Interessante articolo sul Corriere
(segnalato dal nostro Ettore Laugeni)
Nuovi documenti sul leader democristiano nella riedizione della biografia
scritta da Massimo Franco, da giovedì 14 in libreria per Solferino e in edicola
con il «Corriere»
[...]
Il 28
dicembre 1947 era morto ad Alessandria d’Egitto Vittorio Emanuele III. E il suo patrimonio
era passato agli eredi e alla vedova. Ma il 1° gennaio 1948 era entrata in
vigore la nuova Costituzione italiana che stabiliva «l’avocazione allo Stato
dei beni esistenti». Si era aperto un contenzioso sia in Italia sia con Londra.
Lì Umberto I aveva sottoscritto un’assicurazione sulla vita alla fine
dell’Ottocento. Non era mai stata riscossa da nessuno. Fu Vittorio Emanuele
III, dopo l’abdicazione, a chiedere di poter disporre della somma e degli altri
beni inglesi del padre, che il governo britannico aveva trattenuto e
sequestrato come patrimonio dei nemici nella Seconda guerra mondiale: dopo
l’armistizio, la Gran Bretagna aveva dissequestrato quei beni affidandoli alla
Banca Hambros di Londra perché li distribuisse agli eredi.
Le
quattro figlie del Re e lo Stato dovevano dividersi l’eredità, e sembrava tutto
deciso: l’Avvocatura dello Stato aveva dato parere favorevole a una spartizione
che tenesse conto delle richieste delle eredi. Ma il ministero delle Finanze si
era opposto, smentendo l’Avvocatura e prendendo tutto il patrimonio. «Senza
dubbio» si legge nella relazione che si trova negli Archivi vaticani, acclusa agli
«Appunti», «da tale situazione è derivato un risveglio di ideologie monarchiche
che evidentemente non aiutano a stabilire una solidarietà per il nuovo regime
istituzionale, mentre si compie una ingiustizia nei confronti di persone che
non hanno che benemerenze verso il Paese...».
Giulio Andreotti (1919-2013) nel 1948 all’inaugurazione di piazzale Clodio a Roma[]
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