150° dimenticato
Un Savoia sul trono di Madrid
C'era una volta l'Italia. Svolgeva un ruolo
centrale per salvare l'Europa dall'abisso della guerra generale e della
rivoluzione. Il 30 dicembre 1870 Amedeo di Savoia, duca d'Aosta, approdò a
Cartagena. Il 16 novembre il Parlamento di Madrid (las Cortes) lo aveva eletto
re di Spagna con 191 voti contro 120. Suo attivo e prestgioso “grande elettore”
era il generale Juan Prim y Prats, conte di Reus. A deciderne l'elezione furono quattro concause che andavano molto
oltre la sua persona.
In primo luogo gli insanabili conflitti interni
allo Stato iberico. Il 18 settembre 1868 Esercito e Marina avevano iniziato la
“Gloriosa Rivoluzione” che costrinse all'esilio Isabella II di Borbone col suo
fido confessore, Antonio Maria Claret, e la discussa “sor Patrocinio”, monaca
sedicente miracolosa ma ritenuta “anima nera” della regina. Il 1° giugno 1869
le Cortes di Madrid approvarono la Costituzione che fece della Spagna una
“monarchia democratica”. Un ossimoro. Il sovrano elettivo sarebbe risultato
ostaggio dell'Assemblea.
Spettava ai deputati cercare il sovrano, più di
loro mutevole gusto che adatto al Paese. Da decenni la Spagna era un guazzabuglio
di conflitti tre pretendenti, correnti, clan e gruppi che si offrivano alzando
il prezzo della propria corruttibilità, una malattia genetica. Fernando VII di
Borbone, “il Desiderato”, abrogò la legge salica (successione al trono di
maschio in maschio) e nominò erede la figlia Isabella II. Suo fratello, Don
Carlos Maria Isidro, rivendicò il trono manu militari. Se ora il conflitto è
una disputa tra appassionati di araldica, all'epoca fu combattuto con le armi e
con la sua ferocia seminò odio e spirito di vendetta.
Le Cortes, in terzo luogo, dopo varie dispute e
interferenze straniere (dinastiche, ideologiche e personalistiche, con tanti
altezzosi “cacicchi”, “costruttori a noleggio”) il 21 giugno 1870 scelsero per
re Leopoldo Hohenzollern Sigmaringen. Forse non era il peggio possibile (la
Spagna era sotto l'influenza del filosofo massone Krause, del tutto ignorato in
Italia), ma l'imperatore Napoleone III non poteva ammettere che la Francia
venisse chiusa nella tenaglia tra la Prussia e una Spagna germanizzata: un
balzo di secoli all'indietro, all'età durata da Carlo V d'Asburgo alla guerra
di successione spagnola, da inizio Cinquecento al Settecento, quando Filippo V
di Borbone ascese sul trono di Madrid.
L'Europa
di 150 orsono usava moneta vecchia (successioni dinastiche sulla base delle
norme vigenti all'interno delle singole Case regnanti) e moneta nuova (la
volizione delle “nazioni” espressa dai suoi rappresentanti elettivi). Non
bastasse, dal 1864 serpeggiava l'internazionale operaia, la Rivoluzione
soffocata con l'annientamento di Caio Gracco Babeuf e dei suoi seguaci ed
eredi. Nel 1869 Giuseppe Fanelli fondò in Spagna i primi nuclei
dell'Internazionale e Farga Pellicer li rappresentò al congresso di Basilea.
“Ordo ab Chao” era l'insegna del Rito scozzese antico e accettato, il più
influente della massoneria universale, ma anche quella dell'estremismo
giacobino pronto scatenare il pandemonio
per e afferrare il potere con un colpo di mano, preludio alla tirannide rossa.
Per scongiurare questo rischio bisognava avere
mano ferma, solide basi nella Spagna profonda e il consenso delle Potenze del
“concerto europeo”, che sempre più “steccava” per mancanza di un direttore
d'orchestra. Lo stratega dell’“investitura” di Amedeo di Savoia, il generale Juan Prim y Prats, era alto grado
della massoneria come documenta l'insuperato massonologo José Antonio Ferrer
Benimeli nel rigoroso e “divertido” volume Jefes de gobierno masones. España
1868-1936 (Madrid, Esfera de los Libros, 2007).
La svolta da Leopoldo Hohenzollern al Duca di
Aosta non fu affatto indolore. Dopo una serie di provocazioni il 19 luglio 1870
Napoleone III dichiarò guerra alla Prussia, benché Berlino avesse acconsentito
a dichiarare che “mai” avrebbe mirato a insediare un principe tedesco sul trono
spagnolo. Le conseguenze del conflitto sono notissime. L'1-2 settembre agli
acuti dolori alla prostata Napoleone III aggiunse la sconfitta militare a Sedan
e la resa nelle mani del nemico. A Parigi fu proclamata Repubblica, la terza
dopo quelle del 1792 e del 1848. La Rivoluzione prese la rincorsa e finì con la
“Commune” di Parigi e la guerra civile soffocata in un bagno di sangue nel
1871.
Il
ruolo europeo del Regno d'Italia
Il 20 settembre 1870 il regno d'Italia fece di
Roma la propria capitale effettiva: un triplo salto carpiato, che gli consentì
di chiudere la “questione romana” nei confini interni, nel rispetto della
“sovranità spirituale” di Pio IX, e di candidarsi a garante della pax europea.
Con il crollo dell'impero francese, il neonato regno sabaudo (14/17 marzo 1861)
risultò il più importante dell'Europa centro-occidentale “di terraferma”,
impero austro-ungarico a parte. Aveva carte da giocare anche per attuare la
“missione dell'uomo bianco” negli spazi afro-asiatici. Nel 1868 la genovese Compagnia
di navigazione Rubattino acquistò la baia di Assab sulla costa africana del Mar
Rosso, primo passo verso la futura Colonia Eritrea (1885-1890).
Dall'inizio del torbido “sessennio” che dilaniò
la Spagna, il re d'Italia Vittorio Emanuele II, politico dalla lungimiranza
ancora in attesa di pieno riconoscimento storiografico, mise sul tavolo della
diplomazia moneta vecchia di incontestabile valore legale: il titolo di
successione di un Savoia sul trono di Madrid, risalente alla rinunzia al trono
di Sicilia (in cambio della Sardegna, 1719) in caso di “estinzione” dei
Borbone, proprio quanto era accaduto con la cacciata di Isabella II. A quel
punto il Re Vittorio doveva mettere in campo un Principe della propria Casa.
Cercò invano di indurre il nipote Tommaso di Savoia-Genova, che però (come
ricorda Franco Ressico nella recente bella biografia di Carlo Cadorna, ed.
BastogiLibri) si riteneva riserva aurea della Casa se i figli del sovrano non
avessero dato continuità diretta alla Corona. Dopo mesi di sollecitazioni,
documentate dal suo Epistolario curato da Francesco Cognasso (Istituto
per la storia del Risorgimento italiano, 1966), Vittorio Emanuele II ottenne
infine l'assenso del secondogenito Amedeo duca di Aosta ad assumere la corona
di Spagna.
Quella “moneta vecchia” faceva di Roma il
fulcro di un “patto di famiglia” che andava dall'Italia al Portogallo, il cui
re (sovrano di un vasto impero coloniale) aveva sposa Maria Pia, figlia del re
d'Italia. Tra i “doni di nozze” era stata ventilata la cessione dell'Angola a
Vittorio Emanuele: un’ipotesi bloccata dalla Gran Bretagna che non voleva un
altro Stato europeo sull'Atlantico.
Il dialogo impossibile tra il Re e il suo
“popolo”
Re designato, Amedeo di Savoia partì da La
Spezia il 26 dicembre. Il 2 gennaio entrò in Madrid intirizzita dalla neve.
Salutò la cortina di spettatori con ampi gesti, che alcuni interpretarono come
segni massonici. Giurò fedeltà alla costituzione e intraprese la sua
“missione”. Purtroppo per lui il 27 dicembre il generale Prim era rimasto
vittima di un attentato. Come documentano le sue recenti biografie, la ferita
di una palla di rivoltella non venne affatto curata. Molti indizi lasciano anzi
ritenere che fu “aiutato a morire”. Nell' “imbalsamazione” i suoi occhi furono
sostituiti con bulbi di vetro: per celare tracce di soffocamento?
Comunque sia, con la sua tragica morte (30
dicembre) la Spagna stessa entrò in agonia. Il 24 gennaio 1871 al prestigioso e
affollato Teatro Calderón di Madrid (ricorda lo storico Vicente Palacio Atard)
fu rappresentata la commedia “Maccaronini I”, sarcastica allusione al nuovo re.
Parecchi ufficiali rifiutarono di prestare il giuramento di rito. In varie
città, Madrid inclusa, si levarono grida “Viva il Papa-Re, abbasso il Re
massone”. In marzo fu rinnovata la Camera. Vennero eletti 53 carlisti, 18
isabellini,18 fautori del futuro Alfonso XII di Borbone (figlio di Isabella
II), 9 seguaci di Antonio di Montpensier, duca di Orléans, mancato candidato al
trono, e ben 52 repubblicani dichiarati. I “costituzionali” erano lacerati in
fazioni guidate da maggiorenti che si contendevano il potere, spinti da
proterva ambizione personale: Mateo Práxedes Sagasta, Ruiz Zorrilla (entrambi
alti dignitari massonici) e Francisco Serrano duca de La Torre, ognuno con le
proprie clientele.
In due anni si susseguirono sei diversi
governi. Una nuova elezione generale portò alle Cortes 14 seguaci di Sagasta
(“progressisti”), 9 “alfonsini” dichiarati e 79 repubblicani capitanati da
Emilio Castelar e apprezzato da Mazzini e Garibaldi: minoranze inconcludenti ma
chiassose, come osservò Ortega y Gasset in “El Imparcial”.
Amedeo I tentò di farsi ben volere percorrendo
le molte e vaste regioni dell'immenso “continente” iberico e ricambiando le
calorose attenzioni di dame e damazze. Ma era la Spagna stessa a precipitare
verso la crisi. Si aggrovigliarono
l'esito infelice di una delle molte fasi belliche a Cuba, l'insorgenza
armata dei carlisti in Navarra (21 aprile 1872) e le agitazioni in Catalogna.
Il Paese era lacerato dalla rottura tra Chiesa
e Stato, che risaliva alla proclamazione della libertà di religione (1° giugno
1869), duramente combattuta dall'episcopato e dalla generalità del clero
cattolico. Lo scioglimento dei gesuiti, di ordini conventuali e congregazioni
religiose aveva riattizzato divisioni che risalivano all'età
franco-napoleonica, alla guerriglia per l'indipendenza nazionale e alla feroce
lotta contro gli “afrancesados”. “Amedeo Primero”, figlio del re che aveva
spodestato Pio IX, era considerato strumento di Satana. La regina, la piissima
Maria Vittoria dal Pozzo della Cisterna, era figlia del principe Emanuele,
famoso cospiratore liberale del 1821 e
“caposetta” così potente che, fermato alla frontiera del regno sabaudo
con molte prove a suo carico, era stato subito rilasciato. Un mistero
paragonabile a quello del leggendario Michele Gastone, massone e carbonaro.
Come attestato dal conte di Romanones, Amedeo
di Savoia concluse che ormai la dirigenza politica era “una casa di pazzi”.
Dopo essere stato bersaglio di due attentati (il secondo mentre era in
compagnia della regina), alle 13 e 30 dell'11 febbraio 1873, avuto
riservatamente il consenso paterno, abdicò alla corona di Corona di Spagna e
rientrò in Italia, ove, nei tempi e modi previsti, riprese titolo alla successione
in subordine al fratello maggiore, Umberto.
Se in repubbica un governo non regge su maggioranze raccogliticce, una
monarchia elettiva ha bisogno di consenso vastissimo, come sentezio Umberto II
alla vigilia del referendum del 2-3 giugno 1946.
La Repubblica
e il caos
Lo stesso 11 febbraio 1873 a Madrid fu
proclamata la repubblica. La Spagna precipitò in un regime anarco-sovietico.
L'11 luglio il potere esecutivo fu assunto da Francisco Pi y Margall. Il giorno
dopo esplose l' “alzamiento” in Cartagena. Il 18 seguente salì al potere
Nicolas Salmerón, altro massone. Il 5 settembre Castelar assunse la presidenza
della Repubblica “conservadora”. Il 4 gennaio 1874 il generale Manuel Pavia y Lacy, marchese di Novaliches,
sciolse le Cortes. Il governo passò nelle mani di Francisco Serrano. Il 10
venne soppressa la sezione dell'internazionale operaia. Il 29 dicembre 1874
Carlos Martínez Campos proclamò in Sagunto la restaurazione della monarchia
nella persona di Alfonso XII di Borbone, antenato dell'attuale Felipe VI. Il
cerchio si chiuse. Due anni dopo don Carlos passò la frontiera e dalla Francia
riparò nell'Impero asburgico, sempre col sostegno del clero reazionario e
oscurantista. Il 30 giugno 1876 la Restaurazione iniziò a camminare sulla via
indicata da Antonio Cánovas del Castillo, grande riformatore destinato a essere
assassinato proprio perché, come già Prim, favoriva il progresso.
Il “sessennio” contenne i germi della seconda
repubblica e delle sue devastanti conseguenze: la guerra civile del 1936-1939,
che oggi continua con la “damnatio memoriae”.
La Spagna ebbe la saggezza di rimanere estranea alla Grande Guerra come
poi alla Seconda guerra mondiale, ma non ha mai superato le divisioni interne
(lo documentano le magre sorti del Partito popolare e di Ciudadanos) e
l'inclinazione all'estremismo da anni impersonato da Pablo Iglesias e dalla
deriva indipendentistica e repubblicana imperversante in Catalogna.
Benché non sia mai giunto a ispanizzarsi
(riluttò anche ad apprendere e a usare correntemente lo spagnolo) Amedeo I ebbe
il pregio di far capire agli spagnoli che la monarchia era l'unica istituzione
capace di tradurre in forza unificante le pulsioni particolaristiche. Preferì
abdicare piuttosto che tradire il giuramento di fedeltà alla “monarchia democratica”,
caposaldo della Spagna odierna.
Il paradosso iberico di 150 anni orsono molto
insegna a un Paese come l'Italia, ove un docente di diritto mai eletto da nessuno eppure pro tempore
presidente del Consiglio dei ministri a capo di due (o forse persino tre)
maggioranze del tutto diverse e disarmoniche, si atteggia ad “avvocato del
popolo” e campione di europeismo reggendosi sulle grucce di movimenti
geneticamente antieuropeisti e populisti come i Cinque Stelle, alcuni
vetero-stalinisti intruppati fra i “leucociti” (vale d'esempio il neo-giacobino
Roberto Speranza) e i clerico-marxisti che tessono le fila dei “Democratici”.
Questa è la moneta vecchia, priva di valore nell'Unione Europea ma ancora
circolante in Italia, inchiodata alla sterile guerriglia ideologica e alla
contrapposizione (più propagandistica che storiografica) su fatti e misfatti di
due partiti – il PCI e il PNF - ormai morti e sepolti.
Motivo in più per fare memoria del 150°
dell'ascesa del duca Amedeo di Savoia sul trono di Spagna: una grande occasione
mancata per l'“Unione latina”, alternativa al dominio germanico e
all'altrettanto fatale duello franco-tedesco iniziato nel luglio 1870 e
protratto sino al maggio 1945, quando tutti i paesi europei, vincitori e vinti,
persero la guerra e finirono, come sono, succubi di potenze mondiali.
Aldo A. Mola
DIDASCALIA.
Amedeo Ferdinando Maria di Savoia (Torino,
1845-1890), “el Rey Caballero”, e la
regina Vittoria, che allatta un bambino spagnolo. Sullo sfondo l'Escorial. (da
Aldo A. Mola, Italia. Un Paese speciale,Torino, Ed. del Capricorno,
2011, vol. 2, p.123) Figlio di Vittorio Emanuele duca di Savoia, poi re di
Sardegna e d'Italia, e di Maria Adelaide d'Asburgo, da Maria Vittoria il
principe Amedeo ebbe Emanuele Filiberto, Vittorio Emanuele e Luigi Amedeo. Vedovo dal 1876, nel 1888 sposò la
nipote, Maria Letizia Bonaparte, figlia di Carlo Gerolamo e di sua sorella
Clotilde di Savoia, e ne ebbe Umberto, conte di Salemi.
Emanuele Filiberto (1869-1931), II Duca di
Aosta, comandante della Terza Armata nella Grande Guerra, da Elena d'Orléans
ebbe Amedeo (poi III Duca d'Aosta, viceré di Etiopia, morto prigioniero degli
inglesi nel 1942) e Aimone, Re di Croazia (ove non pose mai piede), IV duca di
Aosta, padre di Amedeo di Savoia, nato nel 1943, V Duca di Aosta, poi Duca di Savoia, erede della Corona d'Italia,
padre di Aimone di Savoia, VI Duca di Aosta, che da Olga di Grecia (sposata nel
2018) ha avuto Umberto, principe di Piemonte, Amedeo e Isabella. Il Principe
Aimone è ambasciatore del Sovrano Ordine Militare di Malta presso la
Federazione Russa.
Nell'Archivio
storico nazionale di Salamanca è conservata una lettera della Loggia “Nuova Sparta” all'
“Hermano Amadeo de Saboya, grado 33°
(1872), che proverebbe legami tra il Re e la massoneria spagnola, all'epoca
molto frastagliata.
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