno prima dell’incontro, gli servivano per
ambientarsi. Nel suo cuore c’era una grande felicità che era impossibile non
notare, in treno aveva parlato con tutti gli italiani che lo avevano
avvicinato, e ciò gli faceva sentire l’aria di casa.
Nella valigia si era portato
un pacco di giornali francesi che parlava delle sue gesta, voleva mostrarlo ai
giornalisti che lo avrebbero cercato. La stampa italiana non aveva ancora
parlato molto di lui. Carpegna da buon organizzatore aveva fatto le cose in
grande, aveva scelto un buon albergo vicino al luogo dove si sarebbe svolta la
serata. Ai giornalisti aveva mandato dei giornali parigini che esaltavano il
pugile, definendolo un colosso dal pugno pesante. Carpegna aveva deciso che,
chi volesse assistere agli allenamenti, avrebbe dovuto pagare. Qualche
giornalista era venuto a intervistarlo, ed era rimasto soddisfatto di come si
allenava. Nel fare i guanti con due pesi massimi aveva dimostrato una forza
prorompente.
Uno dei due pugili che lo
allenava, per due volte, era andato al tappeto. L’altro pugile non aveva voluto
assaggiare i suoi pugni e si teneva alla larga, ma Carnera lo colpiva a
piacimento. La gente applaudiva e Primo continuava lo spettacolo, con grande
soddisfazione di quelli che lo osservavano. Nei due giorni che seguirono
Carnera si allenò lungo le strade di Milano, voleva respirare l’aria
dell’Italia che gli era mancata tanto. Il suo allenatore lo seguiva in
bicicletta, anche se avrebbe preferito starsene a dormire in albergo, perché
aveva avuto delle notti inquiete, avendo bevuto qualche sorso di vino in più a
cui non era abituato. Per la strada qualcuno si era messo ad osservare questo
gigante che correva e sembrava una quercia. Alla fine della corsa volle entrare
in un piccolo bar per fare colazione, i pochi avventori lo riconobbero e gli
vennero vicino per fargli gli auguri.
La sua presenza richiamò
l’attenzione di altre persone e il proprietario era felice, perché il suo
locale si stava riempendo. Primo era circondato da tanto affetto che non
avrebbe voluto più andarsene via. La sera prima del match, nella propria
camera, si sottopose a dei massaggi. Nel mentre, qualcuno gli disse che una
persona lo stava attendendo nella hall dell’albergo. Allora si mise addosso un
accappatoio che aveva comprato per il debutto a Milano, era di un verde scuro e
lo avvolgeva fino alle caviglie, tanto da sembrare un monumento. All’ingresso
dell’albergo lo attendeva sua madre, che quando lo vide si mise in ginocchio
dall’emozione, non si vedevano da quasi sei anni. La donna disse che
ringraziava il Signore che le dava la possibilità di rivedere il figlio. Si
mise a piangere copiosamente, a quel punto Carnera la rialzò come se fosse un
fuscello, anche se pesava novanta chili, l’abbraccio e baciò a lungo,
piangendo. La gente che osservava la scena si commosse, mai Primo avrebbe
pensato di rivedere sua madre a Milano: era bella come il giorno che l’aveva
lasciata.
Quanto gli sarebbe piaciuto
soffermarsi più a lungo con lei per raccontarsi tutto quello che avevano
vissuto negli anni di separazione, ma domani l’attendeva il combattimento. Ad
assistere alla scena c’era l’organizzatore Carpegna che volle trovare un albergo
per la donna. Il cuore di questo organizzatore era molto generoso. Carpegna si
era molto impegnato finanziariamente affinché l’evento potesse dare i suoi
frutti. Un peso massimo, un gigante come Carnera avrebbe potuto far risvegliare
la passione per il pugilato in Italia. Quella notte Primo non riusciva a
prendere sonno per la grande emozione provata per aver rivisto la madre che non
appariva ai suoi occhi invecchiata. Quando fece il suo ingresso al palazzetto,
la gente incominciò a urlare il suo nome, e sentì il calore del numeroso
pubblico che lo acclamava.
Con sé aveva la sua
immancabile bandiera del Re, avrebbe voluto urlare al pubblico la sua felicità
per essere in Italia, la sua patria. A quell’incontro avrebbe assistito anche
sua madre. L’avversario si chiamava Epifanio Islas, un argentino che resistette
per dieci riprese al gigante Carnera. Fu decretata una netta vittoria ai punti.
Primo rimase molto rattristato per i commenti poco lodevoli nei suoi confronti,
da parte della stampa. Solo il Resto del Carlino scrisse come titolo: “Carnera,
gigante terribile e dolce”. Quello fu l’unico articolo che parlò del match in
modo obiettivo. La sera, Primo ne parlò con il suo avversario, l’argentino
Epifanio che riteneva il match combattivo, infatti, lui aveva ricevuto tanti
pugni che gli avevano fatto male. Si promisero di ritrovarsi ancora su un ring
e Epifanio tornò in Argentina.
Dopo l’incontro, si trovò con
sua madre ed altri amici in un locale di Milano, per festeggiare la vittoria.
All’improvviso giunse un maresciallo dei carabinieri, assieme ad un bambino di
dieci anni, fermato alla stazione dei treni che sosteneva di essere un nipote
di Primo. Carnera ancora non aveva nipoti, prese in braccio il bambino che si
mise a piangere. Raccontò che era partito da Sequals per vedere l’incontro del
suo idolo Carnera, non aveva detto nulla alla sua famiglia che si era
preoccupata e aveva avvisato i carabinieri che, molto verosimilmente, il loro
figlio s’era recato a Milano (conoscendo la sua grande passione per l’idolo
friulano). I carabinieri fermarono il bambino mentre scendeva dal treno. Il
ragazzino, non sapendo che scusa inventare, aveva dichiarato di essere nipote
del campione Primo Carnera e di essere venuto a Milano per assistere
all’incontro.
La mamma di Primo lo volle
prendere con sé, gli asciugò le lacrime con un fazzoletto, e gli fece una
carezza. Primo chiese solo di tenerlo con sé, avrebbe dormito con sua madre che
l’indomani l’avrebbe portato a casa. Il maresciallo era una persona di buon
cuore ed approvò questa ottima soluzione. Il carabiniere reale volle che
Carnera gli firmasse una cartolina con dedica a lui e a suo figlio. Primo fu
gentile e donò al milite una maglia in cui c’era scritto il suo nome, e lo
salutò. Quando rimase solo con il ragazzino, volle che gli raccontasse il
perché di questa storia inventata, ma il bambino commosso pianse ancora.
Carnera ordinò al cameriere che gli fosse portata una grande fetta di torta,
per consolarlo.
Regalò al bambino una sua foto
con dedica, ricordandogli di non dire mai più bugie ai suoi genitori. Carnera,
commosso, comprese che la fuga del bambino era stata dettata dalla sua grande
passione per la boxe, e soprattutto per lui, di cui si parlava spesso in
famiglia. Carnera doveva ripartire per la Francia, salutò sua madre e le
promise di far ritorno al paese al più presto. Le consegnò anche una
consistente somma di denaro da depositare in banca. Il suo sogno era quello
d’investire i suoi guadagni nella costruzione di una villa circondata da un
parco a Sequals, perché dopo il suo ritiro dalla boxe, vi avrebbe fatto
ritorno. Un altro dolore dovette sopportare Carnera: il drammatico suicidio
dell’organizzatore Giovanni Carpegna.
Questi aveva investito molto
sul suo match, per quello di Al Brown e per altre riunioni, ma non aveva
recuperato le somme spese, pertanto, decise di chiudere i conti con la vita.
Quando Carnera venne a sapere del triste evento, inviò una somma di denaro alla
famiglia, e non dimenticò mai quel doloroso giorno.
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