di Waldimaro Fiorentino
Egregio direttore,
la recente traslazione delle Salme di Re Vittorio Emanuele III e della Regina Elena e l'ipotesi della successiva traslazione
al Pantheon ha provocato una serie di proteste da parte dei rappresentanti
degli ebrei italiani, i quali hanno rivolto al Re accuse di aver favorito
l’ascesa di Mussolini al potere e di aver firmato le leggi razziali.
Desidero puntualizzare quanto segue.
Vittorio Emanuele III fece 25 tentativi di governo prima di assegnare l’incarico di
formare il Governo a Benito Mussolini. Il Re, esperiti i diversi tentativi ed
accertato
che Mussolini era l’unico esponente politico nei confronti del quale non vi fossero preclusioni, chiamò quest'ultimo al Quirinale e gli chiese cosa volesse; e Mussolini gli rispose: «Vogliamo il Governo»; il Re, Sovrano Costituzionale, gli replicò: «Bene, formi un governo e si presenti davanti al Parlamento».
che Mussolini era l’unico esponente politico nei confronti del quale non vi fossero preclusioni, chiamò quest'ultimo al Quirinale e gli chiese cosa volesse; e Mussolini gli rispose: «Vogliamo il Governo»; il Re, Sovrano Costituzionale, gli replicò: «Bene, formi un governo e si presenti davanti al Parlamento».
Mussolini, recatosi in Parlamento, non
nascose il proprio disprezzo per la classe politica dell’epoca dicendo: «Dì quest'aula
sorda e grigia, avrei potuto fare un bivacco per i miei manipoli».
I partiti, che si erano reciprocamente
negati l'appoggio per la formazione di governi stabili, subirono senza batter
ciglio l’affronto e furono in larghissima parte favorevoli nel sostenere il Governo
al Capo del Fascismo, che aveva alla Camera soltanto 35 Deputati.
Il primo Governo Mussolini - un Governo
che Malacoda definì «tranquillizzatore» - ottenne la fiducia con 306 voti a
favore, 116 contrari e 7 astensioni. Tra i voti favorevoli ci furono quelli di
Alcide De Gasperi, Ivanoe Bonomi, Vittorio Emanuele Orlando, Antonio Salandra.
Di quel Governo facevano parte, oltre a fascisti, liberali, popolari (ossia quelli che nel dopoguerra sarebbero divenuti i democristiani), demo sociali, nazionalisti oltre al generale Armando Diaz e all’ammiraglio Paolo Thaon de Revel. Sottosegretario all'industria era Giovanni Gronchi, che nel 1955, sarebbe divenuto presidente della repubblica italiana. Tutte persone che oggi danno la colpa a Vittorio Emanuele III di aver aperto la strada al Fascismo e che all’epoca si dimostrarono i migliori alleati di Mussolini. Lo stesso Parlamento il 25 novembre 1922 avrebbe votato a favore della concessione dei pieni poteri, per consentire al Governo Mussolini «di risolvere liberamente senza le difficoltà della procedura parlamentare, i più urgenti problemi della finanza e della pubblica amministrazione». Ma fatto più grave che consegnò completamente il Paese al fascismo fu la votazione del 15 luglio 1923, che approvò la riforma della Legge elettorale. Per quella Legge, su 535 seggi parlamentari, ben 355 - i 2/3 - sarebbero stati assegnati alla lista che avesse ottenuto la maggioranza, non assoluta, od anche di un solo voto,
purché raccogliesse almeno il 25 % dei voti. La Camera dei Deputati, nel quale i fascisti erano solo 33, approvò quella legge con 303 voti 140 contrari e 7 astenuti; tra i voti favorevoli vi furono anche quelli di De Gasperi e di Gronchi.
Di quel Governo facevano parte, oltre a fascisti, liberali, popolari (ossia quelli che nel dopoguerra sarebbero divenuti i democristiani), demo sociali, nazionalisti oltre al generale Armando Diaz e all’ammiraglio Paolo Thaon de Revel. Sottosegretario all'industria era Giovanni Gronchi, che nel 1955, sarebbe divenuto presidente della repubblica italiana. Tutte persone che oggi danno la colpa a Vittorio Emanuele III di aver aperto la strada al Fascismo e che all’epoca si dimostrarono i migliori alleati di Mussolini. Lo stesso Parlamento il 25 novembre 1922 avrebbe votato a favore della concessione dei pieni poteri, per consentire al Governo Mussolini «di risolvere liberamente senza le difficoltà della procedura parlamentare, i più urgenti problemi della finanza e della pubblica amministrazione». Ma fatto più grave che consegnò completamente il Paese al fascismo fu la votazione del 15 luglio 1923, che approvò la riforma della Legge elettorale. Per quella Legge, su 535 seggi parlamentari, ben 355 - i 2/3 - sarebbero stati assegnati alla lista che avesse ottenuto la maggioranza, non assoluta, od anche di un solo voto,
purché raccogliesse almeno il 25 % dei voti. La Camera dei Deputati, nel quale i fascisti erano solo 33, approvò quella legge con 303 voti 140 contrari e 7 astenuti; tra i voti favorevoli vi furono anche quelli di De Gasperi e di Gronchi.
Anche il Senato approvò la riforma. Il Re
costituzionale non poté altro che firmare. Del resto, la formula di una Monarchia
costituzionale è «Il Re regna ma non governa».
Don Luigi Sturzo, nel suo libro «L'Italia
e l’ordine internazionale», pubblicato nel 1944 per le edizioni Einaudi, ci fa
sapere che «intervennero gli ex capi dei gabinetti liberali Giolitti Salandra e
Orlando, che il Re chiamò a consiglio, ed opinarono essere inopportuno
avventurarsi in un cambio che preludesse ad un governo dominato da socialisti e
popolari».
Lo storico Secondo Malacoda sostenne, al
proposito, «di fronte all’afferrmazione di una pretesa complicità tra la Monarchia
dei Savoia e il fascismo, noi pensiamo che nulla sia stato asserito di più
falso e di più storicamente infondato, e che nulla sia più contrario alla
logica, intima delle cose. In verità la Monarchia non è stata complice
del fascismo più di quanto il depredato non sia complice del suo rapinatore».
del fascismo più di quanto il depredato non sia complice del suo rapinatore».
La Camera dei deputati ed il Senato, a
grandissima maggioranza, e la stessa opinione pubblica sostennero il fascismo.
La stessa Chiesa, che con il fascismo aveva già avviato trattative per
pervenire al Concordato,
impose a Don Luigi Sforzo, il più acceso avversario cattolico del regime, l’esilio, senza che Mussolini lo avesse richiesto.
Pio XI definì Mussolini l’uomo della provvidenza».
impose a Don Luigi Sforzo, il più acceso avversario cattolico del regime, l’esilio, senza che Mussolini lo avesse richiesto.
Pio XI definì Mussolini l’uomo della provvidenza».
Il noto giornalista Vittorio Gorresio a pag.2
del quotidiano «La Stampa», riferendosi
a Flaminio Piccoli, scrisse «che in un discorso pronunciato A Bergamo il 2
novembre 1968» disse che la DC non è nata per investitura ecclesiastica, che
anzi la Chiesa la abbandonò nel 1923-24 e don Sturzo fu costretto all’esilio, e
De Gasperi ebbe gravi difficoltà nei suoi rapporti con il Vaticano».
Carlo Sforza, fortemente antifascista, del
resto ammise: «Pochi uomini furono accompagnati più di Mussolini da voti di
successo così numerosi, anche se soltanto rassegnati.
Dunque, a questo punto, cosa sarebbe
cambiato se in Italia allora ci fosse stata una repubblica? Anzi; le cose
sarebbero addirittura cambiate in peggio, perché essendo l'intero Parlamento
fascista o prono dinanzi al fascismo, non ci sarebbe stato neppure l’effetto
equilibratore della Corona a determinare elementi di riflessione e di moderazione.
Va ristabilita la verità anche sul tema
delle leggi razziali.
Mino Menicelli il 17 febbraio 1968 sul
quotidiano «Il Giorno» dell’ENI (quindi espressione del governo repubblicano)
rammentò che Vittorio Emanuele III negò la firma ai decreti in questione; ed
invano attese che uomini politici, intellettuali, esponenti della società
civile insorgessero; si sa, invece,
che diversi docenti furono ben lieti di subentrare nelle cattedre universitarie
agli ebrei espulsi per effetto di quei decreti e che una decina soltanto furono
i docenti non ebrei espulsi per non aver giurato al fascismo, Monicelli, in
quello stesso articolo, riferisce il colloquio tra Vittorio Emanuele III e
Mussolini il 28 novembre 1938; e lo riporta con queste esatte parole: « Colloquio
Re - Mussolini. Per tre volte il sovrano riesce ed infilare nel colloquio la
frase ‘provo una infinità pietà per gli ebrei’. Il duce ingoia tre
volte il rospo, digrignando la mascella quadrata».
E si sa che il Sovrano ottenne, con interventi personali, di attenuare la portata di quei decreti.
E c’è una testimonianza assolutamente non sospetta o confermare. Tra i quaderni del «Centro di documentazione ebraica contemporanea», in «Gli ebrei in Italia durante il fascismo» a cura dì Guido Valabrega nel marzo 1962, a pag, 20 del 2° volume, si legge testualmente: «Con tutto ciò, si deve obiettivamente riconoscere che sino all’8 settembre 1943 la persecuzione razziale fu contenuta in limiti moderati e dì portata soprattutto economica» e più avanti, «Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 comincia per gli ebrei italiani un tremendo periodo nuovo: l’Italia era ormai sotto il tallone tedesco e Mussolini voleva riabilitarsi agli occhi dell’alleato».
E si sa che il Sovrano ottenne, con interventi personali, di attenuare la portata di quei decreti.
E c’è una testimonianza assolutamente non sospetta o confermare. Tra i quaderni del «Centro di documentazione ebraica contemporanea», in «Gli ebrei in Italia durante il fascismo» a cura dì Guido Valabrega nel marzo 1962, a pag, 20 del 2° volume, si legge testualmente: «Con tutto ciò, si deve obiettivamente riconoscere che sino all’8 settembre 1943 la persecuzione razziale fu contenuta in limiti moderati e dì portata soprattutto economica» e più avanti, «Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 comincia per gli ebrei italiani un tremendo periodo nuovo: l’Italia era ormai sotto il tallone tedesco e Mussolini voleva riabilitarsi agli occhi dell’alleato».
Ed esistono interi volumi di
documentazione che dimostrano come il Regio Esercito, di educazione e di
sentimenti monarchici, salvò un grande numero di ebrei, i quali, su ogni
fronte, fuggivano delle zone occupate da nazisti, per riparare sotto la
protezione dei nostri reparti, Per tutti, si legga quanto scritto su «Un debito
di gratitudine. Storia dei rapporti tra l’Esercito italiano» di Menacliem Shelah,
ebreo dalmata. Nella prefazione di Antonello Biagini prof. Ordinario di Storia
dell'Europa orientale, parla dell’ «opera di solidarietà svolta dal personale
diplomatico e dall'esercito italiano... legato tradizionalmente alla Casa Reale
non a Mussolini», Lo jugoslavo ebreo Yosef Lapid, giornalista e docente , in
Università USA, nel presentare il libro scrisse «Però gli italiani rifiutarono di contribuire al sistematico sterminio operato dalia
macchina di morte nazista e non presero parte al genocidio. Ebrei di
nazionalità italiana non furono deportati nei campi di sterminio (finché l’Italia
non cadde, dopo l’8 settembre 1943,sotto il diretto dominio tedesco). Gli
italiani presero sotto la loro protezione gli ebrei del Paesi conquistati nel Nord Africa, in Grecia, nella Francia Meridionale e in Jugoslavia». E Menachem
Shelah riferisce di «una delle suppliche più commoventi scritta dai profughi di
Sarajevo rifugiati a Montar, cioè,sotto il controllo italiano, “l’invio in un
campo di concentramento croato significherebbe…una condanna a morte... una
morte lenta, tra infiniti tormenti... una morte implorata per lunghi giorni e
per lunghe notti insonni, come si implora da Dio la grazia di essere finalmente
liberati da un martirio...».
È sufficiente per ristabilire la verità?
Waldimaro Fiorentino
giornalista, consigliere comunale a Bolzano
per 19 anni per il Partito Monarchico
Ecco,se in ogni città d'Italia avessimo un Uomo costruttivamente e validamente impegnato come il Dr. Fiorentino, l'efficacia ed il successo dell'insultante colpo di mano di Mattarella & co. non sarebbero stati così compiutamente riusciti, perfetti, definitivi.
RispondiEliminaUn sentitissimo grazie al Dr. Waldimaro Fiorentino
Mi associo
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